Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: NanaK    11/06/2020    0 recensioni
Non c'era nulla di molto valoroso in lei, ma la storia non viene sempre raccontata dagli eroi.
Genere: Avventura, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo ottavo
 
Non aveva mai incontrato i suoi genitori: le avevano detto che sua madre era morta poco dopo averla data alla luce, mentre suo padre non l’aveva nemmeno vista nascere. Era rimasta con i nonni materni ed in realtà si sentiva molto fortunata. Loro erano meravigliosi e non le avevano mai fatto mancare nulla, crescendola con tutto l’amore di cui aveva bisogno. Ogni tanto chiedeva di sua madre, come fosse da bambina, se le somigliasse o perché fosse andata via, ma non sentiva la mancanza di una figura materna e non le interessava sapere di suo padre. Con il tempo, poi, si era resa conto che parlarne era molto difficile per i nonni e calava sempre un velo di tristezza sui loro occhi, perciò relegò l’argomento in un cassetto buio della sua mente. Il vero dolore le era sempre stato sconosciuto, fino alla caduta del distretto di Shinganshina. I primi giorni si era trascinata per le vie più polverose del Wall Rose, senza sapere cosa fare, l’unico pensiero erano le urla di Sadie. Le sentiva continuamente e la terrorizzavano. Continuava ad immaginarsi anche le grida dei nonni, la loro paura, i loro cadaveri.
Perché era viva?
Fu la fame lancinante a svegliarla da quel torpore ed allora mise davvero a fuoco ciò che le era intorno. La prima volta che rubò un tozzo di pane da un forno si vergognò di sé stessa e si ripromise di ripagarlo quanto prima. Poi diventò un’abitudine perché la fame la aggrediva a morsi e niente sembrava più importante: aveva dalla sua parte il suo essere minuta e piuttosto scattante e per settimane sopravvisse rendendosi invisibile e strisciando contro i muri, nel caos delle proteste per la mancanza di cibo. Un giorno un mercante la vide afferrare un tozzo di pane da sotto il banchetto e le urlò contro improperi che Tallulah non aveva mai sentito. Corse via più veloce che poté, aggirando carri, gruppetti di persone, svoltando vicoli fino ad allontanarsi dalle vie più familiari. All’improvviso apparve una figura che non riuscì ad evitarla: ci sbatté il naso e cadde rovinosamente su un corpo gracile quanto il suo. Grugnì, sentendo un liquido caldo colarle sul mento e sollevò la testa. Si vide riflessa negli occhi più azzurri che avesse mai visto che la guardavano spaventati e stupiti.
«Scusa» gracchiò e risentì e la sua voce per la prima volta.
«N-non preoccuparti» rispose il ragazzino e si sollevarono nello stesso momento.
Probabilmente notò il viso smunto e i capelli crespi e sporchi perché le offrì la mano e le disse il suo nome.
Armin.
 
La raggiunse più tardi, avendola vista dirigersi da sola verso le stalle. Continuava a ripetersi nella testa le parole che si era preparato, ma tutte le volte gli risuonavano inadeguate e maldestre. Non era mai stato difficile parlare con Tallulah, anzi, fin dal primo incontro si erano resi conto di capirsi al volo e spesso non avevano nemmeno bisogno della voce. Bastava un’espressione del viso o un movimento delle mani a rendere chiaro lo stato d’animo dell’altro e avevano imparato quando e come consolarsi, rallegrarsi, rassicurarsi. Per questo, quel sottile strato di incomprensione che aleggiava tra di loro era sconosciuto ed Armin, solitamente il più bravo di tutti a comunicare, temeva di gestirlo in maniera sbagliata. Quando arrivò la vide di spalle intenta a sistemare il fieno nelle mangiatoie e notò la lentezza dei suoi spostamenti.
«Ti fa ancora male?» le chiese con cautela, incerto di trovarla arrabbiata o meno. Tallulah si voltò verso di lui e lo fissò per un lungo istante. Poi scosse la testa, come a voler cacciar via un pensiero e rispose con tono tranquillo.
«A volte, dipende dai movimenti che faccio».
Armin si avvicinò per aiutarla a rastrellare il fieno e lavorarono in silenzio per qualche minuto, ognuno perso nei propri pensieri.
«Senti-»
«Volevo-».
Le loro voci si sovrapposero nello stesso istante e di nuovo ammutolirono; Tallulah ridacchiò e anche Armin cedette ad un sorriso imbarazzato. Alzò gli occhi su di lei e la trovò in attesa, gli stava dando la precedenza.
