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Autore: Hoel    13/06/2020    1 recensioni
[In collaborazione con Semperinfelix]
Raccolta assolutamente demenziale composta da riflessioni e rielaborazioni in chiave comica di eventi, aneddoti più o meno veri e burle ai danni di personaggi storici, necessaria panacea per le badilate di angst che scriviamo e leggiamo. Come disse il buon Erodoto: “Se un uomo vuole occuparsi incessantemente di cose serie e non abbandonarsi ogni tanto allo scherzo, senza accorgersene, diventa pazzo o idiota.”
Genere: Comico, Demenziale, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Non possiamo finire di ringraziare Alessandroago_94 per continuare a seguire codesti deliri creativi e a coloro che hanno inserito questa raccolta tra le seguite e le preferite.

La mia compare Semperinfelix ci tiene a dedicare questa novellina ad Elisabetta

Buona lettura,

Hoel e Semperinfelix

 

 

***

 

 

Creusa Persis

 

Laddove Enea perse per motivi di trama la sua Creusa e chi gli lavava i panni

 

 

In un tempo non molto lontano, in un giorno non molto funesto, ecco com'andò veramente la distruzione di Troia:

Frattanto che la battaglia prosegue, tra viscere strappate fuori dalla panza e teste che volano, avendo sia Greci che Troiani capitato al mercato delle armature tarocche, Enea torna a casa tutto scazzato e “Mo basta!” sbotta. “Mo ce ne andiamo!”

Quel che né la moglie né l'anziano padre sapevano, era che Achille gli aveva fatto la linguaccia e per tale ragione Enea, offesissimo, non voleva saperne d'avere ancora a che fare con lui.

“Babbasunazzu!” lo riprende aspramente il pater Anchise, sputando la dentiera. “Cascassero a Giove le mutande, noi di qui non ce ne andiamo!” La nuora Creusa lo prega e lo supplica affinché acconsenta alla partenza, per il bene suo e del nipotino che è tanto bellino, ma Anchise no, è irremovibile. “Io qui sono nato”, dice, “e qui voglio crepare!”

Si alza dalla seggiola e tutto adirato fa mostra d'andarsene. Apre la porta e proprio lì, sulla via di casa, vede venire: da una parte due dei suoi creditori, a li quali doveva ancora duecento e passa dracme, perdute tutte giocando a briscola coi vecchietti del centro anziani, dall'altra il marito cornuto della sua vicina di casa, incabbasisato nero, con un giavellotto in mano. Richiude di botto la porta, spiaccicandocisi contro con tutte le spalle, e guardando i famigliari domanda: “O, che aspettiamo ad andarcene?”

Figlio e nuora lo guardano stupefatti. “Ma come …” domandano “non eri determinato a morire qui?”

“No, no, ma io scherzavo”, si giustifica Anchise, “e poi mi sono ricordato che giovedì mentre stavo alla latrina un fulmine dorato con una stella cometa m'è cascato sulla testa e Giobbe, affacciando la faccia dal buco dove stavo seduto, m'ha detto: Anchise, vecchio scimunito, che vuoi far crepare così il tuo nipotino e quel gran pezzo di gnocca di tua nuora? Avanti, alzati e parti!

“Papà, ma che ti sei fumato?” lo interroga perplesso il figlio.

“Dai del bugiardo al tuo genitore? Ah, biscredente! Se non mi credi, guarda tuo figlio come sta avvolto da lingue di fuoco!”

Sia madre che padre si voltano allora a guardare il pargolo, che era in effetti in fiamme. “Mannaggia, n'altra volta!” sbuffa Creusa esasperata, correndo a prendere l'estintore da sotto al letto. “Sto bambino sempre in fiamme sta, oh!”

“Prodigio!” esulta Enea. “Giobbe vuol che io torni a combattere!”

“Ah! Avrei dovuto sposare tuo cugino Agenore! Lui almeno ci avrebbe messi al sicuro!” si lamenta sconsolata la moglie, una volta finito d'estinguere il bambino. “Mo decidi: o la smetti di fare lo scemo e ci porti via di qui oppure tu la potta non la vedi più!”

E fu così che dopo quell'ultimatum, messo di fronte alla terribile prospettiva di dover tornare dalla sua vecchia fiamma Ludovica, con la quale aveva condiviso la prima giovinezza, in men che non si dica Enea ebbe già i bagagli pronti. Si carica il padre sulle spalle, che tanto è lagnuso che manco camminare vuole, e dà la manina ad Ascanio, mentre Creusa li segue fuori casa con le foto di famiglia sott'al braccio.

Luogo il cammino si fermano al tempo di Cerere a fare la spesa, quindi ripartono, ma è proprio allora che Creusa, rimasta indietro perché appesantita dalle borse della spesa, si volta e vede Ermes che le fa l'occhiolino. Il bambino pure si volta, e vede che la madre non c'è, allora piagnucolando avverte il padre dell'accaduto.

Sperduta a questo modo la mogliera, Enea per tre giorni vaga di qua e di là gridando disperato: “Creusaaa! Creusaaa! Andò cazzo stai!?!?” Finalmente al terzo giorno, rotta dalle continue lamentele, gli appare l'infelice simulacro della sposa, notevolmente ingrassata rispetto a come la ricordava.

“Mio amato sposo », gli dice con voce distorta, “mettiti l'anima in pace. Gli dei mi hanno chiamato a ben altro mondo che questo, e lì, tra le sedi beate, un nuovo ruolo m'attende. Tu prosegui per la tua via, senza voltarti indietro, ed abbi cura del vecchio padre e del figlio, speranza della stirpe di Dardano. Questo, o Enea, decretò l'oscuro Fato, questo il Destino che nulla perdona. E dunque, mio amato, non ti curar di me e va'!”

Cotali parole fatte dispare come fumo che s'innalza dall'ara del sacrificio. Enea, rotto in pianto, le corre incontro, tre volte tenta la lacrimosa mano d'afferrare la veste che sfugge, tre volte fallisce nel suo intento. Allora, perduta ogni speranza, si getta in ginocchio sulla dura terra, e rivolto al cielo domanda: “O Creusa, e i panni sporchi chi li lava mo!?!”

 

 

 

 

 

 

***

 


Curiosità: Virgilio attende chi l’Eneide così spense.

  
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