Capitolo 6
L’innocenza
perduta
E come li
stornei ne portan l’ali
nel freddo
tempo, a schiera larga e piena,
così
quel fiato li spiriti mali
di qua, di
là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza
li conforta mai,
non che di posa,
ma di minor pena. […]
Amor,
ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del
costui piacer sì forte,
che, come vedi,
ancor non m’abbandona.
Amor condusse
noi ad una morte.
(Dante
Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto V)
Lady
Sigyn Odinson. Il
nome le sarebbe calzato a pennello. L’immaginò
padrona e signora di uno dei
possedimenti più antichi della sua famiglia, quello che
s’affacciava sul Mare
del Nord e guardava verso la penisola scaldica. Nelle notti gelide,
rese più
lugubri dal vento che veniva dalla costa, si sarebbero cercati
assecondando
quel bisogno d’aversi che li aveva quasi condannati,
così urgente da
intrappolarli in un incantesimo squisito capace di spezzare loro le
vene, mozzare
il respiro. Avrebbero vissuto lontani da Londra e dai suoi salotti
ipocriti ed
eleganti finché il suo bisogno di viaggiare non fosse stato
saziato,
spingendolo a tornare nella capitale. Forse, si sarebbe deciso a
portarla con
sé in giro per l’Europa, magnifica e solenne.
Sposarla sarebbe stato come
pugnalare Laufey dietro la schiena – cosa che, a ogni buon
conto, si era ripromesso
di fare, pregustando dentro di sé il momento in cui la lama
di un pugnale
avrebbe penetrato la carne dell’altro.
Se
solo Sigyn non fosse entrata. Se non gli avesse rubato la chiave,
varcando la
soglia di una stanza che raccontava troppo e, tuttavia, non le avrebbe
detto
abbastanza. Non la biasimava per l’eccessiva
curiosità dimostrata, in verità.
Al suo posto avrebbe fatto di peggio, perché
l’anima nera di Loki era guardinga
e diffidente. Ora però, anche quella di Sigyn si era
macchiata, perché la
conoscenza lascia sempre qualcosa a chi la tocca. Lei, per esempio,
aveva perso
del tutto l’innocenza: il mondo non avrebbe più
avuto niente di benigno, perché
le carte che aveva appena letto possedevano il potere di sollevare il
velo
della speranza lasciando solamente l’ombra. E, con lei, la
consapevolezza che
la morte non sempre equivale alla liberazione da ogni male.
Tutt’altro.
“Tu
chi
sei?” inquisì. La sua voce era appena incrinata.
“Loki
Odinson. Uno scienziato, un alchimista, un chimico. O tutte queste cose
insieme. C’è chi mi chiama mago, ma forse legge
troppi libri,” sorrise scaltro,
senza allontanarsi dallo stipite né mostrare preoccupazione
per la canna della
pistola puntata contro il suo petto.
“E
cosa
più di questo?” Sigyn prese delle lettere e le
gettò a terra. “Era un inganno,”
soffiò. “Mi hai mentito.”
Loki riconobbe
immediatamente le missive sul pavimento e, di nuovo, non
rimproverò affatto la
ragazza. Pensò che l’anello nella sua tasca fosse
diventato quasi
inutile perché lei non avrebbe mai accettato di sposarlo, non
più.
Sarebbe stato meglio vivere nel disonore che unirsi a lui. E se anche,
spinta
dalle circostanze, avesse acconsentito, sarebbe stata per sempre sua
premura
ricordargli ogni giorno l’orribile trappola che le aveva
teso. Avrebbe dovuto
distruggere la corrispondenza compromettente che, in qualche modo, lo
incastrava. In un certo senso, lo aveva fatto: si era assicurato di
rintracciare, far rubare e bruciare quelle che aveva inviato a Laufey,
ma non
aveva agito nello stesso modo con le lettere che il mentore gli aveva
spedito.
Voleva una prova tangibile del suo piano maligno, della follia che gli
avvelenava da troppi anni la mente corrotta. Ma il vecchio scienziato
non era
l’unico ad avere un’anima nera,
tutt’altro.
“Perché
l’abito è qui?” La voce di Sigyn
tremava, come il suo braccio.
