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Autore: lightvmischief    17/07/2020    0 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 34

KAYLA

Siamo fradici.

La pioggia persistente ha ora lasciato il posto ad una pioggerella intermittente, accompagnata da una brezza gelida che sta mettendo a dura prova la nostra salute, fisica e mentale.

Abbiamo corso, corso e corso ancora. Da circa un’ora abbiamo ricominciato a camminare ma siamo esausti, causa anche del continuo stress a cui la nostra mente è sottoposta.

Tengo ancora per il braccio Elyse, anche se le prime ore del mattino stanno portando una timida luce con sè, non mi fido ancora a lasciarla andare. Margaret è tra Elyse e Calum, che praticamente le fanno da scudo in caso di attacco laterale, mentre io lo faccio ad Elyse.

Voglio fermarmi più di ogni altra cosa. Cambiarmi in qualcosa di asciutto e caldo, riposare, prendere qualche boccone, magari progettare anche un piano secondo il quale muoverci e decidere la nostra strategia, altrimenti continueremo a camminare a vuoto.

Vorrei tanto avere qualche indizio su dove cercare. Stiamo andando alla cieca, ma le chance di trovare Mali, Wayne e Johanna diminuiscono ogni ora di più; una volta raggiunto un qualsiasi centro abitato ci saranno troppi luoghi dove dover cercare e dovremmo dividerci tutti quanti per poter rendere possibile la ricerca e non possiamo permetterci di farlo. Sempre detto che stiamo andando nella direzione giusta.

È tutto così complicato. Più ci penso e più la testa mi scoppia.

E poi c’è Blaine. Lui ed Elyse erano decisamente più di semplici amici; so che quest’ultima tiene molto a lui e che sta soffrendo per la loro divisione improvvisa più di quanto dà a vedere. Trovare tutti quanti sarebbe un vero e proprio miracolo. Ma sono pronta a  fare tutto ciò che in mio potere per farlo; almeno ho un obiettivo da raggiungere e la mente occupata. Non so se sarò mai pronta per affrontare i miei traumi e per ora mi va più che bene ignorarli, perchè sono terrorizzata al solo pensiero di dove mi possa portare la mia testa tornando nei suoi luoghi più oscuri.

«Dammi lo zaino,» esordisce con voce rauca ma decisa Elyse, interrompendo bruscamente il silenzio, «lo porto io per un po’.» 

Mi tolgo lo zaino dalla spalla, sollevata dal non doverlo più sentire sbattere pesantemente contro la schiena e spengo la torcia, così da mantenere la batteria per quando ci sarà più utile. Vorrei poterle dare anche il mio giubbotto, se solo non fosse fradicio: il suo l’ha usato Calum per tenere il più asciutta possibile Margaret, usandolo quasi come un mantello.

«Abbiamo idea di dove stiamo andando?» chiede Elyse, rivolgendosi anche a Calum.

«Onestamente? No.» Calum fa spallucce, non distogliendo lo sguardo dalla strada davanti a sè. «Mi basta trovare un posto asciutto, al momento.» Annuisco alla sua affermazione; è la cosa che più voglio anche io.

«D’accordo.» Elyse si ravvia i capelli sul capo, togliendoli con frustrazione dal suo viso. «Sono stanca di vedere solo fottuti campi. Ma, ehi, siamo nella Virginia dell’Ovest, che altro mi aspettavo?» chiede ironicamente, alzando gli occhi al cielo.

Già, che altro ci aspettavamo in un mondo andato completamente alla deriva?

«Marg, tutto bene?» chiede Calum alla bambina. Mi sembra un po’ giù; deve aver preso un bello spavento ieri notte. Margaret annuisce senza proferire parola.

«Ehi, vuoi salire in groppa?» le domando con un sorriso accennato sulle labbra. Mi preoccupa il suo comportamento così silenzioso: ieri non appena capiva che potevamo parlare - anche se a bassa voce -, non esitava ad aprire bocca, ponendoci domande o magari canticchiando qualche motivetto che aveva in testa. Forse è solo assonnata, per questo le ho chiesto se vuole salire in spalla, così può almeno riposarsi. Mi fa cenno di no con la testa.

«Sapete che in qualsiasi momento un asteroide potrebbe colpire la terra e letteralmente spazzare via tutto quanto?» esordisce Elyse tutt’un tratto e gliene sono quasi grata. Magari parlare di altro può risollevare Margaret. «Anche la sola onda d'urto di un asteroide che si spacca nella nostra atmosfera potrebbe causare un sacco di danni. C’erano molte più probabilità che accadesse una di queste due cose che la dannata apocalisse zombie!» 

Io e Calum le lanciamo un’occhiata stranita. Non la facevo il tipo da astrofisica, ad essere sincera.

«Che c’è? Reece mi informava, okay?» ribatte, alzando spallucce.

Al nominare il suo nome quasi sussulto involontariamente, la cicatrice della sua morte ancora aperta nella mia mente. Credo sia la prima volta che sento nominare il nome di Reece senza risentimento per ciò che gli è successo e per una volta mi sento quasi sollevata.

