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Autore: marea_lunare    20/06/2020    3 recensioni
"John salì le scale e varcò la soglia dell’appartamento, inciampando sulle buste che Sherlock aveva malamente abbandonato lì in mezzo e cadendo rovinosamente a terra.
Il detective si affacciò dalla cucina allarmato, lanciando poi uno sguardo interrogativo al compagno steso a terra.
“John, tutto bene?”
Il dottore alzò la testa di scatto, fulminandolo con gli occhi.
L’altro abbozzò un sorriso, tendendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi e accorgendosi solo in quel momento che il pavimento era disseminato di libri.
“Oh, per l’amor di Dio, John” disse chinandosi per prenderne uno “Ne avete comprati altri?”
“E con questo? Sai quanto a me e Rosie piaccia leggere” rispose l’altro, accucciato a terra per raccogliere quelli rimasti.
“Sì John, ma di questo passo dovremo prendere in affitto un appartamento solo per i vostri libri” "
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Di come un libro, a volte, riesca a leggerci nell'anima più profondamente di quanto potremmo mai aspettarci.
Genere: Angst, Comico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: Le citazioni che vedrete in corsivo e grassetto, sono CITAZIONI prese direttamente dal libro di Carlos Ruiz Zafón, per cui NON le ho scritte di mio pugno. 


“Brrr, che freddo!” esclamò Rosie, entrando di corsa dal portone e sbattendo i piedi a terra nel vano tentativo di scaldarsi.

La signora Hudson aprì la porta del suo appartamento, affacciandosi.

“Oh Cielo cari, come vi è venuto in mente di uscire con questo tempo?” domandò, andando a togliere immediatamente il giubbetto alla bambina.

“Sherlock!” gridò John in fondo alle scale “Puoi venire ad aiutarmi?”

Un sonoro sbuffo si udì dall’appartamento di sopra, seguito da dei passi decisi.

“John, perché mi fai questo?” disse il detective, comparendo sull’arco della porta.

“Smettila di fare la prima donna e scendi ad aiutarmi, queste buste iniziano a pesare”

Senza evitare un altro sbuffo, Sherlock scese le scale e prese due sacchetti dalle mani del dottore, sentendosi immediatamente tirare verso il pavimento.

“John, sei davvero sicuro di non aver nascosto un cadavere qui dentro?” chiese sarcastico.

“Sicurissimo. Mi dispiace, non ho proprio pensato a un regalo per te” rispose John, non riuscendo a nascondere un sorriso.

“Papà, posso prendere il tè dalla signora Hudson?” gli chiese la figlia.

“Mi ha anche preparato i biscotti al cioccolato” aggiunse poco dopo, facendo gli occhi dolci al padre ancor prima di avere una risposta.

John rise e scosse la testa rassegnato.

“Va bene, ma non mangiarne troppi che poi ti viene il mal di pancia come al solito”

Lei batté le mani emozionata, fiondandosi nell’appartamento dell’anziana governante.

 

John salì le scale e varcò la soglia dell’appartamento, inciampando sulle buste che Sherlock aveva malamente abbandonato lì in mezzo e cadendo rovinosamente a terra.

Il detective si affacciò dalla cucina allarmato, lanciando poi uno sguardo interrogativo al compagno steso a terra.

“John, tutto bene?”

Il dottore alzò la testa di scatto, fulminandolo con gli occhi.

L’altro abbozzò un sorriso, tendendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi e accorgendosi solo in quel momento che il pavimento era disseminato di libri.

“Oh, per l’amor di Dio, John” disse chinandosi per prenderne uno “Ne avete comprati altri?”

“E con questo? Sai quanto a me e Rosie piaccia leggere” rispose l’altro, accucciato a terra per raccogliere quelli rimasti.

“Sì John, ma di questo passo dovremo prendere in affitto un appartamento solo per i vostri libri”

Il compagno stava per rispondergli quando Rosie arrivò di corsa dalle scale, gettandosi addosso al padre per recuperare i suoi amati libri.

