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Autore: Caterina_98    19/06/2020    1 recensioni
Possono due anime separate non smettere mai di amarsi?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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A Ele, che c'è stata dal primo giorno.
A Flam, che ha avuto la pazienza di correggerla.
Ad Harry, che ha raccontato l'amore nei suoi versi, e ha lottato in suo nome.
A Louis, che porta sempre il sole.
E a voi, che avete deciso di donarmi un po' del vostro tempo.

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Love Is Only For The Brave

 

Freddo,

faceva terribilmente freddo in quella stanza.

Non aveva mai avuto freddo prima d’ora nel loro letto,

non quando poteva stringersi al suo corpo, respirare il suo profumo, e baciarne la pelle delicata.

Ora il freddo sembrava avvolgerlo completamente, trafiggendogli gli organi e facendolo rabbrividire nelle lenzuola di seta azzurra macchiate di ricordi.

Si alzò,

i movimenti rallentati dall’emicrania e dall’assenza di sonno.

Osservò il suo riflesso nel grande specchio a muro che portava con se il ricordo di ogni suo cambiamento nel corso degli anni:

Gli occhi verdi gonfi e cerchiati di nero, lividi violacei di una furia alcolica laddove i ricordi confusi non potevano arrivare, e impronte rosso sangue dove le sue unghie avevano graffiato e scavato per tentare invano di cancellare quello che aveva impresso indelebilmente sulla pelle e nel cuore.

 

Si avvicinò alla mensola degli alcolici, con la consapevolezza di non poter trovare sul fondo di una bottiglia in vetro colorato un po’ della pace agognata, ma sperando di poter cadere in un sonno senza incubi, per una volta ancora.

Si versò un bicchiere di Tequila e si lasciò sprofondare sul grande divano del salotto.

Difronte a lui pile ordinate di scatole e valigie, pronte per essere ritirate da giorni.

 

Era notte fonda, si era svegliato – o forse non aveva mai realmente dormito – e aveva sentito freddo, si era allungato sul suo lato del letto per cercare conforto e quando le punte sottili delle sue dita non avevano tocca altro che gelida stoffa, la realtà gli aveva perforato i polmoni e schiacciato le coste.

Si era alzato dal letto con il terrore che ancora gli pesava nello stomaco e aveva svuotato il loro armadio di ogni sua cosa.

La felpa che gli aveva sfilato con urgenza poche settimane prima, in balia di una passione folle, mentre gli risuonavano nelle orecchie i gemiti rochi.

La giacca blu notte che gli cadeva perfettamente sui fianchi.

La maglietta consunta e sbiadita che da anni utilizzava per dormire.

Capo dopo capo.

Ricordo dopo ricordo.

Fino a che appesi alle grucce non erano rimasti che i suoi vestiti.

Li aveva gettati alla rinfusa dentro grandi valigie, per poi svuotarle nuovamente e piegarli con cura all’interno di esse.

Lasciandosi trasportare dal profumo intenso e rallentando il più possibile il momento della separazione.

Come una donna, rimasta ormai vedova, che impacchetta tutti i ricordi dell’uomo che aveva amato, percependo il suo tocco dove la stoffa la sfiora.

Con la sola differenza che di andarsene, glielo aveva chiesto lui.

 

Erano diventati adulti insieme, Harry e Louis, uno accanto all’altro qualsiasi cosa accadesse.

Ogni volta che il mondo provava a farli cadere a loro bastava stringersi un po’ più forte per non farsi spezzare.

Erano Harry e Louis, nessuno era mai riuscito a dare una definizione migliore.

Erano qualcosa di inspiegabile, due anime collegate oltre lo spazio e il tempo

rese immortali da un amore così puro che non poteva essere sbagliato.

Erano Harry che gli sussurrava quanto fosse speciale, quelle sere in cui la pioggia non voleva cessare di battere.

Erano Louis sempre manesco e rumoroso che si prendeva cura di lui in ogni modo possibile.

Erano le mani grandi di Harry che lo avevano sostenuto anche quando sembrava essergli caduto l’intero mondo sulle spalle.

Erano gli occhi blu di Louis che lo guardavano ogni giorno come se al mondo non esistesse niente di più prezioso.

Erano loro, e questo era bastato per un tempo così lungo da avergli fatto assaporare l’eternità.

 

Poi una sera, Louis era rientrato a casa, la stanchezza ad appesantirgli le palpebre e la testa ancora piena dei brani che lui stesso aveva composto.

Aveva trovato Harry raggomitolato sul divano mentre scorreva la timeline di Twitter, si era seduto accanto a lui e gli aveva baciato una spalla, percependo sulle labbra il torpore della sua pelle.

 

Aveva atteso che si voltasse nella sua direzione per potergli rubare un bacio, ma quando aveva incrociato i suoi occhi li aveva trovati inondati di lacrime.

“Harry, piccolo, che succede?” nascosta tra le pieghe della voce una paura viscerale per l’ennesimo scherzo che la vita avrebbe potuto riservargli.

Harry aveva allungato il telefono verso di lui, senza parlare, sullo schermo Louis ed Eleanor, paparazzati in uno dei loro ultimi spostamenti attorno al globo.

Louis aveva sospirato, improvvisamente sollevato nel vedere quella foto.

Perché era solo Eleanor e l’avevano già affrontata insieme un miliardo di volte.

 

“È solo una foto, lo sai che non significa nulla”

Si era allungato per lasciargli un bacio nella piega del collo e cercare di cancellare la tristezza che lo aveva pervaso.

Il compagno però si era scostato dal suo tocco:

“Lou, sono esausto” la voce tremante, le lacrime che avevano rotto gli argini ed ora scivolavano silenziose sulle sue guance.

Louis aveva allungato una mano per sistemargli la ciocca di capelli che gli era caduta davanti agli occhi:

“So che è un periodo stressante per te, andrà tutto bene”

Una pausa pensate come un macigno.
“Lou non hai capito, non sono stanco, non ce la faccio più a sopportare tutto questo”.

Louis si era alzato dal divano, il cuore che improvvisamente batteva un po’ più forte.

“Di che cosa stai parlando, Harry?”

“Io…non lo so, io-”

“Di che cazzo stai parlando?” aveva alzato la voce, la paura nuovamente percepibile.

“Non posso più continuare con questo giochetto, non posso più fingere che mi basti stare con te solo quando nessun altro può vederci, non posso più accontentarmi dei segreti, Lou, non ce la faccio”

“Questo” un sospiro “Non è un giochetto”

Louis aveva fatto qualche passo indietro, fino a toccare con la schiena il vetro freddo della grande finestra del salotto.

Aveva sentito il suo cuore staccarsi dal resto del corpo e cadere, in basso, sempre più in basso, fino a sentirlo sotto le suole ruvide delle sue scarpe da ginnastica, mentre le sue gambe tremavano e lo stomaco si stringeva in una morsa d’acciaio.

“Questo non è un cazzo di gioco, io ti amo.”

“Ti amo anche io, ti amo come non ho mai amato nessuno prima d’ora, non ti ho mai mentito. Ma sono stanco di ascoltare interviste in cui parli della tua fidanzata, sono stanco di vedere che il mondo pensa sia Eleanor quella che ti aspetta, la notte, per stringersi al tuo corpo e baciarti piano. Sono stanco di aspettare una felicità che non arriverà mai, e di sapere che non avremo mai un figlio insieme, ma che Freddie sia già tuo.”

