Anime & Manga > Bungou Stray Dogs
Ricorda la storia  |       
Autore: Manto    01/08/2020    1 recensioni
❤ Terza classificata al contest “Favole di Oggi” indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP
(Nella mia mente doveva essere una Ranpoe più esplicita, ma gli elementi ci sono tutti.)
In una notte silente, un incidente sconvolge Yokohama e porta alla luce un doloroso segreto: le ombre iniziano ad addensarsi su una strada che conduce fino all'America e la morte sorride ancora, senza sapere di essere inseguita dall'unica persona che possa ridare speranza agli abbandonati.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akiko Yosano, Doppo Kunikida, Edgar Allan Poe, Ranpo Edogawa, Yukichi Fukuzawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

DISCLAIMER: Tutti i personaggi qui presenti non mi appartengono.
La storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro.

Storia partecipante al contest “Favole di Oggi” indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP

 

 

 

I Can’t Sleep (Until I Feel Your Touch)

 

 

 

 

 

I ♦ La Tua Grazia Trepida Guidava a Te…

 

 

 

Quella sera, la luna era immersa in una quiete che non apparteneva ai mortali — di certo, non a quelli che l’osservavano trasognati dalle grandi vetrate del palazzo o le lanciavano solamente un fuggevole sguardo tra una chiacchiera e l’altra, e si confondevano, respiravano e lasciavano correre il tempo in mezzo alla variopinta folla. La sua luce era debole, come se fosse stata immersa nell’acqua e questa le avesse diluito il colore fino a renderla un’opaca macchia bianca, mentre le stelle che la circondavano erano innumerevoli e brillavano con forza: forse erano state loro a derubarla di tutto lo splendore, o lei stessa a cederlo.
Un simile spettacolo non era comune a Yokohama, là dove solitamente erano ben altri i colori che pulsavano tra le vie e sui palazzi e la notte fuggiva via quasi inosservata; ma a quell’altezza niente poteva competere con la bellezza della volta e i riflessi che l’oceano intrappolava, uno specchio che solo in parte rifletteva la frenesia di quelle ore.
«Uff… sono al limite, grande luna, pieno come te. Ho forse esagerato?»
Chi può sapere se la prima Musa dei poeti ascolta gli uomini, a volte, quando il buio è immobile e nulla giunge a farle compagnia; forse quella notte lo fece, chiamata dai vividi occhi verdi che s’impressero su di lei e nonostante il caos che li circondava.
Distante da quella medesima ridda di persone e parole, Ranpo lasciò andare un secondo sbuffo e si appoggiò con la schiena all’elegante balaustra che cingeva la terrazza dove si era rifugiato, rovesciando la testa in modo che cielo e acqua si scambiassero di posto e la città pendesse dall’alto come un lampadario: la prima cosa interessante della serata — dopo l’enorme buffet a cui aveva reso onore, ovviamente.
Raramente partecipava a eventi del genere; tuttavia, quella era un’occasione speciale. Neanche una settimana prima, infatti, aveva risolto un delicato caso di tentata rapina culminata con un omicidio, dove tutte le prove sembravano incriminare un caro amico del Presidente; ma era bastato molto poco per portare alla luce la verità, rovesciare le evidenze e impedire un processo ingiusto, mentre Yosano e Kunikida avevano fatto in modo che il vero colpevole non ripetesse la sua vergognosa impresa.