“Guarda zio Sherlock!” esclamò tutta eccitata, passandoli in mano al detective.

Sherlock li guardò scettico, alzando un sopracciglio.

John, che stava sistemando i suoi nella libreria, si girò brevemente nella sua direzione, lanciandogli un’occhiataccia molto eloquente.

Fingiti interessato”

“Sono molto...carini” rispose lui con un sorriso tirato mentre leggeva i titoli che gli fecero accapponare la pelle: “Polly il Polpo Scaccia Incubi”, “Fred il Dinosauro Felice”, “La Scimmia che Imparò a Fare Amicizia”.

Sherlock guardò il compagno con un’occhiata altrettanto eloquente.

Come puoi far leggere libri del genere a tua figlia? Dovrei denunciarti a Scotland Yard

John sospirò alzando le mani, mostrandogli tre dita della mano sinistra e cinque della destra.

Ha 8 anni, Sherlock. Cosa pretendi?”

Il detective si arrese riconsegnando i libri alla bambina, che immediatamente si affrettò verso la sua camera.

“Te ne sei perso uno” disse poco dopo Sherlock, accorgendosi di un tomo finito sotto la sua poltrona.

Si inginocchiò e lo prese, leggendo a voce alta il titolo.

“L’Ombra del Vento. È uno dei tuoi romanzi rosa?”

“Ma quali romanzi rosa!” sbottò John strappandoglielo dalle mani.

Sherlock si alzò in piedi, guardando più attentamente il libro.

“Carlos Ruiz Zafòn...”

“Lo conosci?” chiese John dandogli le spalle.

“L’ho sentito nominare. So che la sua narrativa è molto rinomata e che le sue descrizioni hanno un tocco cinematografico. Questo è il suo maggior successo” rispose indicando il libro con un cenno del capo.

John assentì, fissando il padre e il figlio che si tenevano per mano sulla copertina.

“Papà, ho fame! Prepariamo la cena?”

 

***

 

Sherlock stava lavorando al suo PC da ormai più di un’ora quando John si sedette sulla sua poltrona tenendo in mano “L’Ombra del Vento” e Rosie gli si mise accanto, prendendo una sedia dalla cucina.

Cullati dal crepitare del fuoco nel camino e il rumore delle dita di Sherlock sulla tastiera, si misero a leggere. Non appena John giunse a metà della prima pagina, i suoi muscoli si irrigidirono.

“Subito dopo la guerra civile, il colera si era portato via mia madre. L’avevamo sepolta a Montjuïc, sotto una pioggia battente, il giorno in cui compivo quattro anni. Ricordo che quando domandai a mio padre se il cielo piangeva gli mancò la voce”

Quei ricordi bruciavano ancora come una ferita coperta di sale.

Si chiese se Rosie gli avrebbe domandato la stessa cosa se, alla morte di sua madre, non fosse stata solo una neonata.

La piccola si girò piano verso di lui.

“Papà, stai male? Il libro è brutto?”

Sherlock lanciò un’occhiata verso di loro, giusto per accertarsi che non fosse accaduto nulla.

“Sì tesoro, sto bene. Non preoccuparti” sorrise il dottore, accarezzandole i capelli e inspirando profondamente.

Rosie sorrise di rimando, accoccolandoglisi più vicino e scorrendo con lo sguardo la pagina che stava leggendo suo padre.

“Da….bambino...prima…” iniziò.

John la guardò, intenerito nel vederla sforzarsi così per leggere.

“Aspetta, voglio leggerlo io questo pezzo” disse convinta la bambina, sedendosi sulle gambe del padre e ostruendogli la vista del libro.

“Rosie, non credo che...”

“Sh” lo zittì lei.

Il dottore non poté far altro che ridere. A volte quella bambina gli ricordava davvero Sherlock.

