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Autore: Hi Ban    20/07/2020    0 recensioni
[Chicago Typewriter]
“Kang biseonim” la interruppe Han Se Joo dopo aver chiuso volontariamente con forza il cassetto del comodino da cui aveva tirato fuori delle aspirine. Ne prese due senz’acqua perché arrivare alla cucina senza un qualsiasi tipo di sostegno era impensabile.
“Sì, jagganim?” rispose prontamente lei, per poi perdere la sua vitalità quando lo scrittore distrusse tutte le sue speranze.
“Non ho alcuna intenzione di andare a nessun convegno, evento, sagra della scrittura, festival dell’inchiostro, fiera della tipografia, svendita di libri, sit-in di bibliotecari, flashmob dei produttori di stilografiche, niente di niente. Puoi anche dirlo a Gal Ji Seok, insieme ad un altro messaggio: Voglio. Essere. Lasciato. In. Pace. Sono sicuro che se tutti quanti metteste insieme i neuroni che avete in testa riuscireste a capire questa mia semplice richiesta” spiegò lui con irritazione e mantenendo comunque il suo tono strascicato.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I’ll write our story here.
You can brush off the dust and read it sometimes.
 
 

 
Sono il tuo ghostwriter. Il fatto è che sono davvero un fantasma.
Han Se Joo chiuse gli occhi. Inspirò forte, espirò ancora più forte; ripeté lo stesso rituale una, due, quindici volte, e poi li riaprì. Era ancora in camera sua, sdraiato sul letto e, anche se quel fantasma non era presente, sapeva perfettamente di trovarsi ancora in quella realtà.
Allora buttò dalla finestra il suo tentativo di raggiungere il Nirvana tramite la meditazione e cominciò a scalciare le gambe buttando all’aria lenzuolo e coperte.
Lui non poteva accettare che la sua vita fosse stata stravolta così, dall’oggi al domani. Un attimo prima era uno degli scrittori più affermati della Corea del sud – era lo Stephen King coreano, dannazione! – e un attimo dopo cadeva vittima del blocco dello scrittore, rischiava la vita come se non fosse la sua e quel… quel… tizio non umano scriveva libri al suo posto.
E ovviamente nessuno gli credeva, ma la cosa non lo stupiva. Era abbastanza onesto con se stesso da ammettere che anche lui avrebbe reagito come Gal Ji Seok se qualcuno gli avesse detto che il suo ghostwriter era un fantasma vero: avrebbe chiamato uno psicoterapeuta, non un esorcista, perché certe cose non erano scusabili nemmeno dalla fervida immaginazione di uno scrittore.
Era per quello che non aveva intenzione di dire nulla nemmeno a Jeon Seol, anche lei avrebbe tentato di rinchiuderlo da qualche parte come periodicamente da giorni stava tentando di fare la sua segretaria Kang. Pensava non la sentisse quando lo seguiva per la casa e riportava ogni sua singola mossa a Ji Seok?
L’improvvisa consapevolezza che al momento Jeon Seol stava vivendo le sue giornate considerandolo un maltrattatore di animali, nonché una persona molto cafona e maleducata che era solito urlarle dietro improperi e maledizioni, lo fece mugolare con disperazione.
Prese il cuscino alla sua sinistra e se lo premette in faccia, borbottando oscenità che il mondo non sapeva potessero uscire dalla bocca di un così raffinato scrittore di romanzi.
Abbandonò l’ipotesi di soffocarsi con il cuscino – con la fortuna che aveva, moriva e si trasformava pure lui in uno spirito destinato a vagare sulla terra alla ricerca di un altro scrittore da tormentare – e riprese a fissare il soffitto.
Erano le sette e trentatré di un comune martedì mattina e lui, invece di aver fatto la sua doccia mattutina, aver scelto la montatura di occhiali che preferiva per quel giorno e aver cominciato a sorseggiare il suo tè bianco, era ancora sdraiato sul letto in preda alla frustrazione, perché nessuno avrebbe mai creduto che era perseguitato da un fantasma.
Quello non era solo un pessimo mattino.
Quella era proprio una pessima vita, perché c’era un motivo se quando le persone morivano dimenticavano la propria vita passata, in modo da non avere più alcun ricordo in quella futura. Perché ricordare avvenimenti di anni e anni prima, vissuti da sé stessi, ma in realtà non proprio, beh, era una fonte di grande confusione. Era impossibile far coesistere nella sua mente l’idea di aver vissuto nel 1930, ma di essere vivo anche nel 2018 per poterlo raccontare. Eppure quei ricordi erano davvero i suoi, li sentiva fin troppo familiari per essere di qualcun altro… però non aveva senso. Lui era Han Se Joo, nato in una Corea che l’occupazione giapponese ormai la poteva rivivere solo attraverso i libri di storia. Eppure sentiva che al momento una parte di sé si sentiva a casa nella Joseon che nell’ombra tramava per riprendere le redini dalle mani degli invasori.
“Aaaah, questa storia è ridicola” borbottò tra sé.
Aveva un gran mal di testa e la voglia di soffocarsi con il cuscino era tornata dieci volte più potente.
