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Autore: Cress Morlet    02/07/2020    9 recensioni
Prequel di “Just us together”
[Ben/Rey] AU Modern
Il suo era un atteggiamento da codarda. Riconosceva la stretta al suo ventre. Era un bollente dolore di spilli che strappava il suo respiro ad ondate. C’era una parte delle sua mente che era cosciente di ciò che avrebbe dovuto fare e che avrebbe voluto gridarle di alzarsi. Che non era una tragedia e che rimanere ferma ai piedi del letto a far finta di nulla non avrebbe cambiato la situazione.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Rey
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Lust for life Attenzione!
Si consiglia di aver precedentemente letto Falling and lonely (Miracle) per una maggiore comprensione della storia. Queste vicende avvengono all’incirca un mese dopo rispetto alla fine di quella OneShot. Il seguito invece è Just us together. Si avverte che vengono trattate, anche se in maniera blanda, tematiche delicate. Buona lettura!





Una serata perfetta – ecco che cosa stava cercando di organizzare.
Una serata bellissima e memorabile da trascorrere insieme al suo ragazzo.
Una serata sensazionale.
Da due settimane cercava in maniera ossessiva di intrecciare ogni cosa nella maniera più giusta. Non avrebbe sbagliato nulla e niente sarebbe andato storto. Non era possibile.
Una serata senza alcun tipo di errore sciocco – il mantra che continuava a ripetersi e che riusciva a stento a separarla da una crisi di nervi.
Non era possibile sbagliare.
Sono in grado di organizzare almeno una serata bella e piacevole. Posso farcela.
Con agitazione stese sul letto la biancheria intima che aveva deciso di comprare soltanto pochi giorni prima. Un chiodo di insicurezza spezzava ogni suo gesto e ogni suo pensiero.
Sarà troppo o troppo poco?
Aveva deciso di spendere una cifra molto consistente del suo stipendio e si era sentita in colpa nel momento esatto in cui aveva visto la commessa impacchettarle il suo acquisto e sorriderle cordiale.
Ho speso troppo.
Domande pratiche e realistiche avevano stretto la sua nuca con un filo spinato di dubbi e tardivi scrupoli.
Come riuscirò a sopravvivere decentemente fino alla fine del mese? Cosa ho fatto? Sono diventata una stupida ragazzina incosciente? Perché ho fatto una follia simile? Ho dei grilli nel cervello o dei droidi che mi rotolano fuori dalle orecchie insieme a della sabbia sporca?
Una volta raggiunto il suo appartamento si era chiusa in bagno e aveva indossato il completo in fretta e furia. Aveva sospirato spazientita e aveva maledetto la sua idiozia – stropicciandosi gli occhi lucidi e poi la fronte e poi le tempie.
Si era avvicinata con un’espressione adirata allo specchio e si era costretta a guardarsi in maniera clinica e senza tentennare. Aveva stretto le mani in due pugni forti e aveva alzato il mento. Non era bella e non aveva molte curve. Inutile illudersi del contrario. Il suo seno era piccolo ed era patetico cercare di mostrarsi diversamente. Si era toccata il ventre piatto e definito dalle tante ore trascorse in palestra e aveva pensato che non fosse male. Una misera parte di se stessa era rimasta soddisfatta dal suo riflesso e aveva smesso di sentirsi in colpa. Mentre un’altra parte più insicura e infantile aveva continuato a domandarsi cosa avrebbe mai potuto pensarne Ben. Gli piacerò?
Aveva toccato la sua immagine allo specchio e aveva piegato il collo verso destra. Le sue gambe erano toniche ma forse lo erano troppo. I suoi fianchi erano di dimensione normale e non grandi, accoglienti. Doveva depilarsi o non si sarebbe sentita a proprio agio.
Cosa altro avrebbe dovuto fare per essere pronta? Come poteva prepararsi?
La sua mano era scivolata via dallo specchio fino al lavandino e lo scontro con il lavabo l’aveva costretta a distogliere lo sguardo e a stringersi le dita con l’altra mano. Si era sentita sola non appena si era resa conto che non aveva nessuno a cui chiedere aiuto.
Poteva parlarne con Finn? O con Poe?
No. Non poteva. Come chiedere aiuto ai suoi amici che disapprovavano con tanta acredine la sua relazione?
Poteva rivolgersi a Rose? No. Rose era troppo impegnata a pensare ad Armitage e non era giusto frastornarla con i suoi stupidi piagnistei.
Si era seduta sul bordo della vasca non appena aveva compreso quanto sarebbe apparsa ridicola rispetto alle altre donne. Talmente tanto incapace.
Era logorante pensare al possibile confronto con le altre ragazze di Ben. Era controproducente e dannoso.
Avrà avuto tantissime avventure ed io gli sembrerò una bambina. Non avevo neanche mai baciato nessuno prima di lui. Mi sento talmente tanto patetica.
Le aveva confidato di non aver mai avuto una relazione stabile ma questo non significava non avere nessuna esperienza. Il pensiero attorcigliava le sue viscere e bruciava nel suo addome. Era ingiusto essere gelosa di un tempo in cui nemmeno si conoscevano. Era naturale che Ben avesse avuto un passato ed era anche estremamente logico. Nella sua testa si era costretta a ripetersi questi discorsi come una lezione impossibile da dimenticare. Si era ostinata a cancellare ogni traccia della sua irrazionalità e ad ottenere una consapevolezza che potesse convincere gli spasmi del suo corpo a placarsi. Il nodo alla pancia e alla bocca dello stomaco non avevano il diritto di esistere ed era convinta che sarebbero scomparsi in poco tempo. Lo sperava con ogni granello di se stessa.
Ma erano trascorse due settimane e le sembrava di non essersi mai sollevata dal bordo della vasca o forse di essere ancora ferma sul ciglio di una strada sperduta.
Non pensarci. Non devi pensarci.
Accarezzò con più fermezza la biancheria che aveva steso sul letto e altre domande indegne di lei ricominciarono a intristirla ticchettando contro la sua fronte.