“Non farlo, non tirare mio figlio in mezzo a tutta questa storia, non usarlo come scusa per quello che stai cercando di fare”.

Il suo tono era severo, gli occhi asciutti.

Aveva perso il conto delle volte in cui si era fatto vedere vulnerabile agli occhi di Harry, di quante volte si erano asciugati le lacrime a vicenda, abbracciandosi stretti nel buio della loro casa.

Ma ora non sentiva niente se non una rabbia cieca.

“Quindi cosa pensi di fare?”

“Ho passato tutta la mia vita cercando di capire chi fossi, ho bisogno di essere libero”

“Non hai risposto alla mia cazzo di domanda”

Harry dal canto suo era scosso dai singhiozzi mentre stringeva spasmodicamente le braccia attorno al proprio busto, lo faceva per tenere insieme i pezzi, e Louis lo sapeva, perché era sempre stato compito suo impedire che si sgretolasse.

E ora, tutto quello che poteva fare era rimanere a guardarlo, mentre appoggiato al vetro si impediva di cadere.

 

Loro erano Harry e Louis, dannazione, potevano restare in piedi solo insieme!

 

“Louis, ti prego, questa situazione va avanti da anni, avresti fatto lo stesso prima o poi”

Il compagno lo aveva guardato, improvvisamente svuotato di ogni cosa:

“Non lo avrei fatto, lo sai benissimo”

E lo sapeva, Harry, che pur di non fargli del male sarebbe stato capace di attraversare l’inferno a piedi scalzi.

Perché c’era una cosa a cui Louis non avrebbe mai rinunciato

Ed era il loro amore.

Anche se fosse stato costretto a sposare una donna qualsiasi, a sorridere alle telecamere mano nella mano con qualcun’altra per tutta la vita, in cambio solamente di qualche ora in più, in cui potevano essere semplicemente loro due.

 

Ma quando lotti con le unghie e con i denti per accettarti,

quando dopo tanta fatica scopri chi sei davvero,

nessuno deciderebbe volontariamente di tornare indietro,

di nascondersi nel buio mentre lo spiraglio di accecante luce torna ad affievolirsi nei tuoi ricordi.

“Abbiamo preso due direzioni diverse. Quando guardo quelle foto, Louis, quando ti vedo sorridere a persone che non sono io, sento di non appartenerti più. E fa troppo male.

Da quando non esiste più la band, ogni giorno ti sento più lontano.

Come se non avessimo più bisogno l’uno dell’altro”

“Io sì, cazzo, io ho ancora bisogno di te. Io ho sempre bisogno di te!”

Non si era reso conto di aver iniziato a piangere, se non quando le sue labbra si erano bagnate di lacrime salate.

“Ho bisogno che tu me lo dica, Harry, se lo vuoi devi renderlo reale”.

Era coraggio di affrontare la realtà o profondo desiderio di poterla ancora cambiare?

“Devo continuare senza di te Lou, merito di essere chi sono realmente”.

 

Non importava che a reggerlo ci fossero le sue gambe o il vetro di una finestra, nessun muro avrebbe potuto sopportare un dolore così grande.

Era uscito, silenzioso come quando era entrato, lasciando Harry sul divano, con il capo affondato tra le gambe e il sapore della bile in bocca.

 

 

Aveva sollevato barriere spesse e inarrivabili,

Barricato tra quelle mura che aveva sempre chiamato casa e ora lo facevano sentire un estraneo.

Una bolla di cristallo finissimo lo divideva dal resto del mondo, persino da se stesso.

Non sentiva niente.

Aveva passato così tanto tempo ad immaginarsi quel momento che adesso gli sembrava di viverlo da spettatore.

 

Intere notti in bianco, passate ad osservare la figura rannicchiata sul letto accanto a lui, ad ascoltarne il respiro rallentato dal sonno.

Percorrendo con gli occhi il suo profilo dolce e minuto, per imprimerselo nei ricordi.

Pensava, non faceva che pensare, rimuginare, riflettere per ore ed ore.

Su una possibilità, un’idea qualunque per rendere tutta quella merda un po’ meno difficile da sopportare.

Qualunque cosa avrebbe convinto Louis a scegliere la luce,

la libertà,

loro due.

 

Impiegò settimane a rendersi conto che non poteva farlo.

Ci sarebbe riuscito, forse non subito, forse avrebbero litigato, avrebbero smesso momentaneamente di parlarsi e cercarsi a tentoni nel buio per abbracciarsi stretti.

Forse avrebbe dovuto passare qualche notte nella stanza degli ospiti, o da sua madre.

Ma alla fine ce l’avrebbe fatta.

Eppure capì che non poteva, non con lui.

Non poteva prendere una decisione al suo posto, ne obbligarlo ad accelerare i tempi.

Aveva impiegato anni a scoprirsi e ad impararsi.

Aveva attraversato periodi così bui e confusi da doversi aggrappare ad un bagliore che ormai era solo nei suoi ricordi.

Aveva scelto di compiere i primi passi per uscire dall’armadio in cui era stato chiuso per troppo tempo, ma lo aveva scelto e ne aveva considerato le conseguenze.

Eppure a volte, le occhiate, le critiche, i commenti, erano così dolorosi che avrebbe solo voluto sparire per non sentire più nulla.

Cosa avrebbero fatto a Louis?

Forse sarebbe stato in grado di sopportare, nei primi momenti, con la testa alta e le spalle fiere contro tutti.

In nome dell’amore che si erano sussurrati migliaia di volte.

Louis avrebbe accettato di farlo per lui, per rendere reale quel piccolo mondo personale che si erano creati, per portare a termine una sola di quelle promesse che gli aveva fatto da ragazzino.

Ma la loro realtà non perdonava e non dimenticava. E prima o poi gli avrebbe fatto rimpiangere quella scelta.

Obbligare Louis a seguirlo significava privarlo di quella libertà che lui stesso chiedeva.

Come aveva anche solo potuto pensare di fargli una cosa del genere?

Non poteva, non a lui.

Non se lo amava davvero.

 

Nel momento esatto in cui il suo cervello aveva elaborato quell’informazione, gli sembrò di essere risucchiato dall’interno.

Poteva aspettarlo, si disse, poteva stare lì su quel letto per sempre ad aspettare che fosse pronto a seguirlo.

Ma sapeva, di non poter fare nemmeno quello.

Non perché non lo amasse abbastanza, perché maledizione, lo amava tanto da far male.

Ma perché tutto quello era sbagliato, e capì che qualunque decisione avrebbe preso, avrebbero sofferto tanto da voler scomparire dalla terra.

 

Si era stretto a lui con così tanto impeto da svegliarlo,

Louis si era girato, aveva ridacchiato mentre ancora ad occhi chiusi gli passava una mano tra i capelli e lo abbracciava a sua volta.

Ignaro di quello che era appena successo nella sua mente,

con solo il desiderio di sentire il suo calore sulla pelle sonnacchiosa e portarselo nei sogni.

 

A quel ricordo gli mancò il respiro,

i muri attorno a lui vacillarono, il cristallo si crepò.

 

Harry avrebbe voluto poter cancellare tutto, avrebbe voluto dirgli che era stato uno stupido egoista, e che aveva ancora bisogno di lui.

Avrebbe voluto dirgli che lo amava, che non aveva mai smesso, nemmeno mentre gli chiedeva di lasciarlo solo.

