Mia musa
insolente
Morire per delle
idee
Mi
avevano convinto e la mia musa insolente
Abiurando
i suoi errori aderì alla loro fede
Dicendomi
peraltro in separata sede
Moriamo
per delle idee, vabbè, ma di morte lenta
Vabbè,
ma di morte lenta
(Fabrizio
De André, Morire per delle idee – traduzione di G.
Brassens)
“Non
chiedermelo. Non farlo più.” La voce di Sigyn
è un sussurro allarmato, una
preghiera, un avvertimento, una supplica – ogni cosa e
nessuna. Nei suoi occhi
grigi, grandi e rotondi, scintilla il terrore, la paura che nasce da
una
debolezza di cui lei è cosciente. Ha le palpebre truccate di
nero, e collane e
bracciali che tintinnano a ogni suo movimento. È una strega
potente, capace di
creare tremendi veleni e pozioni salvifiche, ma
c’è un incantesimo da cui non è
mai riuscita a sciogliersi.
Le
malelingue dicono che, in realtà, lei non ha mai voluto
liberarsene.
Sei
colpevole, Sigyn. Lo ami ancora. Uno dei gioielli che indossi tutti i
giorni è
suo – e Thor lo sa e ti scruta le mani, il collo e le braccia
in cerca di una
traccia di suo fratello.
“Si
è
alleato con Thanos. Col titano folle. Ha un esercito di mostri, i
Chitauri,”
racconta il principe di Asgard, l’erede al trono.
La
sua voce è secca e amara. Porta su di sé i segni
di una battaglia giusta,
l’ultima di una lunga serie, fatta per proteggere un mondo
abitato da gente
ignara e sciocca e appassionata – Loki gliel’ha
descritto, una volta: l’ha
chiamato stupido sasso, ma un giudizio così feroce mal si
accostava con la descrizione
delle albe e dei tramonti, delle città e dei deserti.
Lo
sguardo bistrato di Sigyn sostiene quello, franco e azzurro, del
tonante.
“Io
non posso. E se non l’hai convinto tu…”
“Mi
ha pugnalato ed è fuggito. Il suo cuore è troppo
carico di rancore,” le spiega
Thor e, nel farlo, si guarda le mani di guerriero, grandi e forti.
“E il
tuo?”
“È
mio fratello. Voglio riportarlo ad Asgard.” Fa una pausa,
Thor. Lunga, troppo.
“Vivo.”
Sigyn
sussulta. Quell’ultima parola vuol dire troppe cose.
C’è
silenzio, tra loro.
Lei non
tiene mai i capelli sciolti; non più.
Lo
sai, Sigyn, quant’è facile cadere. Lo ricordi.
Senti
ancora, Sigyn, quant’è difficile
rialzarsi. Ti tremano le gambe al solo pensiero.
Temi
il vortice, il caos, la danza che già una volta ti ha resa
pazza.
La
prima volta sei guarita, ma la seconda, dea della fedeltà,
sarai altrettanto
fortunata? È la sua voce ironica a sussurrartelo. Quella che
non hai
dimenticato e infuoca i tuoi sogni.
Sentirai
le sue mani su di te – abili, lente, capaci di insinuarsi,
come le sue frasi,
sotto i tuoi vestiti e la pelle. Lascerai che lo faccia?
Sì.
Per Asgard. Per lui.
Oh,
Loki.
Voglio
soltanto che sia prigione
Di
respirare la stessa aria
di un secondino non mi va
perciò ho deciso di rinunciare
alla mia ora di libertà
se
c'è qualcosa da spartire
tra un prigioniero e il suo piantone
che non sia l'aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione
(Nella mia
ora di libertà, Fabrizio De André)
Loki
non crede in niente. Combatte per sé e osserva ogni cosa con
occhi attenti e un
sorriso sghembo e ironico sfoggiato a testa alta, con divertito
sprezzo.
L’istinto di sopravvivenza si è legato alla
necessità di vincere e di
conquistare che gli accende lo spirito.