Perché assomiglio ancora ad un topolino del deserto? Tutta ossa di fuori e volto scavato. Non ho un seno prosperoso o gambe slanciate. Non ho fianchi morbidi e meno spigolosi. Ben non riuscirà neanche a dirmi che non gli piaccio perché è sempre troppo buono e gentile con me.
Fece due passi indietro e si costrinse a respirare. Un ennesimo dolore acuto alla pancia strozzò il suo respiro e la costrinse a fermarsi barcollando.
Non posso fermarmi. Ho poco tempo.
Aprì il cassetto del suo comodino e prese fra le mani le poche candele di fragranze diverse che era riuscita a comprare.
Quali candele erano adatte per una serata perfetta? Hanno anche dei nomi strani.
Le soppesò tra le dita e le avvicinò al suo naso. Sembravano identiche.
Non siamo in uno scadente film rosa del sabato sera. Non sono un’adolescente che vive in un mondo di fate e arcobaleni. Che cosa mi è saltato in mente?
Ributtò le candele nel cassetto e lo richiuse con un po’ troppa forza.
Sto sbagliando ogni singola cosa.
Una nuova stretta alla pancia la costrinse a sedersi sul letto. L’unica scelta giusta era stato il completo intimo e non ne era neanche certa.
I dubbi che ho sul mio corpo adesso devono tacere e cessare di esistere. Non ho più tempo e sono stanca.
Le candele erano state un cedimento che aveva avuto all’ultimo secondo. Un errore che avrebbe potuto evitare insieme a tanti altri.
E invece sbaglio sempre e non imparo mai. Avevano ragione gli istruttori dell’orfanotrofio. Sono un essere inutile.
La stretta alla pancia divenne insostenibile e Rey piegò il suo corpo con la fronte posata sulle sue ginocchia.
Un pugno allo stomaco e al cuore era in grado di ridurla ad una pallida immagine di se stessa. Scioglieva la sua resistenza. Da quando era diventata tanto debole?
Sono sempre stata forte e non ho mai avuto bisogno di nessuno. Perché sono tanto spaventata? Perché ho questi dubbi che sono come dei tarli assassini nella mia testa? Vorrei riuscire a strapparmeli via a mani nude. È soltanto del sesso, devo rilassarmi.
Sbatté le palpebre e osservò le sue pantofole. Forse avrebbe dovuto comprare delle pantofole più carine.
Le calze alla fine sono riuscita a comprarle? Forse no. Come ho fatto a non pensarci? Me ne sono davvero dimenticata? Non sono in grado di creare una serata perfetta. È troppo tardi. E cosa posso fare adesso? Chiamarlo e dirgli di non presentarsi più a casa mia perché la serata è saltata a causa di calze non pervenute?
Si voltò verso il comodino alla ricerca del cellulare e ovviamente non lo trovò.
Oppure dirgli cosa? Che sono spaventata e con mille insicurezze sciocche e con un costante dolore alla pancia che non vuole andarsene in alcun modo?
Il suo era un atteggiamento da codarda. Riconosceva la stretta al suo ventre. Era un bollente dolore di spilli che strappava il suo respiro a ondate. C’era una parte delle sua mente che era cosciente di ciò che avrebbe dovuto fare e che avrebbe voluto gridarle di alzarsi. Che non era una tragedia e che rimanere ferma ai piedi del letto a far finta di nulla non avrebbe cambiato la situazione.
Ma come era possibile?
La sua vista si appannò e la sua testa la obbligò a smettere di fingere.
Fermati e renditi conto della verità.
La fronte bruciava e le sue guance erano accaldate. Tratteneva a stento un groppo di lacrime alla base della gola.
Come è possibile? Perché?
Il suo corpo aveva scelto di ribellarsi.


***********


Le sue mani non tremavano più.
Soltanto le punte delle dita si allungavano e piegavano in degli scatti nervosi. La sua schiena era un filo di cenere pronto a dissiparsi in una nuvola di fumo mentre la sua pancia si contraeva senza concederle un respiro completo. I palmi posati sopra il suo ventre non avevano il potere di aggiustare il suo dolore e di placare le contrazioni. I suoi piedi battevano in maniera sconnessa contro il pavimento senza seguire un ritmo preciso.
L’universo ha deciso di ridere di me.
Si era cambiata. Ormai non aveva più senso sperare in un miracolo. Indossava una tuta grigia e delle pantofole mezze rotte. Da dieci minuti osservava il soffitto del suo soggiorno e non aveva intenzione di scoprire in quale parte della casa aveva abbandonato il suo cellulare.
È tardi. Ben ormai sarà già in macchina e non voglio disturbarlo con una mia telefonata. Dovrò dirglielo di persona.
Il suo intero corpo aveva deciso di ribellarsi contro di lei – o forse aveva scelto di umiliarla oppure di divertirsi con le sue speranze.
Sono sempre stata una ragazzina stupida con dei sogni stupidi. Dovrei smettere di vivere nell’attesa di qualcosa di bello. Non accade mai nulla di bello alle persone come me. È impossibile.
Con un braccio piegato si bendò gli occhi e bofonchiò delle soffocate lamentele contro il collo della sua maglietta. Formulava costantemente dei pensieri di cui si pentiva poco dopo. Una parte di se stessa riconosceva che era irrispettoso credere di essere l’unica persona al mondo a cui capitavano sventure e imprevisti tragicomici. Non era giusto sputare e calpestare i bei ricordi che aveva creato insieme ai suoi amici che erano diventati la sua nuova famiglia. Insieme a Ben.
Sussurrò il suo nome e con le palpebre chiuse vide lentamente il suo volto formarsi e i dettagli dei suoi occhi e delle sue labbra. Percepì il calore della sua risata nel petto e i crampi al ventre crebbero di intensità.
La sua vita era un miracolo da quando aveva conosciuto Ben – il suo nome era una scintilla alle costole e un arricciarsi alle dita dei piedi.