«Volevo chiederti scusa. Sono stato un egoista, non volevo vederti soffrire».
Lei tornò seria e sospirò: si era pentita di quel momento di sfogo che aveva avuto davanti a lui, di solito non perdeva le staffe a quel modo. Ricordava benissimo l’ondata di furia che l’aveva aggredita quando aveva sentito che era stata Annie ad uccidere i suoi compagni, tanto quanto ricordava come l’amico fosse trasalito nel sentire i cocci infrangersi sulla parete. Si sforzò di invertire i ruoli. Se fosse stato lui a due passi dalla morte e l’avesse visto disperarsi a quel modo cosa avrebbe fatto? Corrugò la fronte: solo l’immagine le creava un nodo alla gola. Forse avrebbe fatto ben di peggio che cercare di tenerlo fuori.
«Non importa. Ammetto di non essere stata semplice da gestire. Però non capisco, ci siamo visti soffrire per anni»
«Non così. Non a due passi dalla morte».
«Mi dispiace se ti addosso sempre il peso del mio dolore. Mi sei rimasto solo tu, ma forse non è giusto lo stesso».
Il biondo fissò i sottili aghi di paglia, assorto, con la vaga sensazione che qualcosa stesse cambiando tra di loro. Poi scosse il capo.
«No, non è sbagliato il supportarci a vicenda nei momenti peggiori. Però è difficile accettare di non poter proteggerti»
«Vale anche per me. Ma non possiamo farci da parte, lo sai»
«Sì, lo so» mormorò Armin, le spalle lievemente tese «Non vinceremo questa guerra se non saremo in grado di rinunciare a qualcosa»
 «Sai, per quanto sia stato duro, questo tempo da sola mi è servito. Mi ero quasi dimenticata perché mi sono arruolata...».
Si morse un labbro, in difficoltà; non era mai facile parlare di Sadie ad alta voce.
«Sarò coraggiosa come lei e le donerò la mia vita, anche a costo di perdere dei pezzi di me. La porterò ovunque al di fuori di queste mura perché si merita la libertà».
Armin non disse nulla perché gli sembrava che stesse parlando a sé stessa e non voleva rovinare quel momento. Fu come se un nuovo equilibrio si stesse assestando tra di loro, ma non sapeva se fosse positivo o meno. Chissà cosa avrebbe comportato per loro, la consapevolezza che non potevano far nulla se non rispettare le proprie scelte. E piangere, se qualcosa fosse andato storto.
«È per questo che hai tagliato i capelli?».
Tallulah arrossì sotto il suo sguardo cristallino e sorrise davanti all’ennesima prova di quanto la conoscesse a fondo. Potevano anche crescere, ma certe cose non sarebbero cambiate.
«Se può farti stare meglio.. In questi anni tu mi hai davvero salvata, Armin» gli disse con una tenerezza nello sguardo che gli fece battere il cuore. Solo Tallulah era in grado di farlo cadere così preda delle emozioni: solitamente riusciva a pensare con lucidità e a distaccarsi sempre dalle situazioni in modo da giudicarle dall’esterno. Con lei invece tutto il suo mondo definito e chiaro assumeva contorni confusi e sfocati, tutto diveniva colorato e troppo intenso. Prima che potesse dire qualsiasi cosa, vide però un’ombra attraversarle il viso.
 «Cosa c’è?».
Tallulah scandì lentamente le parole successive «Quando Maria è morta le ho lasciato il tuo bacio».
Il biondo la guardò senza capire, ma lei continuò senza troppe spiegazioni.  
«Sono sicura che le sia arrivato. Che l’abbia scaldata» continuò e sentì gli occhi bruciare. «Armin, io non riuscirò mai a scaldarti come ci riesci tu».
«Tallulah» aveva abbassato il capo e la frangia bionda le nascose l’azzurro dei suoi occhi «Lo fai ogni giorno e neanche te ne accorgi».
Lei lo guardò ed ebbe la tentazione di avvicinarsi e stringerlo, togliergli quella tristezza con cui aveva parlato, ma non lo fece. Si limitò ad arrossire e forse avrebbe detto qualcosa se un rumore improvviso dietro di loro non li avesse fatti trasalire.
«Ohi! Che sono quelle facce? Non vi starete mica imboscando qui dentro?».
Dannato Connie e il suo tatto da elefante.