Lui era uno scrittore, era abituato a dover descrivere in modo chiaro passaggi e ragionamenti astrusi, quando non completamente illogici, ma tutto quel che stava vivendo in quel momento andava anche al di là delle sue capacità.
Dannato Yoo Jin Oh e maledetta quella macchina da scrivere. E che diavolo di problemi aveva la sua anima? Rimpianti, passioni o persone indimenticabili? Stronzate. Che un qualsiasi Dio lassù fulminasse la sua stupida anima, che aveva deciso di girarsi invece di godersi in tranquillità il suo viaggio in barca verso l’aldilà.
“Han Se Joo jagganim, è sveglio?”
La voce professionale, ma negli ultimi giorni anche un po’ incerta e perplessa, della sua segretaria lo raggiunse da dietro la spessa porta di legno. Il suddetto scrittore strinse i denti con così tanta forza da sentire qualche scricchiolio anomalo. Non sapeva neanche lui perché la comparsa della donna lo avesse irritato così tanto, in fondo era parte della sua solita e comprovata routine: prima che lui iniziasse a scrivere, Kang era solita passare da lui per dargli le prime informazioni del mattino, prima di lasciarlo immergere nell’attività che da anni sapeva dargli le più grandi soddisfazioni.
Peccato che in pochissimo tempo tutto le sue abitudini fossero andate perdute, perché Se Joo sfidava chiunque a continuare la propria vita come se nulla fosse dopo aver scoperto che l’intruso che continuava ad infilarsi in casa sua e nel suo studio era un vero e proprio fantasma.
Come diamine poteva concentrarsi a scrivere quando arrivava un tizio morto a dirgli di scrivere la loro storia passata?
Che cosa se ne faceva del briefing mattutino della sua segretaria, se tanto doveva affrontare ogni giornata sapendo che i dannati spiriti esistevano e uno si era anche fissato con lui? Ebbe un brivido di freddo quando, per un attimo, il suo cervello fu attraversato dall’improvvisa consapevolezza che c’era vita dopo la morte e perciò il paranormale non era qualcosa che si poteva trovare solo sugli scaffali della libreria.
Forse, allora, quella volta in cucina quando...
No. No, no, no. Assolutamente no.
Ma non aveva la minima intenzione di andare lì e iniziare a pensare a quel genere di cose. Perciò si schiarì la voce e fece finta di essere una persona normale e non un uomo con una crisi mistica.
“Sì, sono sveglio” ma preferirei non esserlo.
“Gal Ji Seok mi ha telefonato poco fa, ha detto che ha anche provato a contattarla direttamente, forse non ha sentito il cellular-”
“Ho bloccato il suo numero perché quell’idiota non deve aver capito bene cosa intendevo quando ho detto che per il momento non voglio essere disturbato da nessuno. Lui è compreso nella lista di persone fastidiose. Chiaramente non ha colto l’antifona neanche questa volta, considerando che ha ben pensato di chiamare te” commentò Se Joo con il tono più annoiato che la segretaria gli avesse mai sentito usare. Con uno sforzo psicofisico immane, fece scivolare le gambe giù dal letto per poi sedersi sul bordo del materasso. Erano otto ore che la sua vescica gli chiedeva di essere svuotata, ma aveva tergiversato fino a che non era diventato chiaro fuori perché, anche se non lo avrebbe ammesso a nessuno, ora era un po’ meno propenso a muoversi al buio. Se c’era Yoo Jin Oh forse c’era anche qualcun altro…
Scosse la testa e riportò la sua attenzione alla situazione attuale.
“Blocca anche tu il suo numero e cambia il codice alla porta. Dì agli altri dipendenti di non far entrare nessuno con la sua faccia, la sua voce, il suo cognome o la sua data di nascita” la istruì, consapevole del fatto che quelle fossero misure inutili, perché se Gal Ji Seok avesse davvero voluto parlargli o vederlo ci sarebbe riuscito comunque, magari passando da una finestra. Forse era più utile un ordine restrittivo…
La segretaria era interdetta. Era abituata ai comportamenti bizzarri del suo capo, ma negli ultimi tempi era davvero diventato strano. Lo aveva visto anche parlare da solo.
“Jagganim, in realtà l’editore mi ha detto di informarla che oggi si terrà un evento in una delle librerie che sponsorizza la sua serie su KakaoTalk e che sarebbe davvero importante che anche lei fosse presente. Forse le farebbe bene uscire un po’ di casa, prendere dell’aria fresca per schiarirsi le idee…” suggerì la donna, che era preoccupata sia perché la sua carriera dipendeva dal benessere dello scrittore, sia perché erano anni che lavorava per lui e, seppure avesse mantenuto sempre le distanze richieste dal suo ruolo, si era affezionata alla sua indole perfezionista, stramba e a tratti isterica. Non lo avrebbe abbandonato nel momento del bisogno, anche se non poteva negare che ogni tanto le faceva davvero un po’ paura.