Che forse, in mezzo a quella casa vuota e a troppo alcool, si sentiva meno libero di quanto non lo fosse mai stato.

Per intere notti si era ripetuto che le cose sarebbero migliorate, che aveva solo bisogno di tempo, che era una questione di abitudine.

Ma i suoi bagagli stavano ancora occupando il salotto e la casa era silenziosa da troppi giorni e lui aveva solo avuto il coraggio di spostare le sue cose, fingendo non fossero mai state lì a mischiarsi con le sue,

a toccarsi con le sue.

 

Cercò il suo Iphone tra le pieghe del divano e compose il suo numero prima di poter davvero pensare a ciò che stava facendo.

Nel momento in cui realizzò che la risposta non sarebbe arrivata, sentì dei rumori dall’altro capo.

“Harry?” gli era mancata quella voce a sentire il suo nome scivolare fuori da quelle labbra.

“Louis”

“Cosa vuoi Harry?” la voce dall’altra parte era diventata più dura, come se improvvisamente avesse realizzato chi fosse il suo interlocutore.

“Volevo solo sentirti parlare”

Non avrebbe mai avuto il coraggio di dire niente di simile da sobrio, ma non era abbastanza lucido per rendersene conto.

“Non ho voglia di parlare con te”

Se lo aspettava, sapeva anche di meritarlo, ma questo non lo rese meno doloroso.

“Hai lasciato qui tutte le tue cose”

“Non ha importanza, ho armadi pieni di vestiti”

Torna a casa, avrebbe voluto dirgli, torna a casa anche se sono stato uno stronzo e ti ho rovesciato addosso colpe e dolori che non ti appartenevano, torna a casa perché solo qui possiamo tornare a respirare.

Il respiro del compagno si fece più pesante, ansimava contro il vetro del telefono.

“Lou”

“Sta zitto, cazzo, sta zitto”

La voce spezzata di chi cercava in tutti i modi di contenere un pianto che lo stava sovrastando.

 

“Non riesco più a pensare, a dormire, non riesco più a suonare. Non ce la faccio.”

Improvvisamente restarono solo lacrime e sospiri, e loro due che si ascoltavano crollare ancora una volta, senza avere la possibilità di sfiorarsi.

Era tutto rinchiuso lì, in quel non ce la faccio

Quante volte negli ultimi anni lo aveva ripetuto?

Prima di uno show, di un evento importante, prima di trovare il coraggio di raccontare qualcosa che ancora bruciava nel cuore.

A volte con l’ansia che lo divorava,

altre con una risata per prendersi in giro,

altre ancora con il respiro affannato e le gocce di sudore di due corpi diversi che si mischiavano.

Non so se ce la faccio, Haz.

Ed Harry che baciava le nocche consapevole che alla fine, ce l’avrebbe fatta sempre.

 

Non trovò il coraggio di diglielo quella volta.

 

“E la colpa è tua, sei un egoista del cazzo”.

Il rumore sordo di un bicchiere che veniva sbattuto sul tavolo.

 

Harry sapeva che non lo pensava davvero, che non era il suo Louis che stava parlando, ma la rabbia e la frustrazione che gli scorreva nelle vene. Eppure, per qualche secondo solamente i bagagli nel salotto divennero un enorme seccatura e il lato del letto che aveva sempre occupato lui, ora vuoto e freddo, una vecchia abitudine da superare.

“Credi sia stato facile per me? Credi che sia felice? Perché nemmeno io riesco a mangiare o dormire o pensare, da quando te ne sei andato”

“E allora per quale fottuto motivo mi hai chiesto di farlo, dannazione?”

Una pausa, forse per cercare la risposta giusta o forse perché la consapevolezza che stavano cercando di ferirsi a vicenda e di dimostrare chi provava più dolore, solo per poterselo rinfacciare, era troppo da sopportare.

“Perché ti sei barricato nell’armadio, mentre io ne scardinavo le ante”

“Non sono io che decido!” Louis stava gridando, mentre parola dopo parola gli sputava addosso tutto quello che non aveva avuto il coraggio di dire quella sera a casa.

“Ho firmato un contratto, lo abbiamo fatto insieme Harry”

Ricordava ogni dettaglio di quel giorno: la penna che gli tremava tra le dita, il viso sorridente di Simon, maschera di meschinità e disprezzo che solo loro in quella stanza avevano conosciuto, e quella riga nera, sul fondo dell’ultima pagina, che metteva la parola “fine” a troppi sogni.

“Non usare la scusa del contratto, Louis, ero con te quel giorno. Fai di tutto per non parlare di me in pubblico, eviti di pronunciare il mio nome o qualsiasi cosa mi riguardi nelle interviste, sembra tu voglia far credere al mondo che ricordi a malapena chi sia”.

Louis non rispose ed Harry ascoltò i suoi respiri per qualche secondo prima di continuare

“Eppure di lei non ti dimentichi mai.

Sei diventato padre Lou, c’è una creatura nel mondo in cui scorre il tuo DNA e quello di un’altra donna”

Un rantolo basso

“Avevi detto” la voce gli si spezzò nuovamente “Mi avevi detto che l’avevi superata, che mi avevi perdonato”.

E lo aveva fatto, davvero.

Perché per quanto si dicesse, erano una coppia come tutte le altre, con alti e bassi.

E come tante altre coppie avevano fatto, era arrivato un momento nella loro vita in cui avevano deciso di prendersi una pausa di riflessione, per guardare dentro se stessi e cercare di capire se il loro era lo stesso amore che li aveva uniti anni prima, o solo una routine di gesti interiorizzati che avevano perso valore.

Harry aveva sempre odiato quel termine, perché la maggior parte delle volte portava ad una rottura definitiva, ma sapeva di aver bisogno di prendersi del tempo per pensare.

Louis aveva solo scelto la notte sbagliata e la compagna sbagliata su cui sfogare tutte le sue frustrazioni.

Quando lo aveva saputo, Harry si era sentito tradito, poi si era sentito sporco, per finire aveva pianto davanti alla TV guardando commedie romantiche.

Alla fine Louis era tornato a casa con così tanta stanchezza e paura negli occhi, che l’unica cosa che era stato in grado di fare, fu abbracciarlo stretto.

Si erano gridati contro fino a perdere la voce, si erano sputati insulti velenosi che non avrebbero trovato il coraggio di ripetere.

Poi Harry gli aveva preso una mano e gli aveva sussurrato che sarebbe diventato un buon padre e un ottimo esempio, e gli occhi di Louis si erano illuminati di una gioia immensa.

Lo aveva fatto, Harry.

Lo aveva perdonato.

Ma certe notti i ricordi diventavano più invadenti.

“Nove anni fa mi hai promesso che saremmo stati una famiglia numerosa, e da tempo non faccio che pensare al giorno in cui ti imporranno di sposarla”.

Quando prese la parola, la sua voce fu solo un sussurro, nascosto tra le righe, ancora percepibile, un amore immenso.

“Siamo sempre stati una famiglia, Haz, e avrei fatto di tutto per mantenere quella promessa il giorno in cui sarei stato libero”.

 

Stava affogando,

Si sentiva imprigionato, sopraffatto ancora una volta, nel silenzio assoluto di quella casa impregnata di Louis.

Era sdraiato al suolo, l’acqua tutta intorno a lui, gli impediva di percepire il mondo esterno.

Un dolore acuto al centro del petto.