“Il
verde è un colore incantevole che le ragazze,
però, dovrebbero evitare di indossare.
Questo è fatto col raso più bello, tinto con il
verde più acceso. Ma il verde,
mia dolce Sigyn, si ottiene con l’arsenico, un
veleno.”
“La
stoffa veniva dalla fabbrica degli Odinson. Era un tuo dono,”
boccheggiò lei.
“Ed
era
un sudario. Dillo, l’hai capito. La formula per ottenere un
colore così vivo
l’ho studiata io, per mesi,” confermò
scandendo con sicurezza ogni sillaba[1].
“Hai letto la verità, in quelle lettere. Ho
lasciato che lo indossassi perché,
ma questo tu lo sai già da giorni, prima
di salvarti io ti ho
avvelenata. L’arsenico, mescolato a piante che solo le
peggiori fattucchiere
creole usano, dà vita a un filtro. Al filtro che gli serviva[2].”
Allargò le braccia e mosse un passo verso di lei e
l’arma, rendendosi un
bersaglio, consapevole che la ragazza non avrebbe sparato.
“Ho dovuto farlo. E
ora sai anche come, Sigyn. E tu hai dormito con me,
sapendolo.”
Sigyn
fu scossa da un brivido al ricordo dei tre giorni di passione squisita
vissuta
con lui sotto quello stesso tetto, porgendogli molte domande giuste, ma
accontentandosi di una verità parziale, marcia.
“Hai
dovuto farlo? Eravate d’accordo. Lui ti ha
chiesto…” la ragazza scosse la
testa, sconvolta dall’orrore, disgustata per la doppiezza di
un gioco in cui
lei era la preda da catturare. L’affascinante alchimista di
cui era diventata
incautamente l’amante le aveva detto di essere stato
costretto a partecipare al
piano di Laufey, l’antico spasimante di sua madre, ma dalle
lettere che lei
aveva letto era uscita fuori una verità più
subdola. Loki l’aveva avvicinata
per conto dell’altro.
Si
era illusa che quegli sguardi attenti e feroci con cui
l’osservava sempre nascessero
dallo stesso turbamento che la sconvolgeva, ma non era così,
affatto. Non
all’inizio, almeno. Odinson la teneva d’occhio,
divertito dalla struggente e
ignominiosa passione che Laufey provava per il ricordo di sua madre,
consapevole fin dal principio della trappola in cui sarebbe caduta,
stuzzicato
– era evidente dal tono spesso sarcastico che Laufey gli
rimproverava –
dall’intrigo di cui era attore e spettatore a un tempo. Si
era innamorata del
suo cacciatore – e avrebbe pagato per tutta la vita per
quest’errore, ora lo
sapeva.
E poi
c’era l’esperimento.
Un
abominio, un atto indegno volto a violare la pace dei defunti e a porre
fine
alla sua esistenza; almeno su questo, lord Odinson era stato sincero,
ammise.
Sarebbe morta. Era l’ultima delle mogli che Laufey avrebbe
rinchiuso nella sua
cantina sperando che il suo terrificante filtro facesse effetto, la
sola capace
di restituirgli il fantasma di un amore antico, che non era mai stato
tale per
davvero.
Strinse
la pistola tra le dita e sentì il suo
destino dipanarsi assieme agli avvertimenti di suo padre, come se si
trovasse
in un sogno. Avrebbe dovuto ascoltarlo, ma non era riuscita a
farlo.
Loki
si mosse verso di lei, avvicinandosi con studiata cautela. Non la
temeva, ma
nemmeno la sottovalutava. Ed era serio. Sul suo viso affilato non
c’era più
traccia della sardonica irrequietezza di sempre. “Mi ha
chiesto di
frequentarti, di scoprire cosa ti piacesse e cosa no. Non di portarti
qui.”
Era
una puntualizzazione che nascondeva un messaggio che rimase sospeso,
perché la
lingua svelta dell’alchimista si era attorcigliata di fronte
all’impossibilità
di dirle, di spiegarle cos’erano il desiderio e la follia e
la passione. Non
avrebbe ammesso mai che stringerla tra le braccia era una sofferenza e
una
vittoria, perché nelle sue vene scorreva sangue magiaro e
normanno e il suo
spirito fiero assomigliava a quello dei personaggi che popolavano le
fiabe e i
poemi: non si sarebbe piegato di fronte a nulla, nemmeno allo sguardo
grigio e
traboccante di domande e terrore di Sigyn. Anche a costo di perderla.