Kang era ancora dietro la porta perciò non poteva vedere l’uomo scuotere la testa, chiudere gli occhi con stanchezza e massaggiarsi le tempie con fare dolorante, ma ad un certo puntò sentì dei movimenti nella stanza. In lei nacque un po’ di speranza. Forte della convinzione che, per qualche strano motivo, era riuscita a convincere Se Joo ad uscire di casa, cominciò a parlare con un certo entusiasmo: “È un convegno che la Byeoru Imporium terrà oggi pomeriggio alle due, il tema principale è l’evoluzione della scrittura, dai quattro tesori del calligrafo al computer per intenderci. Lei dovrebbe presenziare come rappresentate della Golden Bear Publishing House e sono sicura che troveranno anche dello spazio per parlare del suo nuovo progetto. Oh, la sua nuova macchina da scrivere calzerebbe a pennello e-”
“Kang biseonim” la interruppe Han Se Joo dopo aver chiuso volontariamente con forza il cassetto del comodino da cui aveva tirato fuori delle aspirine. Ne prese due senz’acqua perché arrivare alla cucina senza un qualsiasi tipo di sostegno era impensabile.
“Sì, jagganim?” rispose prontamente lei, per poi perdere la sua vitalità quando lo scrittore distrusse tutte le sue speranze.
“Non ho alcuna intenzione di andare a nessun convegno, evento, sagra della scrittura, festival dell’inchiostro, fiera della tipografia, svendita di libri, sit-in di bibliotecari, flashmob dei produttori di stilografiche, niente di niente. Puoi anche dirlo a Gal Ji Seok, insieme ad un altro messaggio: Voglio. Essere. Lasciato. In. Pace. Sono sicuro che se tutti quanti metteste insieme i neuroni che avete in testa riuscireste a capire questa mia semplice richiesta” spiegò lui con irritazione e mantenendo comunque il suo tono strascicato.
Seguì un attimo di silenzio, in cui Han Se Joo pensò che forse aveva esagerato un po’, perché alla fine la sua segretaria altro non era che un messaggero e, si sa, non si sparava al messaggero anche se portava notizie orrende e irritanti.
Però Kang non perse un battito di più e si riprese in fretta – in fondo davvero ci era abituata alle maniere non propriamente gentili del capo, tanto più quando si trattava dell’effettivamente un po’ invadente sajangnim.
“Capisco. Riferirò tutto all’editore e, uhm, bloccherò il suo numero.” Se Joo alzò gli occhi al cielo perché sapeva che non lo avrebbe fatto. “Nel frattempo, però, rinnovo il mio suggerimento, sperando di non risultare inopportuna: un periodo di pausa è sicuramente ottimale, ma dovrebbe comunque uscire e non intendo solo in cortile” concluse con il suo solito tono professionale. Una parte di lei, infatti, in quei casi ripeteva un mantra a cui lei non poteva non dare ascolto: la paga è una delle migliori che avrebbe mai ricevuto per un posto da segretaria, bisognava stringere i denti. I denti bisognava stringere, non il collo del datore di lavoro.
“Era quello che avevo intenzione di fare questa mattina” le rivelò, aprendo la porta e comparendole di fronte. La donna batté le palpebre stupita, perché ormai essere perplessi era all’ordine del giorno. Un attimo prima aveva detto che non aveva neanche intenzione di andare alla sagra della boccetta di inchiostro e ora voleva uscire?
“Posso sapere…?” provò a chiedere, perché era curiosa e anche perché Gal Ji Seok le aveva assegnato il compito di seguire i suoi momenti e le sue attività passo dopo passo; il capo del mio capo è anche il mio capo, se lo ripeteva spesso quando le sembrava di fare un torto ad Han Se Joo.
Lo scrittore si passò una mano sulla faccia, stanco come se non avesse dormito da giorni perché effettivamente negli ultimi tre giorni aveva collezionato in totale dieci ore di sonno agitato.
“Devo andare a comprare delle piantine di bireum. Ho deciso di piantarle nell’orto.”
Da giorni ormai la sua filosofia era diventata quella del carpe diem: anche se gli ricordava troppo il nome di quel locale notturno che continuava a vedere nei suoi ricordi, era una frase pieno di senso.
Afferra il giorno perché non puoi essere certo di avere un domani.
Senza necessariamente dover pensare alla morte – anche se di recente aveva rischiato di attraversare il fiume giusto un paio di volte di troppo –, lui aveva sperimentato sulla sua pelle il cambiamento improvviso a cui era andata in contro la sua vita. Aveva passato anni a scrivere e ora non solo non riusciva più a mettere insieme due righe, ma era diventato l’autore di un romanzo che non aveva mai scritto, ma solo vissuto. Era palese che le cose che era solito fare fino al giorno prima non era più possibile farle, ma aveva anche imparato che non doveva lasciarsi sfuggire più nessuna occasione. Avrebbe coltivato tutte le passioni che gli sarebbero venute in mente di lì in avanti; forse domani avrebbe passato l’intero pomeriggio a guardare Six Flying Dragons perché erano anni che procrastinava. E il giorno dopo ancora sarebbe andato a pescare. Poteva prenotare una notte in un hotel di ghiaccio, anche se dubitava ce ne fossero in Corea. No, no, era una persona troppo freddolosa per un’esperienza del genere. Forse doveva comprarsi un castello, aveva abbastanza soldi da parte…
Sì, sembrava un uomo in piena crisi di mezz’età e sì, probabilmente era impazzito.