Sei
uno Jotunn. Lasciato a morire su un picco di ghiaccio.
L’ennesima
reliquia rubata, che Odino voleva usare e manipolare – che ha
ingannato.
Lei sfiora ogni
oggetto presente nella
sua tenda e gioca con un pugnale dalla lama ritorta e affilata. Le sue
dita
accarezzano il mantello di pelle scura, le pergamene arrotolate e
ruvide, la
mobilia semplice e austera – tutto tranne
che lui.
Perché
toccare la tua pelle è come bruciarsi e non mi è
mai importato che fossi il
figlio di Laufey. Lo sai.
Il
dio dell’inganno l’osserva immobile, con le braccia
incrociate dietro la
schiena. La ricorderà così, ne è
sicuro.
Sulle
dita sottili e delicate splende l’anello che lui, un giorno
lontano, le ha
donato.
“Lo
indossi sempre, dea della fedeltà? O è
l’esca che hai messo per me?”
Gli
occhi di Sigyn sono pieni di ombre. “Se ti dicessi che non
l’ho mai tolto, mi
crederesti?”
“Ti
manda Thor.”
Lei fa
un passo in avanti, con la sua gonna che pare una nuvola di veli.
“Mi ha detto
dove trovarti e cosa stai facendo. Dice che sei pazzo.” Fa
una pausa e sospira.
“Io, che stai rischiando la vita servendo
una creatura crudele.”
L’ha
scelto apposta, quel verbo. Desiderava provocarlo, avvertire la rabbia
a stento
trattenuta dietro il viso affilato e il ghigno beffardo. Servire.
Loki
serra la mascella, la fissa con quei suoi occhi quasi trasparenti dove
brilla
un guizzo d’ira. “Io dovevo essere re. Di Asgard.
Di Jotunheim,” le dice tra i
denti.
È
una nenia quella che canti e ripeti, Loki, aspettandoti che diventi
vera? Sigyn
è perduta, come Asgard, come i sogni di gloria che il tuo
sangue impuro ha
sporcato. Non sei più degno – né di
lei, né di loro.
Sigyn
scuote la bella testa dorata. Il rimpianto le morde il cuore quasi
quanto la
voglia di sfiorargli il viso affilato. “E vuoi che sia Thanos
a metterti la
corona che ti spetta?”
L’Ase
maschera il fremito d’orgoglio che lo scuote.
“È troppo tardi. Tu non
sai.”
“Puoi
ancora sempre scegliere da che parte combattere,
Loki. Potrai sempre
farlo.”
Lui
butta il capo all’indietro e ride, ma senza gioia.
Mi
baciò sulla bocca
Mi
parlò sulla bocca, mi donò un braccialetto
Dite alla quercia che non tornerò
Mi baciò sulla bocca, mi propose il suo letto
Dite a mia madre che non tornerò
Mia madre
mi disse "non devi
giocare
Con gli zingari del bosco"
Ma il bosco era scuro l'erba già verde
Lì venne Sally con un tamburello.
(Sally,
Fabrizio De André)
Un
brivido scorre lungo la schiena di Sigyn. L’abisso la
ghermisce con un
presentimento che sa di ferro. Poi, tutto si fa rosso come il sangue.
Si
sveglia all’improvviso, stringendosi al corpo nudo la coperta
ruvida
dell’accampamento.
Lui
apre gli occhi. Verdi, indagatori, freddi.
Il
letto sa di loro, dei sussurri sbagliati e degli ansiti figli di un
bisogno
urgente e necessario che li ha condannati a ripetere errori antichi, di
nuovo.
E
non è cambiato nulla, non cambierà mai nulla.
Ha
l’odore della sua pelle addosso, i capelli sciolti e
disordinati che le
scendono sulla schiena e ricorda, sì, ricorda
l’intrusione che ha invocato – la
sua anima ne porterà i segni, per sempre, perché
la fedeltà e l’inganno non
sono destinati a stare insieme, non in questo mondo.