Sarebbe stata meglio una fine per colpa di un asteroide, proprio come i dinosauri: sarebbe finito tutto velocemente, senza soffrire, senza persone dilaniate dal senso di colpa del sopravvissuto, Morti…

Durante le tre settimane passate a guarire dalla ferita al fianco ho pensato molto. Ho pensato troppo: volevo tornare sul luogo della morte atroce di Ebony. Come se fosse una specie di tomba, per dirle che ero terribilmente dispiaciuta - le parole non riescono a rendere il tipo di dispiacere così profondo che strazia il tuo essere -, che ci sarei dovuta essere io al suo posto, che avrei voluto avere più tempo con lei, che non sarei mai dovuta separarmi da mamma e papà quella prima notte di pazzia, che avrei dovuto proteggerla con tutta me stessa. Volevo dirle quanto bene le ho sempre voluto, anche quando entrava in camera mia mentre studiavo e cominciava a saltare sul letto per attirare la mia attenzione. 

Anche quella notte sulla strada, quando io e Calum stavamo litigando e l’unica cosa ad interromperci è stato l’aereo in fiamme che stava precipitando sopra le nostre teste… Se non fosse successo, sarei tornata là per dirle addio. Probabilmente mi sarei fatta ammazzare dai Morti pur di provare a recuperare il suo corpo, sempre che ne fosse rimasto uno. Il solo pensiero mi fa venire male allo stomaco e mi fa chiudere la gola. Forse mi sarei fatta uccidere pur di poterla abbracciare un’ultima volta e stringerla a me forte, forte, forte.

Quel luogo è la sua tomba e mi è sembrata l’unica via per poterle dire addio, perchè lei era lì.

Quando Reece è morto e per la prima volta sono venuta a conoscenza ed ho assistito al funerale creato dal gruppo di Travis, con i pezzi di legno buttati nel fuoco quando non è possibile portare il corpo al campo; all’inizio ho pensato che fosse tutta una messa in scena, che fosse una specie di bolla lontana dalla realtà. Buttare dei ceppi in un fuoco per dire addio a qualcuno dovrebbe farmi sentire meglio? No. Perchè la realtà è che questo mondo è affamato di vite innocenti, le preda quando meno ce lo si aspetta e in un istante non ci sono più.

Adesso, capisco che avevo torto, che non era una messa in scena. Era il loro modo di dire addio. E vorrei tanto averlo avuto anche io.

«Vedo movimento là davanti» sussurra Elyse, arrestando i suoi passi per studiare meglio la situazione.

Il paesaggio non è cambiato di una virgola: siamo sempre circondati da solo e soltanto campi e la strada è lunga e grigia davanti a noi. Solo che ora noto anche io delle figure, ma sono troppo lontane per capire se sono Morti o altri sopravvissuti.

«Cambiamo direzione?» propone Calum, facendo cenno con il capo verso i campi, l’unica alternativa possibile.

«Non lo so, sarebbe un campo di battaglia più difficile» intervengo, pensando a una possibile corsa sul terreno fangoso. «Dovremmo capire di che si tratta prima...»

Elyse studia entrambe le proposte, indecisa sul da farsi. Non è una scelta facile e la maggioranza deve essere d’accordo sulla decisione.

«Marg, cosa ne dici?» le chiedo, chinandomi al suo fianco. Fino ad ora non l’abbiamo mai presa in considerazione per le scelte, perchè è una bambina, ma ha il diritto di esprimere la sua preferenza, del resto è sempre parte del nostro piccolo gruppo.

«Non voglio incontrare i Vaganti» ribatte mordendosi il labbro e stringendo nel palmo della mano l’estremità del giubbotto di Elyse.

«D’accordo, quante provviste abbiamo senza il mio zaino?» Elyse incrocia le braccia al petto, credo per tenersi più al caldo possibile. 

«Se i miei conti sono esatti, abbastanza per quattro, forse cinque giorni?» rispondo, anche se esce più come una domanda. «E abbiamo bisogno di vestiti asciutti, se non vogliamo ammalarci.»

«Io dico di dividerci-»

«No.» Elyse ed io mettiamo subito a tacere la pazza idea di Calum. Non possiamo dividerci, non di nuovo.

«E allora cosa? Non ho intenzione di portare Margaret dritta verso il pericolo, rischiando un attacco, di chiunque sia.»

Impreco, cercando di trovare una soluzione a tutti i problemi che abbiamo.

«Io e Kayla andiamo avanti, vediamo di che si tratta,» comincia Elyse, togliendosi il fucile d’assalto dalla spalla e impugnandolo risoluta, «se vedete alzare due braccia, significa che potete venire, altrimenti… prendete l’altra via.»

«Se è l’unica via possibile… D’accordo.» Faccio un cenno di assenso con il capo, già pronta con il coltello in mano. Significa dividerci in un certo senso, ma non vedo alternative.

«State attente» risponde infine Calum. Mi aspettavo combattesse per trovare un’altra via, evidentemente è davvero l’unica.