Ma quel mattino si era svegliato con il desiderio – fattibile – di piantare bireum e allora avrebbe piantato quella verdura. Fine del discorso.
‘Oh, no, ha ricominciato con questi suoi hobby. Non credo sia nemmeno la stagione adatta per piantare bireum. Gal Ji Seok non sarà felice. Dovrei iniziare a cercarmi un altro lavoro?’ Questo era pressappoco quel che stava pensando Kang, che nel frattempo faticava a mantenere la sua solita compostezza e osservava l’uomo con occhi sgranati, come se gli fossero cresciuti improvvisamente trenta centimetri di capelli e avesse anche deciso di farsi i dreadlock.
E non aveva nemmeno sentito la parte sul possibile viaggio in elicottero sopra ai vulcani delle Hawaii.
“Se non ricordo male lei ha chiesto ai cuochi di non usare quella varietà di amaranto perché non le piace, testualmente sa di catrame, odora di muffa e ha la consistenza di poliestere bagnato” commentò pacatamente la donna.
“Ho deciso di dargli un’altra possibilità.”
Comprensibile.
“Ahm, capisco. Allora potrebbe andare al supermercato o mandare la domestica, così da non dover aspettare che crescano-”
“Ho deciso che io devo piantarli, poi raccoglierli e infine mangiarli” sottolineo Han Se Joo, per poi lanciare uno sguardo quasi impietosito alla segretaria: “Carpe diem, Kang biseonim, anche tu dovresti afferrare il giorno, tenertelo stretto e fare oggi tutto quello che potresti non avere tempo di fare domani” le consigliò con un sorriso stanco, prima di incamminarsi per il corridoio. “Licenziati, cerca un lavoro migliore, molla tutto e vai a nuotare con i delfini, apri un negozio che vende barattoli pieni d’aria. Reinventati.”
Per la prima volta in vita sua, Kang era a corto di parole. L’unica cosa che il suo cervello riuscì a processare fu che era diventata la segretaria di un monaco buddista e che la pronuncia latina di Han Se Joo lasciava alquanto a desiderare.
“Avviso la cucina di preparare la colazione, tè bianco e-”
“Nah, stamattina voglio provare il rooibos.”
Carpe diem continuò a borbottare, per poi sparire dietro l’angolo.
Erano dieci anni che beveva sempre lo stesso tè.
Era impazzito.
La fine del mondo era vicina.
E lei prestò sarebbe stata disoccupata.
 
 
***
 
 
Han Se Joo abbassò la visiera del cappello sugli occhi e continuò a camminare, ignorando le occhiate che ogni tanto riceveva. Era abituato ad essere fermato per strada, ma quel giorno non voleva parlare con nessuno, specialmente potenziali fan che sicuramente avrebbero fatto domande su quel manoscritto di cui lui non aveva battuto nemmeno una virgola. Non sapeva neanche la trama, per l’amor del cielo, di tutti i libri che aveva scritto nessuno aveva trattato temi simili e se non fosse stato per i flashback che aveva di tanto in tanto non avrebbe saputo neanche da che parte cominciare.
Scosse la testa e decise che per quel giorno non ci avrebbe pensato; non voleva sprecare altro tempo dietro ad una faccenda che non aveva creato e che sicuramente non sapeva come risolvere.
Piuttosto si concentrò sulla sua missione: doveva andare a comprare quelle dannate piantine. Si stava già pentendo di aver deciso di riscoprirsi ortolano proprio quel giorno e di non aver ascoltato i suggerimenti della segretaria. Però era anche vero che il suo carpe diem in realtà serviva a riempirsi le giornate di attività che gli tenessero la mente occupata, perciò comprare le piantine, il concime, il necessario per allestire il suo minuscolo orto e attendere che il dannato amaranto crescesse era tutto necessario per non dover pensare agli spiriti e a-
No. Non doveva pensare a quell’essere. Anzi, doveva essere felice non fosse ricomparso di nuovo. Per sicurezza si voltò per assicurarsi che non fosse alle sue spalle, rovinandogli la giornata. Sorrise quando appurò di essere solo.
“Non mi avrai mai. Mai.”
Ovviamente non si rese conto degli sguardi straniti dei tre passanti dall’altro lato della strada che si stavano chiedendo se quello fosse il famoso Han Se Joo e se fosse effettivamente impazzito come alcuni tabloid riportavano.
Ignaro di tutto, lo scrittore riprese a camminare, cercando di ricordare la strada per arrivare al negozietto che cercava. Google Maps mezz’ora prima gli aveva dato gli indirizzi di almeno undici negozi che vendevano le piantine che cercava, ma tra quelli non c’era quello che cercava lui.