“Queste
lettere sono la prova della tua infedeltà,”
sibilò lei. “Della tua…
Loki, tu volevi sapere come sarebbe andato
l’esperimento! Ti interessava
il suo risultato! Se non fossi io…”
“Ma
sei tu. Riguarda te e ti ho salvata,”
ribadì lord Odinson con forza.
“Era una trappola e ho deciso di liberarti – mi ha
chiesto di ucciderti, ho
preferito salvarti.”
Nella
penombra, il suo viso le parve ancora
più affilato, gli occhi penetranti e aguzzi più
chiari, a metà strada tra il
verde e l’azzurro, di una trasparenza inquietante e
bellissima. Poteva
convivere con l’orrore di quella scoperta?
“Dice
di essere il tuo mentore. Voi due vi assomigliate.”
Loki
pensò al rum e ai colori troppi vividi e intensi delle Indie
Occidentali, della
Louisiana, dell’Africa, ma anche al mare freddo che lambiva i
fiordi delle
terre del Nord. “Nelle intenzioni. Nel desiderio di
conoscere,” ammise, per poi
scuotere la testa. “Non saresti dovuta entrare.”
“Non
mi avresti mai detto la verità, se non lo avessi
fatto.” La pistola pesava e
Sigyn non sapeva davvero se desiderava sparargli. Le chiacchiere che
circolavano nei salotti circa gli oscuri esperimenti condotti da lord
Odinson
non rendevano giustizia alla sua sete di sapere, al bisogno di svelare
il
segreto che circondava la morte e cosa fosse l’anima,
quell’impalpabile essenza
che rendeva l’uomo vivo, quel brillio che svanisce non appena
la nera signora,
con la sua falce, la porta via con sé. Gli studi di Laufey e
di Loki volevano
proprio svelare che fine facesse lo spirito quando lasciava il corpo,
dove
andasse, se tenesse memoria della vita appena trascorsa o delle
precedenti. Soprattutto,
con opportune tecniche, sarebbe riuscito a tornare, a varcare il muro
che
separa la vita dalla morte – e che tracce avrebbe lasciato,
un simile viaggio?
“Cos’è
la verità, Sigyn? Un punto di vista, un’opinione
soggetta a diverse interpretazioni.
La conoscenza a volte pesa – questa grava in maniera
indicibile. Ingannandoti,
stavo cercando di proteggerti,” sostenne
l’alchimista accompagnando ogni
concetto con uno studiato movimento delle sue belle mani, ma
l’idea che ogni
opinione avesse, in sé, il profumo suadente di una truffa
non tranquillizzò
affatto Sigyn, anzi. In lei si svegliò qualcosa e
puntò con più fermezza l’arma
in direzione del petto dell’uomo. Lo amava, ma convivere con
l’orrore era
un’altra cosa – lo desiderava, ma temeva di cadere
ancora di più nell’abisso,
se si fosse abbandonata una volta di più al suono dei suoi
ragionamenti
suadenti e crudeli. Ricordò la sensazione di essere cercata,
amata e voluta da
lui e pensò alla freddezza che trasudava da quelle missive
sparse.
“Tu
avresti voluto saperlo,” lo accusò di rimando.
“Non ti saresti accontentato di
una versione incompleta dei fatti.”
Loki
le sorrise con orgoglio. “È vero.”