Dopo aver fatto un cenno di saluto al ragazzo e a Margaret e dopo che Elyse si è stretta bene al corpo lo zaino - non possiamo permetterci di perdere altre provviste fondamentali, non qui in mezzo ai campi -, ci incamminiamo a testa alta verso i corpi in movimento in silenzio, preparandoci a qualsiasi cosa dovremo affrontare davanti a noi.

«Sono Vaganti» borbotta Elyse più a se stessa che a me, non appena siamo abbastanza vicine per delineare con chiarezza i loro corpi e i loro movimenti, che sono ripetitivi e macchinosi proprio come quelli dei Morti. Sono sei in totale, il che significa tre a testa. Le lancio un’occhiata preoccupata. «Oh, avanti, sai anche tu che possiamo farcela. Siamo le più spaccaculi che conosco,» ribatte al mio sguardo, «e poi, non vuoi avere una vendetta per tutto ciò che ti hanno tolto? Perchè io sì, decisamente.»

Alle sue parole un fuoco comincia ad ardere dentro di me, salendo dalla pancia fino alla faccia, facendo ritornare quella furia incontrollata per tutto ciò che mi è stato portato via dai Morti, anche se inconsapevolmente. Annuisco, lo sguardo che si trasforma in uno tagliente e la presa che si stringe forte sul coltello.

«Ti copro le spalle» dice, posizionando il fucile per avere una buona mira. Spero non manchi i bersagli.

Ci avviciniamo accelerando il passo e cominciando a fare rumore con i piedi per attirare la loro attenzione, poi Elyse spara il primo colpo e il primo corpo cade a terra in pochi istanti. Come fosse un richiamo, i cinque Morti si girano verso di noi quasi in sincronia. Uno dei più coraggiosi, avanza verso di noi e aspetto abbastanza per farlo distanziare dagli altri per prendere una rincorsa, saltare e conficcargli con tutta la mia forza il coltello nel cranio, mentre l’altra mano finisce sulla sua spalla molle e putrefatta per farlo cadere a terra, adesso veramente senza vita una volta per tutte.

Due a terra. Ne rimangono quattro.

Elyse spara un altro colpo e un altro corpo cade inerte. Mentre si prepara a sparare un altro proiettile, mi butto sull’altro Morto, dandogli una spallata per fargli perdere equilibrio ed atterrare con un tonfo a terra, mi metto a cavalcioni sopra di lui, gli giro il cranio di lato con una mossa secca e il coltello si conficca nel suo cervello con facilità.

Non ho sentito lo sparo. Mi alzo e mi volto per vedere Elyse in completa modalità di combattimento che colpisce con la canna del fucile l’ultimo Morto rimasto, finchè vedo la punta dello stesso uscirgli dalla parte opposta del cranio. Con un calcio al petto, Elyse estrae l’arma e fa cadere rovinosamente a terra il Morto.

«Visto?» dice Elyse, alzando una sopracciglia in modo spavaldo. Entrambe alziamo il braccio destro all’unisono: il segnale che Calum e Margaret stavano aspettando e infatti, vediamo le due figure in lontananza cominciare a muoversi e venire verso di noi.

«Faremmo meglio a vedere cos’hanno addosso» mi ordina Elyse, dandomi una pacca veloce sul braccio per dirmi di muovermi e si china subito sul primo cadavere, tastando ogni sua parte.

Mi inginocchio di fianco ad un altro corpo, tirando su fino al naso il colletto del giubbotto per farmi da scudo dal fetore che emana: non ci farò mai l’abitudine. Una volta averlo tastato senza successo, decido di togliergli la giacca che indossa, a lui non serve più mentre a noi fa più che comodo; ribalto il corpo, facendolo atterrare sul viso con un tonfo e gli piego le braccia quasi in modo innaturale fino a che l’indumento è libero tra le mie mani. Dovremo almeno sciacquarlo prima di indossarlo.

«Almeno avevate qualcosa di utile con voi, brutti bastardi.» Elyse mi mostra due scatole di fiammiferi e quattro accendini dai colori fosforescenti, in netto contrasto con l’ambiente circostante. Le sorrido e alzo la giacca, per farle capire di prendere anche i loro vestiti, o almeno quelli in condizioni decenti. Se sono a brandelli non ci servono a molto.

Mentre tasto il secondo corpo trovo una fotografia sgualcita e completamente rovinata, facendomi riflettere ancora una volta che questi stessi corpi potremmo essere noi. Una sola mossa sbagliata e finiremmo così da un momento all’altro, tra istanti di agonia e pazzia.

«Va tutto bene, non possono più farti del male.» Alzo lo sguardo per vedere Margaret e Calum che ci hanno finalmente raggiunto, la prima con gli occhi sbarrati mentre si morde il labbro intensamente.

Le faccio cenno di coprirsi il naso. «Mi aiuti a tenere la giacca?» le chiedo, facendole segno con la mano di avvicinarsi e guardandola nel modo più rassicurante possibile, nonostante il mio cuore stia ancora battendo più veloce del dovuto.Si avvicina incerta, facendo saettare il suo sguardo da destra a sinistra più volte mentre mette un piede davanti all’altro. 