Ne aveva in mente uno specifico perché anni prima, quando nessuno sapeva della sua esistenza e i suoi libri non erano ancora diventati best seller anche nelle Filippine, era andato in quel posto per fare alcune ricerche per una storia che stava scrivendo. Aveva bisogno di avere informazioni esatte sul potere tossico dei chiodi di garofano, ma all’epoca non era riuscito a trovare nessuna informazione conclusiva. Una sera, mentre tornava a casa si era messo a pensare con più abbandono del dovuto ed era finito in un quartiere che non aveva mai visto. Erano le dieci di sera, perciò non si aspettava di poter incontrare qualcuno a cui chiedere informazioni, ma aveva comunque trovato una serranda alzata e una luce accesa, perciò si era avventurano nella struttura. Lì aveva scoperto di aver trovato un interessante emporio di spezie e, dopo aver chiesto in quale sperduta parte di Seoul si trovasse – non molto lontano da casa sua, apparentemente –, ne aveva approfittato per chiedere conferme sui chiodi di garofano. Non aveva ottenuto le informazioni che voleva, ma in compenso aveva fatto interessanti scoperte sull’estratto di semi di ippocastano, sulla radice di liquirizia e sulle fave di Tonka.
Era davvero un negozio di nicchia e il proprietario era sembrato abbastanza vecchio da poter essere diventato trisnonno, perciò non ci sarebbe stato da stupirsi se lo avesse trovato chiuso. Doveva essere da qualche parte lì in giro però, si disse Se Joo mentre girava in un vicoletto stretto e poco illuminato.
“Trovato” sussurrò, quando finalmente vide l’insegna della piccola bottega che vendeva frutta, ortaggi e spezie.
Si aggiustò gli occhiali sul naso, sorrise e si incamminò a passo veloce verso la porta. Quando spinse la porta il campanello suonò debolmente, producendo un suono quasi impercettibile. All’interno non c’era nessuno e l’unica cosa che lo accolse fu il mix di odori – e puzze, aveva un naso sensibile, lui – di cui era difficile distinguerne le parti. Da qualche parte c’era dello zenzero, ma di quello si accorse solo perché lo detestava a morte.
Il posto era molto più piccolo di quanto ricordasse e già nella sua testa era, beh, piccolo. Non sapeva nemmeno lui come il proprietario riuscisse a stipare tutti quei prodotti senza coprire ogni singolo centimetro del pavimento.
“C’è nessuno?” chiese dopo aver atteso un paio di minuti, in segno di cortesia. In realtà aveva aspettato sì e no trenta secondi perché alla fine della giornata lui era una persona impaziente e chiunque lo conoscesse lo sapeva.
Quando nuovamente non ottenne segni di vita decise di aspettare ancora un po’. Non sapeva perché, ma se doveva piantare quell’amaranto puzzolente, le piantine le voleva prendere da lì. Se gli fosse toccato andare in un altro negozio, probabilmente sarebbe passato alla prossima attività: si sarebbe dato alla delicata arte della creazione di vasi di terracotta. Magari una bella urna funeraria da dedicare a Yoo Jin Oh così da farlo sentire in pace con il mondo e-
NO. Lui non ci pensava a quelle cose.
Se Joo iniziò a scuotere la testa e a emettere suoni incomprensibili per svuotare la sua mente come ‘lalala non ti penso, non ti sto pensando, lalala’. Fortunatamente questa volta era lontano da occhi indiscreti.
Decise di dare un’occhiata in giro per il locale. Si tenne ben lontano dalle cose che emanavano un odore più pesante del normale, perciò tutti gli scaffali sulla sinistra. Ben presto la sua attenzione fu catturata da alcune foto presenti sulla parete opposta. Erano in bianco e nero, la cornice di legno sembrava piuttosto vecchia e consumata. Si tolse il cappello per non essere intralciato dalla visiera e aggiustò gli occhiali sul naso prima di avvicinarsi alle stampe.
La prima ritraeva un uomo e un bambino, entrambi sorridenti. La seconda, invece, ritraeva un gruppo di persone più ampio, compresi i due della prima foto. Il bambino sorrideva ancora, circondato da adulti. Non riusciva a vedere molto bene perché la foto era vecchia, sgranata e un po’ troppo lontana, a separarla da Se Joo c’erano dei banconi con delle cassette di legno sopra. Cercò di fare un altro passo avanti per vedere meglio e un attimo dopo notò qualcosa di familiare. C’era qualcuno con un cappello in testa, sembrava… non riusciva a vedere bene. Troppo intento a guardare meglio la foto, quasi non fece caso alla spiacevole sensazione che generalmente lo attanagliava quando si avvicinava alla macchina da scrivere o era in procinto di venire risucchiato in uno di quei flashback.
Alzò istintivamente il braccio con l’intento di prendere il quadretto per portarselo più vicino, ma fu interrotto ad un passo dal riuscirci.
“Posso aiutarti, giovanotto?”
Han Se Joo si voltò di scatto, incontrando lo sguardo del proprietario con cui aveva intrattenuto un’interessante conversazione una decina di anni prima.
La prima cosa che pensò fu che non era ancora morto e la seconda era che non poteva avere meno di cento anni perché li dimostrava davvero tutti e forse anche qualcosa in più.
“Ah, sì…” cominciò Se Joo, ma stranamente era a corto di parole. Era lì per quella dannata verdura, ma in quel momento tutto era passato completamente in secondo piano. Continuava ad avere quella sensazione nello stomaco e probabilmente era per via della foto.