Ci
hanno provato, ma lui si è perso inseguendo il trono e il
potere. Voleva essere
re e invece è schiavo del Titano – e lo
sai, Loki.
Cerchi
di sfuggirgli, ma lo sai che l’unico modo per liberarsi di
Thanos è morire o
ucciderlo.
Sigyn
fugge dal suo abbraccio e si riveste in
fretta – non dovevamo cadere di nuovo. È
un errore, dici, ma non fermi né le
sue labbra né le sue mani, anzi; rispondi ai baci e alle
carezze. Cadi
nell’abisso, perché questa è una guerra
che hai combattuto, ma che non vuoi –
non sai – vincere.
“Devo
tornare.”
Loki
si puntella su un gomito e si passa l’altra mano sui capelli
scuri e
scarmigliati, lì dove lei ha affondato le dita. Osserva
nella penombra la
figura delicata e flessuosa della donna e pensa al tempo in cui
dividevano il
letto quasi ogni notte, presi dalla febbre d’aversi,
dall’urgenza di
completarsi.
Sapevano
di vino, le loro labbra[1],
dell’idromele della
vittoria, e di speranza.
Ha
distrutto ogni cosa, tra loro, lo sa, eppure chiede e domanda.
“Ci
vai a letto?”
È una
domanda crudele, fatta a bruciapelo. Lei lo guarda per un momento,
incredula. “La
tua gelosia è offensiva.”
“E tu
non hai risposto.”
“Come
puoi pensarlo,” sospira. Non gli deve più niente,
nessuna spiegazione, eppure
trova giusto rassicurarlo, lenire con un balsamo la ferita che ha
infettato il
cuore dell’ingannatore. Che insiste, crudele, disegnando una
realtà possibile,
ma che non c’è mai stata.
“Il
tempo, la vicinanza. La mia assenza. Ah, dimenticavo: sei qui
perché te lo ha
chiesto.”
Sigyn
si volta e si avvicina. Gli sfiora le labbra senza smettere di
guardarlo.
“Sono
con te. Non apparteniamo a due schieramenti diversi. Non se tu lo
vuoi.”
Le
rivolge un sorriso mesto. “Asgard non è più
la mia casa, Sigyn.”
Occhi grigi
Via del Campo
c'è una bambina
con le labbra
color rugiada
gli occhi grigi
come la strada
nascon fiori
dove cammina.
(Via del Campo,
Fabrizio De André)
L’incantesimo
squarcia il cielo, fa tremare la terra, si lega al tuono di cui Thor
è signore
e padrone. Si pulisce la fronte dal sangue, apre l’unico
occhio azzurro e lo
vede, suo fratello che calpesta il campo di battaglia, fiero e
sprezzante come
sempre.
Sorride,
perché in cuor suo lo sapeva, che sarebbe tornato. E non
importa come, né perché
abbia scelto di combattere. È lì per essere
libero, per rompere le catene cui
l’hanno costretto il proprio orgoglio e il Titano, per
vendetta, per l’onore,
per la libertà. Per aiutarlo, persino.
“Sei
in ritardo,” gli dice.
“E tu
senza un occhio,” risponde Loki, pungente. In mano stringe
l’elmo decorato con
le lunghe corna dorate ora macchiate di scarlatto, usate per colpire a
morte i
suoi nemici. Perché il dio dell’inganno, di quelli
che chiamano i suoi figli
mostruosi ha la ferocia e l’implacabilità e la
rabbia – ogni affondo è una
ferita insanabile, inferta dove il danno è maggiore.
Loki
guarda davanti a sé e recita l’ennesima
stregoneria che aumenterà a dismisura
il potere di Stormbreaker[2].
Lottano
insieme, fianco a fianco, fino a lerciarsi di fango e sangue.
Il
Titano chiama Loki traditore. Vuole la sua testa, come desidera quella
di Thor.