Aprì la bocca per respirare, ma inghiottì solo acqua scura e fredda, e il dolore si trasformò in un bruciore insopportabile.

Non riusciva a muoversi, come sarebbe potuto sopravvivere se non poteva nuotare?

Si dimenò cercando di spezzare quelle catene invisibili che lo tenevano ancorato al fondo, non era così che aveva immaginato di andarsene.

Strizzò gli occhi, i polmoni bruciavano dallo sforzo, poi nella profonda oscurità che lo sovrastava, sentì qualcuno chiamarlo, forse erano venuti a cercarlo.

Si concentrò su quello, la voce intrisa di dolore che ripeteva il suo nome ancora e ancora.

“Sono qui” avrebbe voluto dire “Sono qui, vienimi a prendere” ma temeva che parlando, l’acqua sarebbe tornata ad inondargli la gola.

Si ricordò che quando era piccolo, sua mamma gli diceva sempre che per stare a galla non doveva dimenarsi, ma lasciare che fosse l’acqua a sorreggerlo, così si lasciò andare, gli arti allargati contro il pavimento, mentre la voce continuava a sussurrare il suo nome dettando il ritmo dei respiri che non si era accorto di star rilasciando.

Solo dopo diversi minuti, quando l’acqua era scolata e lo aveva lasciato ansimante al suolo, si rese conto che Louis era ancora schiacciato contro il suo orecchio, ora silenzioso, mentre lo ascoltava recuperare la coscienza.

Improvvisamente la voce che non aveva mai smesso di cercarlo divenne un volto, quello che lo aveva sempre riportato a casa.

“Non peggiorare le cose” ansimò appena “Posso soffrire, non ascoltare te farlo, hai scelto di allontanarmi, non portarmi via il diritto di piangere da solo. Non merito di sentirmi in colpa per una decisione che non ho preso”.

Harry si ritrovò ad ascoltare i suo respiri senza avere il tempo di dirgli altro.

Nemmeno io vorrei avermi intorno, Lou.

 

*

 

Harry si era appisolato sul divano quando la vibrazione del telefono sul suo stomaco lo risvegliò.

Per un attimo, solamente uno, si permise di sperare che fosse Louis, fosse anche solo per gridargli nuovamente nelle orecchie, ma con la scusa di sentirsi un po’ più vicini.

Sullo schermo del cellulare, però, era illuminato il nome di Nick, e il senso di malessere che non lo abbandonava da giorni, tornò a pesargli sullo sterno.

Rifiutò la chiamata, come aveva fatto per tutte quelle precedenti, pur sapendo che prima o poi l’amico avrebbe preteso delle spiegazioni.

 

Una doccia, mezzo barattolo di yogurt bianco e una confezione di cioccolatini più tardi, il campanello suonò, facendo sobbalzare Harry dall’angolo del divano in cui si era nuovamente rifugiato.

Si alzò mal volentieri, senza avere il coraggio di illudersi per l’ennesima volta.

La piccola telecamera all’ingresso mostrava la nuca di un uomo dai capelli corti e il colletto colorato di una camicia, che potevano appartenere ad una persona solamente.

“Entra” si limitò a dire, aprendo il cancello con un pulsante.

 

Nick aveva la straordinaria qualità di portare un po di allegria ovunque andasse, era una delle cose che Harry apprezzava di più di lui, oltre alla capacità - maturata in anni di programmi radio - di avere sempre una risposta ad effetto pronta.

Per questo quanto, dopo giorni che non si vedevano, gli si lanciò al collo per stringerlo in un abbraccio, Harry non poté fare a meno di sorridere affondando il viso sulla sua spalla.

“Che sta succedendo, Haz?”

Gli passò le mani dietro la schiena per impedirgli di allontanarsi ed evitare di doverlo guardare negli occhi mentre parlava.

“Louis”

“Louis cosa? Avete litigato?”

Nick li conosceva ormai da anni, li aveva visti scambiarsi effusioni, aveva sopportato cene infinite in cui Harry non faceva che parlare dell’amore della sua vita, aveva dispensato abbracci quando si presentava alla sua porta, quei giorni in cui la lontananza era troppo grande da poterla sopportare da solo.

Li aveva guardati crescere l’uno tra le braccia dell’altro e li aveva ammirati e supportati, anche quei mesi di qualche anno prima, quando avrebbe fatto di tutto per poter essere guardato da quegli occhi verdi allo stesso modo in cui guardavano quelli azzurro oceano di Louis.

“No, cioè sì. L'ho mandato via”

Il maggiore si allontanò dall’abbraccio, un espressione di stupore in viso.

Prese Harry per una mano e lo condusse sul divano del salotto, notando per la prima volta i pacchi ammucchiati nel centro della stanza.

Gli passò un braccio attorno alle spalle e attese che Harry fosse pronto per raccontare ciò che gli passava per la testa.

Non fece domande, lo ascoltò solamente, mentre si sfogava e si stringeva nuovamente a lui, raccontandogli di ciò che era accaduto.

“Credi sia pazzo?” chiese alla fine.

“No, solo triste.

Capisco la tua decisione, Harry.

Capisco cosa significa non poter camminare mano nella mano con la persona che ami, o essere costretto a fingere sorrisi e divertimento quando vorresti solo poterti rintanare in una stanza buia dove nessuno ti può giudicare.

Fare Coming Out è stata la decisione più giusta della mia vita.

Eppure, non riesco a immaginarti senza di lui”

Era sincero, Nick, ed era un’altra cosa che Harry apprezzava nelle persone.

“Non so come fare”

Nick sorrise appena, poi si alzò dal divano

“Io sì. Piangerti addosso guardando le sue cose non ti aiuterà a superarla. Vatti a cambiare”

Harry lo guardò storto per qualche secondo, alla fine si alzò con un sospiro.

Non avrebbe fatto molta differenza ubriacarsi in casa o in un bar, dopotutto.

 

Nick estrasse il cellulare dalla tasca, selezionò il contatto ‘Louis Tomlinson’ con un sorriso amaro

Sono da Harry, mi ha raccontato tutto.

Se avessi voglia di una birra, sai dove trovarmi.

N.

La risposta arrivò troppo velocemente, e non fu difficile immaginare che il suo, non fosse il messaggio che stava aspettando di ricevere.

È okay, grazie.

Tienilo d’occhio.

L.

In quel momento Nick si rese conto che, non importava cosa potesse succedere, Harry avrebbe sempre amato Louis, ma Louis avrebbe sempre amato Harry più di quanto amava se stesso.

 

Uscirono dalla casa del riccio un’ora più tardi, in una Londra ormai sporca delle ombre dei lampioni.

Soho, il solito bar in cui avevano trascorso centinaia di serate a bere, ballare e cantare a squarciagola.

“Hai prenotato una saletta privata?” chiese Harry

“Non ci pensare” rispose Nick spingendolo con una mano verso gli sgabelli al bancone.

Ordinò due shot di Tequila con il limone, non ci fu nulla a cui brindare.

Harry ne chiese un altro, poi optò per un gin tonic.

Qualcuno stava suonando musica dal vivo, la chitarra acustica allacciata al collo e la voce delicata.

Harry si incantò ad ascoltarlo per qualche minuto.

“Gli offrirai da bere?”

“Non sono venuto qui per rimorchiare” rispose secco bevendo un altro sorso del suo drink.

Rimasero seduti in silenzio per un po' semplicemente guardandosi intorno tra i volti sconosciuti che riempivano il locale.