Lui era l’unica eccezione nella sua esistenza sfregiata da delusioni e da aspettative infrante. Non aveva potuto imbottigliare i suoi sentimenti e non era riuscita a nasconderli in nessun angolo della sua mente. Lei si era innamorata di Ben. Lei amava Ben. Lo amava più di se stessa e non era mai riuscita a dirglielo. Ogni tentativo era stato un fallimento – un disastro ogni volta che ci aveva provato.
Gli interminabili istanti in cui aveva sentito il suo cuore scalpitare in gola e nascondersi sotto la sua lingua. Le parole che erano sempre rimaste bloccate dai suoi denti e dal suo palato. Miliardi di sorrisi con cui aveva cercato di celare la sua vigliaccheria e i milioni di respiri sommessi con cui aveva cercato di raccattare coriandoli di coraggio. Non era mai riuscita a vincere le sue paure. Ogni sforzo si era trasformato in una sconfitta logorante.
Cosa potrei fare?
Aveva scoperto di essere delusa dalla sua incapacità di esprimersi e dal suo carattere introverso.
Non posso dimostrargli concretamente quanto lo amo? Non riesco a spiegarglielo con le parole. Posso riuscirci con le azioni. Posso riuscire almeno in questo. Io devo agire e non posso sbagliare.
Una scossa di adrenalina le aveva attraversato le ossa e un germoglio di speranza si era radicato intorno al suo sterno e alla bocca del suo stomaco.
Posso farcela, giusto?
E invece no. Aveva sbagliato di nuovo e il suo fallimento dimostrava che non era in grado neanche di organizzare una serata romantica. Il suo intestino era divorato dalla frustrazione e dall’infelicità. La sua testa era martoriata dalla consapevolezza di non essere abbastanza e di non aver mai fatto abbastanza per un’altra persona.
Ben ha detto di amarmi.
Sdraiati sul divano a giocare e a ridere. Lei aveva scoperto che Ben non sopportava il solletico e aveva iniziato a stuzzicarlo. Non aveva smesso di torturarlo fino a quando non aveva implorato pietà.
Così grande e così forte avrebbe potuto vincere subito contro di me. E invece no. Invece ha lasciato che io mi stendessi sopra il suo corpo e gli solleticassi il collo e la pancia. Ha giocato con me e mi ha stretta al suo petto senza smettere di ridere con le lacrime all’angolo degli occhi.
Gli aveva detto che era necessario immortalare una vittoria del genere. Si era sporta ad afferrare il cellulare sul tavolino e impostando la telecamera interna gli aveva baciato la guancia mentre i suoi capelli neri erano rimasti tutti in disordine a solleticarle la fronte. Le guance rosse di entrambi e sorrisi sulle loro bocche. Aveva scattato la fotografia ad occhi chiusi e lui aveva mormorato due parole contro la sua tempia sudata. Ti amo.
Rey si morse il labbro e raccolse le mani sotto le sue cosce. Il dolore alla sua pancia era poco sopportabile. Era certa che ci fosse anche un miscuglio di acuto pentimento e di delusione verso se stessa.
Io non sono riuscita a rispondergli. Non gli ho detto di amarlo. Come ho potuto essere talmente tanto stupida?
Le rispose la sua mente con un’improvvisa immagine a tradimento. Fu una pugnalata al cuore.
Unkar Plutt che cercava di sbottonarle i jeans con una mano e che le palpeggiava il seno con l’altra. Il sangue ghiaccio liquido nelle sue vene fino a quando le sue dita non avevano sfiorato l’estremità di un tubo che aveva utilizzato come arma. Lo aveva colpito alla testa con tutte le sue forze ed era fuggita dall’orfanotrofio insieme a Finn, in piena notte.
Aveva soltanto quindici anni.
Fuggita dall’orfanotrofio e dal suo passato e da un’altra Rey che aveva sperato non esistesse più. Quella notte aveva promesso a se stessa che non avrebbe permesso a nessun'altra persona di avvicinarsi a lei.
Esporsi era soltanto pericoloso.
Unkar Plutt, direttore del suo orfanotrofio, avrebbe dovuto essere l’uomo adulto in grado di proteggerla dal male. Non avrebbe dovuto essere lui stesso il male da cui scappare.
Il suono del citofono ebbe il potere di trasportarla nuovamente nella realtà. Si sollevò dai cuscini e dalla coperta con uno scatto deciso. Provava una sensazione elettrica simile ad una nuova corrente d’ansia che vibrava tra le giunture delle sue ossa. Non sapeva come avrebbe potuto sradicare i tentacoli della paura che continuavano ad attorcigliarsi ai suoi polpacci e a scorticare con le dita ogni sua paranoia. Sembrava impossibile.
Corse ad aprire il portone del suo palazzo e nell’agitazione si incise i palmi con le unghie. Ma il formicolio alle sue mani era blando e sopportabile. Non aveva la stessa consistenza dei pugni e dei calci che una volta era stata costretta a sopportare. E non aveva la stessa potenza distruttrice del pensiero di non vivere la sua vita insieme a Ben. Dei graffi erano soltanto delle impronte sbiadite sulla pelle.


***********


Non gli diede il tempo di salutarla o di dire qualsiasi parola. Ben entrò in salotto e Rey corse ad abbracciarlo – ad aggrapparsi al suo collo e a baciarlo con le mani intrecciate ai corti capelli della sua nuca.
Lo sentì sorridere sulle sue labbra e poi sulla sua guancia, sul suo orecchio e sulla sua fronte. Ben respirò profondamente e un brivido corrose i suoi nervi. Casa. Finalmente era a casa.
Erano aggrappati l'uno all'altra e sapeva che non era abbastanza e che non lo sarebbe stato mai.
Non riuscì ad evitare di provare una sensazione stordente di affogare nell'aria, di calpestare un dettaglio di un giorno ordinario che sarebbe stato meglio dimenticare.
Ben era un uragano di sensazioni che strisciava sotto la sua pelle e premeva contro i suoi muscoli e i suoi tendini.