«Visto? Adesso non sono più una minaccia» le dico, mentre do una spinta al corpo per farle vedere che non ha reazioni, se non quella di muoversi come se fosse gelatina. Allungo la giacca verso di lei, che la prende tra le sue mani anche se la tiene lontana dal suo corpo. «Va meglio?»

«Un po'» risponde a mezza voce, anche se adesso ha un colorito un po' più acceso sul viso.

«Devi affrontare le tue paure, se vuoi superarle.» Tolgo i pantaloni al corpo, passandoli di nuovo a Margaret. «A meno che la tua paura sia quella di saltare nel vuoto, allora è meglio non affrontarla» continuo, alzando lo sguardo per sorriderle, guadagnando una risatina da parte sua.

Ci spostiamo al terzo cadavere, mentre Elyse e Calum fanno lo stesso dalla propria parte. Trovo un orologio di quelli vecchi fermo, qualche mentina sciolta, una moneta colorata di nero e una bussola.

Una bussola! 

Finalmente possiamo orientarci a modo ed intraprendere la giusta direzione. 

Dopo aver finito il saccheggio dei corpi, decidiamo di cambiarci immediatamente nei vestiti sporchi appena presi, ma soprattutto asciutti. I nostri vecchi vestiti li buttiamo in mezzo alla strada, tranne che per i giubbotti che teniamo con noi: una volta asciutti saranno più che utili.

Non appena sento la stoffa asciutta sulla mia pelle mi vengono i brividi su tutto il corpo, che piano piano comincia a riscaldarsi. Ci dividiamo fiammiferi ed accendini e li mettiamo in tasca o nel reggiseno, così da non essere completamente dipendenti dagli zaini. Abbiamo già perso troppe provviste ed è ora che impariamo la lezione.

Prendiamo un sorso d'acqua ciascuno e ci rimettiamo in marcia, con l'unica differenza che adesso Margaret dà la mano a me. Il suo gesto mi riscalda il cuore e mi ricorda tutte le responsabilità a cui devo rispondere, ricordandomi inevitabilmente come non sono riuscita a proteggere la mia stessa sorella.

Non succederà una seconda volta.

***

Dopo giorni di viaggio, abbiamo finalmente raggiunto Parkersburg, una città alle sponde del fiume Ohio, dove finalmente abbiamo visto il paesaggio trasformarsi da prati, campi e desolazione, in case, ponti, barche e negozi. Non abbiamo incontrato ulteriori difficoltà dopo l’ultimo scontro con i sei Morti affrontati da me ed Elyse ed è stata una fortuna. Margaret si è ripresa il giorno seguente dallo shock dell’attacco al casolare, ricominciando lentamente a parlare e mangiare più volentieri. Anche Calum sembra aver ripreso gran parte della sua scintilla di determinazione, lasciandosi scappare qualche battuta di spirito qua e là.

Non appena arrivati in città, siamo entrati in una vecchia tabaccheria completamente svaligiata da chi aveva fretta ma non sapeva dove guardare: infatti, abbiamo solcato ogni singolo centimetro del negozio e aperto qualsiasi cassetto, anta e nascondiglio segreto possibile, trovandoci delle candele, altri accendini, vecchi giornali risalenti a molti anni precedenti la pandemia, coltellini e persino una katana da arredo - anche se non affilata, può fare molti danni grazie al suo peso -, che abbiamo deciso di lasciare a Calum.

Una volta usciti, abbiamo attraversato la città in cerca di un’abitazione temporanea, così da permetterci di riposare e cercare ulteriori provviste per poter proseguire il nostro lungo viaggio; mi è sembrato di attraversare una città fantasma, un po’ come quelle del Far West rappresentate nei film o nei documentari: le case sono particolari, costruite ognuna con un dettaglio diverso dall’altra, che sia il colore o il balconcino o il portico. Alcune hanno delle colonne imponenti all’ingresso, altre hanno delle torrette circolari. La costante di tutte le città che ho visto in questi quattro anni sono tutte le radici e le piante rampicanti che si riprendono i loro spazi, attraversando strade, rompendo il cemento, attaccandosi e attorcigliandosi su su per ogni cosa che l’uomo ha piazzato nel loro cammino.

Siamo stati fortunati nel trovare un palazzo di cinque piani completamente sgombro e solo con qualche accorgimento da fare qui e là, come richiudere le finestre con dei teli per non far passare l’aria ancora gelida e tagliente oppure le frequenti intemperie. La descriverei quasi accogliente: non è un buco, anzi ci sono due camere da letto, un bagno e un ambiente comune formato da soggiorno e cucina. Inoltre, siamo al quarto piano, guadagnandoci così un’ottima visuale del quartiere e del ponte che attraversa il fiume.

«La cena è servita!» esclama Calum, appoggiando gli ultimi due piatti sul tavolo della cucina e sedendosi al tavolo.