Come ringraziamento, l’innocente aveva invitato Fukuzawa e i suoi tre salvatori alla mostra personale che solamente grazie a loro era riuscito a portare a termine e presentare al pubblico; così Edogawa si era ritrovato nel cuore della festa, culmine dell’evento, quasi senza accorgersene, con il Presidente completamente preso dal suo amico, una Yosano divenuta ben presto alticcia e fin troppo sorridente e il povero Kunikida fatto prigioniero dal medico e trascinato in una baraonda tutta al femminile, capace di soffocare le più disperate grida del biondo.
E lui, dopo aver gironzolato per l’intero edificio, essersi trattenuto il più possibile al tavolo del buffet e averlo derubato di tutti i dolci che offriva, aver assistito impotente alla resa di Doppo e aver rischiato una discussione infinita con l’incauta giovane che aveva provato a prendere l’ultima bottiglia di ramune[1] rimasta, alla fine non aveva trovato occupazione migliore che mettersi sotto la protezione della notte e magari farsi un pisolino sulla quieta terrazza, in attesa della chiusura dei festeggiamenti o almeno fino a quando il mondo non si sarebbe calmato un poco.
La brezza che saliva dall’oceano sembrava respingere tutte le voci lontano da lui e questo gli era gradito perché lo aiutava a pensare e rilassarsi, così da farlo concentrare su quello che gli importava; e tra le tante sensazioni che si affacciarono sotto la luna, improvvisamente ne arrivò una che gli colpì i sensi e prevaricò le altre.
Simile a un fumo indistinto e sottile che s’insinuava nel corpo e nei pensieri, appena accennato ma presente, spinse il moro a girarsi, sporgersi oltre la balaustra e guardare verso il basso per cercare la fonte dell’impulso; e qualcosa di più intenso iniziò a raggiungerlo, resistendo qualche attimo prima di svanire completamente come se mai fosse esistito. Eppure non poteva essere stata solamente un’impressione, no, aveva davvero percepito…
«Hey, attento! Ranpo-kun, è un bel salto se si cade da qui.»
Dopo un istante d’immobilità scaturito dalla sorpresa, Ranpo rialzò il viso e guardò nella direzione da dove proveniva la voce; ci mise solamente un secondo a riconoscere la figura con le mani protese verso di lui e l’aria preoccupata, ma impiegò ancor meno tempo ad aprirsi in un sorriso, raddrizzarsi e assumere una posizione più sicura, per poi allargare le braccia con entusiasmo. «Che sorpresa, Poe-kun
Questi accennò un timido sorriso, quindi ritornò serio e si avvicinò di più al giovane. «… Che cosa volevi fare? Saresti potuto precipitare da un momento all’altro.»
«Era tutto sotto controllo! E poi non posso morire così, è da stupidi! E parlando di te, che cosa ci fai qui? Sei stato invitato anche tu? … Hai qualcosa per me, magari un nuovo romanzo?»
Edgar sorrise nuovamente sotto quella sfilza di domande, un moto di orgoglio che gli colorava le guance. «È stato un bene saper del tuo invito alla mostra, così te l’ho potuto portare appena finito», mormorò allungando il bel volume dalla copertina nera che aveva tenuto in mano fino a quel momento, aumentando l’interesse e l’allegria di Edogawa. «Non mi lasci molto tempo per annoiarmi, Poe-kun! Hai fatto in fretta, l’ultimo me l’hai dato solamente quattro giorni fa!»
«È breve, sì, ma questa volta sono sicuro di aver fatto del mio meglio.»
«Diventi sempre più bravo — non al mio livello, certo, ma scopriamo che cosa mi hai riservato…» Il moro si bloccò, per poi allungarsi verso Poe e indicare un libro che compariva da sotto il mantello. «Io vedo un altro volume, però.»
«Oh, questo non credo che t’interesserebbe. Non ci sono misteri qui dentro, è solamente una storia di fantasia che devo ancora finire… mi mancano poche frasi.»