Era sempre un’emozione impossibile da controllare e non riusciva a non esserne sopraffatta. Sfiorare il suo corpo e legarsi a lui. Gettare all’aria ogni pensiero razionale semplicemente grazie alla sua risata e ai suoi sussurri contro il suo lobo sinistro. Avrebbe desiderato bloccare il tempo. Rimanere tra le sue braccia e dimenticare il susseguirsi dei suoi continui errori. Non pensare. Essere serena. Smettere di domandarsi cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Smettere di chiedersi come avrebbe dovuto comportarsi.
“Devo darti una brutta notizia.”
Soltanto a causa della debolezza del suo corpo l’unica scelta possibile era dirglielo subito. Rivelargli la verità senza neanche dargli il tempo di parlare e sperare di non sbagliare ancora.
“Ben. La nostra serata è saltata.”
Rey premette la fronte contro il suo petto e gli baciò il collo. La consapevolezza molesta di sbagliare ogni cosa non riusciva a sopprimerla e doveva essersi impigliata tra i tendini delle sue braccia. Ben cercava il suo sguardo mentre gli stringeva la schiena. Ma non poteva dirglielo guardandolo negli occhi e allora continuò a parlargli con il viso nascosto.
“Mi dispiace che tu abbia attraversato mezza città a causa mia. Mi dispiace tantissimo.”
Era devastata perché la situazione era sfuggita al suo controllo. Rey aveva perso. Aveva perso mesi prima e se ne era resa conto soltanto nelle ore confuse del pomeriggio appena passato. Era stata sconfitta nell’esatto momento in cui lo aveva incontrato e dentro il suo corpo era cresciuto un sentimento troppo grande da contenere e da bloccare sul nascere. Aveva deciso di trasferirsi in un continente diverso pur di tagliare le radici infette che l’avevano imprigionata per dieci anni. Era stata costretta ad andarsene e il suo unico pensiero – la sua unica preoccupazione – era stato sopravvivere. Lei non aveva mai previsto di innamorarsi.
“Dimmi cosa hai. Mi stai facendo preoccupare. Ti senti male? È successo qualcosa di grave?”
Ben sciolse con delicatezza le braccia che cingevano la sua schiena e spostò i capelli che le celavano il volto – accarezzando la fronte e la tempia sinistra.
Non gli rispose subito. Osservò un gioco sottile di vene pulsare su una porzione delle sue spalle che era stata lasciata nuda dallo scollo della maglietta. Un incastro bellissimo su cui lei amava riposare. Lo sfiorò con la punta delle dita.
“Sei arrabbiato?”
Lui scosse la testa e abbassò il capo verso il suo.
“Sono preoccupato. Sei pallida e hai gli occhi lucidi. Hai la febbre? Per questo non vuoi mangiare al tuo ristorante preferito? So che ci tenevi a salutare la tua amica Rose.”
Perché avrebbero dovuto mangiare al suo ristorante preferito?
“Non mi sono spiegata bene. La nostra serata è saltata. Non possiamo perché sono in quel periodo del mese. Proprio quel periodo del mese. Il tempismo è tragico e me ne rendo conto da sola. Mi dispiace tantissimo.”
Pensò che Ben avrebbe condiviso il suo dispiacere e la sua frustrazione. Nella sua testa lo vide scuotere il capo e dirle che anche lui aveva immaginato la serata che avrebbero dovuto trascorrere e che la aveva attesa tanto. Che la amava e che desiderava fare l’amore con lei. Certo che voleva fare l’amore con lei. Che più di ogni altra cosa al mondo voleva essere dentro di lei. Che era bellissima e che l’avrebbe attesa sempre.
Ben l’avrebbe stretta forte e lei si sarebbe sentita accettata. Si sarebbe sentita rispettata e desiderata.
Stupida ragazzina con sogni stupidi. Non aveva ancora imparato a non illudersi.
Scosse il capo e vide la realtà.
Lui stava sorridendo e le stava dicendo che avrebbe cucinato qualcosa di caldo. Le stava chiedendo se avesse già preso le medicine e se avesse bisogno di altro. Nelle sue orecchie era tutto ovattato.
Devo comprarti qualcosa in farmacia? Manca qualcosa in casa? Perché non ti sdrai sul divano e non pensi soltanto a riposare?
Tante domande a cui non prestava attenzione e a cui rispondeva a monosillabi. Ben la strinse e le diede un bacio sulla fronte.
Un bacio sulla fronte.
Nel suo cuore crebbe un palloncino di infelicità e allora comprese di odiarsi.
Non aveva mai smesso di essere una bambina ingrata.


***********


Era rilassante osservare Ben cucinare. Si era accoccolata su una sedia della cucina e aveva posato il mento sulle ginocchia, stringendosi le gambe con le braccia. Lui preparava la cena e parlava della sua giornata voltandosi a guardarla con un sorriso accennato. Cercava un dialogo che in quel momento lei non era in grado di offrirgli. Annuiva e seguiva il movimento delle sue mani, il modo in cui il suo corpo si muoveva nello spazio. Era molto bello. Era affascinante – il suo primo pensiero la prima volta che lo aveva incontrato.
Era troppo bello ed era irraggiungibile per una ragazza-nessuno come lei. Lo aveva compreso subito che Ben proveniva da un mondo molto diverso dal suo. La certezza le aveva invaso lo stomaco il giorno in cui aveva sollevato la testa all’indietro pur di riuscire a parlargli guardandolo negli occhi. Come era possibile essere notati da una persona simile?
“A cosa stai pensando?”
Penso di aver avuto sempre ragione e che tu mi abbandonerai come tutti gli altri.
“Stavo ricordando la prima volta che ti ho visto.”
Lo vide sorridere e riempire una pentola d’acqua. Sembrava rilassato – non come lei, non con l’intestino arrotolato e morso da denti aguzzi e grondanti veleno.
Strinse i pugni di riflesso e non trattenne la sua lingua.
“La prima volta che ti ho incontrato tu non mi hai vista. Lo sapevi?”
Non osservò la sua reazione e volse il capo verso le venature del tavolo.