Appoggio la candela accesa a terra e cammino seguendo il sentiero di luce costruito, sorridendo in modo malinconico al tavolo apparecchiato di tutto punto. La cena consiste in carne essiccata razionata e due cracker ciascuno, con un bicchiere riempito a metà di acqua davanti ad ogni piatto. Calum ha persino messo in tavola forchetta e coltello, quasi fosse una cena in un ristorante a cinque stelle.

Mangiamo con calma tutti e quattro, assaporando ogni singolo boccone, sapendo che potrebbe essere l’ultimo molto presto e godendoci il fatto di stare seduti civilmente ad un tavolo. Sono cose che credi di non rivedere e rivivere più. Restiamo alcuni istanti in completo silenzio, rotto solo dal cinguettio degli uccelli, ognuno perso nei propri pensieri.

«Mia zia faceva le ombre con le mani con le candele» esordisce Elyse dopo un po’, facendomi sobbalzare al suono della sua voce. Si alza dalla tavola e si china, posizionando le mani appena a lato di una candela vicina alla parete. Ci fa cenno di raggiungerla mentre intreccia le dita e muove la mani per qualche tentativo prima di riuscire a proiettare sul muro l’ombra di un coniglio seduto.

Margaret si lascia scappare uno strilletto di entusiasmo, appoggiandosi le mani sulle guance con gli occhi che le brillano. «Fanne un’altra!»

Elyse ridacchia per la sua reazione, si sfrega le mani come se stesse per fare una magia e riposiziona le mani in modo diverso, creando una diversa creatura.

«Cosa dovrebbe essere, scusa?» chiede Calum confuso, piegando la testa di lato per capire che animale sia. «Ah! È un dinosauro!»

«Cosa? No! È un cammello.»

«Ah.» Scoppiamo tutti a ridere. «Beh, non è colpa mia se la mia mente è molto più fantasiosa della tua, Elyse» la canzona Calum, facendole cenno di spostarsi con la mano per prendere il suo posto, incrociare i pollici e proiettare un’aquila.

«Che figata! Voglio farlo anche io!»

«Dovresti imparare dai professionisti, non dai principianti come lui» ribatte Elyse, guardando con aria di superiorità il ragazzo per poi scoppiare a ridere.

«Ha fatto del suo meglio, poveretto» dico, immettendomi nella conversazione con un sorrisetto sulle labbra.

«Senti chi parla! Vediamo cosa sai fare tu, allora, miss “ha fatto del suo meglio”!» Scuoto la testa, ridacchiando e prendo il posto di Calum, posizionando le mani per fare l’ombra del cane - nonché l’unica che abbia mai imparato a fare.

«E poi io ero il principiante, eh? Okay, me lo ricorderò quando avrete bisogno di me.»

L’atmosfera è così leggera e così piacevole: vorrei che fosse così per sempre, vorrei che questo stesso istante non finisse mai. Sembra di stare in famiglia, certo una famiglia un po’ abbozzata, ma qui e adesso mi sento bene. Mi sento libera dal peso del mondo.

Dopo qualche minuto passato ad insegnare a Margaret delle ombre e lei che apprende così velocemente e con così tanto entusiasmo, mi viene solo da pensare a come ai bambini sia stata negata loro un’infanzia normale, un’educazione, il puro divertimento del gioco e dello scherzo. No, non gli è stata solo negata: gli è stata rubata.

«Sta dormendo,» sussurra Calum, tornando in soggiorno, dopo aver messo a letto Margaret in una delle camere da letto. «Dovremmo pensare a come muoverci.»

«Domani mattina controlliamo questo posto da cima a fondo» risponde Elyse, sedendosi a gambe incrociate e stringendosi nei vestiti di almeno due taglie più grandi. 

Annuisco, sapendo già che ci divideremo le camere e gli spazi da controllare e che faremo a turni con Margaret per poterla intrattenere nel mentre. 

«Con la bussola possiamo capire da che parte stiamo andando. Elyse, sai se a loro è rimasta una cartina o qualcosa o se hanno detto dove sarebbero andati?» Elyse scuote la testa, la fronte corrucciata mentre pensa ad ogni conversazione avuta con loro.

«Okay.» Calum sospira, strusciandosi una mano sul volto, la frustrazione chiara sul suo viso. «Continuiamo alla cieca, allora. L'unica cosa di cui siamo sicuri è che non possiamo averli mancati per sbaglio, visti tutti i campi vuoti.»

«Aspetta» borbotta Elyse, anche se sembra lo stia dicendo più a se stessa che a noi. «Aspetta! Cazzo, come ho fatto a non pensarci prima?!» Si batte la mano sulla fronte, stringendo gli occhi e imprecando contro se stessa.  «Le barche!» 

Io e Calum la guardiamo confusi, cercando di capirci qualcosa.

«Sì, pensateci! Chissà quante barche ci saranno al ponte e tutte devono avere dei razzi segnalatori, potremmo spararne uno in cielo per segnalare la nostra posizione!»

«Oh, mio Dio, Elyse, sei un genio!» esulta Calum, dandole un abbraccio dal trasporto della notizia.