«Non sai proprio staccarti dai libri.»
«Eeeh? Che cosa vuol dire?»
Ranpo rise nello scorgere l’espressione stupita del ragazzo e con uno scatto lo afferrò per la falda del mantello, iniziando a trascinarlo verso la sala più vicina. «Mi è ritornata fame, e non c’è niente di meglio che mangiare qualcosa mentre si legge! Andiamo!»
«Pi-piano, Ranpo-kun, non tirare così, non riesco a respirare! … E poi, e poi io odio trovarmi in mezzo alla confusione… e ci tengo a questo mantello…»
«Che esagerazione, non sto tirando così tanto! Ah, mi è venuta anche sete… hey, giù le mani da quei botamochi[2], li ho visti prima io! Poe-kun, di’ qualcosa anche tu, è un’ingiustizia!»
Di certo sarebbe stata una delle migliori serate che entrambi avrebbero vissuto, sicuramente le ore sarebbero passate ignorate, distanti dalla loro mente; ma all’improvviso le luci si abbassarono e allarmi antincendio iniziarono a suonare ovunque, rompendo l’atmosfera distesa e cristallizzando i gesti nella sorpresa.
I due giovani si azzittirono e alzarono lo sguardo al soffitto, confusi, ma Ranpo fu il primo a riaversi: la sensazione che aveva percepito sulla terrazza era ritornata, questa volta fortissima e ben più persistente. Non era simile a fumo, ma fumo reale: aveva colto il principio di un pericolo che, per qualche motivo, si era affievolito solo per riprendere forza in un secondo tempo e divenire fuori controllo.

