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Autore: Ruta    14/06/2020    1 recensioni
Sei Clarke Griffin e sei abituata al dolore della perdita. Ognuna ha connotazioni diverse.
A volte è il silenzio di una gabbia di metallo, della tua cella nello Skybox.
A volte è carne lacerata e mente in frantumi e una bara a forma di scatola che sta nel palmo della tua mano. A volte è pioggia nera. A volte è l'agonia delle radiazioni. A volte è il crepacuore di osservare un razzo partire senza di te dall'alto di una torre satellitare. E poi ci sono altre volte. Fortunatamente non molte. Occasioni in cui il dolore che ti affligge non è come una marea o un terremoto o una fottuta apocalisse. È tutte queste cose insieme.
[Void Bellamy. Arrivata a Bardo, Clarke scopre che Bellamy non si ricorda di lei se non come Wanheda.]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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tutto

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Tutto ciò che non è vero, muore.

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Sei Clarke Griffin e sei abituata al dolore della perdita. Ognuna ha connotazioni diverse.

A volte è il silenzio di una gabbia di metallo, della tua cella nello Skybox.

A volte è una pugnalata al petto, come quella con cui hai ucciso Finn.

A volte una coltellata alla gola, come quelle che hanno reciso la vita di Wells e di Atom.

A volte è carne lacerata e mente in frantumi e una bara a forma di scatola che sta nel palmo della tua mano. A volte è pioggia nera. A volte è l'agonia delle radiazioni.

A volte è il crepacuore di osservare un razzo partire senza di te dall'alto di una torre satellitare.

A volte è una trappola per orsi scattata e chiusa attorno alla tua caviglia. O la scarica elettrica di un collare shock. O la schiena della persona che hai chiamato ogni giorno per sei anni che ti dà le spalle e si allontana dopo averti praticamente detto che sta sacrificando la tua famiglia per salvare la sua. 

È osservare due soli sorgere su un nuovo pianeta mentre con le sue ultime volontà Monty vi augura di trovare la vostra redenzione dopo aver ridotto in cenere il vecchio.

È il terrore di trovarti immobilizzata, ma vigile e cosciente, mentre ti informano che stai per morire, che così conoscerai finalmente la pace e tutto quello a cui puoi pensare oltre alla rabbia e al panico attanaglianti che ti stanno divorando il cuore, è il rimpianto delle parole che non hai mai pronunciato e della donna che non vedrai tua figlia diventare.

E poi ci sono altre volte. Fortunatamente non molte. Occasioni in cui il dolore che ti affligge non è come una marea o un terremoto o una fottuta apocalisse. È tutte queste cose insieme.

Come quando hai perso tuo padre. O quando hai allentato la presa di Simone e hai visto il corpo di tua madre galleggiare come un tempo ha fatto anche quello di tuo padre. O quando hai scoperto che le memorie di Bellamy sono state cancellate e distorte, che è vivo, ma lo hai perso lo stesso nel peggiore dei modi.

Sei Clarke Griffin e la tua battaglia è finita. Non rivedrai mai più tua figlia, i tuoi amici sono prigionieri e l'uomo che ami da quando avevi diciotto anni non si ricorda di te se non come Wanheda.

Dopo che hai puntato una pistola contro il Pastore e hai affermato che pagheranno per quello che hanno fatto e che possono andare al diavolo, loro e la loro dannata guerra, ti hanno rinchiusa in questa stanza. Probabilmente sperano che l'isolamento serva a farti riacquistare l'uso della ragione, che ti renda più malleabile o aperta al dialogo.

Le pareti e il pavimento sono di un bianco immacolato, osservarli troppo a lungo ti fa venire mal di testa. Ti viene alla mente un'altra stanza simile a questa. I tuoi occhi cercano un dipinto che sai che non troverai. 

Ormai hai perso la cognizione del tempo trascorso. Potrebbero essere ore o giorni. Potrebbe non essere passato più di un minuto.