«Aspettate, non è detto che lo vedano solo loro-»

«Non sarebbe niente di cui preoccuparci, possiamo badare a qualche Vagante-»

«Non stavo parlando dei Vaganti» ribatto secca, interrompendo Calum. «Chiunque, vivo o morto, lo vedrà. Dobbiamo essere preparati, se davvero vogliamo farlo.»

«Lo saremo,» inizia Elyse risoluta, con uno sguardo tagliente, «ma voglio che siate d’accordo entrambi. Siamo tutti sulla stessa barca, dopotutto.» Calum annuisce determinato come non mai e dopo alcuni istanti per pensarci a fondo, lo faccio anche io. Ho detto che sarei rimasta con loro per aiutarli, non mi tirerò indietro proprio adesso. «Perfetto. Domani discuteremo i dettagli. Sto io con  Margaret stanotte. Ci vediamo domani.» 

«Dovremmo andare anche noi» dico a mezza voce alcuni minuti dopo che Elyse è andata a dormire, rompendo il silenzio piacevole che si era creato.

«Ti aiuto a spegnere.» Calum si mette in ginocchio e comincia a soffiare sulle candele dal suo lato. «Puoi prendere tu la stanza, se vuoi.» 

Gli faccio cenno di no con il capo, togliendo un’altra piccola luce dal soggiorno. «Come stai?» gli chiedo, forse per la prima veramente da quando ci siamo incontrati.

Si blocca con la candela a mezz’aria, fissandomi quasi sbigottito. «Bene… credo. Un po’ stanco» ridacchia dopo la sua affermazione, riprendendo il suo lavoro. «Tu? Onestamente.»

«Sono a posto» ribatto, annuendo con la testa per rinforzare ciò che ho appena detto. «Vai a dormire, Calum. Qui ci penso io.»

«Se non riesci a dormire, sai dove trovarmi, okay?» Si alza dal pavimento e lo vedo indeciso se seguire il mio consiglio oppure rimanere ad aiutarmi. Annuisco, grata del suo pensiero. «D’accordo, allora… Vado. Sono un po’ stanco.»

«Non lo siamo forse tutti?» ribatto ironicamente, non riferendomi soltanto al sonno. Mi dà la buonanotte e lo saluto, ritornando a spegnere le altre candele.

Torno in salotto con l’ultima candela accesa in mano, mi siedo sul divano così morbido che vorrei quasi mi inglobasse e soffio sull’ultima fiamma accesa, facendo calare l’intera casa nell’oscurità. Un po’ come la mia mente non appena chiudo gli occhi, che già si prepara i suoi migliori incubi.

***

«Avete trovato qualcosa di utile?» 

Elyse butta sul tavolo della cucina delle scartoffie che ha trovato in una delle due camere da letto. Io e Calum scuotiamo la testa all’unisono, mentre Margaret ci guarda con aria sconfitta.

«Suppongo non ci abbia mai abitato nessuno qui dentro» dice Calum tenendo lo sguardo sul tavolo. 

Sospiro, passandomi una mano sulla fronte. Almeno abbiamo un rifugio sicuro dove passare la notte. Dalle prime ore del mattino abbiamo cominciato a ribaltare qualsiasi angolo della casa sottosopra, cercando qualsiasi tipo di provvista, vestito, qualsiasi cosa utile alla nostra sopravvivenza. Non siamo stati molto fortunati. E le provviste di cibo stanno finendo: nella migliore delle ipotesi, riusciamo a tirare avanti fino a domani sera.

«Cazzo» impreca Elyse, battendo un pugno sul tavolo e scompigliandosi i corti capelli rossi con una mano.

«Ehi, abbiamo un’intera città da esplorare, partendo dai piani di sotto, magari con quelli saremo più fortunati-»

«La fortuna può andare a farsi fottere!» ribatte Elyse infuriata, preparandosi a dare un altro pugno al tavolo, ma bloccandolo a mezz’aria per poi riportarlo giù al suo fianco. Respira rumorosamente, cercando di fare sbollire tutta la rabbia che ha dentro.

«Ce la faremo, okay?» Calum le si avvicina lentamente, ma la ragazza lo scansa con una spallata, superandolo e andando in salotto. Poi sentiamo un singhiozzo, seguito da un’altra imprecazione.

«Lo troveremo, non importa quanti chilometri dovremo fare.» Calum la abbraccia stretta a sé, smorzando il rumore dei suoi singhiozzi.

È la prima volta che la vedo crollare davanti agli occhi di tutti. Mi sento veramente fuori luogo e nonostante vorrei poter far qualcosa per consolarla, al momento voglio solo lasciarli da soli.

«Okay, vado al ponte» esordisco dopo qualche istante, «trovo i razzi, ne sparo uno e torno indietro» dico, cominciando già a preparare uno zaino.

«Da sola?» chiede Margaret allibita, ormai anche lei ha imparato le regole per sopravvivere con successo.

«Non esiste,» ribatte duro Calum, alzando lo sguardo dalla testa di Elyse, ancora accucciata sul suo petto, anche se adesso si sta sfregando i dorsi delle mani sulle guance bruscamente, «e poi non eri tu quella che aveva detto che non ci dovevamo dividere?» Alzo gli occhi al cielo, sapendo anche che ha perfettamente ragione.