Maledizione.
«Vieni, dobbiamo trovare gli altri!», gridò il giovane a Poe, infilandosi con lui in mezzo alla folla che iniziava a fuggire dalla sala e cercando di guadagnare l’uscita.
I corridoi che si trovarono davanti si erano trasformati e da luminosi e risuonanti di voci erano divenuti bui e soffocanti, mentre non più persone ma volute nere e danzanti ombre rossastre risalivano le scale di marmo come fantasmi; gli ambienti che si conoscevano bene si allungavano fino a risultare interminabili e si tramutavano in trappole, mentre il ruggito del fuoco si faceva sentire sempre più forte via via che l’incendio allungava le mani su tutto ciò che trovava.
Correndo il più veloce possibile e badando sempre che Edgar fosse almeno vicino a lui, Edogawa cercò di filtrare gli stimoli che giungevano da ogni parte — richiami, boati, scricchiolii, sensazioni che si mischiavano nella testa e che rischiavano di rimanere senza una razionalizzazione — mentre le sale diventavano tutte uguali e i minuti a disposizione si riducevano. Non essere rimasto insieme agli altri, o almeno a portata d’occhio, improvvisamente gli sembrava un errore tanto grave da poterselo difficilmente perdonare, e tanto lo prese il pensiero che si accorse di aver incrociato Kunikida solamente quando stava per superarlo. Fu infatti l’altro ad afferrarlo per un braccio e trattenerlo, per poi scuoterlo e dire qualcosa che lui non comprese subito: era riuscito a trovare il Presidente ma era stato diviso da Yosano, che aveva aiutato delle persone a scappare e si era persa nella folla.
A rimarcare quelle parole, Fukuzawa comparve alle sue spalle e, accertandosi che tutti i presenti stessero bene, li spinse a lasciare il piano dove erano ormai rimasti i soli.
L’indomabilità del fuoco era ormai palese nel bollore che percorreva i muri, nella densa caligine che occupava ogni spazio e negli scoppi e crolli improvvisi che si rincorrevano di struttura in struttura, ostruendo uscite e stravolgendo i percorsi: in almeno un paio di casi solamente la prontezza di uno del gruppo riuscì a evitare che qualcun altro finisse ustionato dalla caduta di materiale infuocato, mentre lentamente i piani diminuivano e l’uscita era sempre più vicina.
Con l’approssimarsi di questa, tuttavia, aumentava anche la gente che lì si accalcava: alcune porte erano state danneggiate dal calore e non riuscivano ad aprirsi completamente, costringendo così a rallentare l’esodo e aumentando la paura.
Il crepitare delle fiamme e urla di panico, mille e più voci, spinte e scene che nessuno dovrebbe mai vedere li investirono, e per un attimo Ranpo perse la cognizione del tempo: destabilizzato, incapace di appigliarsi a qualcosa perché immerso in un caos ribollente, cercò almeno di rimanere vicino ai compagni, ma anche in quello fallì; infatti, quando si volse intorno, vide che era solo, senza gli altri al suo fianco. Tuttavia, con la coda dell’occhio riuscì a scorgere la figura di Edgar qualche metro dietro di sé, rivolta verso l’ombra di Fukuzawa, e allora fece per retrocedere fino a raggiungerli e accertarsi di quale fosse la situazione; prima di questo, la voce di Yosano incontrò la sua attenzione.
«Ranpo-san! Ranpo-san, sono qui!»
Un attimo dopo il medico comparve a poca distanza, ostacolata dalla massa di gente che li divideva, e lui si voltò nuovamente per avvertire il gruppo; ma stavolta vide solamente un enorme sbuffo di fumo che si allargava nella sua direzione, seguito da un frastuono e da una spaventosa vampata di calore che lo costrinsero a tapparsi le orecchie e gridare. Udì la voce di Kunikida urlare qualcosa a sua volta, ma non riuscì a capire da quale direzione provenisse: sembrava essere davanti, accanto e dietro di lui al medesimo tempo, indefinibile.