 
Tra due giorni i ragazzi sarebbero partiti per la spedizione di recupero del Gigante Femminile. Per catturare Annie. Tallulah guardava fuori dalla finestra il vento che ululava nella notte, i gomiti poggiati sul davanzale e le gambe rannicchiate vicino al corpo. Le sue compagne dormivano già da un paio d’ore, il lieve russare di Sasha l’unico rumore che le teneva compagnia: le era mancato persino quello. Lanciò loro uno sguardo, sperando che dormissero bene, ed immediatamente il letto vuoto di Lydia pesò sul suo cuore. Non l’aveva nemmeno vista morire; chissà lei cosa aveva visto prima di chiudere gli occhi per sempre. Sospirò appena e tornò a guardare fuori, poggiando il mento sulle braccia e sentendo la mancanza delle chiacchiere con Maria. Un lampo illuminò il cielo all’improvviso e si riflesse sul suo viso: non le dispiaceva l’inverno con le sue tempeste, la neve e il freddo che irrigidiva i muscoli. Preferiva mille volte sentire la pelle gelida, piuttosto che affogare nell’afa che toglie il respiro. Sperava però che i suoi compagni trovassero un tempo più mite e favorevole, ciò che avrebbero dovuto affrontare era già abbastanza ostile. Era preoccupata, principalmente per Eren ed Armin. Il giorno prima le avevano raccontato tutto per filo e per segno e aveva letto negli occhi di Eren un’ansia di cui nemmeno lui si era reso conto. Come se sotto sotto si aggrappasse alla speranza che si trattasse tutto di un loro abbaglio, un errore che sarebbe finito con quattro risate e una bella mangiata. Non aveva dimenticato come le avesse salvato la vita nella sua prima spedizione ufficiale, né la sensazione che aveva provato quando insieme agli altri lo aveva visto uscire dal corpo del suo gigante. Era una situazione molto delicata, il corpo di ricerca stava rischiando il tutto per tutto: perdere la custodia di Eren significava tornare al punto di partenza, per non parlare di cosa i piani alti avrebbero deciso di fare con lui. Rabbrividì e non volle nemmeno pensarci. Avrebbe voluto partecipare anche lei ed aiutarlo più che poteva. Poi, il solo pensiero che Armin sarebbe stato il più esposto di tutti le faceva ribollire il sangue: quella stronza doveva solo osare sfiorarlo, l’avrebbe cercata ovunque e fatta a pezzi. In quel momento Tallulah si rese conto che l’avrebbe fatto davvero, senza una punta di rimorso: aveva scoperto una ferocia dentro che non sapeva di avere, una rabbia reale e forte che le faceva bruciare le mani. Era come se l’avesse covata per anni, ma sempre tenendola chiusa da qualche parte nel profondo, e adesso divampava come carbone ardente. In quel momento un pensiero imperativo si fece strada in lei.
Devo andare con loro.
Era un soldato dell’Armata Ricognitiva ed era stata ferma fin troppo: l’indomani avrebbe parlato con il Comandante Erwin e se non l’avesse fatta partecipare, avrebbe trovato un altro modo, a dispetto di ogni regola. Per il momento, scacciò via quei pensieri che non le avrebbero di certo conciliato il sonno e si sollevò, prendendo la coperta e infilandocisi sotto.
«Buonanotte» sussurrò e chiuse gli occhi, sperando che coloro che amava riuscissero a sentirla da lassù.
 
Camminava spedita per i corridoi, qualche ora dopo, incurante degli sguardi interrogativi che incrociava di tanto in tanto, sempre più austeri man mano che saliva verso i quartieri d’élite. Non ci era mai stata e sapere che lì da qualche parte ci fosse la stanza in cui dormiva il Capitano Levi non aiutò a calmare la sua agitazione. Si fermò di fronte alla porta dell’ufficio del Comandante e prese un bel respiro prima di bussare con decisione. Quando sentì un fermo avanti entrò e la accolsero un bel pavimento in mogano e quattro paia di occhi. Erwin Smith era seduto alla sua scrivania e di fronte a lui vi erano Levi, Hanje e Mike, ora voltati verso di lei.
Conscia della sua posizione sollevò il mento e si raddrizzò nel saluto militare.
«Buongiorno Comandante, Capisquadra» riuscì a dire senza che le tremasse la voce e tenne gli occhi fissi su Erwin «Spero di non avervi disturbato».