“Rey, certo che ti ho vista. Sei entrata in palestra e ti ho sentita subito. Hai attraversato la porta ed io mi ero già voltato verso di te.”
“Ed è così che sei diventato mio?”
“Io penso di essere sempre stato tuo.”
Non è vero. Non lo sei neanche adesso.
“È stato pochi giorni prima. Eri nel parcheggio della palestra e camminavi sotto la pioggia senza curarti di coprirti. Io aspettavo Poe e ti ho visto arrivare. Sembravi triste e avrei voluto parlarti. Ma tu non ti eri accorto di me e non volevo disturbarti. Ero soltanto un’estranea e anche tu eri un estraneo per me. Ma ti ho visto e ho pensato che eri bello e che avrei voluto conoscerti. C’era qualcosa nel modo in cui non ti curavi della pioggia e del mondo intorno a te... qualcosa che mi ha subito ricordato me stessa e che mi ha fatto pensare che fossimo simili.”
Diglielo. Diglielo che lo ami anche tu. Digli che lo ami talmente tanto che sei spaventata. Non è complicato. Diglielo.
O forse era complicato. Forse era normale nella sua vita sentirsi inadeguata e con la costante sensazione di non essere mai abbastanza e di non avere nulla da offrire. C’era una crudele certezza nella sua anima che mormorava indecenze al suo orecchio.
Ben scomparirà. Ben ti abbandonerà. Sarai nuovamente sola e senza speranze. Tu sarai sempre sola e non amata. Sei spazzatura gettata sul ciglio di una strada. Sei una ragazzina che è stata trattata da tutti come se fosse niente.
La verità era un’atroce crudeltà da cui era abituata a fuggire. Aveva trascorso anni ad aspettare il ritorno dei suoi genitori. Era sempre stata molto brava a illudersi e a inventarsi nuove realtà in cui raggomitolarsi.
Sono troppo confusa.
Chiuse gli occhi e strinse le palpebre con le unghie. Delle macchioline blu si sformarono e raggrumarono davanti alla sua vista e allora si stropicciò le ciglia. Il freddo si impadronì della base della sua schiena con uno schianto improvviso. Come se avessero negato qualcosa alla sua volontà. Come se avessero strappato un organo dal suo corpo senza alcun riguardo e con una sadica attenzione – che ti faccia male, Rey, e che possa ricordarti la tua solitudine in ogni momento della giornata.
Ben si avvicinò e si inginocchiò davanti alla sua sedia. Le accarezzò le cosce e si fermò ai suoi fianchi. Era talmente tanto immersa nei suoi pensieri logoranti che si perse ad osservare il modo in cui i suoi polpastrelli strofinavano la maglietta del suo pigiama. La pelle di Ben era sempre calda ed elettrica. Amava il suo calore.
“Vuoi che me ne vada?”
La sua domanda turbò il groviglio delle sue elucubrazioni e scosse un punto oscuro della sua anima. Sollevò il capo come una molla arrugginita e si perse nel suo sguardo adombrato.
“Vuoi andartene?”
Perché vuoi andartene?
“No. Ma mi sembri stanca e infelice. Se tu vuoi riposare e la mia presenza non ti aiuta io posso andarmene. Devi solo dirmelo.”
Si accorse che si era dimenticata di respirare dal bruciore ai polmoni e dalla secchezza alla gola. La sua voce sarebbe stata simile al suono strozzato di un pulcino bagnato. Una dolorosa pressione cinse la sua fronte corrucciata e le vene delle sue tempie.
Diglielo.
Ti amo.
Diglielo adesso.
“Non voglio che tu te ne vada.”
Ti amo tanto.
“Sei sicura? Non ti ho mai vista tanto stanca e mi stai facendo preoccupare. Perché mi sembra che tu sia arrabbiata con me?”
Era una cerca-rottami. Lo era sempre stata. La sua sopravvivenza era legata alla stilla di avidità che non era mai riuscita ad abbandonare. Nella sua vita aveva dovuto scavare e raccattare. Aveva dovuto rubare e poi nascondere ogni cosa. Non le era mai stato concesso di fermarsi e aveva sempre preteso di più.
Di più, di più. Sempre di più.
Aveva costretto il mondo a concederle tutte le opportunità che i suoi genitori avevano scelto di negarle. Nessuno aveva mai pensato di prendersi cura di lei. Molti avevano cercato di sopraffarla e di usarla.
I suoi amici erano stati gli unici a non abbandonarla e non era stato abbastanza. Una parte di lei aveva sempre bramato di più.
Poi aveva incontrato Ben.
Era stato dolce il modo in cui si era annidato sotto la sua pelle. Ed era stato naturale arrendersi alla certezza di amarlo – senza agonia e tormenti.
Ben l’aveva avvolta con un'ondata lancinante di felicità e lei invece si stava dimostrando un’ingrata.
Non avrebbe mai voluto dipendere tanto da un’altra persona. Non aveva mai desiderato un legame di una tale insana intensità. Il suo passato avrebbe dovuto almeno insegnarle una lezione importante e non sembrava esserci riuscito.
Nessuno rimane. Se ne vanno via tutti.
Quindi è così? Sono ancora la stessa bambina avara dell’orfanotrofio? Non sono cresciuta? In cosa sto trasformando la mia vita? Sto distruggendo l’unica cosa bella che mi sia mai capitata?
Ridusse in polvere una fastidiosa tensione che stava corrodendo i suoi muscoli e si schiarì la gola occlusa da dei granelli di sabbia grezza.
“Non mi sento male. Solamente... non riesco a capire come tu riesca a non essere seccato.”
“Cosa?”
La sua espressione stupita e dispiaciuta colpì nuovamente il suo intestino a morsi. Una macchia di rimpianto avvolse i suoi polmoni e generò un senso di soffocamento. La sua bocca si mosse e non scaturì alcun suono. Credeva avrebbe balbettato qualcosa e invece neanche una parola era riuscita ad articolare.
Ho diciannove anni. Perché non sono ancora cresciuta?