È spaventoso, tutto questo è orrendo. Quando finisce, quando finisce?
Percorso da un brivido, il giovane aprì la bocca per dire qualcosa; e in quell’attimo una nube grigia gli penetrò dritta in gola, facendolo tossire via via più forte e respirare sempre meno. Gli occhi presero a lacrimare e le gambe a cedere, mentre la gola ardeva: doveva uscire immediatamente o avrebbe avuto un collasso.
Quando finisce? Basta, basta!
Appena si liberò, Yosano fu svelta a raggiungerlo e stringerlo a sé, mettendogli il proprio scialle davanti alla bocca. «Non ti staccare da me per nulla al mondo, intesi? Piegati, così», gli sussurrò mentre gli premeva gentilmente il capo verso il basso e quasi sollevava il suo corpo da terra.
Non erano passati che pochi attimi — o almeno, così sembrò a lui — che un soffio d’aria fredda schiaffeggiò entrambi non appena si lasciarono alle spalle l’inferno; la notte li abbracciò e si trovarono a rotolare a terra, boccheggiando come pesci e sentendo la pelle bruciare in ogni dove, i sensi inebetiti e il cuore che avrebbe potuto benissimo spezzare il petto tanto batteva forte… ma salvi.

E gli altri? Gli altri…
Senza perdere tempo, Akiko prese una delle bottiglie d’acqua che era riuscita ad afferrare in fretta e furia e gliene rovesciò una buona metà sul viso, quindi lo fece bere finché non annuì. Solo allora ebbe il coraggio di parlare: «… Ho perso Kunikida-san nella folla, e… e non l’ho più trovato. L’hai visto, per caso? E il Presidente?»
Ranpo deglutì, prese una nuova boccata d’aria e fissò il palazzo a poca distanza. Ormai le fiamme erano ovunque, si dimenavano fuori dalle finestre e ruggivano fin sul tetto; se qualcuno era rimasto là dentro… «Sì, li ho incontrati. L’ultima volta che li ho visti erano dietro di me, con Poe-kun.» Una pausa, intessuta di pesantissima tensione, e lo sguardo che cercava tra i visi terrorizzati che li circondavano. «Nessuno di loro è qui.»
«Non c’erano quando ti ho trovato… sei sicuro che ti abbiano seguito?»
«Sicuro? Sicurissimo! Poe-kun era proprio alle mie spalle! Stava dicendo qualcosa al Presidente, e poi… poi c’eri tu, e il fumo tutt’intorno.» Il ragazzo si bloccò, quindi si alzò con un’espressione seria e irremovibile a scurirgli gli occhi smeraldini. Avanzò di qualche passo verso il rogo, ma la mora lo afferrò per un polso e lo costrinse a fermarsi, per poi fissarlo così intensamente da uncinargli l’anima. «Non perdere la testa e respira, respira: vedrai che stanno bene, non li abbiamo ancora visti ma sicuramente sono usciti anche loro, lascia che tutto si calmi e—»
«Siamo qui.»
I due giovani si voltarono all’unisono quando udirono quella voce ferma, sorpresi, e immediatamente lasciarono andare tutto il fiato che avevano trattenuto in quegli istanti.
Con il volto annerito dal fumo, la pelle arrossata in più punti a causa del contatto ravvicinato con il fuoco e gli abiti bisognosi di una bella pulita — e, nel caso del Presidente, un’ustione non grave sul braccio destro — e aiutandosi a vicenda nel camminare, Kunikida e Fukuzawa si unirono a loro e subito si sedettero al suolo, le forze ormai mancanti. Edgar era distante di qualche passo ma ben distinguibile, la sua ombra che scivolava verso il gruppo come una tremolante presenza.
«State tutti bene, vero? Che cos’è successo?»
Kunikida bevve un lungo sorso dalla bottiglia che Yosano gli aveva appena porto, quindi prese un grosso respiro e corrugò la fronte, parlando lentamente per scegliere con cura le parole: «Appena abbiamo raggiunto il corridoio del primo piano, io e il Presidente siamo stati fermati dal crollo di alcune travi: ci sono piombate addosso e bloccato le gambe, e il fumo ha iniziato a soffocarci. “La fine è ormai qui”, così abbiamo pensato… e poi… ecco, non so come spiegarlo, ma tutto si è fermato e siamo entrati in una sorta di sogno: niente più fiamme né fumo, ma un luogo aperto e immerso nel silenzio, uno scenario incredibile… chi può sapere che allucinazione ci ha colto.»
Ranpo spalancò gli occhi. «Un mondo completamente diverso? Paesaggi fantastici?»
«Sì, qualcosa del genere; e improvvisamente tutto è finito e ci siamo ritrovati qui, a qualche passo da voi, salvi. Personalmente non so davvero spiegarmelo, e so che sembra che io sia impazzito, ma…»
Il ragazzo rimase un istante immobile, quindi sorrise e annuì. «No, non sei diventato matto e una spiegazione c’è», sussurrò, per poi alzare la voce e avanzare di qualche passo, «e per questo dobbiamo ringraziare solamente una perso—»
«Ranpo.» Fukuzawa, che fino a quel momento era rimasto in silenzio e aveva concentrato la sua attenzione altrove, richiamò il giovane con un’occhiata e si volse in direzione di Poe; appena Edogawa lo seguì, comprese che la notte non era ancora giunta al suo termine.
Edgar non presentava ustioni, era annerito di fumo e aveva bisogno di un cambio d’abiti come gli altri; ma si teneva la testa con entrambe le mani e lo sguardo con cui fissava il rogo, dilatato in un’espressione d’orrore, era semplicemente spaventoso. Non era solo terrorizzato, ma in uno stato di shock che gli aveva ridotto il respiro a un sibilo appena percettibile, quasi gran parte della vita lo avesse lasciato.
Chinando la testa di lato e senza mai smettere di guardarlo, Ranpo gli si avvicinò. «È finita, calmati. Grazie a te stiamo tutti bene.» Tese una mano, ma Poe indietreggiò appena venne sfiorato. Sulla sua pelle correva un brivido gelido che fece retrocedere l’altro a sua volta e gli trasmise un sospiro di paura, com’era accaduto in passato davanti a ciò che aveva trovato incomprensibile; ma non era quello il caso perché riusciva a sentire tutto e a capire che qualcosa, nell’incubo di pietra e vetro che avevano innanzi, aveva attaccato Edgar con tale forza da penetrargli il cuore.
Il fumo non aveva soffocato tanto il corpo, quanto denudato una sinistra realtà.
«Poe-kun… che cos’è successo? Parla, di’ qualcosa! Che cosa hai visto?»
Fu il silenzio a rispondere.
In un moto impulsivo e prima che uno degli altri lo potesse trattenere, Ranpo scattò in avanti fino a coprire i pochi metri che lo dividevano dal ragazzo e gli afferrò i polsi, scuotendolo con forza. «Dimmi che cos’è successo, EDGAR!»
Quel gesto e il suono del suo nome riscossero Poe, che abbassò gli occhi e li ancorò in quelli di Edogawa. Oltre a tutto ciò che questi aveva intuito, dentro di essi si muoveva una tristezza immensa, pulsante, e una richiesta di perdono.