Saranno trofei interessanti da esibire dopo, quando
il potere del guanto
si esaurirà, consumandolo, dopo che l’obiettivo di
una vita si realizzerà e
metà dell’universo sarà falciata,
riportando un ordine che esiste solo nella
sua mente malata, nel tentativo bieco di inseguire una
parità perfetta, che
odora di morte e terra e dolore.
I
loro muscoli sono tesi nello sforzo di ferire e di uccidere, la
vittoria è
lontana, ma la pelle sarà venduta a caro prezzo –
perché tutto il resto è stato
già sacrificato e non rimane altro che un
corpo vuoto che mena fendenti
e va avanti.
È per
quello che, alla fine, Thor pone la domanda.
Loki
gli rivolge un’occhiata breve con quei suoi occhi rabbiosi e
lucenti, senza,
però, concedere alcuna risposta. Sapeva,
ma non è solo per questo che è
tornato. Ha spezzato le catene di fronte
all’incantevole oro e al suo sangue.
E poi,
tra loro, è suo fratello quello che ha più
possibilità di sconfiggere Thanos,
un giorno, e allora serve tempo…più tempo.
Più di quanto ne abbiano.
“È
vendetta, allora,” stabilisce il tonante.
L’ingannatore
non replica. Ricorda, e
inghiotte rancore e dolore. Serra le labbra e promette e racconta che
tornerà a
splendere il sole, su di loro, e davanti al Titano che li incalza
assicura la propria
eterna Fedeltà con un sorriso sghembo, che a Thor
fa male al cuore, perché sa
chi ha nominato – evocato – in quel momento.
Non
ha bisogno di conoscere della ciocca d’oro, di donna, che
Loki tiene al sicuro nella
bandoliera.
È
tutto
ciò che ti rimane di lei.
Via del Campo
c'è una bambina
con le labbra
color rugiada
gli occhi grigi
come la strada
nascon fiori
dove cammina.
(Via del Campo, Fabrizio De
André)
L’angolo
di Shilyss
Care Lettrici
e cari Lettori,
Anzitutto,
grazie per essere tornati ♥. Chi mi segue anche su facebook
sa che nelle scorse
settimane ho avuto una brutta sorpresa scrittoria fatta di troppe,
decisamente troppe
coincidenze.
E qualche
conseguenza sul mio umore e sulla mia voglia di condividere sicuramente
c’è
stata – ma non abbastanza da fermarmi, come potere vedere.
Ho creato
queste flash seguendo un prompt della cara Rosmary:
il tema? I soldati e
le loro motivazioni. Sono uscite fuori queste flash che raccontano una
storia
che vorrei scrivere più avanti, ma che hanno in comune col
canone più di quanto
avessi al momento in mente. Non so se sono riuscita a rispettare il
prompt e
spero di aver sperimentato abbastanza con lo stile volutamente criptico
– la
raccolta “Lacci” serve proprio a
questo, sulla carta.
Perdonatemi se
la storia è decisamente angst; immagino una Sigyn morta per
mano di Thanos. Amo
Loki e Sigyn, ormai lo sapete, ma ogni tanto sento la necessità
di esorcizzare.
Voglio
ringraziare coloro che recensiscono/
leggono/seguono/ricordano e
preferiscono – ogni volta che listate o
vi palesate m’illumino
d’immenso, per voi sembrerà una cosa da niente, ma
vi assicuro che ricevere sostegno
per chi scrive ha la sua importanza.
Ricordo
che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
A presto e
grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e
spero voi lovviate
me).
Shilyss
[1]
È un titolo di una mia
shot che vi consiglio (cercatela nel pofilo). Nel testo sono presenti
anche
riferimenti ai dialoghi dei film The Avengers, Thor: Ragnarok e
Avengers:
Infinity War, parafrasato.
[2]
Queste flash sono dei what
if che mescolano elementi della battaglia contro Hela vista in Ragnarok
con
quelli dello scontro con Thanos visti in Infinity War.