Per la prima volta Harry si sentiva estraneo a quel divertimento, lui che era fatto di musica,

che gli bastava mescolarsi tra le gente per dimenticare i pensieri opprimenti.

Non sentì niente, se non il vuoto che gli scorreva attraverso.

Poi una fan si avvicinò per una foto, Harry sorrise alla fotocamera, la ringraziò, la guardò abbracciare le sue amiche ridacchiando felice.

Si riscosse dai suoi pensieri quando qualcuno lo colpì con una gomitata.

“Perdonami, è stato un incidente, spero di non averti fatto male”

“Non preoccuparti, nulla di che” alzò lo sguardo verso il suo interlocutore e si tuffò in due occhi azzurro cielo.

Impiegò qualche secondo di troppo per capire che il ragazzo era il cantante che poco prima si stava esibendo.

“Complimenti per la performance, comunque” disse cercando di levarsi dall’imbarazzo di averlo guardato troppo a lungo.

“Se a dirmelo sei tu, non posso che sentirmi onorato. Complimenti a te, per tutto.” Rise, un po’ impacciato nel trovarsi difronte ad uno dei cantanti più famosi della sua generazione.

Harry si sciolse in un sorriso, nonostante tutto gli faceva ancora uno strano effetto essere riconosciuto ovunque andasse.

“Ho visto un amico, vado a salutarlo” si intromise Nick “Vieni, prendi il mio posto” si alzò dal suo sgabello e rivolse ad Harry un sorriso ammiccante prima di voltargli le spalle e dileguarsi nel locale, con una tale fluidità che a nessuno venne il dubbio che potesse essere solo una strategia per lasciarli soli.

Harry ordinò un drink per entrambi, come scusa per avere le mani occupate.

“Immagino tu lo sappia già, ma Harry, piacere”

“Noah, piacere mio” sollevò il bicchiere con un sorriso luminoso in viso, c’era innocenza nella sua voce, sincero entusiasmo: “Alla felicità”.

Harry lo imitò, sorridendo appena

Alla felicità.

 

Noah gli chiese della sua musica, del processo di scrittura, di dove trovasse l’ispirazione.

Parlarono del suo ultimo album e del tour in arrivo.

Lo ascoltò ammaliato per poi raccontare di sé stesso e della sua arte, un po’ intimorito di sembrare banale ai suoi occhi.

Ordinarono altro da bere, e anche se nessuno lo ripeté ad alta voce, rimase implicitamente nascosto nel piccolo spazio che li separava, il desiderio di quella felicità a cui avevano brindato.

Chiacchiere futili e risate sommesse che per un po’ fecero dimenticare ad Harry il motivo per cui fosse lì.

E quando Noah, con nonchalance gli appoggiò una mano sul braccio, il riccio era già troppo ubriaco per provarne fastidio.

Fu un rincorrersi di sguardi, un momento sospeso nel tempo, azzurro dentro verde e verde dentro azzurro.

Quando Noah si alzò e gli sorrise, ad Harry venne naturale seguirlo, la testa gli girava leggermente.

e di slancio si aggrappò al suo braccio muscoloso per non perdere l’equilibrio.

Noah lo guidò fino al bagno, lo trascinò dentro uno dei cubicoli assicurandosi di non essere visto. Harry fece a malapena in tempo a capire cosa stesse succedendo che il compagno, prendendogli il viso tra le mani, lo baciò.

Lo fece piano, con la stessa delicatezza con cui a inizio serata aveva accarezzato le corde della sua chitarra.

Gli infilò una mano nei capelli mentre con l’altra gli afferrò un fianco tirandoselo addosso.

Quando si staccò dalle sue labbra lo guardò negli occhi in cerca di un segnale, di una risposta, ma ci trovò solo le impronte delle occhiaie appena visibili sotto il velo di fondotinta.

Come si leggono i pensieri di Harry Styles?

Se è vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima, è possibile abbia un anima vuota?

 

“Ti va di venire a bere qualcosa da me, Harry?”

Harry si ritrovò ad annuire, con ancora una mezza erezione nei pantaloni, grato di non doversi accontentare del muro freddo di un bagno anonimo.

Non pensò a niente, nemmeno alla libertà tanto agognata.

 

Uscirono dall’uscita sul retro, mano nella mano, nella fredda oscurità londinese.

Harry insistette per prendere un taxi, ma Noah sostenne che i bus, di notte, nei giorni infrasettimanali sono solo per le coppie di innamorati e gli animi soli.

In uno sprazzo di lucidità, Harry si chiese come avesse fatto nel tempo di un battito di ciglia, a passare dalla prima alla seconda categoria.

Noah corse, senza mai slegare le dita dalle sue, in una Londra ormai semivuota di persone ed Harry si ritrovò a ridere, a pieni polmoni, mentre il vento gli solleticava il viso.

Salirono su un bus, piano superiore, ultima coppia di sedili, Harry aveva ancora il fiato corto per la corsa e le risate, ma Noah non gli diede nemmeno il tempo di regolarizzare il respiro, e si gettò sulle sue labbra, mentre con una mano gli accarezzava le cosce.

Harry non riuscì a ricordare l’ultima volta in cui si era sentito così trasparente, così comune.

Improvvisamente, come una pugnalata al centro del petto, ricordò di quelle notti di tanti anni prima, quando Louis ancora giovane e innocente, se lo stringeva addosso, affondando nelle sue carni e amandolo con ogni fibra del suo essere.

Scusandosi tra un gemito e un sussurro per tutte quelle piccole cose che non avrebbe mai potuto dargli, perché appartenenti ad una normalità che non era permessa loro.

Se Noah si rese conto che per qualche attimo gli occhi verdi di Harry si annebbiarono di dolore e ricordi, non lo diede a vedere.

Si limitò ad alzarsi alla fermata giusta e trascinarlo verso casa sua.

 

Percorsero a piedi solo poche decine di metri prima di sgusciare silenziosi dentro un appartamento piccolo ma confortevole.

Noah prese una bottiglia di vodka da una mensola del salotto e fece segno ad Harry di accomodarsi sul divano in pelle nera.

Bevve un lungo sorso del liquido trasparente direttamente a cavalcioni sulle ginocchia del riccio, e si impossessò nuovamente delle sue labbra.

Rimasero lì per un po’, come due adolescenti, a pomiciare e strusciarsi l’uno contro l’altro, assaporando l’attesa di un piacere più totalizzante.

Non seppe spiegare, Harry, come arrivarono a rotolarsi tra le coperte del suo letto, ma senza rendersene conto si ritrovò a fissare il corpo sotto al suo con un dolore che si allargava nel petto.

Le labbra rosse di baci, gli occhi blu lucidi di desiderio, le braccia e il petto costellati di tatuaggi di cui non conosceva il significato.

Eppure c’era qualcosa che non andava, perché non era lui, non era Louis.

Perché l’azzurro degli occhi era troppo chiaro e le labbra troppo carnose e lo spazio sul petto, tra la ‘S’ e la ‘W’ dove si concentrava sempre a lasciare il segno rosso dei suoi denti, era occupato da inchiostro nero che non lasciava spazio a nient’altro.

Entrò in lui mentre affondava il viso dentro il cuscino, perché sapeva, non sarebbe stato in grado di reggere nessuna domanda.