Non la sta implorando da me… ma da sé stesso.
«Mi dispiace… mi dispiace davvero.»
«Perché ti stai scusando, che cosa hai visto? Rispondimi!»
Lentamente, scuotendo il capo, Edgar si liberò dalla presa di Ranpo e indietreggiò ancora. I riflessi dell’incendio s’insinuarono tra loro per tutto il tempo in cui silenziosamente si guardarono, poi si moltiplicarono mentre Poe si voltava per andarsene ed Edogawa rimaneva fermo dov’era, la voglia di urlare e chiedere e correre messa a tacere dalla consapevolezza che niente sarebbe cambiato, che l’altro non si sarebbe girato né avrebbe smesso di allontanarsi da lì e da lui.
Nell’eco dei passi via via più distanti, un buio che nemmeno la danza del fuoco sapeva rischiarare.

 

 

Ormai nessuno avrebbe più dormito dopo quegli eventi, e le ore successive non si prospettavano meno impegnative.
Raggiunta l’Agenzia, Yosano visitò immediatamente sia Kunikida che Fukuzawa per accertarsi della loro situazione ed evitare spiacevoli sorprese o ricadute, e per tutto il tempo Ranpo rimase ad aspettare accanto a loro, senza rispondere a chi lo interpellava perché la sua mente era altrove, fissata sempre nello stesso posto e momento. Si animò un poco quando dovette spiegare al Presidente e a Doppo chi e come li avesse salvati da una fine orrenda, e per tutto il tempo in cui lo fece tenne lo sguardo fisso sul volume che Akiko aveva rinvenuto poco lontano dal luogo dove si erano ritrovati: il racconto di fantasia che Edgar aveva ultimato con una sola frase, ciò che li aveva strappati al fuoco. Pur nel mezzo del disastro, con le speranze ormai ridotte al limite, il ragazzo aveva impiegato le sue capacità per lottare contro le unghie della Morte, uscendone vincitore; era rimasto nell’incendio finché non aveva compiuto un piccolo, grande miracolo e tutti, tutti loro dovevano almeno dei ringraziamenti a Poe… e Poe, qualunque cosa avesse vissuto in quei minuti in cui si era trovato faccia a faccia con il tempo che correva spietato, non era lì ad ascoltarli.
Il silenzio ritornò insieme a tali pensieri, e quando Yosano ebbe visitato anche Ranpo, nessuno fra loro oppose resistenza appena il ragazzo afferrò il proprio cappello e lasciò l’Agenzia per scomparire in ciò che restava della notte, diretto solo lui sapeva dove.
Era appena sorta una pallida alba quando il medico lo vide fare ritorno con l’umore leggermente mutato e lo sguardo percorso da una luce diversa da quella di poche ore prima: aveva qualcosa in mente, presto lo avrebbe mostrato.
«Non l’hai trovato, vero?», chiese la mora appena lo vide sedersi alla sua scrivania e rovesciare la testa all’indietro. In lontananza, oltre le distese di edifici, l’oceano si animava sotto il sole.
«No, infatti: Poe-kun non è uno stupido, non voleva essere trovato e ha fatto la mossa più naturale del caso, ovvero andarsene dalla città.»
«Così, dal nulla?»
«E non per un breve viaggio. Sono andato a dare un’occhiata alla sua villa, ma non c’è più nessuno: stanotte vi è tornato il tempo necessario per prendere il suo amico Karl e liberare tutto lo studio — dalle finestre ho visto solo una stanza completamente vuota.
È chiaro che non ha intenzione di far ritorno tanto presto, altrimenti avrebbe lasciato la scrivania pronta per quel momento. Non sono entrato in casa, ma sono sicuro che siano scomparsi anche i documenti che gli permetteranno di andare negli unici due posti che conosca bene: Boston e Richmond [3], dov’è nato e cresciuto.»
«Quindi ha fatto ritorno in America…»
«A Richmond, decisamente.» Kunikida lasciò il proprio posto e mostrò ad Akiko dei documenti. «Ho appena chiamato l’aeroporto: mi hanno confermato che nemmeno tre ore fa il signor Edgar Allan Poe si è imbarcato su un aereo diretto proprio là.»
Yosano annuì, facendosi più seria. «Ho saputo che ci sono state delle vittime, ma nessuna di queste è morta nel palazzo: i soccorritori hanno riferito di non aver trovato alcuna traccia di corpi o indizi che possano rimandare alla loro presenza.
È impossibile che Poe-san abbia assistito a qualcosa tale da esserne traumatizzato… quindi, che cosa l’ha spinto a lasciare il Giappone?»
«Un motivo c’è», intervenne Ranpo, mettendosi seduto composto e spalancando gli occhi, «è limpido nella mia mente; mi mancano alcuni dettagli, certo, ma in queste ore ho capito che cosa sia accaduto. La prima domanda a cui devo dare risposta è…» Una breve pausa. «Come si prende un aereo?»
Kunikida e il medico rimasero senza parole per qualche attimo, quindi si guardarono e poi ritornarono a fissare Edogawa. Yosano, allora, fece un piccolo sorriso. «Hai intenzione di andare a prenderlo e sei ritornato qui per chiedere un piccolo aiuto…», mormorò, mentre Doppo assottigliava gli occhi e rimaneva in silenzio.
«Ovviamente, e intendo anche andare a fondo nel mistero. Ma Poe-kun si è portato via una parte della soluzione — o meglio, è in una delle due città che la nasconde, a sua insaputa.» Facendosi pensieroso, quasi le sue stesse parole avessero illuminato un angolo fino a quel momento oscuro, il moro trasse da sotto la mantella i due volumi di Edgar e li appoggiò sulla scrivania, accarezzandone poi le splendide copertine. Il sopralluogo alla villa gli aveva permesso di trovare una pista da seguire, pur senza alcuni tasselli, e ormai era alla fine; ma nonostante ciò continuava a provare sulla lingua un’amarezza pungente e difficile da tralasciare…
… Perché, quando aveva detto “mi dispiace”, Poe si era sentito solo e sbagliato. Nel giro di pochi attimi, non appena il cuore aveva portato alla luce una verità terribile, il mondo gli era divenuto nemico e a sua volta lui si era scoperto un pericolo per gli altri, un maledetto; e si era visto solo, indifeso e indifendibile, per una causa dalle radici profondissime, che unicamente la sua anima poteva sapere.
Il malessere di Edogawa aveva più fonti: non solo la visione di una simile sofferenza, ma anche il riflesso di quel Ranpo di tredici anni prima[4] — senza aiuto e convinto di essere un tremendo errore, un mostro al quale la felicità non avrebbe mai sorriso — che le parole prive di speranza avevano fatto riemergere.