«Lo so, ma è una toccata e fuga. E poi avete l’intera visuale da qui al ponte; se succede qualcosa, lo vedrete. E al momento mi sembra tutto tranquillo.»

«Qualcuno deve pur farlo» dice Elyse con una scrollata di spalle, ora completamente ripresa dal crollo improvviso. «Prendi il fucile.»

«No, no. Non voglio rischiare di perdere l’unica arma che funziona. Ho il mio coltello, sto bene con quello» rispondo, mostrando l'utensile nella tasca dei miei pantaloni. Calum mi lancia un’occhiata incredula e so che è dovuta alla sua preoccupazione. «Starò bene» dico, più a me stessa che a lui.

Prendo una delle tre bottiglie d’acqua rimaste, quella riempita a metà, così che nel caso debba accadere qualcosa, non avrebbero una grande perdita di scorte. Dopo aver annuito non troppo convinta al “stai attenta” di Margaret, mi infilo lo zaino sulle spalle, faccio un cenno con la testa ai tre nel salotto ed esco dalla porta, chiudendomela alle spalle e non muovendomi finché non sento il rumore del chiavistello.

Mi sembra che siano passati anni dall’ultima volta che sono stata da sola, che ho dovuto intraprendere una missione solitaria per potermi sfamare. Questo mi basta per mandare una scarica di adrenalina nel mio corpo, quasi fossi appena stata colpita da un fulmine. Prendo un respiro profondo non appena le mie scarpe mettono piede sull’asfalto e metto a fuoco il ponte e qualche chilometro di distanza da dove mi trovo: la strada è completamente libera e non c’è un solo rumore. Mi sembra di stare su un set cinematografico abbandonato, ma è meglio così: non dovrei avere grossi problemi.

Sono ancora io di fronte al mondo e mi sembra così strano essere da sola che ogni tanto mi giro a controllare che ci siano anche Calum, Elyse e Margaret, ricordandomi solo dopo averlo fatto che sono al sicuro. Non avrei mai creduto che mi sarei abituata così tanto alla loro presenza e all’essere parte effettiva di un gruppo, se solo qualcuno me lo avesse detto sei mesi fa. Sono successe così tante cose.

La cosa che è più strana è avere ancora qualcuno che si preoccupa per me e viceversa.

Siamo stati fortunati - nonostante Elyse non creda nella fortuna - a trovare rifugio proprio sulla strada principale di Parkersburg che porta dritta dritta al ponte, che è veramente imponente, anche se non caratteristico come quello di San Francisco o di Brooklyn. Il fiume Ohio è in piena e scorre rapido per il suo corso, comincio già a sentire il rumore dell’acqua.

E comincio anche a vedere qualche barca arenata sull’asfalto dopo una grande piena che deve aver fatto esondare il fiume: almeno non dovrò andare sull’acqua. Non mi è mai capitato di dover rovistare da cima a fondo una barca, ma ho paura che le corde non tengano più così bene come una volta.

 Il fiume da vicino è veramente imponente con il suo scorrere impetuoso e rapido, trascinando via con sè ogni detrito, facendolo girare e sbattere contro tutte le barriere architettoniche al suo interno. In lontananza vedo la sponda opposta, con il profilo del ponte che si stringe fino a diventare un punto. 

Non appena arrivo a pochi metri dalla riva, mi arriva al naso un lezzo di pesce, marcio e morte, così come un’ondata di nausea mi invade il corpo. Alzo sulla bocca e sul naso la stoffa dei vestiti e studio per qualche minuto l’area attorno alla barca che voglio esplorare: via libera.

Mi arrampico su per la barca con qualche fatica, con le suole delle scarpe che scivolano giù per i primi due tentativi, ma poi riesco a rotolare sull’imbarcazione e cadederci dentro, battendo i gomiti sul legno rovinato del pavimento.

Negli angoli ci sono corde, corde e ancora corde, ma non è tanto la superficie che mi interessa: devo andare sottocoperta. Faccio per girare la maniglia, ma la porta è già aperta e si sposta cigolante. Guardo dietro alle mie spalle prima di proseguire all’interno, solo per sicurezza. Entro mettendo un piede dopo l’altro, cercando di limitare al minimo lo scricchiolio del pavimento, che sembra invece solo peggiorare. Abbasso la stoffa del maglione dal mio viso e subito mi viene un colpo di tosse a causa della polvere, che smorzo con il braccio, mentre nell’altra mano stringo forte il coltello.

La mia ombra viene proiettata e allungata in modo disumano sul parquet e nell’aria illuminata dalla luce del giorno vedo le piccole particelle di polvere danzare tutte attorno a me. Nonostante la porta fosse solo avvicinata, qui sotto è completamente vuoto da ogni possibile minaccia, il che mi fa lasciare andare il respiro ed allentare la tensione. Adesso devo solo trovare il razzo e tornare alla base il prima possibile.

