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Autore: Tristan_and_Isolde    12/06/2020    1 recensioni
"La vita pubblica e la vita privata sono due cose diverse: sono rette da leggi diverse, e si muovono su diversi piani." (Oscar Wilde)
Ottaviano ha appena vinto su Antonio, ma un altro problema agita il suo cuore: il rapporto di Mecenate e Orazio gli appare intollerabile, così cerca una valvola di sfogo per chiarire il suo tormento.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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La vita pubblica e la vita privata sono due cose diverse: sono rette da leggi diverse, e si muovono su diversi piani. (Oscar Wilde)

Roma, Domus Augustea, 30 a.C

Ottaviano passeggiava lentamente, ma con fare distratto negli horti della propria residenza privata, guardandosi attorno senza mai posare davvero lo sguardo su qualcosa. I suoi capelli melliflui risplendevano sotto il sole di un bel giorno d’estate. L’aria profumava dei mille fiori del giardino, ma non sembrava colpire in alcun modo l’erede di Cesare, che camminava senza meta per le viuzze del giardino. Stava pensando e non riusciva a concentrarsi su nulla se non su quel solo pensiero che gli impediva di dormire da giorni. Aveva sempre creduto che una volta sconfitto Antonio e le potenze d’Egitto il suo animo si sarebbe placato e l’ascesa sarebbe stata serena, invece non lo era per niente. Una settimana prima si era recato con molta allegria presso il circolo dove si riunivano i poeti. Credeva che li avrebbe trovati intenti ai loro lavori e che il suo amico sarebbe stato lieto di scambiare qualche parola con lui, ma quando aveva attraversato la prima sala ed era giunto sulla soglia della seconda si era ritrovato uno spettacolo ben diverso: Mecenate giaceva su un triclinium di pietra e osservava il giovane Orazio scrivere qualcosa sulla pergamena. Mecenate non era un uomo che si sbilanciava tanto: di solito stava nel suo studio per non pressare gli artisti e lì leggeva i loro prodotti. Era un uomo che rispettava l’autonomia altrui ed era spesso distaccato, dunque quella vista inconsueta aveva turbato profondamente Ottaviano, non solo per il comportamento dell’amico, ma soprattuto per la presenza di Orazio: tra tutti i poeti del circolo Mecenate aveva scelto proprio lui. La cosa scuoteva fortemente l’erede di Cesare. Cosa aveva Orazio che gli altri poeti non possedevano?! Era forse l’essere nato umile? Oppure la sua efficace scalata? O, ancora, il suo modo di scrivere?

I suoi pensieri si fermarono d’improvviso dinnanzi alla visione di una donna: era in fondo alla via che l’uomo stava percorrendo, vestita di un leggerissimo supparum roseo che le lasciava scoperte le spalle, i capelli bruni erano legati in una specie di coda alta, secondo il costume greco, e la sua pelle bianca come il marmo delle statue del giardino risplendeva sotto il sole. Rincuorato da quella vista quasi divina, Ottaviano accelerò il passo e, una volta dinnanzi a lei, le prese le mani nelle proprie. «Sia lodato Giove! Sei venuta!» Disse guardandola nei suoi occhi verde ambrato. «Sono giunta appena ho ricevuto la tua missiva. Mio marito non si è fatto molti problemi a lasciarmi andare!» Disse con una lieve risatina. Sebbene la sua famiglia fosse da molte generazioni parte dell’élite romana, Velia aveva mantenuto la tradizionale indipendenza femminile della società etrusca. Era una donna forte, di sani principi, legata alle antiche tradizioni famigliari e quelle che da secoli erano state introdotte, in più era bellissima. Se l’erede di Cesare non fosse stato più che consapevole del fatto che entrambi avessero giurato fedeltà ai propri coniugi, avrebbe ceduto facilmente ad un bacio. Il marito di Velia, Giulio Marco Mincio, era un nobile patrizio originario della Gallia Cisalpina e, sebbene fosse parte della classe nobile romana da molti anni, in pochi avevano idea di chi fosse. Ottaviano lo aveva incontrato poche volte, ma li erano bastate per denotarne la fedeltà.