La porta si apre e l'aria nella stanza sembra scomparire all'improvviso. Il tuo petto si comprime e non riesci a respirare. Senti il corpo pesante. Ti senti galleggiare come se ti trovassi nel vuoto dello spazio infinito e guardassi l'universo implodere nella tua testa e l'universo ti guardasse di rimando con gli occhi di un dio sulla cui dualità hai deciso da tempo di non scommettere. Che esista oppure no, tu hai deciso che quel dio debba essere come l'uomo. Una parte che ama e costruisce, che è vita e Venere. Una parte che odia e distrugge, che è guerra e Marte.

Negli occhi dell'uomo che entra trovi la seconda. Vorresti prenderti la testa tra le mani, urlare fino a non avere più fiato nei polmoni contro quest'ennesima ingiustizia. Invece non batti ciglio. Non piangi.

L'uomo che si inginocchia di fronte a te non è Bellamy. Indossa il suo viso come una maschera, profuma come lui, ma l'espressione con cui ti guarda è sbagliata e così lo è la voce con cui ti parla. È così che si è sentito anche lui quando Josephine era dentro il tuo corpo? Anche lui ha provato questo dubbio macerante, questa impotenza, questa disperazione?

Lui ti porge il vassoio con il cibo e tu vorresti scaraventarlo lontano. Stringi un po' più forte le braccia attorno al busto. Se lascerai la presa, hai paura di cadere in pezzi e allora chi ti ricucirebbe insieme? Un tempo ci avrebbe pensato lui.

Non sei mai stata più sola, neppure quando lui era solo un miraggio tra le stelle.

"Non hai intenzione di mangiare neanche oggi?"

Non gli rispondi. Non vuoi guardarlo, ma non puoi farne a meno. Sai che non è lui, ma una parte di te trova l'idea inaccettabile, la verità è aberrante. Speri ancora che lui ti guardi e ricordi chi sei, cosa siete insieme.

"Il possesso della ragione distingue l’uomo dagli animali," lui fa notare e la gentilezza nei suoi occhi è quella che il tuo Bellamy avrebbe riservato a un'estranea. È la compassione che tu riserveresti a un moribondo o a un animale ferito. È impersonale e racchiude alla perfezione ciò che il vero Bellamy, il tuo, non è mai stato con te. È freddo e apatico. Anche nei vostri momenti peggiori, la sua furia non era una tempesta di neve, ma saette e magma.

Non è lui, eppure-

"Persuadere con la forza della ragione?" La tua voce ha un suono raspante, come ghiaccio che si spacca. Ti lecchi le labbra. "Non è da noi."

Ti aspetti una risposta mordente, un'incrinatura nella sua compostezza. Non reagisce nel modo che avevi sperato. Non aggrotta le sopracciglia, non torce la bocca nella smorfia che conosci così bene. Sul suo viso rasato non traspare nessun contrasto o animosità. È un uomo diverso, questa nuova versione di Bellamy. È qualcuno che non conosci e che non riesci a capire. Come una tabula rasa.

Lo osservi mentre si alza e posa il vassoio sul tavolo. Non vuoi vederlo uscire, anche se è quello che hai desiderato da quando è entrato. Poggi la testa contro le ginocchia e pensi a come il mondo si è capovolto.

Quando lo senti sedersi di nuovo accanto a te, ti mordi la guancia abbastanza forte da assaggiare il sapore del sangue.

Sai che vi stanno osservando. Ci sono telecamere. Sono nascoste e non sei ancora riuscita a trovarle, ma sai che ci sono. Siete cavie da laboratorio. È questo il trattamento che hanno riservato anche a Raven e agli altri? Anche le loro memorie sono già state rubate? Le loro identità e tutto ciò che li rende sé stessi, i traumi come le esperienze di formazione e le scelte impossibili, cancellati e sottratti indebitamente? Non siamo ciò che abbiamo fatto, non solo. Le nostre memorie sono la testimonianza delle varie versioni di noi. Senza il nostro passato, cosa rimane di noi, delle nostre storie?