«Nulla che non possa essere rimandato di qualche minuto» rispose in tono conciliante l’uomo e rilassò le spalle contro lo schienale della sedia «Sono lieto di vederti in piedi, Lee».
Un lieve rossore si diffuse sulle guance di Tallulah nel rendersi conto che non solo il suo Comandante conosceva il suo cognome, ma anche le sue condizioni di salute.
Qualcosa dell’emozione che lampeggiò negli occhi dorati della ragazza infastidì vagamente Levi: forse il fatto di essere stato interrotto o forse il fatto che non fosse rivolta a lui. In ogni caso non si preoccupò di capirlo e compresse quella sensazione così forte da farla appiattire nei meandri del suo animo. Una distrazione così grande era l’ultima cosa di cui aveva bisogno, soprattutto dopo l’ultima fallimentare spedizione.
«Grazie signore. A questo proposito, volevo chiederle di lasciare che affianchi i miei compagni nella missione di domani. Sono più che pronta a tornare a combattere». Non riuscì a tenere il suo tono uniforme e la trepidazione che impregnò le sue ultime parole aleggiò per qualche secondo nella stanza. Hanje Zoe la guardava con curiosità crescente: era una strana ragazzina, un po' impacciata, un viso allegro che cozzava troppo con lo sguardo malinconico. Ancora non riusciva a capire che cosa esattamente avesse smosso Levi a quel modo.
«È un bene che ti senta in grado di tornare sul campo» esclamò Erwin «Ma sei stata assente a tutte le riunioni e non possiamo perdere tempo nell’aggiornarti su ogni particolare strategia. Potresti essere un peso per i tuoi compagni».
Le parole di Erwin erano dolorosamente reali, ma non la punsero; aveva già fatto quelle constatazioni da sola e mai prima di allora si era sentita così sicura di sé stessa.
«Me ne rendo conto, ma Armin ha già provveduto ad informarmi su tutti i piani possibili e riesco a visualizzare bene il mio ruolo all’interno di ognuno di essi»
«Arlert è un ragazzo in gamba» soppesò Hanje, ricordando il biondino e la sua intelligenza. Erwin annuì e cercò lo sguardo dei suoi sottoposti, ma fu sorpreso di notare che Levi non lo ricambiava: i suoi occhi erano fissi sulla figurina in piedi.
«Che ne pensi, Levi?».
Il soldato si voltò verso Erwin e l’uomo notò l’istantaneo ritorno alla sua maschera di indifferenza composta.
«Se ha tanta fretta di morire...» si espresse quasi annoiato e Tallulah lo fissò senza capire se cercasse di intercedere per lei o se non gli importasse minimamente. Una sorta di delusione affiorò nel suo petto a quel secondo pensiero e probabilmente Hanje se ne accorse perché si avvicinò a lei e le posò una mano sulla spalla.
«Su, su, Levi, non essere così cinico. Erwin, la tengo io sotto controllo, sono sicura che andremo d’amore e d’accordo» disse facendole un occhiolino.
«Bene allora, è deciso. Questa sera fate un ultimo incontro di aggiornamento affinché tutto sia pronto»
«Grazie mille, signore. Grazie» proruppe Tallulah, voltandosi verso Hanje con un sorriso così radioso che la donna sentì il cuore scaldarsi.
Forse adesso aveva capito.
 
Jean era sceso con una camicia bianca e una parrucca scura e un po' trasandata che simulava in modo ottimale i capelli di Eren. Tallulah rise insieme a Connie, l’avrebbero preso in giro per sempre.
«Giuro che ti ammazzo. Vorrei ancora capire di chi è stata questa idea ridicola»
«Della caposquadra Hanje».
Armin annuì alle parole di Mikasa «Avete una struttura fisica simile e lo stesso sguardo furioso. È comprensibile».
Tallulah gli si avvicinò «Se smetti di agitarti ti sistemo qui dietro» disse ancora ridendo e Jean sbuffò, maledicendo Eren. Lui nemmeno ce la vedeva, tutta questa somiglianza. Sentì la ragazza tentare di appiattire quanto più possibile le ciocche bionde che continuavano a sfuggire da dietro la nuca.
«Potrebbero vedersi. È meglio alzare il colletto della camicia» disse lei e fece scorrere le dita sul tessuto bianco.
«Qualcuno dovrebbe fargli un ritratto» esclamò Sasha, mandando giù un boccone che probabilmente avrebbe soffocato qualcun altro.