“Rey. Perché dovrei essere seccato?”
Glielo chiese con un sorriso sulle labbra e una risata nella voce. Il suo atteggiamento rilassato riuscì a scavare un tormento ancora più profondo nel suo petto. Ferite tagliate con il sale e croste punte da aghi incandescenti. Forse era un dolore troppo radicato nel cuore – non poteva essere estirpato senza uccidere il suo stesso corpo.
Non sto capendo. Non gli interessa minimamente del fallimento della nostra serata? Non gli dispiace? Neanche un po'?
Domande su domande corrucciarono la sua fronte e dubbi insidiosi imbronciarono le sue labbra. Ben dovette rendersi conto della profondità della sua infelicità nel momento in cui il sorriso gli morì sul viso. Senza smettere di osservarla si avvicinò ad abbracciarla – ad avvolgerla meglio tra le sue braccia.
Era ancora in ginocchio. Una mano era sulla sua nuca e l’altra intorno alle sue spalle. Lei mosse il naso contro il suo collo e gli strinse i fianchi con le braccia. Le sue dita si erano aggrappate alla sua maglietta e gli accarezzavano la base della schiena. Con una mano aperta risalì dalla sua vita al centro delle scapole e poi nascose il volto tra i suoi capelli e il collo.
Erano legati in maniera talmente forte che uno dei due si lasciò scappare un gemito di dolore. Ma non comprese chi e non aveva neanche importanza.
Voglio essere coraggiosa. Voglio dirti ogni cosa e raccontarti anche le esperienze che avrei voluto dimenticare per sempre. Voglio condividere tutto con te.
“Rey. Parlami.”
Una sfumatura di seria preoccupazione arrochiva il suo tono di voce. Ebbe il potere di spaventarla e di farla boccheggiare come una sciocca. Nel modo in cui la osservava c’era un'attenzione che riusciva a farle tremare le gambe come se fossero di stupida gelatina. Qualcosa di tanto forte da scaldarle il petto e da annebbiarle la mente. Nel modo in cui la sfiorava c’era una venerazione che era in grado di bruciare la sua pelle di fragile cartapesta. Intorpidiva paure che nascondeva anche a se stessa e scioglieva ogni suo tormento. Un fiotto di coscienza raggiunse la superficie dei suoi pensieri e vinse tutte le difese che aveva provato a costruire.
“Avevo preparato tutto. Avevo sistemato la stanza e avevo comprato un bel completo intimo. Avevo comprato anche delle candele di vari colori e profumi. Ho cercato in ogni modo di creare una serata perfetta e poi il mio corpo ha deciso di non collaborare con me. Te lo giuro. È in anticipo di cinque giorni. Come può essere in anticipo di cinque giorni? Io non capisco. E non capisco come tu riesca a non essere seccato. Non ti dispiace? Tu non volevi? O non mi vuoi in quel senso?”
L’espressione di Ben era confusa e stordita. Sembrava non riuscisse a comprendere le sue parole e tutto il suo discorso. La sua bocca assunse una strana smorfia di sconcerto che lei avrebbe voluto dissipare via con le punte delle dita e poi con un bacio. Le strinse le braccia a livello del gomito e nel movimento impacciato la sua fronte sfiorò il suo mento. Avrebbe voluto soltanto abbracciarlo ancora più forte e non aver mai detto nulla.
Perché aveva riversato fuori ogni cosa?
“Un completo intimo.”
La sua voce strozzata era una moltitudine di farfalle blu dentro di lei. Sfrigolavano nel suo stomaco e si acquietavano con carezze e solletichi leggeri nel suo petto.
“Sì, un completo intimo per la nostra serata.”
Ed era anche un completo carino.
“Un completo intimo per la nostra serata.”
Perché aveva un’espressione stupita?
“Di sesso. La nostra serata di sesso.”
Ma non ci aveva mai pensato? Neanche un momento? Forse era stato sollevato. Era così poco desiderabile? O non voleva perché era una ragazzina priva di esperienza?
Ben sembrava sul punto di parlare o di domandarle qualcos’altro, ma Rey bloccò ogni suo possibile discorso. Si rese conto che tutto il suo corpo tremava a causa dell’adrenalina. I suoi nervi cedettero e non trattenne più il flusso delle sue paure e delle sue speranze. Non ci riuscì più.
“Lo so. Non ho esperienza e può essere pesante dovermi spiegare come muovermi e sicuramente anche poco eccitante.”
“Rey.”
“Ho immaginato tante possibili spiegazioni. Ogni giorno tu sei buono e gentile con me, come oggi. Nessuno nella mia vita ha mai pensato di aiutarmi o di prendersi cura di me, anche soltanto per un secondo. Tu mi hai preparato la cena e mi hai anche proposto di preparami la borsa dell’acqua calda e sei stato tutto il tempo preoccupato. E intanto io cosa facevo? Ero felice perché il mio ragazzo dimostrava di amarmi tanto? No. Nella mia testa c’erano soltanto domande stupide. Perché Ben non è dispiaciuto? Perché Ben non è seccato da questo imprevisto? Non sono abbastanza? Ho pensato che forse non sai come dirmi che non sei abituato con una ragazza vergine. Sarai stato con ragazze molto più esperte di me. Ed è scontato, va bene. O forse non ti piaccio fisicamente? C’è qualcosa del mio corpo che non ti piace? Non capisco. Ti ho detto che la serata era saltata e tu non hai detto nulla. Neanche una parola. Non lo volevi anche tu? Io non capisco e mi sento un’ingrata. In realtà io sono un’ingrata. E mentre parlo mi sento ogni secondo più stupida, ma io ci tenevo. Non riesco mai a dirti quanto ti amo e allora desideravo dimostrartelo. Ecco perché era importante. Quale altro modo ho per dimostrarti che ti amo?”
Non avrebbe pianto. Sapeva che sarebbe riuscita a non piangere. Un costante raschiare di un groppo di lacrime nella sua gola non avrebbe schiacciato la sua volontà. Era soltanto una bambina il giorno in cui il direttore del suo orfanotrofio aveva deciso di percuotere il suo viso con un duro colpo di mano – e poi la sua pancia e poi le sue gambe.