Assecondò i movimenti del compagno che si contorceva sotto di lui e gli arpionava le spalle, ma quello che provò fu solo il ricordo di un sentimento lontano.

Chiuse gli occhi e si ritrovò su un altro letto, tra lenzuola che profumavano di casa, mentre baciava la pelle di un uomo di cui aveva imparato a riconoscere anche il battito del cuore.

L’odore di fumo di sigaretta tra i capelli a mischiarsi con il profumo dolce della lozione per il corpo ‘Whisky & Honey’.

Percepì la solidità dei muscoli delle sue gambe, che si stringevano attorno ai suoi fianchi, la linea perfetta delle clavicole in cui era solito incastrare il viso, mentre Louis ansimava e ripeteva il suo nome con voce rotta dai gemiti.

Rivisse quei momenti, mentre stringeva gli occhi e percepiva il piacere condensarsi nel bassoventre, dentro e fuori un corpo in cui non si riconosceva.

Riportò alla luce i protagonisti di un’altra storia, fantasmi che si dissolvevano nella luce del presente, ma che si erano amati così intensamente da permettergli di percepire il ricordo di quei momenti.

Si sentì un estraneo nella sua stessa pelle,

un vagabondo alla ricerca di qualcosa – qualsiasi cosa – che lo facesse sentire pieno.

Venne pochi minuti più tardi, inarcandosi e gettando la testa all’indietro, mentre Noah lo accoglieva per l’ultima volta prima di lasciarsi andare a sua volta, ansimante, contro il materasso.

 

“Harry, va tutto bene?”

Noah era sdraiato difronte a lui, adesso. Una mano sotto la testa e l’altra occupata a percorrere i contorni del viso del riccio.

L’ombra di un sorriso gli sporcò le labbra, mentre la prepotente mancanza del grande amore della sua vita si mischiava al senso di colpa per aver macchiato del suo egocentrismo anche Noah.

“Scusa” si limitò a sussurrare senza abbassare lo sguardo.

“Cosa ti sta succedendo? Sei pentito di averlo fatto?”

Harry negò con un gesto del capo “Non è colpa tua o di quello che è successo” sospirò piano chiudendo gli occhi “Mi ero illuso di poter ritrovare me stesso in un posto nuovo, quando è così semplice capire che per ritrovarti devi cercare nell’ultimo luogo in cui ti sei abbandonato”

“E il tuo posto dov’è?”

“Non lo so. Credo di essermi allontanato un po’ troppo e aver perso la strada del ritorno e ora ci sto solo girando intorno.”

Noah lo osservò per qualche istante, aveva sbagliato prima, i suoi occhi non erano vuoti, erano pieni fino all’orlo di assenze.

“Conosci la leggenda del filo rosso del destino?”

Harry sorrise, un sorriso vero questa volta, ricordando le migliaia di occasioni in cui lui e Louis si erano raccontati quella storia. Il maggiore aveva finito per regalargli una coperta di lana finissima di un rosso acceso, sotto cui - gli aveva promesso - avrebbe sempre ritrovato il loro amore.

“È sempre stata una delle mie preferite”

“Nessuno è in grado di spezzare il filo rosso di due anime che sono destinati ad amarsi.”

 

Harry si alzò, andò in bagno a pulire i resti di quella notte e recuperò il telefono dalla tasca interna del suo cappotto.

Spalancò una finestra e si lasciò cullare dall’aria gelida della notte, mentre i bagliori biancastri della Luna gli illuminavano il viso.

Compose il numero di Louis e attese fino all’undicesimo squillo prima di riagganciare, ma trascorsero meno di cinque minuti prima di ricevere una chiamata in entrata dallo stesso numero, nonostante l’alba fosse ormai alle porte del cielo.

“Harryy” la voce strascicata, segno che anche quella notte avesse bevuto troppo.

“Louis, come stai?”

“Con che coraggio me lo chiedi?”

Decise di non replicare, non ne aveva il diritto dopotutto.

“Cosa stai facendo?”

“Niente” una pausa “Sto guardando la tv”

“Non dovresti bere così tanto”

“Non dovresti scopare con gente che non conosci”

Harry si bloccò, il cuore che batteva ad un ritmo accelerato, strizzò gli occhi per osservare l’oscurità difronte a lui.

“Come-”

“Come lo so?” rise senza allegria “Sei una superstar con la calamita per i guai, non dovresti abbandonare i locali in piena notte senza avvisare chi era con te”

Improvvisamente Harry ricordò: Nick, Nick che era preoccupato per il suo esilio temporaneo, Nick che era venuto a casa sua solo per strappargli un sorriso, Nick che probabilmente lo stava cercando da ore, e Nick, che sapeva i rischi che correva a girare ubriaco fradicio in una città come Londra.

“Era preoccupato?”

“Nick? No. Fingeva di essere passato solo a vedere come stessi. Alle due di notte. Dopo che mi aveva detto di essere passato a casa. Si è fermato a farmi compagnia, mi ha ascoltato, abbiamo bevuto qualcosa insieme.”

Harry dovette trattenere un singhiozzo quando udì la parola ‘casa’.

“Mi dispiace”

“Non me ne frega un cazzo, Harry, non stiamo più insieme, puoi fare sesso con chi ti pare.”

“Non ho mai smesso di pensare a te”

Louis rise nuovamente

“Risparmiatelo, non voglio sentire le tue scuse del cazzo”.

 

Avrebbe voluto urlare,

gridargli in faccia tutto ciò che provava,

invece di ripetere le solite storie che conoscevano a memoria.

Avrebbe voluto avere il coraggio di strapparsi il cuore e metterglielo tra le mani, senza maschere, senza mezzi termini, solo per dimostrargli che gli apparteneva.

Eppure quella notte, con la Luna che filtrava nella cucina di una casa qualunque, non trovò nemmeno il coraggio di dirgli che lo amava.

Forse consapevole di aver preso la sua scelta e non poter tornare indietro, o forse, per lasciargli un po’ della libertà che meritava, nella speranza che dopo tutto quel dolore, il sole potesse tornare a spendere nei suoi occhi blu.

 

“Sei venuto, Harry?”

“Lou, ti prego”

“Rispondimi, sei venuto?”
“Sì”

Inghiottì saliva e lacrime.

“E ti è piaciuto?”

“Non era niente più del sesso, sei l’unico con cui abbia mai fatto l’amore”

“Ricordi ancora il rumore che faceva il mio cuore quando me lo ripetevi?”

“Me lo ricordo sempre Lou, era il suono più bello al mondo”

Ancora una volta Harry si ritrovò ad ascoltare se stesso respirare da solo, si sentì stringere da due braccia forti e si lasciò cadere al suolo, abbandonato contro il petto di Noah, che gli ripeteva che sarebbe andato tutto bene.

Riuscì ad addormentarsi solo molto tempo più tardi, con in testa il ricordo, gelosamente conservato nella sua memoria, di quei battiti leggerissimi contro il suo orecchio.

 

*

 

Era l’alba di qualche giorno più tardi quando Harry lasciò casa sua con una valigia al seguito.

Aveva comprato un biglietto di sola andata per Tokyo, la città più lontana a cui era riuscito a pensare, aveva sperato che non potendo ritrovarsi, avrebbe potuto perdersi nuovamente.

 

 

12 ore di volo.

In altre circostanze avrebbero fatto di tutto per trascorrerle insieme. Quaranta mila piedi sopra il mondo, solo loro due, stretti su un divanetto a parlare e sonnecchiare, o guardando la terra ruotare fuori dai finestrini, così lontana da sembrare estranea ai loro occhi.