«Non starebbe mai fermo». Connie si poggiò due dita sul mento «Anche se legandolo...»
«Guardate che io sono qui» grugnì Jean, sputacchiando qualche capello che si era staccato dalla parrucca.
«Che permaloso» disse Tallulah divertita e diede un colpetto sulla schiena di Jean per fargli segno che aveva finito.
«Buongiorno ragazzi».
Christa e Ymir erano appena entrate in mensa e si unirono al loro chiacchiericcio, finché non arrivarono i capisquadra, Eren ed il Comandante a fare velocemente il punto della situazione. I suoi occhi si posarono sul Capitano Levi vestito da civile e si chiese se la ferita alla sua gamba fosse tanto grave da non lasciarlo partecipare attivamente alla missione. Così elegante non l’aveva mai visto e improvvisamente si sentì in soggezione, come se fosse destinata ad ammirarlo da lontano per sempre. Si riscosse solo quando iniziarono a muoversi per ultimare i preparativi e presto si misero in marcia verso i territori interni del Wall Sina. Cavalcava accanto ad Hanje Zoe, come le aveva detto la sera prima, quando le aveva mostrato tutte le attrezzature sperimentali con cui avrebbero messo in atto il piano C, se ce ne fosse stato bisogno.
 
«Non dovrei dirlo, ma spero vivamente che i piani A e B falliscano o tutto questo ben di dio sarebbe stato preparato invano!» miagolò accarezzando la rete chiodata appena stata arrotolata su sé stessa, pronta per essere caricata su un carro il mattino seguente.
«Capitano, se sa che non dovrebbe dirlo allora perché lo dice?» rispose Moblit, passandosi una mano sugli occhi e lanciando uno sguardo allarmato verso di lei. Tallulah strinse le labbra.
«Non mi dispiacerebbe vedere quel gigante contorcersi senza via d’uscita».
«Non è una tua compagna?» le chiese Hanje, voltandosi a guardarla e notando i tratti del viso rigidi.
«Ci ha traditi. Probabilmente non lo è mai stata davvero» rispose semplicemente. Non sapeva quanto la mettesse in buona luce, ma optò comunque per la sincerità. «E comunque la nostra priorità è conoscere il segreto dei giganti».
«Parole sante!» esclamò, improvvisamente infervorata «Non vedo l’ora di mettere le mani su di lei, è così preziosa! Per non parlare di tutti gli esperimenti che potrei condurre, mi sembra molto diversa da Eren e...».
Tallulah osservò il suo viso arrossarsi man mano che le sue spiegazioni prendevano vita e la trovò simpatica. Il modo in cui si approcciava ai giganti e ai problemi era del tutto privo di quell’angoscia pervasiva che Tallulah respirava ovunque. Hanje era una vera e propria ventata d’aria fresca.
«Favoloso» mormorò lei e sentiva quasi di guardarla con occhi adoranti.
«Che cosa, cara?»
«La sua passione è bella».
La donna sollevò le sopracciglia e le brillarono le iridi dietro le lenti degli occhiali. «Magari tutti la pensassero come te! Avremmo molte meno grane con gli sponsor e gli investimenti»
«Immagino sia dura dover avere a che fare con quella gente. Al processo di Eren sono rimasta sconvolta»
«Erwin ha il suo bel da fare» annuì, convinta «Ma è un ottimo oratore, quasi sempre riesce a spuntarla».
«È sotto il suo comando da molto?»
«Non puoi farmi questa domanda! È come chiedere la mia età»
Tallulah arrossì «Mi scusi, non intendevo questo... Anche perché mi sembra piuttosto giovane e carina»
«Io? Carina?» rispose Hanje, sgranando gli occhi «Accidenti, stai seducendo anche me!»
«N-non volevo essere inopportuna! Mi scusi» si precipitò a dire ancora, salvo poi bloccarsi quando recepì meglio ciò che aveva detto. «Che vuol dire “anche lei”?».
Hanje scoppiò a ridere e le diede due pacche sulla spalla «Oh, sei più che inopportuna, ma ammetto che mi diverto un mondo».
Tallulah non capì affatto il senso delle sue parole, ma stavolta non disse altro per non peggiorare la situazione. La caposquadra l’aveva presa sul ridere, ma doveva imparare a mordersi la lingua prima di esprimere tutto ciò che le passava per la testa. Hanje si stiracchiò con sospiro piacevole e si voltò verso di loro.
«Bene, è tutto. Cerchiamo di riposare al meglio, domattina vi voglio più vigili di un orso affamato».