I due passeggiarono per un po’ in silenzio inspirando l’aria densa del profumo dei fiori dell’hortus per poi fermarsi presso una statua del dio Mercurio. Ottaviano tremava dentro di sé e cercò conforto negli occhi di lei, prima di parlare. «Tu conosci tuo fratello da molto più di me...» Disse con calma. La domanda dentro di sé bruciava e lo scuoteva. Doveva uscire, ma era un dolore troppo grande da sopportare. La donna non si mosse continuando a guardare gli occhi dell’uomo. 

«Cosa sai dirmi circa il suo rapporto con il poeta Orazio?» Chiese guardandola. 

Velia conosceva bene il fratello, ma lo frequentava molto poco da quando si era maritata. Sapeva, nonostante ciò, che tra lui e il poeta di Venosa vi era un legame molto stretto, tanto che tre anni prima egli gli aveva donato un piccolo possedimento in Sabina, cosa che non aveva fatto con nessuno degli altri poeti.

Sospirò e si sedette su un triclinium poco distante dalla statua del dio e guardò negli occhi il successore di Cesare. Il discorso non sarebbe stato semplice, così l’uomo le si sedette accanto. Velia gli prese le mani e le strinse tra le proprie poi sospirò: «La gente parla, soprattutto quando è ebbra...». Ottaviano aggrottò la fronte: non amava troppo i pettegolezzi, ma ne conosceva l’incredibile peso e sapeva quanto fossero importanti in politica. La donna finse di non averlo visto e continuò: «Orazio è molto amato dal popolo per via del suo modo di scrivere chiaro e semplice». Stava tentado di introdurre l’argomento, di spiegare la fama di quel figlio di liberto di Venosa. Il passo successivo era il più difficile da formulare e da dire. 

Entrambi sapevano bene che la politica del tempo mirava ad un restauro degli antichi costumi, ma anche che la sfera privata non vi coincideva affatto: era un mondo a sé stante, diverso e distaccato dove lecito e illecito spesso venivano confusi o anche fusi.

«Conosci bene Mecenate. Credi che una tale fama possa averlo scosso?» Chiese l’uomo con impeto. Scosso. Aveva detto scosso e dunque era ancora troppo vago. Velia sospirò incerta su quella domanda, ma certa del suo amico. Aveva detto scosso

«Potrebbe...» Disse alzandosi irata dal triclinio. «Velia!» Esclamò Ottaviano irato con lei. La donna era furibonda. Sperava che quella fosse finalmente la volta in cui quell’uomo si sarebbe dichiarato invece si era tradito con quello scosso

«Ottaviano! Sei ancora nel limbo!» Esclamò guardandolo negli occhi. L’uomo lesse la sua rabbia, il suo dolore, il suo cuore affranto. Sapeva che Velia era una donna per bene, una donna che non avrebbe mai parlato di ciò che provava fuori dal loro piccolo cerchio, ma non si fidava. La sua occhiataccia irata gli fece capire che era giunto il momento di lasciarsi andare, di farlo, di dirlo. 

«Velia, lo so, ma non posso...» Disse interrompendosi. Lei sospirò esalando la propria rabbia. Comprendeva la sua paura, sapeva che certi segreti facevano male, ma a volte bisognava soffrire prima di stare bene. 

Si sedette accanto a lui di nuovo e gli prese il viso tra le mani. «Se vuoi che tutto vada avanti, devi essere tranquillo, e per essere tranquillo, devi confessare tutto a Mecenate...» Disse con benevolenza nello sguardo. 

Ottaviano non voleva arrivare a quel passo, non voleva farlo, ma sapeva che doveva, doveva ammetter di provare qualcosa per lui e doveva dirglielo prima di rimpiangere uno spiacevole evento. Aveva già lasciato che quel feeling tra i due intellettuali crescesse per otto anni. Ora che la guerra era finita doveva passare all’azione.

L'AUTORE AL LETTORE
I personaggi di Velia e Giulio Marco Mincio sono frutto della mia fantasia, inseriti per dare sostanza al racconto, mentre quelli di Ottaviano, Mecenate e Orazio sono estiti davvero. Il rapporto tra Mecenate e Orazio è stato storicamente molto forte e stretto, ma le fonti non si spingono oltre ciò, mentre circa l'erede di Cesare e il nobile etrusco non vi sono fonti che testimonino questa particolare relazione sopra citata, che è frutto della mia fantasia.
Tristan_and_Isolde

 

   
 
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