Uno sopra l’altro e uno addosso all’altro, sobbalzando piano ad ogni scossa del velivolo, per trovare la scusa di abbracciarsi un po’ più stretti, un po’ più a lungo.

 

Quella volta si accontentò di un volo di linea, un paio di cuffie, la lista dei film a disposizione nel catalogo, il cibo che servivano in aereo - che era pur sempre cibo da aereo - e una coperta in cui rannicchiarsi per sopperire alla mancanza di due braccia confortevoli.

Quando mise piede sulla terraferma, era mattina nuovamente, ma dalla parte opposta del mondo.

Per un attimo, un istante solamente, gli mancò il respiro, al pensiero di quanti chilometri li separavano in quel momento.

Miglia di terra che aveva attraversato in una manciata di ore, milioni di passi che avrebbe voluto percorrere per guardarlo negli occhi una volta ancora e imprimersi sulla pelle il suo profumo.

Se solo lui avesse resistito ancora,

Se solo si fosse accontentato,

Se solo Louis avesse trovato il coraggio.

Se solo, se solo, se solo.

 

In una città come Tokyo non c’era spazio per i ‘se’ e nemmeno per i rimpianti.

Fermò un Taxi, si fece portare in hotel, il tempo di una doccia per farsi scivolare addosso il fastidioso sentore di aeroporto e le ultime tracce dell’umidità londinese, e uscì nuovamente.

Con solo una felpa oversize e la macchina fotografica al collo.

 

Era già stato a Tokyo,

era già stato ovunque nel mondo.

Trascinato tra una città e l’altra durante i tour con la band, eppure quella volta sembrò viverla davvero.

Si perse tra le grandi strade e i grattacieli che riflettevano i bagliori del sole nascente, si smarrì nel traffico e nei passi di quattordici milioni di persone, camminò con il cuore, si fermò per mangiare qualcosa e poi riprese a camminare, senza meta, fermandosi di tanto in tanto per immortalare nella memoria della sua macchina fotografica un passante o uno scorcio di mondo.

A Londra era diverso, anche quando non prestava attenzione a dove stesse andando, alzando lo sguardo riusciva sempre a sentirsi a casa.

Fu insolito, perdersi volontariamente.

 

Si limitò a vagabondare per un paio di giorni, provò cibi che non aveva mai avuto il coraggio di assaggiare, uscì a bere con un amico di vecchia data che viveva lì da un po’ e visitò un museo di arte moderna.

Si sentì avvolto nel rumore e nel caos di quella metropoli e finì per estraniarsi da sé stesso. Se si fosse guardato allo specchio, forse, non avrebbe saputo riconoscersi.

 

Poi, fu come se la vacanza fosse giunta al termine.

La pausa di fittizia tranquillità si dissolse e la voragine si riaprì nel suo petto.

Era fermo difronte ad una vetrina di un negozio di abbigliamento, il manichino indossava una semplice giacca nera in jeans con un intreccio dorato sulla manica, Louis avrebbe amato indossarla nell’umida primavera di Londra, seduto ad un tavolo tondo in un pub chiassoso.

Prima che il suo cervello potesse anche solo elaborare l’idea, stava trattenendo le lacrime.

Perché non ci sarebbero più state primavere con Louis, ne estati bollenti a bere birre ghiacciate, ne inverni gelidi a coccolarsi sotto un piumone.

Perché non ci sarebbe più stato Louis ad aspettarlo a casa.

 

Entrò nel negozio e acquistò la giacca.

 

Quando il telefono vibrò per una chiamata in entrata era seduto sul piccolo balcone in vetro della sua stanza a guardare il sole tramontare dietro i grattacieli.

“Louis?”

“Ti odio”

silenzio.

“Dico, ti odio sul serio”

“Io no, non potrei”

ancora silenzio

“Harry”

“Dimmi Louis”

“Mi manchi”

Era normale sentire il cuore battere furiosamente per due parole appena sussurrate?

“Dove cazzo sei, Harry?”

“A Tokyo”

una risata secca.

“E perché sei a Tokyo?”

“Perché avevo bisogno di andare via”

Da te, avrebbe voluto dirgli, perché aveva sentito la necessità di mettere quanta più distanza possibile tra loro due, illudendosi che così facendo sarebbe stato più semplice guarire.

Louis aveva rilasciato uno sbuffo tra il divertimento e lo stupore.

“Sei ubriaco Louis?”

“Non è ancora mezzogiorno, non dire stronzate”

Se possibile la mancanza si fece ancora più acuta per qualche istante, avevano tutto il mondo in mezzo a loro.

“Dove sei?”

“Ad Amsterdam”

“E perché sei ad Amsterdam?

“Per il tuo stesso motivo, suppongo.”
Passò qualche istante, l’unica cosa percepibile furono i loro respiri che tornavano a mescolarsi dopo troppo tempo.

“E ci sei riuscito? Ad andare via?”

“No.”

No.

No perché per quanta distanza provassero a mettere in mezzo a loro, c’era e ci sarebbe sempre stato qualcosa a legarli.

No, perché il filo del destino di due anime che sono state create per stare insieme non può spezzarsi.

“Non faccio che pensare a te, Haz”

“Lo so, lo so.”

“Ti amo”.

Non gli diede modo di replicare, chiuse la chiamata prima ancora che potesse rendersi conto di cosa gli aveva detto.

 

 

Passarono giorni prima che trovasse il coraggio di salire su un altro aereo e tornare a casa.

Aveva vissuto Tokyo come uno spettatore,

si era concesso altre passeggiate, a volte sotto il sole brillante ed altre sotto il chiaro della Luna.

Aveva composto due canzoni seduto su una panchina in ferro di un giardino pubblico.

Era riuscito anche ad apprezzare il balconcino dell’Hotel, su cui aveva passato la maggior parte delle notti immerso nei libri.

Louis non si era più fatto sentire, se non per qualche sporadico insulto digitato sulla tastiera del cellulare in piena notte, ma nonostante questo Harry lo aveva trovato in ogni angolo della metropoli.

Agli incroci sulle strisce pedonali, in una scia sfocata alla stazione della metro, nella pioggia leggera che oscurava il cielo, nei negozi di vinili, al bancone di bar vecchio stile.

Lo aveva accompagnato ovunque andasse, e allora perdersi era stato impossibile.

Era sempre stato lui, era sempre stato lì.

 

Ed è allora che aveva capito che andarsene – o permettere che lui se ne andasse – non avrebbe mai portato a niente, perché erano fatti per ritrovarsi sempre.

 

Tornare a Londra fu come prendere una boccata d’aria fresca, Tokyo lo aveva visto vuoto, spezzato, spento, lo aveva cullato nel rumore del traffico incessante e nel profumo del tea speziato, ma quando il profumo della terra bagnata del vialetto di casa sua gli riempì le narici, si sentì cambiato e si sentì al sicuro.

 

Quella pace appagante nel quale era scivolato però, durò solo il tempo di spalancare la porta di casa.

Il centro del salotto era libero e vuoto, e gli oggetti personali di Louis erano spariti.

 

“Har-”

“Vaffanculo Louis”

Era evidente che il compagno non si aspettava quella reazione perché rimase in silenzio.

“Quando sei stato qui?”

ancora nessuna risposta.

