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Autore: cut_wing    13/06/2020    0 recensioni
Perchè, fra tutte le possibili forme che avrebbe potuto dar loro, Celebrimbor ha deciso di creare proprio degli anelli?
E qual'è l'origine dei tre Anelli del Potere elfici?
"«Annatar! Non ti aspettavo, non oggi e di certo non qui. Cosa ti porta alla mia fucina?»
«Non è mia intenzione disturbarvi, lord Celebrimbor, ma desidero parlarvi dei manufatti di cui abbiamo lungamente discusso.
(...)I materiali sono pronti, come anche gli strumenti per la lavorazione. Ora sta a voi decidere che forma dar loro.»
«Se ti conosco almeno la metà di quanto credo, presumo tu abbia già un’idea a riguardo.»
«L’ideale sarebbero oggetti piccoli e facili da nascondere, poiché in molti cercheranno di impossessarsene, una volta che saranno completati. Inoltre, credo sarebbe saggio renderli simili per forma a oggetti comuni, con i quali potrebbero essere scambiati se per disgrazia dovessero giungere in mani ignare. Certo, questo lascia spazio a molte possibilità; ho ritenuto opportuno rivolgermi a voi per procedere.»
E Celebrimbor non aveva potuto fare a meno di pensare a quel cofanetto, che non apriva da anni, e a ciò che esso conteneva."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Celebrimbor
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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                                                                   ANELLI DI POTERE E RICORDO


 
Quando Celebrimbor lasciò la forgia era già sera.

Si avviò verso le sue stanze, sciogliendo con un movimento brusco la coda bassa che gli tratteneva i capelli durante le molte ore passate chino sull’incudine.

Non gli pesava mai, era sempre stato la sua valvola di sfogo: creare qualcosa per dimostrare di avere potere anche sul duro metallo che non giudicava, che era fedele sempre e comunque, che non tradiva –che non poteva andarsene a meno che non fosse lui stesso a gettarlo via, in caso un pezzo non fosse stato reputato di suo gusto.

Il momento della creazione, il suo momento, quel giorno era stato interrotto.

E ciò sarebbe stato già di per sé spiacevole se anche non gli avesse riportato alla mente immagini che preferiva dimenticare.

 
Quando giunse dinanzi alla porta della sua camera la spalancò quasi con urgenza, per poi richiuderla attentamente alle sue spalle mentre si dirigeva verso la scrivania all’angolo della stanza.

Scavò fra carte e progetti vari imprecando sottovoce, lasciando impronte di fuliggine sui fogli pieni di appunti che facevano capolino da sotto una pila di volumi. Non se ne curò.

Non poteva fare altro, in quel momento, che continuare a cercare l’unica cosa di cui credeva non avrebbe mai sentito la mancanza.

Dove l’aveva messo?

Spalancò i cassetti, rovesciandone il contenuto sul letto –unica superficie libera in tutto quel caos di oggetti che non poteva lasciare nella fucina e che evitava sempre di riordinare- con il cuore che batteva sempre più freneticamente contro la sua cassa toracica.

Non poteva essere sparito! Dove poteva averlo nascosto, dove?

-Dannazione! – ringhiò, dando un calcio al letto.

Poi, l’illuminazione.

Rimase così, ansante, con la gamba ancora appoggiata al mobile e le vesti sporche di cenere, sentendosi il più stupido fra gli stupidi.

Era sempre stato il suo nascondiglio preferito, quello, e si era più volte rivelato perfetto per la sua banalità; ancor di più quando ciò che volevi nascondere sarebbe sembrato semplicemente dimenticato in quel luogo, e nessuno ci avrebbe prestato la dovuta attenzione.

Si chinò fino ad inginocchiarsi a terra e fece scivolare un braccio sotto al giaciglio. Piano, con calma, quasi stesse per profanare un luogo sacro.

Trattenne il respiro: era lì, lo aveva sfiorato.

Facendo presa sul coperchio, piacevolmente freddo contro la sua pelle ancora accaldata, chiuse gli occhi ed estrasse il bauletto.
Era un contenitore semplice, di metallo non decorato se non per una minuscola incisione sul fondo –lo ricordava bene, anche senza girarlo- che rappresentava il marchio della casata di Fëanor.

Rimase seduto, tenendolo in grembo senza decidersi ad aprirlo.

Era estraniante realizzare che c’era solo quel sottile strato di metallo a separarlo da una serie di ricordi troppo dolorosi per essere rivangati con leggerezza, senza un buon motivo.