Guardandola andar via, Hanje sgomitò il suo sottoposto. Carina, impulsiva e fin troppo emotiva. L’esatto opposto di Levi. 
«Ne vedremo delle belle» sussurrò con un ghigno e Moblit alzò gli occhi al cielo: non ci aveva capito proprio niente.
 
Erano in attesa da almeno mezz’ora. Dal punto in cui lei, Hanje e Moblit erano nascosti si riusciva solo a sentire rumori lontani di esplosioni e grida confuse. Tallulah aveva i muscoli contratti per la tensione e continuava a tamburellare le dita sull’elsa delle lame, tenendo lo sguardo fisso sui soldati posti sul tetto opposto al loro. Stava passando troppo tempo, qualcosa doveva essere andato storto.
Avanti... Dove siete?
La caposquadra era in ginocchio accanto alla trappola e le tremava leggermente la mano: a Tallulah sembrava che fosse più per eccitazione che per paura. In quel momento la terra cominciò a tremare al ritmo di passi pesanti, sempre più vicini.
«Oh, arriva… Arriva» mormorò Hanje, al limite della sopportazione e Moblit la guardò, il sudore freddo che gli imperlava la fronte.
«Caposquadra, perché ha quell’espressione negli occhi?».
Non ci fu il tempo per una risposta, la testa enorme del Gigante Femminile entrò nel loro campo visivo e quando si voltò verso di loro, Tallulah si specchiò nei suoi occhi enormi: in quell’istante le trappole scattarono e i rampini uncinati si conficcarono nella sua carne da tutte le direzioni. Cadde all’indietro e subito dopo la rete chiodata venne fatta calare su di lei e si ritrovò bloccata a terra. Tutti esultarono, più o meno visibilmente. Tallulah vide Armin e Jean librarsi in aria poco più avanti e si sentì sollevata; resistendo alla tentazione di raggiungerli, seguì invece Hanje, ricordando la sua promessa di rimanere con la sua squadra. La donna avanzò verso il gigante con una serietà dura, che cozzava totalmente con l’esuberanza del giorno prima: sembrava quasi un’altra persona e la ragazza sentiva crescere l’ammirazione verso di lei. Voleva assistere a tutto ciò che Hanje avrebbe fatto e godere della sofferenza che Annie avrebbe provato.
«Qui non potrai chiamare i tuoi amici per farti divorare come l’altra volta» mormorò Hanje puntando una lama verso l’enorme occhio azzurro «Ma puoi stare tranquilla, ci penserò io a divorarti al posto loro: farò una scorpacciata di tutte le informazioni che possiedi».
Tallulah vide cambiare lo sguardo del Gigante Femminile: in un istante capì cosa stesse per succedere, ricordava perfettamente quell’esatta espressione prima che uccidesse Maria. Prese Hanje per un braccio e si arpionò al primo muro disponibile tirandola via con sé, proprio mentre il gigante alzò una gamba e travolse tutte le attrezzature e gli uomini lì in piedi. Atterrarono malamente su un tetto, seguite subito da Mikasa.
«La nostra trappola non è bastata a fermarla!» esclamò Hanje, non appena rimessasi in piedi, lanciando uno sguardo grato a Tallulah. Questa strinse i denti, osservando Annie darsi alla fuga e non resistette più: si lanciò giù senza aspettare nessun ordine e la inseguì, fissandola con odio. Una sferzata di vento alla sua sinistra catturò la sua attenzione e si scambiò un’occhiata con Armin, condividendone le intenzioni. Schivò una sfilza di macerie che il gigante lanciò loro addosso e aumentò la velocità, senza curarsi della scia di gas che si lasciava dietro. Era proprio dietro Mikasa: la vide arpionarsi a quel corpo enorme e si spostò sul lato opposto per stringere Annie tra due fuochi; non fecero in tempo, Mikasa venne colpita e cadde strisciando sul cemento per qualche metro. Tallulah non si guardò indietro e non frenò: sfoderò le lame e direzionò il movimento verso il fianco destro. Doveva sfruttare il fatto che non l’avesse ancora vista e, soffocando un urlo per lo sforzo, si arcuò all’indietro per acquistare lo slancio necessario. Abbassò le braccia con tutta la sua forza e sentì le lame penetrare nella carne e lacerarla per qualche centimetro. Fu come provare del piacere fisico: l’elettricità di essere riuscita a ferirla la attraversò con una scossa, ma suo malgrado dovette allontanarsi immediatamente perché l’ombra della sua mano stava già calando su di lei. Si aggrappò ad un camino, respirando pesantemente e asciugandosi con la manica il sudore dalla fronte: non aveva mai combattuto a quel modo, si sentiva stanchissima e pesante ed allo stesso tempo aveva l’adrenalina a mille. Di quel passo, tuttavia, non sarebbero riusciti ad abbatterla, ferirla comportava troppo sforzo e raramente si riusciva ad approfittare delle sue distrazioni. In quell’esatto momento un’esplosione di luce, qualche isolato dietro di loro, bloccò tutti quanti e Tallulah comprese.