“Le tue cose Lou, non ci sono più”

“Non lo so, non me lo ricordo, mi servivano dei vestiti”

“Perché l’hai fatto? Perché sei venuto quando non c’ero?”

Aveva il respiro affannoso, si lasciò cadere scompostamente sul divano.

Glielo aveva detto lui stesso che possedeva talmente tanti vestiti che non avrebbe avuto bisogno di altro.

“È stata anche casa mia, non devo chiederti il cazzo di permesso per venire a prendere le mie cose!”

“Potevi aspettarmi”

Louis non rispose.

Come lo spieghi quando il soffio del suo respiro sembra farti tremare anche l’anima?

“Mi servivano”

“E allora torna qui, non importa per cosa, portati via quello che vuoi.

Ti ho preso un regalo a Tokyo, puoi venire per quello.

Oppure vieni a prenderti altro.

Puoi venire anche senza motivo,

basta che torni.”

“Tu sei un motivo, ma ci faremmo male di nuovo.”

“Fingiamo che per una notte non abbia importanza.”

 

E allora Louis era tornato.

Lo aveva fermato sulla porta di casa, perché non era riuscito ad attendere oltre.

Gli occhi azzurro oceano, i capelli in disordine, i tatuaggi al loro posto; quando gli circondò la vita con le braccia, si incrociarono a metà strada per un bacio e percepì il suo profumo che non era mai cambiato, rise di sé stesso per aver creduto che l’odore della terra bagnata fosse casa.

“Sembra sia passato un secolo dall’ultima volta” gli sussurrò in un orecchio.

Louis lo allontanò spingendogli le mani sul petto.

“Smettila, non sono qui per questo”

Harry lo invitò ad entrare, gli fece segno di accomodarsi sul divano e versò due bicchieri di whiskey.

“Niente di quello che posso dire potrà rimediare alle mie azioni, ma mi dispiace, di averti cacciato in quel modo, pensavo che allontanandomi da te sarei stato in grado di trovare un modo per essere me stesso e sentirmi libero.”

“Ma?”

“Ma mi sono reso conto che è ridicolo, che non esiste un modo per essere liberi, perché indossiamo costantemente una maschera, e allora se devo passare il resto dei miei giorni fingendo di essere qualcosa che non sono, voglio almeno che sia con te.”

“Due ore fa mi hai mandato a cagare e ora mi stai chiedendo di sposarti?”

“No Louis” e ringraziò chiunque fosse il Dio che li guardava dall’alto, di aver fatto di Louis la persona più straordinariamente forte e meravigliosamente coraggiosa che avesse mai conosciuto. “No, non ti sto chiedendo di sposarmi, non così. Ti sto solo dicendo che ho sbagliato. E me ne rendo conto, e una notte non basterà a rimediare a ciò che è successo, ma che voglio provarci, ed è perfetto, sei perfetto, qualsiasi cosa deciderai di dire ai media sulla tua sessualità”.

Louis si limitò a baciarlo ancora, più a fondo di prima, imprimendosi il suo sapore sulle labbra, reggendosi alle sue spalle come se fossero l’unica ancora che lo separavano dalla profondità del mare.

 

Fu come ritrovarsi.

Tutto fu naturale, umano, vivo.

Come aprire il tuo libro preferito e accarezzare le parole che conosci a memoria, sfogliare quelle pagine che conservano i segni dei tuoi passaggi e si sono adattate alla tua presenza.

E quelle parti che ogni volta ti emozionano,

quella parola che sa di passato, di ricordi.

 

Si mescolarono nel sudore, nei respiri spezzati contro la carne bollente, nei battiti di due cuori che sembravano uno solo.

Si unirono,

bocche, animi e sessi.

Louis lo accolse cingendogli la vita con le gambe e permettendogli di posare il capo nella curva del suo collo.

Ed Harry si prese cura di lui,

di quel libro di cui conosceva ogni dettaglio, ma del quale non riusciva a fare a meno.

 

 

“Mi dispiace Louis”

“Per cosa?”

Avevano recuperato il controllo, ma giacevano ancora uno addosso all’altro sul letto sfatto.

“Per averti ferito”

Un'alzata di spalle “Non importa”

“Sì invece, a me importa, non potrò mai perdonarmi ciò che ho fatto”
“Ti ho ferito anche io”

Harry lo aveva guardato, confuso

“Vorrei avere lo stesso coraggio che hai tu”

Si sollevò di slancio provocando nel compagno un grugnito infastidito in risposta.

“Non dirlo, non ci provare. Non funzionerà la tattica dell’auto commiserazione con me. Sei coraggioso, forte, intelligente.

Uscire allo scoperto non è solo questione di coraggio.”

Louis sembrò soppesare le sue parole.

“Perché non me lo hai detto? Che volevi fare coming out come coppia?”

“L’ho voluto Louis, ci sono volte in cui non vorrei niente di più che camminare mano nella mano, e baciarti difronte a migliaia di occhi, e gridare al mondo quanto ti amo.”

“E allora perché non mi hai chiesto di farlo?”

“Perché lo avresti fatto per me”

Negli occhi blu del maggiore sembrò passare un velo di consapevolezza.

“Non è per me che lo devi fare, è per te stesso”

Louis lo guardò, gli occhi gli si velarono di lacrime, ed Harry senza dire una parola gli strinse una mano tra le sue.

“Non sono pronto, non ancora”

“Lo so, va bene così, devi saperlo tu, quando te la senti. E se non te la senti non ha importanza, purché tu sia felice”.

 

Erano rimasti sdraiati a letto a coccolarsi per un po’ poi Louis aveva ricominciato a parlare:
“È come se a volte ci fosse un'ombra che coprisse ogni spiraglio di luce”

“E hai paura?”

“Alcune volte, ho avuto paura quando mi hai cacciato di casa.”
“Lou-”

“No, ho capito, smetti di ripetere che ti dispiace, ha fatto male anche a te”

“Ma non ti ho lasciato nemmeno il tempo di decidere”

“Lo so, e mi servirà del tempo per dimenticarlo, ma poi sei tornato”
“Non sarei mai dovuto andarmene, non trovare un modo per giustificarmi”

“Non sto cercando di giustificarti, Harry, sto cercando di capire chi siamo”

“Harry e Louis. Quello non è mai cambiato. Però più forti.

Ci sarà sempre quell’ombra, e a volte sarà così grande da farti tremare le ginocchia, altre ti lascerà vedere quanto brilla il sole.”
“E cosa fai quando tutto è buio?”

“Non è mai buio, ci sei sempre stato tu a illuminare, e io sono stato così stupido da mandarti via”

Louis aveva posato il capo sul suo petto e con il battito cadenzato del cuore del più piccolo si era addormentato.

Harry era rimasto a fissarlo per un po’

avrebbero faticato a saldare le crepe, e forse alcune sarebbero state visibili per sempre, ma erano cambiati e finalmente erano insieme.

 

“Mi darai un’altra possibilità? Per far funzionare le cose?” Louis non gli rispose, si limitò a sorridergli e baciargli un angolo della bocca.

 

Non aveva portato via niente quando era andato via, il mattino dopo, aveva preso la giacca che Harry gli aveva regalato, se l’era rigirata tra le mani fissandola incantato.

“Grazie” poi con un sorriso l’aveva allungata in mezzo ai loro corpi “Puoi posarla nell’armadio per me? Sono di fretta”.

 

 

 

   
 
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