Sfortunatamente, Annatar gliene aveva dato uno.
 

«Annatar! Non ti aspettavo, non oggi e di certo non qui. Cosa ti porta alla mia fucina?»

«Non è mia intenzione disturbarvi, lord Celebrimbor, ma desidero parlarvi dei manufatti di cui abbiamo lungamente discusso.»

«Ti ascolto, sebbene preferirei trattare argomenti così delicati in luoghi più opportuni.»

«Fra tutti, ritengo questo il più adeguato; ma non vi tratterrò a lungo. I materiali sono pronti, come anche gli strumenti per la lavorazione. Ora sta a voi decidere che forma dar loro.»

«Se ti conosco almeno la metà di quanto credo, presumo tu abbia già un’idea a riguardo.»

«L’ideale sarebbero oggetti piccoli e facili da nascondere, poiché in molti cercheranno di impossessarsene, una volta che saranno completati. Inoltre, credo sarebbe saggio renderli simili per forma a oggetti comuni, con i quali potrebbero essere scambiati se per disgrazia dovessero giungere in mani ignare. Certo, questo lascia spazio a molte possibilità; ho ritenuto opportuno rivolgermi a voi per procedere.»
 

E Celebrimbor non aveva potuto fare a meno di pensare a quel cofanetto, che non apriva da anni, e a ciò che esso conteneva.

La sua mano tremò, e l’anello che portava all’anulare tintinnò sul contenitore.

 
Lo aveva fabbricato lui stesso: una finissima fascia dorata che gli avvolgeva il dito intrecciandosi a sé stessa, decorata con frammenti d’ossidiana dovunque vi fosse un incrocio o una sovrapposizione.

Non era il suo lavoro migliore.

Non che avesse mai paragonato fra loro le sue creazioni; ognuna era unica e speciale ai suoi occhi, e ciascuna rappresentava un sentimento che non voleva –o non poteva- mostrare liberamente come avrebbe voluto.

Quella, però, non sembrava nemmeno sua.

In realtà lo era. Era solo stata creata da un Celebrimbor appena giunto alla maturità, un Celebrimbor ancora troppo piccolo, solo e spezzato.

 
“Aprilo” sembrava dirgli. E lui lo fece.

Fece scattare il meccanismo di apertura senza riuscire a ignorare il fatto che, a differenza di quell’anello che aveva deciso di indossare per scelta, in ricordo di una sensazione che sarebbe sempre e comunque stata troppo vicina, ciò che il baule conteneva era giunto fino a lui indipendentemente dalla sua volontà.
 

Nemmeno quella dell’anello era stata esattamente una sua iniziativa, a dire il vero.

In Valinor erano molti, fra i Noldor e talvolta anche tra i Vanyar, a fabbricare (o, nel caso degli ultimi, a farsi fabbricare) un anello al raggiungimento della maggiore età.

Non ricordava come fosse fatto quello di suo nonno, che, come suo padre, lo aveva lasciato alla compagna quando era partito: un pegno doloroso, che molti avevano definito di scherno nei confronti di Nerdanel.

Tuttavia, aveva sentito dire che era formato da un’infinità di filamenti dorati e di schegge di rubino, i quali insieme davano l’impressione di una fiamma accesa. Qualcuno mormorava che avesse preso i capelli di Galadriel come modello per la colorazione dell’oro, ma erano tutte chiacchiere che si facevano via via più rade mano a mano che i torti provocati dalla casata di Fëanor venivano dimenticati –o quantomeno accantonati.

Ricordava invece quello di Celegorm, una fascia d’argento in cui era incastonato uno smeraldo grande quanto una delle nocche di Celebrimbor all’epoca della sua primissima infanzia, quando lo zio, in visita da suo padre, gli permetteva di giocarci.

Ricordava quello di Caranthir, in cui l’argento si alternava all’onice bianco e nero, e ricordava la confusione che il bianco, addosso a quel suo zio che era di nome e di fatto “scuro”, gli aveva sempre procurato.

Ricordava anche la scelta degli Ambarussa di non averne, troppo abbagliati dalla ricerca dei silmaril per apprezzare qualsiasi altro gioiello.
E poi… poi c’erano quelli che semplicemente non poteva dimenticare; perché erano lì.

Davanti a lui.

In quel cofanetto.

 
Uno dei tre, su cui si trovava un’enorme rubino, gli rotolò in grembo.

Era stato di Maedhros, una volta.