Frugo tra i mobiletti, trovanodoli completamente vuoti e poi vedo una maniglia di ferro arrugginito su una botola rettangolare sul parquet; mi copro le mani con il maglione e la afferro, piegando le gambe ed aprendola, rinvenendo una cassetta di primo soccorso e una cassetta di emergenza. Bingo.

Le tiro fuori entrambe, metto la prima nello zaino senza nemmeno controllare cosa ci sia dentro, mentre appoggio l’altra sul pavimento e la apro e ci trovo un foglio scritto a matita riportante tutti i numeri di telefono da chiamare in caso di emergenza, una cartina della Virginia Occidentale e, finalmente, una pistola lanciarazzi con due ricariche. Metto via la cartina e le due ricariche ed esco velocemente, non preoccupandomi di rimettere in ordine le cose come le avevo trovate. Non appena sono di nuovo all’aperto sparo in alto un razzo, guardandolo mentre sale, sale, sale ed esplode in mille particelle rosso-arancione nel cielo.

Se Elyse o Calum stanno guardando, hanno capito che sto per tornare indietro; se Mali, Wayne, Blaine o Johanna lo hanno visto, spero decidano di venire verso di noi.

Ho la tentazione di salire sulla barca appena affianco a questa per vedere se c’è altro che posso prendere in un solo viaggio, ma non voglio rischiare troppo. E poi ho detto che dopo aver sparato il razzo sarei tornata subito: non vorrei farli preoccupare, o peggio, farli uscire pensando che mi sia successo qualcosa. Quindi, infilo la pistola nello zaino e lo allaccio attorno al mio corpo, cominciando poi a correre verso casa. Devo tenermi allenata in caso di pericolo e questa mi sembra un’ottima scusa per farlo.

In pochi minuti, infatti, sono davanti alla porta di casa, con il fiatone e un velo sottile di sudore a ricoprirmi la pelle. 

«Grazie a Dio sei arrivata» dice agitato Calum, accogliendomi e trascinandomi subito dietro di sè, lasciandomi appena il tempo di chiudere la porta. «Elyse è svenuta, l’ho messa a letto ma non si è ancora svegliata» continua con la voce tremolante ed ogni suo gesto che trasuda timore.

Un peso mi si blocca sullo stomaco immediatamente. «Potrebbe avere la febbre» deduco preoccupata, ricordandomi della sera al casolare, dell’aria gelida e della pioggia.

Non appena arriviamo alla soglia della camera, la prima cosa che mi colpisce è Margaret in ginocchio con gli avambracci appoggiati sul materasso del letto e la testa al di sopra di essi con uno sguardo impensierito. Elyse è sdraiata sul letto sul fianco così come deve averla messa Calum, ancora priva di sensi. Mi tolgo velocemente zaino e giubbotto con un groppo alla gola, terrorizzata dall’idea che possa essersi ammalata.

«Forse è solo stanca?» prova il ragazzo, anche se esce più come una domanda più che un’affermazione.

Le tocco la fronte: è bollente. «Passami lo zaino» ordino a Calum, ricordandomi di aver preso la cassetta di pronto soccorso. Spero solo ci sia dentro ciò che ci serve.

La apro con forza, facendo saltare fuori alcune garze per il colpo improvviso. Frugo velocemente, facendomi passare davanti agli occhi le cose senza davvero leggerne i nomi dalla frenesia. Prendo un respiro profondo, chiudendo gli occhi per qualche istante quando mi sento picchiettare sul braccio da Margaret. Ha in mano un tubetto di analgesico e mi verrebbe da abbracciarla per il suo gesto così semplice ma importante. Calum si precipita immediatamente in cucina a prendere un bicchiere e appena ritorna lo riempie d’acqua, tuffandoci dentro l’unica compressa presente nel tubo.

E poi aspettiamo. Secondi interminabili, attendendo che la ragazza si svegli. Lasciamo andare tutti quanti un respiro di sollievo non appena apre gli occhi e la prima cosa che lascia la sua bocca è un’imprecazione. Mi verrebbe quasi da ridere. Calum le offre il bicchiere, spiegandole in veramente poche parole ciò che è successo e lei lo prende senza troppi indugi.

«Dovremo ridurre della metà le porzioni di cibo» constata il ragazzo, sedendosi sul letto di fianco ad Elyse, che adesso è distesa sulla schiena con il corpo sotto le coperte e gli occhi semiaperti.

«Non ce n’è bisogno, posso uscire di nuovo-»

«Smettila, Kayla-»

«Non c’è abbastanza cibo per tutti e quattro. È tornata viva, Calum, non ho capito perchè stai così tanto in pensiero.»

«Esatto. Sono stata là fuori da sola per due anni, so come cavarmela» appuro, rimettendomi di nuovo il giubbotto. «Discorso chiuso» dico, bloccando sul nascere la contestazione già pronta sulle labbra di Calum che, per tutta risposta, serra la bocca, stringendo la mascella e distogliendo lo sguardo innervosito perchè è la seconda volta che non lo sto a sentire. Credevo ci avesse fatto l’abitudine ormai.

In pochi secondi, sono di nuovo in strada.

   
 
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