“Sei tornato qui per chiedere informazioni sulla tossicità di qualche altra spezia?” domandò l’anziano, aggirando il bancone dietro cui era comparso per poi portarsi di fronte ad Han Se Joo. Era più basso di lui ci quasi quindici centimetri. Nonostante le rughe e il tono appesantito dalla vecchiaia, lo scrittore poté notare senza problemi lo scintillio che animava gli occhi del proprietario, dando alla sua anima quasi la metà degli anni che invece aveva il corpo. Lo stava scrutando in maniera quasi inquietante, constatò Se Joo.
A dire la verità, tutto era diventato un po’ inquietante in quel momento.
“Si ricorda di me? Sono passati quasi dieci anni” commentò lo scrittore con un sorriso che mostrava da una parte il suo disagio e dall’altra la sua sorpresa.
“Certo che mi ricordo, circa quattro o cinque mesi dopo il volto del giovane che è venuto a chiedermi come uccidere qualcuno con i chiodi di garofano era dappertutto. Mi piace pensare che il libro abbia venduto così bene anche grazie alla mia… expartise, chiamiamola così” rivelò l’anziano, schiarendosi la voce.
Era expertise, pensò Se Joo, ma non era educato correggere gli anziani.
Parlava davvero molto in fretta, oltretutto; quel particolare gli confermò che la mente e il corpo di quel vecchio che aveva di fronte non andavano di pari passo.
“Ryeo Ha Neul” disse l’anziano ad un tratto e di fronte allo sguardo perplesso del giovane si affrettò a precisare: “È il mio nome. Questa volta citami in caso facessi diventare famoso anche il tuo prossimo libro!”
Han Se Joo si riprese in fretta dalla schiettezza dell’uomo e si lasciò andare ad una risata liberatoria e genuina.
“Sfortunatamente oggi non sono qui per delle informazioni, ma solo per delle piantine, ma se in futuro dovessi usufruire delle sue conoscenze prometto che la citerò” gli assicurò, ottenendo un largo sorriso da parte di Ryeo Ha Neul.
“Peccato, un vero peccato. Ricordatene però, eh!” detto ciò si portò dietro al bancone e gli fece cenno di seguirlo.
C’era qualcosa che non quadrava, era come se qualcosa fosse fuori posto, finto addirittura. Han Se Joo aveva ben presto imparato che in genere in suoi presentimenti si rivelavano esatti, ma non ebbe tempo di approfondire quella sensazione. Forse per una volta era lui che si stava immaginando le cose.
“Se ho ben capito ti sei dato alla cura dell’orto. Dimmi cosa cerchi e vedremo se ce l’ho con me.”
Han Se Joo sorrise e rivelò il suo intento di piantare il bireum. L’uomo annuì e sparì nella stanza dietro di lui, per poi riemergere con sei piantine rigogliose e promettenti. Che poi sarebbero morte tra le mani di Se Joo, che non sapeva neanche tenere in via una piantina di aloe vera, era un’altra storia.
“Ti serve altro?”
“Oh, no, no.”
Di lì in poi calò un silenzio pacifico e rilassante. L’uomo imballava le piantine e lo scrittore attendeva pazientemente, cercando di mettere a tacere quella sensazione che lo punzecchiava.
Giunto il momento di pagare, però, proprio mentre tirava fuori il suo portafoglio, l’anziano Ha Neul si schiarì la voce per attirare la sua attenzione.
“Devo dirti la verità, però… mi ricordo di te anche perché dieci anni fa ho pensato la stessa cosa che ho pensato poco prima, quando ti ho visto nel mio negozio” rivelò, con un tono forse leggermente un po’ squillante. Se Se Joo non fosse stato intento com’era a cercare i soldi – ovviamente non accettavano la carta quel posto – avrebbe potuto ipotizzare che sembrava la voce di qualcuno che a stento poteva trattenere l’entusiasmo e l’emozione, come se di lì a poco sarebbe successo qualcosa di favoloso che l’uomo attendeva impazientemente ormai da tempo.
“Ah, e cosa ha pensato?” chiese distrattamente, per poi riemergere con soddisfazione con una banconota tra le mani. Ma era destinata a rimanere lì.
“Che la tua pettinatura era meglio negli anni trenta.”
Fu come se qualcuno avesse tolto il terreno da sotto ai piedi di Han Se Joo. Infatti, quest’ultimo indietreggiò con poca grazia, come se qualcuno lo avesse schiaffeggiato. O preso a pugni. La sensazione era proprio quella di una bella e sonora martellata sulla pal-
Non era possibile, non anche lì.
Era una persecuzione, quella.
“Oh, no, no, no, per favore, no. La mia mente non può reggere ancora per tanto questa situazione” biascicò con gli occhi sgranati, ad un passo dal cadere nell’isteria più pura.
“Così sembri un uccello che sta iniziando a mettere le piume. E se diventi pelato si nota prima. Non li fanno gli specchi nelle case moderne?”
Il vecchio parlò con calma, come se il suo interlocutore non fosse in procinto di morire per un infarto.