Era riuscita a non piangere e a non muovere un muscolo. Non avrebbe pianto adesso. Non avrebbe pianto mai.
Ogni mattina mi sveglio e penso che anche Ben potrebbe abbandonarmi come tutti gli altri. Quando comprenderà che io non sono abbastanza? Lo sanno tutti. Un giorno si volterà a guardarmi e capirà che io non sono una persona amabile. Ma quando? Quando? Sarò costretta a vivere tutta la mia vita nell’attesa dell’inevitabile? Si renderà conto di ciò che sono, se ne rendono conto sempre tutti. Capirà che non sono importante nella sua vita e che può gettarmi via come spazzatura. Proprio come i miei genitori. Buttata fuori dalla macchina con la forza.
Il cuore uscì dalle sue costole e scomparve ai suoi piedi. Che stupida.
Nella nebbia dei suoi tormenti un pensiero vinse contro il rigurgito di tutti gli altri.
Ben e i miei genitori non sono la stessa persona. Ben è diverso.
Le sue pupille bruciavano e lei non avrebbe pianto.
Ben non si comporterà come i miei genitori. Ben non mi abbandonerà sul ciglio di una strada. Ben mi ama.
Senza rendersene conto le sue mani si erano strette a pugno e si erano aggrappate allo scollo della sua maglietta. Sciolse la presa ed ebbe il doloroso istinto di abbassare lo sguardo. Lui continuava ad osservare ogni suo movimento e si mordeva il labbro inferiore lasciandolo andare poco dopo.
Ben mi ama. Lui ama me. Lo sento.
Lo vide sistemarsi a disagio sulle sue ginocchia ancora posate sul pavimento del suo appartamento e muoversi ancora più vicino – sempre più incurante dell’ostacolo della sedia.
Sul suo volto si susseguirono milioni di emozioni e non riuscì a coglierle tutte. Erano sfuggenti e incostanti. Le sue labbra erano solleticate dal suo respiro e dalle sue parole.
“Non hai bisogno di dimostrarmi con il sesso che mi ami. Non hai bisogno di dimostrarmi nulla.”
Era ferito. Avrebbe voluto rimediare e rimangiarsi ogni cosa. Esprimersi meglio. Essere una persona migliore.
“Non mi sono spiegata bene.”
Lui posò la fronte contro il suo petto. Nel punto in cui avrebbe dovuto esserci il cuore. E lei gli toccò i capelli – senza pensarci e con un gesto impalpabile.
“È colpa mia. Mi dispiace essere stato vago e aver sbagliato. Una parte molto forte di me non voleva essere completamente sincera. In realtà non vorrei neanche adesso. Non volevo deludere le tue aspettative e mi vergognavo.”
Il suo sospiro pesante le colpì il seno. Una rassegnazione senza speranza che incise il suo addome con un colpo di spada incandescente.
Ben e i miei genitori non sono la stessa persona. Non sono la stessa persona. Non lo sono. Ben mi ama.
Gli strinse le spalle e prese la sua mano scaldandosi il palmo e le dita. Lui sorrise tristemente e rise in maniera soffocata nell’osservare il modo in cui aveva intrecciato le mani d’istinto.
Non sono la stessa persona.
“È molto imbarazzante doverlo ammettere ad alta voce.”
Lui sorrideva ancora e scuoteva la testa mordendosi le labbra. Avrebbe voluto bloccare ogni cosa e baciarlo.
Ben mi ama.
Non voleva vederlo agitato e sofferente.
Ben ama me.
“Va bene se non vuoi dirmelo. Posso aspettare.”
Lei sapeva ogni cosa sull’aspettare. Aveva aspettato anni il ritorno dei suoi genitori. Era brava ad aspettare.
Ma Ben non smetteva di guardarla e non abbassava lo sguardo.
Come posso aver dubitato tanto? Avrei soltanto dovuto guardarlo negli occhi e avrei capito. Sono davvero una stupida.
Rey rispose al suo sorriso triste e sfiorò la radice del suo naso e le sue sopracciglia e la fronte. Si sporse a baciarlo ma Ben parlò contro le sue labbra.
“Rey. Non ci sono mai state altre ragazze. In nessun senso. Mai. Tu sei la prima in tutto.”
Non ebbe il tempo di ripetersi le sue parole nella mente e di intenderle. Lui si sollevò da terra e camminò verso la cucina – con la schiena contratta e le spalle incurvate.
Avrebbe voluto alzarsi anche lei e raggiungerlo. Strattonarlo e stringerlo come prima. Baciargli la nuca e farlo sorridere. Dirgli che lo amava da impazzire e chiedergli perdono.
Perché è tanto triste? Perché pensa di deludermi? Perché non ridiamo insieme della nostra idiozia?
L’impulso di sbattere la testa contro il muro e urlare al mondo la sua stupidità era sempre più incalzante.
Come aveva potuto essere tanto egocentrica? E perché Ben credeva di deluderla con la verità?
Non gli ho mai chiesto nulla del suo passato. Mi sono sepolta nelle mie sicurezze e non gli ho dato modo di raccontarmi nulla. Pensavo di sapere tutto e invece non sapevo assolutamente niente. Sono stata superficiale.
Erano stati entrambi troppo spaventati.
Lasciò la sedia e fece un passo verso di lui. La sua pancia era indolenzita e allora incrociò le braccia intorno al suo ventre.
Doveva parlargli.
“Ben Solo, guardami.”
Doveva farsi ascoltare.
“Penso che la cena si sarà raffreddata.”
Un’altra scarica di adrenalina attraversò la sua colonna vertebrale e le ossa delle sue costole. Altri due passi e si ritrovò di nuovo a sfiorargli la schiena e a respirargli sulla nuca. Gli toccò il polso e il dorso della mano con cui si reggeva allo stipite della porta. Era elettrico.
“Ben Solo, devi guardarmi e ascoltarmi.”