Un’altra ammissione concessa con spietata
fierezza, un altro passo verso di lei, per disarmarla. Osò
sfiorarle una ciocca
dorata che s’arrotolava in un boccolo scomposto fino a
lambirle un seno, si
azzardò a risalire con le dita verso il collo accarezzandole
la nuca,
avvicinandosi tanto da parlarle sulle labbra, assaggiarle la bocca,
incurante
dell’arma che lei continuava a tenere in mano, delle lettere,
dell’ombra che il
vestito avvelenato gettava sul pavimento della stanza. E Sigyn attese
il bacio,
rispose al suo tocco urgente, perché tremava di paura e
risentimento e quella
era l’ultima volta che poteva lasciarsi andare con lui. Lo
sentiva nelle ossa,
nel cuore, nelle vene. Il braccio dell’alchimista le avvolse
la vita sottile in
un gesto di brusco possesso e lei si tese – era una donna
perduta che, per lui,
avrebbe rifatto ogni cosa altre cento, altre mille volte. Eppure,
mentre il
bacio forse d’addio si trasformava in decine di altri baci
dolorosi e magnifici
e struggenti, negli istanti troppo brevi in cui le loro labbra si
rincorrevano
offese e ansiose di lambirsi e accarezzarsi, ebbe la sensazione di non
poter
sfuggire al proprio destino. Immaginò che fosse
già stato scritto, filato in un
immenso arazzo che conteneva il fato dell’umanità
intera.
L’abito
verde, testimone silenzioso delle loro carezze sbagliate e disperate,
era
ancora lì, a pochi passi, intriso di veleno – alle
sarte che lo avevano
confezionato era stato intimato di lavorare sempre con i guanti per non
rovinare il prezioso colore e quelle, ben pagate e sorvegliate a vista,
avevano
obbedito: una sola doveva morire toccandolo – indossandolo
– ed era Sigyn della
casa di Vanir – solo che[3].
♥
Il
duca d’Asgardshire si fece annunciare che era quasi il
tramonto. Portava con sé
notizie di vitale importanza, che giustificavano l’ora
inconsueta, il passo
svelto e il bussare deciso alla porta dell’altro. Lord Vanir
scelse di
riceverlo nel suo studio e si stupì, una volta di
più, della sua figura
possente e gagliarda, che sembrava riempire la stanza. Era un uomo alto
e bello,
volitivo, che conquistava i suoi interlocutori grazie alla franchezza
dei suoi
discorsi e contava di farlo anche in quell’occasione. Si
accomodò e trasse
fuori dalla tasca un biglietto stropicciato, che lesse velocemente e
poi poggiò
sulla scrivania, in modo che Vanir potesse vederlo. Il più
anziano intuì che
Thor Odinson doveva aver vagliato con attenzione ognuna delle parole
scritte
nel messaggio. Si sporse verso il foglio fu colpito dalla grafia
appuntita e
decisa, ma prima che potesse inforcare gli occhiali e leggere a sua
volta, il
duca lo anticipò.
“Vostra
figlia è con mio fratello. Sono fuggiti insieme. Lei sta
bene.”
“Dove?”
“In
una casa di cui non sapevo l’esistenza, che Loki ha affittato
sotto falso
nome,” sospirò Thor.
Vanir
illividì. Si prese il viso tra le mani ed emise un sospiro
disperato. Le dita
gli tremavano e la schiena si curvò come se il peso di
quella rivelazione che,
dentro di sé, già conosceva, schiacciasse ognuna
delle sue ossa. “Cos’ha
fatto!” disse, e lo ripeté con voce strozzata,
perché sapeva di averla perduta
per sempre. Non sarebbe più stata la sua bambina dai capelli
d’oro che veniva a
curiosare nello studio fissando ogni cosa col suo nasino
all’insù e quegli
occhi grigi sempre attenti, ma capaci d’illuminarsi quando
sorrideva. Non
avrebbe più suonato il piano o il violino per lui[4],
rendendo le sue serate più dolci. Era perduta, disonorata
– anche se avesse
bussato in quel momento alla sua porta, non avrebbe potuto
più accoglierla,
sapendo dov’era stata e con chi e perché[5].
Prima che quel pezzo di carta venisse poggiato sulla sua scrivania,
Vanir
poteva ancora crogiolarsi nell’illusione di un destino
diverso, per Sigyn.
Immaginarla da una parente o da un’amica, per quanto assurde
potessero essere
queste ipotesi, ma il biglietto cambiava ogni cosa. Lo sollevava da una
paura
tremenda che aveva confidato a Thor Odinson qualche sera prima, mentre
la sua
voce era accompagnata dal rumore delle ruote di una carrozza che li
riportava a
Londra, ma, allo stesso tempo, faceva nascere nel suo cuore
un’apprensione
ancora maggiore e la svilente sensazione che solo la conferma di un
sospetto
terribile può dare.