“Anche lei è un fantasma?! È in combutta con Yoo Jin Oh. Ah! Tu sei Yoo Jin Oh! Esci fuori, brutto deficiente, avevi detto che non potevi possedere le persone e invece eccoti a derubare un vecchio bicentenario del suo corpo, sei senza morale, uno spirito come te non potrà mai trovare pace! Vieni qui ho detto!” detto ciò si slanciò verso l’anziano riuscì a scansarsi agilmente nonostante l’età. Si allontanò abbastanza da poter osservare il ragazzo schiumare dalla rabbia e blaterare cose senza senso. Scosse la testa, constatando che alla fine il giovane di ora non era poi tanto diverso da quello di allora.
Mentre Han Se Joo ancora straparlava, prese il bastone e glielo sbatté sulla testa.
“Ti vuoi dare una calmata o no, razza di imbecille?” sbottò allora Ha Neul, buttando completamente dalla finestra le buone maniere che aveva sfoggiato fino a poco prima. Era come se il vecchio commesso fosse stato spodestato da quello di adesso con cui non condivideva nulla oltre all’apparenza estetica,
Se Joo si ammutolì e prese a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua.
Era appena stato picchiato sulla testa con un bastone?
“Sei esattamente come ti ricordavo” commentò l’uomo più anziano con un sorrisetto sardonico.
“No, tu non puoi ricordarti di me. Non è possibile, è tutto nella mia testa. È un incubo, probabilmente sto ancora dormendo” tentò di convincersi lo scrittore, ad un passo dal cadere nuovamente in uno stato catatonico.
Ha Neul sbuffò, perché aveva aspettato dieci anni per quel momento e non voleva perdere altro tempo.
“Yah, Seo Hwi Young! Ti vuoi riprendere o no?! Ovvio che posso ricordarti, abbiamo parlato insieme un sacco di volte, solo, beh, tu nel frattempo sei morto e rinato e io ancora no. Cosa c’è di difficile da capire?” domandò con sufficienza, come se il problema fosse che stava tentando di spiegare un concetto facilissimo ad una persona con un intelletto molto basso. Non gli passò neanche per l’anticamera del cervello che forse per una qualsiasi persona normale accettare l’esistenza di fantasmi, reincarnazioni e vite passate potesse richiedere un po’ di tempo.
“Io non sono Seo Hwi Young! Non so chi sia, non l’ho mai visto e non lo voglio neanche più sentire nominare. Si starà confondendo con qualcun altro” asserì Se Joo, che era sulla strada della negazione e non aveva intenzione di ritornare sui suoi passi.
“Che non l’hai mai visto ci credo, altrimenti non te ne andresti ancora in giro con quei quattro peli in testa ma copieresti la sua – tua, scusa – acconciatura.”
“Ma la pianta di criticare i miei capelli?! Io almeno non sembro aver messo la testa in un sacco di farina.”
Di rimando l’uomo scoppiò a ridere. Rise e rise fino a che effettivamente non rise troppo e cominciò a tossire, perché i polmoni non erano più quelli di una volta.
“Perché ride ora?” chiese Han Se Joo con un tono desolato e lamentoso, perché la persona che aveva davanti non era normale e non era giusto che solo a lui toccassero i pazzi e i casi umani. Era uscito di casa per non dover pensare a quella situazione e invece lo perseguitava ovunque andasse.
“Perché stai usando il linguaggio formale, ma nel frattempo tenti di insultarmi. È strano, ottant’anni fa continuavi ad urlarmi dietro perché non volevo usarlo io con te e ora invece sei tu che mi dai del lei. Proprio non ti ricordi di me, Seo Hwi Young hyungnim?”
Se Joo non sapeva se essere più inquietato da tutto quel discorso o dal fatto che le espressioni così… giovanili dell’uomo stonavano terribilmente con le rughe e il centinaio d’anni che si portava appresso. Eppure quando parlava c’era un qualcosa di giovane, di fresco, quasi di infantile nel suo modo di fare.
“Ah, come cambiano le cose. Però certe rimangono le stesse: non potevi prendertela con me prima perché ero un bambino e non puoi aggredirmi nemmeno ora perché sono un povero anziano indifeso. Dovevamo incontrarci di nuovo a metà strada, quando potevamo prenderci entrambi a pugni.”
Improvvisamente Se Joo sentì nello stomaco quella strana sensazione che provava quando, da un momento all’altro, avrebbe avuto modo di rivedere pezzi di una vita passata che non voleva gli appartenesse, ma che apparentemente era stata così importante da spingerlo a guardare indietro sul fiume dell’oblio. Chiuse gli occhi e la mente, nel tentativo di ancorarsi alla sua realtà presente. Non voleva tornare indietro, perché ogni volta che vedeva qualcosa era più difficile chiudere tutta quella faccenda in un cassetto e fare finta che lui era solo Han Se Joo e non era mai stato Seo Hwi Young.
“Non so davvero di cosa stia parlando.”
“Sei una testa dura, indipendentemente da quanti peli hai in testa” sbottò Ha Neul, incrociando le braccia al petto. “Se non ne sai niente perché ti sei messo a fissare quella foto quando sei entrato? In settant’anni di attività quasi nessuno ci ha fatto caso, eppure tu l’hai guardata con la nostalgia di qualcuno che ha visto qualcosa che gli manca più di quanto le parole possano descrivere.”