Per venti minuti buoni, Rosie fissò attentamente quelle righe, cercando di riuscire a comporre le frasi per intero nella sua testa.

Alla fine inspirò profondamente e, con convinzione, lesse a voce alta: “Da bambino, prima di addormentarmi raccontavo a mia madre come era andata la giornata e quello che avevo imparato a scuola. Non potevo udire la sua voce né essere sfiorato dalle sue carezze, ma la luce e il calore del suo ricordo riscaldavano ogni angolo della casa e io, con la fede di chi conta ancora gli anni sulle dita delle mani, credevo che se avessi chiuso gli occhi e le avessi parlato, lei mi avrebbe ascoltato, ovunque si trovasse”

John si sentì gelare il sangue.

Sherlock rimase con le mani a mezz’aria, qualche millimetro sopra i tasti del computer.

Rosie si agitò sulle gambe del padre, orgogliosa di essere riuscita nel suo intento.

“Sentito come sono stata brava?” disse, voltandosi verso l’uomo.

Quando si girò però, John stava guardando in alto.

Le lacrime gli riempivano gli occhi.

Sentire quelle parole uscire dalla bocca di sua figlia era stato un colpo al cuore.

“Papà… Cos’hai?”

“Rosie, credo che sia ora di andare a nanna. Dai un bacio a papà e auguragli la buonanotte” disse Sherlock, alzandosi repentinamente dalla sedia e tendendo le mani verso la bimba per prenderla in braccio.

“Ma è ancora presto...” pigolò la piccola per protesta.

“Fa’ la brava, Rosie. Papà è stanco, ha bisogno di riposare. E anche tu” rispose il detective, toccandole il naso con la punta dell’indice.

Lei chinò il capo, dispiaciuta.

“Psst”

Rosie tornò a guardare lo zio.

“Se non dormi, come farò ad incartare da solo i regali di Natale domattina?” bisbigliò il detective facendole l’occhiolino.

Per un momento, gli occhi di lei sembrarono brillare di gioia.

Gettò le braccia al collo di Sherlock, stringendolo così forte da togliergli quasi il fiato.

Una volta tornata a terra, saltò sulla sedia e stampò un bacio sulla guancia del padre, gridandogli “Buonanotte!” e correndo in camera sua.

Il detective rimase per qualche secondo in piedi di fronte al compagno, cercando di capire cosa fare.

John abbassò finalmente lo sguardo, incrociando gli occhi dell’altro.

Non nascose nemmeno una briciola del suo dolore. Come avrebbe potuto? Sherlock sapeva leggerlo fin troppo bene.

Si fissarono per qualche istante, finché Sherlock non gli poggiò una mano sulla spalla e si chinò a baciargli la fronte.

“Ci penso io a Rosie” disse, uscendo dal salotto e raggiungendo la bambina in camera.

Il dottore rimase interdetto, lo sguardo fisso sulle fiamme del camino.

Non sapeva cosa provare. Dolore? Rabbia? Frustrazione? Senso di colpa per il calore che quel bacio aveva creato nel suo petto? Non lo sapeva.

Si passò una mano sul viso, cercando di calmare il tremore alle mani.

Eppure, in mezzo a quel silenzio così assordante, quasi opprimente, riuscì a sentire la domanda di Rosie.

“Zio Sherlock, credi che se anche io raccontassi alla mamma come è andata la mia giornata e cosa ho imparato a scuola, lei mi sentirebbe?”

John non vide mai come Sherlock strinse i denti, mordendosi la lingua per non urlare.

Guardò la figlioccia negli occhi e le accarezzò la guancia.

“Certamente. Lei ti sentirebbe ovunque”

E in quel momento, le lacrime trovarono una via d’uscita sul viso di John.

“A volte mio padre mi sentiva dal soggiorno e piangeva di nascosto”

 

***

Un paio d’ore dopo anche John se ne andò a letto, lasciando Sherlock da solo col suo lavoro.