Era brava ad aspettare. Rimase ferma ad attendere una sua parola o un suo gesto.
Era troppo brava ad aspettare.
Ticchettò con le dita il suo polso – dolce come lacrime di pioggia.
Lui rilassò le sue spalle e Rey tornò a respirare. Sgusciò sotto le braccia di Ben e si posizionò davanti al suo viso. Un rumore assordante confluì violento nel suo petto e nelle sue orecchie.
Si poteva piangere di felicità?
Gorgogliava roboante tra i palmi delle sue mani e fluiva tra le sue guance e le sue ciglia. Lui aveva degli occhi bellissimi.
“Ti amo, Ben. Va bene?”
Stupidi entrambi.
Gli prese il cuore e gli baciò il labbro superiore. Sospirò di piacere sulla sua bocca e si mosse con affanno.
Ogni volta non bastava mai. Il tocco delle sue labbra e il sapore della sua bocca, il cozzare dei denti di entrambi e il pizzicore nella sua gola. Non bastava mai.
Il suo calore e la sua elettricità erano in grado di annebbiarle i sensi.
Lui era in ogni parte di lei – oltre la pelle e il sangue.
Penso si possa piangere di felicità.
Non aveva previsto di innamorarsi. Non aveva neanche mai pensato di poter innamorarsi e di poter essere riamata in egual misura.
Penso di avere le guance bagnate e non voglio sapere il motivo.
“Possiamo imparare insieme. Possiamo compiere ogni nuovo passo insieme. Siamo io e te, insieme. Questa è la cosa più importante. Perché dovresti deludermi? E perché dovresti vergognarti?”
Credevo che spesso tu mi scivolassi via. Mi sembrava di non essere capace di trattenerti vicino a me. Che ti sgretolassi ad ogni mio tocco e che sparissi dalle mie mani ogni volta che pensavo di averti vicino. Adesso riesco a rendermi conto che sono stata io. Sono stata io a non riuscire a vederti. Che stupida che sono stata. Perdonami.
Ben aveva le labbra gonfie e gli occhi lucidi come i suoi. Gli fece una smorfia strana per fargli capire che non era triste e lui scosse la testa di lato e sembrò sospirare di sollievo. Sentiva il suo cuore battere in maniera impazzita sotto il suo palmo. Era come averlo tra l’angolo delle sue linee spezzate e delle sue vene. Un filo rosso che nessuna lama era in grado di logorare e di strappare.
“Tu come hai potuto pensare che non mi piacessi? Io non avevo neanche capito quale era il tuo progetto per questa sera. Pensavo dovessimo andare al tuo ristorante preferito. Scusami. Perdonami, sono stato uno stupido.”
Sono io che mi sgretolo.
“Sono stata stupida anche io. Dobbiamo smetterla di avere tanta paura. Io ti amo. Tu mi ami. Non è un miracolo?”
La domanda lo scosse. Forse se lo era domandato anche lui. Forse anche la sua mente si era arrovellata a chiedersi come potesse esistere un miracolo del genere. Forse ancora non ci credeva del tutto.
Digli ancora che lo ami. Diglielo sempre. Non farglielo dimenticare mai.
Lo disse.
Perché non glielo aveva detto subito?
Lo disse ancora.
Chi tremava di più?
Lo disse piano e le parole si scomposero in miliardi di bellissime possibilità.
Ben sorrideva ad occhi chiusi.
“Tu sei un miracolo, Rey. Mi rendi talmente tanto felice.”
Si rese conto che non avrebbe mai potuto amare un’altra persona nella sua vita con la stessa intensità con cui amava lui. Era l’uomo migliore che avesse mai incontrato. Era imperfetto e combatteva i suoi demoni con un coraggio che ammirava.
La sua coscienza non rinnegava le ombre di Ben – erano tante e lei le amava tutte.
Anche nella sua anima esisteva del grigio e non ne era spaventata. Erano insieme e nulla avrebbe potuto spaventarla.
Lui curava tutti i suoi brutti ricordi e desiderava il suo bene al di sopra di ogni altra cosa.
Ben mi ama.
Avrebbe posato la guancia contro il suo petto e si sarebbe nascosta sotto la sua pelle. Gli avrebbe raccontato tutto del suo passato e gli avrebbe chiesto di essere stretta talmente forte da avere i lividi alle ossa. Non era giusto dimenticare la bambina che era stata e che avrebbe sempre scalciato i sassi sul selciato. Non avrebbe inventato nei suoi sogni un passato meno doloroso. La consapevolezza di essere amata acquietava il bruciore delle vecchie cicatrici e sfumava il colore oscuro delle vicende passate – ed era un altro miracolo che non avrebbe mai pensato di assaporare dentro il suo corpo.
Avrebbe dovuto soltanto credere.
Soltanto in questo modo avrebbe trovato dinanzi a sé l’appartenenza che aveva sempre cercato.





Angolo autrice.
Please, non lanciatemi pomodori. Questa storia era pronta da molto tempo e in questi giorni ho avuto il coraggio di revisionarla e di pubblicarla. Ben non è il protagonista assoluto come nelle storie precedenti ma desideravo scrivere una storia dal Pov di Rey ed analizzare il suo passato e mi sono trovata a parlare, anche se ancora in maniera blanda, di tematiche delicate. Tematiche che dovranno essere approfondite in altre storie sempre legate a questo ciclo AU. Spero vi sia piaciuta! Doveva essere una commedia (cosa succede se il ciclo decide di presentarsi proprio la serata in cui si decide di voler fare sesso con il proprio fidanzato?) e poi non so cosa sia successo. Fatemi sapere cosa ne pensate, per favore. Inoltre: il tema di Rey che vuole sedurre Ben con nuova biancheria è un must delle fanfiction Reylo (e la sua gelosia), quindi mi sono ispirata a varie storie, ma soprattutto a “Hit me with your best Shot” di SageMcMae. Moltissimo alla lontana, ma da questa autrice è nata l’ispirazione per questo mio lavoro.
A presto! 
   
 
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