Dannato vecchio e la sua retorica melense. A lui non mancava nulla perché non conosceva nessuno.
“Come può mancarmi qualcosa che non ho mai visto né-”
“Ma allora sei completamente stupido! Che te ne fai di quegli occhiali se tanto continui a voler tenere la testa nel tuo culo? Tornatene a vivere sotto ad una pietra se devi continuare a sprecare il mio tempo!” urlò allora Ryeo Ha Neul, frustrato dalla totale mancanza di cooperazione dell’uomo che aveva davanti.
Han Se Joo rimase a sua volta scioccato e irritato dal tono e ribatté senza neanche pensarci: “Yah, Ryeo Ha Neul! Ti ho detto di moderare i termini, razza di amaranto insolente. Controlla quella bocca o te la tappo io a modo mio!”
Detto ciò, si coprì la bocca con entrambe le mani perché di lì erano uscite cose senza il suo consenso.
Amaranto?
Ha Neul sorrise con estrema soddisfazione.
“Ok, ho capito, ajusshi.
Se Joo voleva davvero buttarsi dalla finestra.
Chiuse gli occhi per la trecentesima volta e abbandonò la testa all’indietro, borbottando qualcosa molto simile a ‘è senile, questo vecchio va rinchiuso’. Cercò di prendere un respiro profondo, ma era troppo agitato per permettere ai suoi polmoni di ospitare l’ossigeno necessario per riprendere la calma.
Una cosa era certa. Anche lì non poteva scappare dalla realtà.
“Ok, ipotizziamo che tu non sia solo un vecchio rimbambito senile che deve essere rinchiuso a doppia mandata in un ospizio, imbavagliato e incatenato al letto-”
“Mi dai del tu, ora?”
“Dicevo, se è vero… Se sapevi chi ero, perché non me lo hai detto anche dieci anni fa? Hai detto che mi avevi già riconosciuto.”
Ha Neul non finse neanche di pensare alla risposta.
“Dieci anni fa si vedeva che non avevi davvero idea di chi fosse Seo Hwi Young, perciò di sicuro non ti saresti ricordato neanche di me e sì, mi avresti fatto rinchiudere da qualche parte. Ma oggi ti ho visto guardare quella foto, una parte di te l’ha riconosciuta. Non so perché ti ricordi del tuo passato, ma non potevo lasciarmi sfuggire questa occasione” rivelò con onestà e perfino lo scetticismo di Se Joo non poteva nulla contro quell’ammissione.
Qualcosa dentro di lui gli stava dicendo che, almeno in quel momento, era il caso di lasciar cadere le sue barriere e accettare quel che aveva davanti. Sospirò con pesantezza, troppo confuso per fare alcunché. L’unica cosa che voleva fare ora era tornare a casa e nascondersi sotto le coperte.
Fu quello che tentò di fare, ma evidentemente i suoi piani non coincidevano con quelli di Ha Neul.
“Beh, è stato bello rincontrarti, Ryeo Ha Neul, anche se non ho dei veri ricordi su di noi, sono sicuro che in passato sia stato altrettanto bello conoscerti e-”
“Hai intenzione di dire stronzate ancora per tanto?”
“Cosa? Stavo cercando di onorare la nostra conoscenza passata e… beh…”
“Ah, ma allora sei proprio un disgraziato. Sei rimasto un deficiente” borbottò il vecchio interrompendolo, perché non valeva mai la pena di sentire le frasi intere di quell’idiota, che tale era rimasto anche dopo essersi reincarnato.
Preferì invece tirargli un’altra sonora bastonata in testa. Forse, però, quella volta aveva esagerato un po’ con la forza, perché Se Joo cadde a terra come un sacco di patate.


 


* “Sono il tuo ghostwriter. Il fatto è che sono davvero un fantasma.” Frase di Yoo Jin Oh, episodio 5.
* “Rimpianti, passioni o persone indimenticabili.” Frase di Wang Bang Wool, episodio 5.
* Bireum: 
https://en.wikipedia.org/wiki/Amaranthus_tricolor


[Questa storia è ambientata dalle parti del quinto episodio. Mentre stavo guardando il drama è sorta spontanea la domanda: è se qualcuno che Seo Hwi Young ha incontrato nel passato fosse ancora vivo nel presente e riconoscesse la sua reincarnazione, ovvero Han Se Joo? Da qui è nato il personaggio di Ha Neul: secondo i miei calcoli è nato nel 1923, nel 2018 ha 95 anni e ha ipoteticamente incontrato Seo Hwi Young nel 1933 a dieci anni circa.
... se i conti non tornano è perchè per passare statistica ci ho messo quattro tentativi a suo tempo, ergo la mia matematica fa cagare *self high five*
La storia è già scritta tutta, ma essendo venuta un po' lunga ho preferito dividerla in due parti. Il titolo l'ho rubato da una delle OST del drama (SG WANNABE - Writing Our Stories) ed è una buona cosa perchè in genere i miei titoli sono pessimi. 
Giuro, prima o poi cambierò fandom. Lo giuro 
ಠ.ಠ
Scusate per eventuali errori!]
  
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