"Non sono tuo da salvare," lo senti dire nel silenzio che vi circonda.

Non sei mio, vorresti dirgli. Sarebbe la cosa giusta da dire. Questo non la renderebbe vera.

"Non lo sono mai stato."

Volti la testa e lo guardi dritto negli occhi. "Questo non significa che smetterò di provare. Ti salverò, fosse l'ultima cosa che faccio. Non lo ricordi, ma so essere molto persuasiva." Sorridere fa male, ma lo fai lo stesso. Lui si acciglia e per un momento è così simile a sé stesso che vorresti baciarlo.

Il desiderio scompare nel momento in cui lo vedi alzarsi, estrarre la pistola e puntartela contro. La riconosci subito e nel momento in cui la riconosci, capisci che questa è la fine. In un modo o nell'altro, questa è la tua ultima battaglia.

Lui deve leggere l'assenza di sorpresa o di paura sul tuo viso perché contrae la mandibola e la confusione nei suoi occhi è tinta da una scintilla di reale sentimento.

Ti alzi. Fai un passo in avanti.

Lui non indietreggia, non abbassa il braccio neppure quando chiudi la mano attorno alla canna della pistola e te la premi contro il petto.

"So che non lo farai. Non puoi. Non importa quanto in basso siamo caduti o quanti gironi dell'inferno hanno un posto col nostro nome segnato sopra, c'è qualcosa che non saremo mai in grado di fare ed è questa. Non mi ucciderai. Non lo farai per lo stesso motivo per cui io non sono riuscita a spararti nemmeno quando si è trattato di scegliere tra la tua vita e quella di centinaia di persone nel bunker."

Lui annuisce. Dubiti che sia perché improvvisamente ha ricordato gli episodi che hai evocato, ma piuttosto perché ciò che hai appena detto è l'ultimo tassello del rompicapo su cui stava lavorando.

"Mi ami," dice. Non è una domanda, ma una semplice constatazione. Vorresti che avesse un sapore meno amaro. Ti rendi conto che il pensiero deve averlo assillato da quando sei arrivata.

"Forse," dici. "Non te lo dirò così. Non adesso. Non sapresti se è reale o se sto mentendo per salvarmi la vita."

La sua fronte non si spiana del minuscolo acciglio. La sua mano non trema, ma qualcosa in fondo ai suoi occhi lo fa. Sono come ombre proiettate sulla parete di una caverna. Fissi ipnotizzata la rabbia incandescente che gli deforma il viso. Un tempo saresti stata in grado di riconoscere la ragione della sua rabbia, il guizzare di un muscolo nella guancia. Sei troppo avventata. Tieni troppo poco alla tua vita. Ma perché avresti dovuto? C'è sempre stato lui a preoccuparsi al tuo posto, a guardarti le spalle.

"Presupponi troppo. Cosa ti fa credere che anche se tu lo dicessi, cambierebbe qualcosa? Potrei non amarti."

Sai cosa devi fare. Allenti la presa attorno alla pistola e osservi il modo in cui i suoi occhi allenati si distolgono dai tuoi per una frazione di secondo.

"Mi hai salvato la vita così tante volte," sussurri. "È ora di ricambiare il favore."

Con un movimento fulmineo, lo colpisci al polso e gli sottrai la pistola. Dopodiché la punti contro di te.

Non sai se stai immaginando il panico con cui ti sta guardando o nella sua voce quando domanda, "Cosa stai facendo?"

"Quello che devo. Porto il peso così che non debba farlo tu."

Prendi la mira. Non sei un medico come tua madre, ma sai come funziona il corpo umano. Sai dove colpire per ottenere il maggior danno possibile e come evitare una ferita mortale.