Come ogni notte da ormai anni, nonostante cercasse di fargli compagnia il più possibile.

Sempre lui, da solo, con sé stesso. I suoi pensieri e i suoi sentimenti. Quel dannato difetto chimico della parte che perde.

Lanciò un’ occhiata al libro abbandonato da John sulla poltrona, osservandolo.

In un riflesso condizionato, il detective si alzò e lo prese delicatamente tra le mani.

Sfogliò le prime pagine, ritrovando il pezzo che Rosie aveva letto poco prima.

Sfiorò delicatamente quelle parole, come se potesse in qualche modo riuscire a curare quelle ferite, quel dolore che ancora pungeva come tanti aghi piantati sottopelle.

Indietreggiò di qualche passo e si sedette sulla sua poltrona nera, iniziando a scorrere frase dopo frase.

Inizialmente lo fece con noncuranza, spinto solo da una punta di curiosità. Eppure, piano piano, le parole iniziarono a trasformarsi davanti ai suoi occhi, diventando vere e proprie immagini.

Venne catapultato con violenza in mezzo alle ramblas barcellonesi, perdendosi in quella prosa che a volte sembrava avere qualcosa di magico, soprannaturale.

Si perse completamente e, per quella notte, cambiò vita.

All’alba, solo quando il fuoco nel camino era ormai spento e la luce del sole penetrò fioca dalla finestra, Sherlock si accorse di aver appena letto l’ultima pagina.

L’ennesima notte in bianco.

Eppure, questa non aveva il sapore amaro tipico di tutte le notti che trascorreva in balia di se stesso.

Neanche per un minuto, quella notte, era rimasto solo.

Chiuse il libro e lo appoggiò di nuovo sulla poltrona di John, alzandosi e dirigendosi in cucina a preparare la colazione per tutti e tre.

 

 

“Un giorno sentii dire da un cliente della libreria che poche cose impressionano un lettore quanto il primo libro capace di toccargli davvero il cuore. L’eco di parole che crediamo dimenticate ci accompagna per tutta la vita ed erige nella nostra memoria un palazzo al quale – non importa quanti libri leggeremo, quanti mondi scopriremo, quante cose apprenderemo o dimenticheremo – prima o poi faremo ritorno. Per me, quel libro sarà sempre il romanzo che avevo salvato dagli oscuri corridoi del Cimitero dei Libri Dimenticati”


















Note dell'autrice: 
Ciao a tutti. Compaio a quest'ora barbina, un po' all'improvviso perché sentivo di doverlo fare. Carlos Ruiz Zafón è il mio autore preferito. Lessi "L'Ombra del Vento" per la prima volta quando avevo circa 14 anni e, da quel giorno, mi è rimasto sempre nel cuore. Stamattina ho ricevuto la notizia della morte di Zafón. Non so se sia stata una reazione normale o meno, ma mi sono ritrovata a piangere come se fosse stato un mio amico, nonostante non abbia mai, sfortunatamente, avuto l'occasione di incontrarlo. Avrei voluto pubblicare questa storia entro mezzanotte, così da pubblicarla il giorno stesso della sua morte, ma ho sforato di 40 minuti, come mio solito. In ogni caso, sentivo di doverlo fare. Sentivo di dovergli dedicare qualcosa, perché è l'unico modo in cui posso esprimere la mia gratitudine nei suoi confronti. Ho trovato disarmante il modo in cui, almeno nella mia testa, alcune delle parti del romanzo coincidessero perfettamente con la storia che avevo in mente, facendomi capire per l'ennesima volta quanto questo libro mi conosca più nel profondo di quanto io possa immaginare. 
Spero che questo pezzetto del mio cuoricino possa darvi la stessa gioia che ha dato a me nello scriverla. 
L'ho pubblicata di getto, neanche la mia beta l'ha letta. Ma sentivo di doverlo fare. 
Un abbraccio e buona lettura <3 

 

   
 
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