Mi dispiace. Anche io avevo detto così…
Allora, l’incontro con Fukuzawa lo aveva salvato e, da quell’istante, con lui aveva protetto e difeso chi non ce l’avrebbe fatta con le proprie forze, portando alla luce la verità e la giustizia che in essa albergava; non aveva mai mancato di farlo. Poteva allora tirarsi indietro davanti a quello che stava accadendo, contando che era coinvolto non uno sconosciuto, ma qualcuno a lui vicino?
Mi dispiace davvero.
«È curioso: Poe-kun si considera il mio rivale, ma da quando ci siamo ritrovati non ha fatto altro che essere al mio fianco come un amico; vi ha salvato la vita e non ha temuto di mettere a repentaglio la sua nel farlo.» Nessuno merita di rimanere smarrito; ognuno deve sapere di non essere solo. «Eeeeh sì, ha davvero bisogno di me.» Si alzò e raggiunse Yosano e Kunikida, per poi prendere dalle mani di questi i documenti che aveva stampato e guardarli con attenzione. «Nonostante lui stia andando a Richmond, io devo andare prima a Boston. Sono lì le risposte che mi servono.»
Doppo e Akiko assentirono davanti alla determinazione che vedevano riflessa nel volto del più grande detective tra loro, contro il quale niente e nessuno avrebbe potuto resistere. Edgar non poteva saperlo, ma stava per arrivare un vento che avrebbe purificato il suo cielo: se Edogawa aveva una speranza, allora niente era perduto. Mai.
«Quindi hai già deciso ogni cosa, Ranpo?»
Il ragazzo annuì a Fukuzawa, apparso in quell’attimo sulla porta dell’ufficio.
«Fai quello che è giusto, allora. L’Agenzia saprà cavarsela», assentì a propria volta l’uomo, dopo averlo osservato fin dentro l’anima.
«Non so per quanto ci riuscirà, ma farò del mio meglio per ritornare presto», rispose Edogawa, per poi allargare le braccia, cambiare espressione e rivoluzionare tutta la sede nel giro di un secondo. «E quindi, chi di voi mi aiuta? Andiamo, non abbiamo tempo da perdere, devo partire immediatamente! Non posso più aspettare!»

 

 