Sei Clarke Griffin e non è così che muori.

Spari. Il dolore è un lampo che ti acceca per un attimo. Cadi sulle ginocchia. Lui ti è accanto in un secondo, comprime la ferita. Lo guardi e capisci subito. Sai che è lui. Bellamy è tornato da te.

"Clarke." Il tuo nome ha il sapore delle lacrime e dei fantasmi che ora intravedi nei suoi occhi perseguitati. "Perché lo hai fatto?"

Vorresti rassicurarlo. Sai che avete i minuti contati. Il dolore al fianco è insopportabile, rende ogni pensiero un'impresa erculea, ma respirare diventa più facile quando ti concentri su Bellamy. "Non arrabbiarti. Ho fatto quello che avresti fatto anche tu."

La pistola è carica. Gliela metti in mano e sei fiera di lui quando stringe i denti e ricaccia indietro le parole che sicuramente vorrebbe scagliarti contro. È stata una mossa azzardata. Lo sai. Non ti importa. Lo rifaresti daccapo.

Annuisce lentamente. Ti sta coprendo da un'angolazione precisa della stanza.

Vi scambiate uno sguardo. "Dimmi cosa devo fare."

Il tempo non è vostro alleato. Non lo è mai. Dovresti dirgli di trovare Raven e gli altri. Chiedergli di Octavia. Invece tutto quelle che riesci a dire è, "Non lasciarmi."

I suoi occhi sono lucidi e risoluti mentre ti stringe la mano così forte da far male. Avete entrambi le dita insanguinate. Ti sta guardando come ti ha guardato tante altre volte. Come se non sapesse neppure lui se vuole strangolarti o baciarti. Vorresti dirgli che il sentimento è reciproco. "Mai."

Gli occhi ti pungono.

Ai hod yu in, pensi. Stai per dirlo, ma i Discepoli piombano nella stanza.

Ogeda,” lo senti sussurrare. Insieme.

Non importa. Sei Clarke Griffin e non hai ancora perso il tuo cuore.

 


 

N/a:

Dopo la 7x04, non potevo non cimentarmi anch’io in un esperimento con un Void/Brainwashed Bellamy. 

Per quanto il fandom oltremare stia impazzendo per una versione di Bellamy a cui è stato fatto il lavaggio del cervello ed è stato plagiato, la cui missione è uccidere Clarke Griffin (sulla falsariga di Peeta Mellark ne Il canto della Rivolta), personalmente io trovo che sarebbe una scelta molto più potente – e dolorosa – se ci venisse mostrato un Bellamy che non ricorda Clarke, che non ha idea di chi sia e che alla loro prima riunione di questa stagione le rivolga uno sguardo vuoto, di non riconoscimento. 

Perché diciamocelo, dopo sette anni di amore unilaterale verso questa ship, quanto ci distruggerebbe qualcosa di questo tipo? I momenti che tanto abbiamo amato cancellati così, persi, indebitamente sottratti. Non so voi, ma io ne sarei francamente distrutta. Soprattutto alla luce di quello che abbiamo scoperto, ovvero che a Bardo possono prendere le tue memorie o qualcosa di simile :(

Dopo l’esperienza traumatica che è stato il “Ti amo” sherlolly in Sherlock della BBC, sono diventata molto prevenuta nelle confessioni d’amore in situazioni indotte o comunque forzate. La mia obiezione è la stessa di sempre, dai tempi del film di Lamù - Boy Meets Girl: Un ragazzo, una ragazza in cui Ataru pensa che se lo dicesse in quel contesto, quel primo ti amo sarebbe per sempre contraffatto o macchiato dal dubbio, che Lamù non potrebbe mai sapere se lui l’ha detto perché prova davvero quei sentimenti o solo per salvare il pianeta.

Insomma, dopo anni di attesa, spero in qualcosa di più onesto… ce lo meritiamo, non credete anche voi?

    

  
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