Eren.
La terra tornò a tremare e stavolta era un buon segno.
 
Una bambina vagava a passo malfermo nella polvere, i capelli biondi strappati e il viso macchiato di sangue fresco. Piangeva a singhiozzi disperati e sembrava non vedesse più nulla nonostante gli occhi aperti, come se un velo le fosse calato per proteggerla dall’orrore in ogni angolo. Ogni tanto inciampava su una pietra o un corpo, non lo sapeva, ma si rialzava ignorando le ginocchia sbucciate ed il dolore bruciante. Un fruscio veloce e quasi delicato precedette le braccia ferme che la presero al volo, appena prima che due giganti cadessero per terra, l’uno sopra l’altro, combattendo ferocemente, ognuno perso nella propria rabbia. Tallulah strinse quel corpicino tremante tra le braccia e atterrò con i piedi sulle tegole rosse, mollando il dispositivo tridimensionale e portando l’altra mano sulla nuca della bambina in una carezza muta. Poi si voltò afflitta verso Armin, che aveva appena ripreso a respirare: non aveva neanche provato a trattenerla dal volare giù, ma aveva rischiato grosso e gli era venuto un colpo. Tallulah tornò a guardare la scena sotto di lei senza riuscire a capire chi stesse avendo la meglio. A volte Annie sembrava presa da una forza sconosciuta e sferrava pugni sul cranio del gigante di Eren; quest’ultimo, anche senza un braccio, continuava a morderla, atterrarla, soffocarla. Sembrò quasi una scena surreale quando Annie tentò di aggrapparsi alle mura per scavalcarle e Tallulah temette sul serio che ci sarebbe riuscita. Fu Mikasa a impedirglielo, sfrecciando verso di lei. Le recise le dita delle mani, facendola precipitare, ed Eren ringhiò come una bestia assetata e raggiunse il corpo stremato del Gigante Femmina.
«No! Così divorerà anche l’ospite» gridò la voce di Hanje, seguita da Jean ed Armin, ma sembrò che nulla lo raggiungesse. Incombeva sul corpo stremato del Gigante Femmina e pareva avere tutte le intenzioni di morderlo. Tallulah pensò che ormai fosse troppo perso dentro sé stesso e una parte di lei desiderò che la facesse a pezzi. Invece, un pensiero la contrariò.
No. Troppo semplice andarsene così.
Poi un fulmine scese dal cielo e Tallulah indovinò chi fosse prima ancora di poterlo vedere in viso.
 
Cercò di sciogliere la presa di quelle fragili braccia ancorate al suo collo, ma la bambina non sembrava averne l’intenzione. Non piangeva più, ma le membra le tremavano ancora.
«Non ti va di guardarmi? Io vorrei vedere il tuo viso» le sussurrò nei capelli. Tutti erano radunati intorno ad Eren e ad Annie, ma Tallulah si era tenuta indietro, non volendo assolutamente che la piccola vedesse quello spettacolo macabro: lo scheletro del gigante di Eren spiccava curvo nel fumo e poteva sentire Hanje gridare disposizioni su come trasportare Annie nei sotterranei. L’odio le era sparito, si sentiva solo stanca e dispiaciuta. Quanti morti c’erano stati quel giorno? Per quanto quella bambina avrebbe pianto ciò che aveva perso? Domanda inutile, era ovvio: si sarebbe portata dentro quel giorno per sempre. Le sembrava quasi di rivedere sé stessa, anni fa. Tentò ancora di allontanarla appena e stavolta non trovò resistenza; la bambina la guardava con gli occhi gonfi e lucidi, spaesati.
«Come ti chiami?» le chiese con dolcezza.
«Liz» rispose lei, sentendo la voce rauca raschiarle la gola, e tossì forte. Tallulah le accarezzò una guancia.