… Probabilmente, Poe ultimò il suo viaggio quando Ranpo iniziò il proprio. Mancavano ancora parecchie ore prima che la luna si sollevasse nuovamente sopra l’oceano, eppure la sua ombra era già visibile nell’angolo di cielo che il moro poteva scorgere dal finestrino dell’aereo; e lui ne fissò la forma incompleta, in mutamento, fino a quando le luci del giorno iniziarono a trasformarsi insieme a lei.
Seduto al suo fianco, Kunikida non mancava di osservarlo e prestare attenzione a qualsiasi cosa dicesse. Fukuzawa non avrebbe potuto lasciare l’Agenzia, così, mentre Yosano e Ranpo si erano trovati impegnati a preparare il necessario per il viaggio, aveva chiesto a Doppo di accompagnare il giovane; richiesta immediatamente accettata, visto che così avrebbe potuto sdebitarsi per essere stato salvato.
Le parole che Ranpo riversava erano infinite, come suo solito, ma il biondo non mancò di notare che spesso il ragazzo abbassava la voce di qualche tono e il suo sguardo diveniva più profondo, quasi scorgesse la meta ogni istante più chiaramente e si preparasse di conseguenza. Edogawa era estremamente orgoglioso, sapeva essere infantile e non nascondeva di pensare in primo luogo a sé stesso; ma questo non voleva dire che non tenesse agli altri o non avesse un cuore.
Doppo accennò un sorriso, lanciando un’altra occhiata al moro: quando questi era andato a salutare Fukuzawa, Yosano gli aveva riferito come Ranpo stimasse Poe e quanto la vicenda lo stesse coinvolgendo, nonostante ostentasse il comportamento di sempre. Tra quei due c’era un legame sorto anni prima tramite una competizione, un rapporto che si caricava e trasformava a ogni contatto e andava a mettere radice in entrambi, portando a un luogo che solo loro potevano scoprire: ma se Edogawa era salito su quell’aereo, se nulla nelle sue decisioni era mai mutato e la luce che gli ravvivava lo sguardo non aveva vacillato un attimo, questo poteva essere già un indizio sul percorso insieme. Edgar era stato parecchio fortunato ad aver incontrato una persona simile — e probabilmente la fortuna era vicendevole.
Kunikida lo aveva appena pensato che fu Ranpo a sorridere, come se avesse letto nella mente del compagno e si fosse trovato d’accordo, quindi non parlò più e mantenne il silenzio per tutto il tempo in cui il buio scese e rimase nel mondo. Ora dopo ora, un respiro e un altro ancora, Boston si avvicinava pari a un’eco che diveniva lentamente viva voce, udibile solamente da Edogawa.
Consapevole di ciò, Doppo non si stupì affatto di come, quando furono atterrati e appena fuori dall’aeroporto, il giovane sapesse già dove andare; e la sua guida sicura spinse entrambi a ignorare la città aperta per concentrarsi sui fantasmi che dormivano negli angoli dimenticati, là dove il tempo si era fermato per non fluire più.
Questo fu l’esatto pensiero di Kunikida quando Ranpo imboccò l’ennesima via più buia delle sue sorelle e si bloccò davanti a un alto edificio che sembrava sul punto di scomparire, tanto era stretto tra le strutture adiacenti, e così danneggiato e annerito che perfino il numero civico era illeggibile. Era una zona a sé, svincolata dalla certezza[5], e dalle sue prossimità Edogawa non accennava ad allontanarsi: taceva la sirena che aveva cantato per lui fino a pochi attimi prima, avendolo condotto a sé e quindi portato a termine il proprio compito.
«Spero che la casa riesca a resistere ancora un po’», commentò Kunikida mentre incrociava le braccia e fissava lo sguardo sul tetto malandato.
«Resisterà», mormorò l’altro appena inforcò i suoi preziosi occhiali, per poi avvicinarsi a ciò che rimaneva della porta e guardare attraverso i pertugi che offriva, «anche lei vuole che questa storia abbia la fine che merita.»

 

 

 

 

NOTE

 

[1] Il ramune è una bibita gassata dal sapore di limone, venduta in una caratteristica bottiglia di vetro che presenta sul tappo una biglia. Nell’opera si vede spesso Ranpo con questa bevanda, e la wikia la riporta come una delle sue preferite.

 

[2] Mochi guarniti con pasta di fagioli rossi.

 

[3] Boston, in Massachusetts, e Richmond, in Virginia, furono due città importanti per il reale Edgar Allan Poe: la prima è dove nacque e pubblicò molte sue opere, la seconda dove visse insieme alla famiglia adottiva e, per un certo periodo, con la moglie.

 

[4] Riferimento alla light novel “The Untold Origins of the Detective Agency”, incentrata sul momento in cui Ranpo e Fukuzawa s’incontrano per la prima volta. Viene mostrato chiaramente come il ragazzino, dopo una serie di eventi di cui non farò spoiler, trovi il suo posto nel mondo grazie a Fukuzawa e smetta di sentirsi solo, abbandonato da tutti e rigettato da una realtà che, prima di conoscere l’uomo, non comprendeva.

 

[5] Riferimento alla vera casa dei Poe, che ora non esiste più ma di cui si conosce la posizione.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bungou Stray Dogs / Vai alla pagina dell'autore: Manto