Lo rammentava perché il maggiore dei suoi zii era anche quello che trattava Celebrimbor come se lui potesse davvero adattarsi a quella situazione, e quando glielo diceva faceva sempre il gesto di accarezzargli la testa, per poi bloccarsi all’ultimo istante e fingere di stargli sistemando una ciocca di capelli.

Quell’anello era sfuggito alle pene di Angband grazie all’abitudine del primogenito di Fëanor di non indossarlo in battaglia, e per lo stesso motivo non era caduto con lui nelle fiamme.

Gli era stato recapitato all’interno di una busta chiusa senza scritte, insieme ad un altro che aveva riconosciuto solo per la vicinanza di quest’ultimo: un anello d’oro decorato da uno zaffiro blu come le iridi del suo proprietario, Maglor.

Successivamente era venuto a sapere ciò che era successo, e si era spesso chiesto perché il secondogenito di Fëanor avesse deciso di dare via anche il suo, di anello. Pensava di averlo capito.

Era stato per questo che aveva deciso, per quanto nel profondo desiderasse farlo, di non cercarlo. Di lasciarlo andare. Di lasciarlo continuare la sua vita dimenticando, o ricordando fino a consumarsi.

Maglor era già stato incatenato abbastanza.

Accarezzò i due gioielli, tenendoli in mano e spingendoli contro i palmi fino a sentire la forma delle pietre modellare la carne.

Allora, e solo allora, si decise a guardare di nuovo nel cofanetto.

 
Quello di sua madre, lasciato a Curufin insieme alle lacrime mai versate per una separazione che già allora sapevano sarebbe stata per sempre, si trovava esattamente al centro del bauletto.

Celebrimbor sospirò, trattenendo le lacrime nell’accarezzare l’enorme diamante incastonato nella banda di mithril che appariva grigiastra a causa della polvere depositatavisi sopra da quando suo padre glielo aveva lasciato, prima di andare in esilio.

A Celebrimbor era sempre piaciuto pensare che quel suo abbandonare l’unico ricordo di sua madre –e di lui- fosse stato un modo per non renderli complici di tutto ciò che avrebbe dovuto fare da quel momento in poi.

O forse, era stata solo la liberazione da un peso.

 
Perché lui non ce la faceva, nemmeno dopo tutto quel tempo, a perdonare suo padre.

Non dopo che lo aveva costretto a scegliere: l’onore, suo e di sua madre, e la giustizia, o lui.

Perché Celebrimbor aveva già scelto lui, prima. E aveva sbagliato.

Sentiva di non poter sopportare di sbagliare di nuovo.
 

Per questo, sapeva che ciò che aveva intenzione di fare era la cosa giusta.

Per lui, e per la memoria della casa di Fëanor.

 
Prese gli anelli in mano e uscì nella notte, diretto verso le forge dei Gwaith-i-Mirdain. 





ANGOLINO DELL'AUTRICE

Buongiorno a tutti, e buone vacanze!

Innanzitutto ringrazio coloro che hanno recensito le mie ultime storie, perchè mi hanno dato dei consigli che ho tentato di seguire al meglio con questa one-shot (per Losiliel: l'altro giorno ho preso "La compagnia dell'anello" e sto cominciando a leggerlo), e spero di essere almeno in parte migliorata.

Riguardo alla storia in sè, la parte degli "anelli una volta raggiunta la maggiore età" me la sono inventata, ma credo (spero) che sia quantomeno verosimile, soprattutto dato che l'ho considerata più come una moda che una vera e propria tradizione.
"...talvolta anche tra i Vanyar, a fabbricare (o, nel caso degli ultimi, a farsi fabbricare) ..." questa parte è legata più che altro al fatto che secondo una mia convinzione sono i Noldor i più "creativi", che hanno più familiarità con la lavorazione del metallo.

Non mi sembra che ci siano altre precisazioni da fare, quindi non mi rimane altro che salutarvi e chiedervi di recensire in caso ci sia qualcosa da migliorare, o -ci sto veramente sperando, perchè la avrò riletta almeno cinque volte ed è da una settimana che sono indecisa sul pubblicarla o meno- questa risulti meno confusionaria rispetto alle altre mie storie.

Ancora grazie mille a tutti, e buona giornata!!!

P.S: Una canzone che vi consiglio di ascoltare, anche se non centra molto con la storia, è "Midsummer's song", di Eurielle.
P.P.S.: Sì, credo che consiglierò una canzone ad ogni storia pubblicata XD ; spero che vi piacciano!
 
   
 
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