«Sei stata davvero coraggiosa, Liz. Io sono Tallulah» le sorrise, cercando di sembrare confortante, nonostante tutto. Guardò oltre la testolina bionda chiedendosi con tristezza cosa avrebbe dovuto fare ed incrociò gli occhi di Levi che stavano scandagliando il perimetro. Entrambi si bloccarono lì, l’uno sull’altro, e rimasero a fissarsi per un tempo inquantificabile. Non sapeva spiegarsi perché, ma le fu di conforto. Levi aveva sempre uno sguardo fermo e vigile, come se avesse sempre tutto sotto controllo, e forse era questo ad attrarla più di qualsiasi cosa. Le trasmetteva una sicurezza che nemmeno Armin le era mai riuscita a dare. In quel momento voleva raggiungerlo e posarsi sulla sua spalla, solo per qualche attimo, solo per riposarsi. Fissandola, l’uomo ricordò la prima volta che l’aveva incontrata, più di un anno prima, il viso stravolto dall’alcol e da una disperazione troppo adulta. In quel momento invece, gli sembrava un giunco di fiume. Credeva si sarebbe spezzata subito, che l’avrebbe vista soccombere, ma si era dovuto ricredere: sentì dentro una specie di orgoglio per come quella mocciosa stesse facendo fronte al dolore. Fu lei a distogliersi per prima e l’uomo la vide parlare alla bambina con un amore nella sua espressione che non aveva mai visto in nessuno. Per la prima volta, fu il cuore di Levi a mancare un battito e ci vollero parecchi istanti prima che riuscisse a comprendere quella sensazione.
 
«Dove vai?».
Una voce glaciale proveniente da un’ombra la gelò. Aveva fatto pochi passi e stava per aprire il portone che l’avrebbe condotta fuori, nel buio notturno: voleva andare da Earl, sentire il sapore del vino in bocca, staccarsi da sé stessa per qualche ora. Non pensare al pianto di Liz, quando l’aveva lasciata alla donna che gestiva l’orfanotrofio della città. La polizia militare glielo aveva indicato quando, dopo le dovute ricerche, era stato accertato che i genitori della piccola fossero morti durante la celebrazione religiosa del culto delle mura. Annie ed Eren avevano travolto l’edificio durante la lotta. Le era stato detto che sarebbe stata la gendarmeria ad occuparsene, ma Liz non si era voluta staccare da lei ed anche Tallulah non ne volle sapere. Voleva vedere con i suoi occhi quel posto e alla fine le aveva promesso che sarebbe tornata a trovarla, senza la certezza che ci sarebbe riuscita davvero. Abbassò la testa, lasciando che il cappuccio le coprisse gli occhi, ma Levi fu più svelto e le spostò quel tessuto nero. Tallulah trattenne il respiro ed alzò lo sguardo con cautela: sapeva che era un rischio, lui era sempre sveglio, dormiva anche meno di lei. Probabilmente l’aveva sentita scendere le scale. L’espressione impassibile con cui la stava guardando la innervosì: era brava a leggere le emozioni degli altri, ma con lui era sempre un’impresa.
«Vado a fare una passeggiata» mormorò piano.
Levi strinse la presa sul cappuccio e lo tirò verso di lui, costringendola a fare dei passi indietro.
«Riconosco sempre quando qualcuno mente» disse lui. «Te soprattutto»
Tallulah apparve confusa «Perché me?»
«Perché sei una mocciosa sprovveduta e ti si legge in faccia».
La ragazza sembrò contrariata ed arrossì, sentendosi davvero una bambina, come ogni volta che era con lui.
«Vorrei che la smettessi di chiamarmi così» le sfuggì, come suo solito, senza riflettere. Le pupille azzurre si assottigliarono in uno sguardo tagliente come uno spillo e allontanò la mano da lei, prima di dar retta all’impulso di strattonarla e ricordarle chi avesse davanti. Oppure di spingerla contro la parete, chiuderle le labbra e bloccarle i polsi, avvolgerla tra le sue spire di serpente velenoso e osservarla dibattersi invano. Non quel contatto sfuggente che gli aveva rubato qualche notte prima, le avrebbe abusato la bocca e tolto la facoltà di comunicare, pensare e sfidarlo con quel viso sfacciato.
«Lee, domattina alle 5.00 ti voglio sul campo di allenamento. Ti sei guadagnata una punizione coi fiocchi».
   
 
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