“Lord
Vanir, l’altra sera mi avete raccontato una storia
inquietante, mentre
tornavamo dalla mia tenuta. Mio fratello nel messaggio
l’accenna,” proseguì
Thor, implacabile e schietto, come sempre.
L’uomo
sollevò lo sguardo grigio e acquoso verso il duca e lui ne
approfittò per
continuare, sebbene non poté nascondere a se stesso di
essere rimasto turbato
dal lampo di terrore che aveva visto luccicare negli occhi
dell’altro.
“Qualunque
cosa sia successa o significhi, Loki la sposerà –
vuole farlo – e Sigyn
diventerà mia sorella. Presto, subito.” Thor fece
una pausa, per assicurarsi
che il suo interlocutore avesse compreso la portata del suo discorso e
poi
proseguì col medesimo tono incalzante e deciso.
“Io vi offro la mia parola,
amico mio, che salvaguarderò gli interessi di quella ragazza
e dei suoi futuri
figli da ogni voce malevola, da qualsiasi azione sconsiderata di mio
fratello,
passata o futura. Vi garantisco, signore, che non vi pentirete mai
della nostra
parentela.”
Se
lord Vanir fosse stato un uomo più sensibile o intuitivo,
forse si sarebbe
chiesto cosa aveva significato, per il cadetto di famiglia, vivere
nell’ombra
di un fratello maggiore tanto sicuro di sé e del proprio
trionfo, disposto a
liquidare un potenziale scandalo con poche, semplici parole. Certo,
aveva
offerto supporto, amicizia, denaro e assicurato di tenere fuori Sigyn
dai guai
di Loki, ma lo aveva fatto con l’inconsapevole tracotanza di
chi esce sempre
vittorioso da ogni scontro. Il suo obiettivo era che i piani di Loki
non
venissero intralciati e ottenesse la giovanissima donna per cui si era
compromesso. Negli occhi lucenti e azzurri del duca Odinson,
però, lord Vanir
non vide questo, così come non aveva mai scorto nessuno dei
segnali
d’insofferenza presenti, forse da sempre, in Sigyn. Tracce di
cui, invece, l’astuto
secondogenito degli Asgardshire si era reso conto fin dal primo istante
in cui
se l’era ritrovata davanti, bella e contrariata per via della
seduta spiritica
che non si era tenuta. No, l’alchimista non si era lasciato
abbagliare dalla
dolcezza della ragazza, né dai suoi modi eleganti e
squisiti; si era messo a
esaminare l’impazienza con cui muoveva il ventaglio, aveva
seguito il suo
sguardo grigio e curioso, ansioso di vivere.
“E
cosa dirà la gente, cosa diremo ai nostri comuni
amici?”
“Racconteremo
la verità. Che la passione li ha travolti e non hanno voluto
aspettare nemmeno
un giorno prima di sposarsi. La gente spettegolerà sulle
rendite di mio
fratello e sulla parte di eredità che ancora deve reclamare.
Tornerà da voi
come lady Sigyn Odinson, rispettata signora di una tenuta che abbiamo
al nord.
Loki ama quel posto. La data del suo matrimonio perderà
presto importanza,
vedrete,” concluse il duca spiccio e, nella sua previsione
finale, Vanir,
stavolta sì, riconobbe una punta malamente mascherata di
disgusto.
“Quando?”
disse solo.
♥
Le
labbra di Sigyn erano dolci da baciare quanto i suoi occhi lucenti
furiosi, ma
in loro Loki riconobbe qualcosa di utile ai suoi scopi. La
consapevolezza.
Ciò che, fino ad allora, non era riuscita a dedurre o a
immaginare, lei lo
aveva letto nelle lettere sparpagliate a terra, ammonticchiate sul
tavolo in
noce. Continuava a tenerla tra le braccia, a stringere il suo corpo di
donna
flessuoso ed elegante come se lei dovesse o potesse fuggire. La
baciò ancora,
cercandole con furia improvvisa le labbra e Sigyn rispose con un
trasporto
straziato, affondando le dita sottili nelle sue braccia e soffiandogli
sulla
bocca perché ormai vani. Aveva perso
l’innocenza – gliel’aveva
strappata via lui, velo dopo velo, ma non era bastato. Qualunque cosa
ci fosse
tra loro non era né indolore né fugace, ma si
nutriva dell’anima di entrambi ed
era penetrata nelle ossa, nelle vene, nel sangue. E Loki, lui
l’aveva
desiderata con un’intensità che lo aveva sorpreso,
sconvolto, gettandolo in un
caos che era una voragine profonda, come i suoi occhi grigi. Sigyn gli
sfiorò
con la mano libera il volto, accarezzandogli il viso affilato, la
mascella ben
rasata.
“Perché?”
gli disse. “Perché con un uomo del genere? Tu ti
sei macchiato… c’entri con
quelle donne morte?” iniziò, riferendosi agli
esperimenti segreti di cui aveva
letto qualche morboso, oscuro, dettaglio, tale da inorridirla. In
quelle carte,
nulla faceva presagire che l’alchimista fosse direttamente
coinvolto, ma la
glaciale indifferenza con cui Odinson sorvolava su un simile
particolare
l’aveva turbata. Sapeva chi era Loki – ora riusciva
a vedere quanta parte di
oscurità fosse presente nel suo petto – e aveva,
di lui, un’immagine finalmente
completa, anche se tragicamente complessa e difficile da decifrare.
Come il suo
sorriso, sempre ironico ed enigmatico, breve e laterale.
Odinson
abbassò rapido lo sguardo sulle missive in disordine e poi
lo risollevò per
sostenere con fermezza quello di lei. Di nuovo stirò le
labbra sottili in un
ghigno tetro, stregandola, confondendola, mostrandole qualcosa di
oscuro e di
antico, come la leggenda del conte e della strega di cui si accorse di
non
ricordare affatto la fine. Lei veniva sepolta nel tumulo, con indosso
la collana
che brillava sul seno di Sigyn, innamorata fino alla fine del suo uomo,
ma lui,
il conte, dov’era? Perché aveva in testa la scena
dell’amante normanno che
cadeva in un bosco, morto?
“No,”
rispose Loki distogliendola dal suo
ragionamento. “Laufey lavora al suo progetto da molto prima
di conoscermi. Lui
era ossessionato, come mio padre, dal desiderio di varcare il confine
tra la
vita e la morte. Ma, al contrario del buon vecchio Odino, aveva meno
scrupoli e
un obiettivo disgustoso,” raccontò con freddo
divertimento. “Eppure, i suoi
esperimenti gli hanno consentito di ottenere le informazioni che
mancavano a
mio padre,” spiegò. Raccolse un foglio spiegazzato
da terra e ne lisciò i
bordi. C’erano formule e disegni e schemi di
com’erano fatti gli uomini dentro,
sotto la pelle. “Il duca fu il primo a indicarmi questa via.
Mi ha trascinato
nella sua ricerca, mi ha spedito in giro per il mondo con la scusa che
gli
servivano tessuti pregiati e colori vivaci, e poi, alla fine della sua
vita, si
è pentito di ciò che era, di ciò che
voleva, rinnegandosi e rinnegandomi.”
Sigyn
rabbrividì, perché improvvisamente la voce di
Loki si era fatta tagliente e
crudele, come il suo sguardo di metallo, troppo chiaro. “Ecco
quello che è
successo.”
“E
tu, tu che vuoi, Loki?”
“Ogni
cosa,” rispose rapido. “Voglio scoprire qualsiasi
segreto nasconda questo
mondo, perché non c’è niente di casuale
o vago, nel progetto della creazione. Persino
nella più terribile e disgraziata delle tempeste
è presente un ordine supremo, che
governa tutto.”
“Anche
la morte,” soffiò lei, ammirando, suo malgrado, la
corrosiva sete di conoscenza
dell’uomo che amava. Ma lo amava ancora?
Poteva farlo?
Lo
sguardo vivace di Loki si accese ulteriormente, colpito
dall’acume di quell’affermazione.
“Dicono di me che sono un alchimista, uno scienziato. E tu
sapevi, sai chi sono.
L’altra sera hai intuito la mia parte in questa
vicenda,” l’accusò, ma
continuava a tenerla tra le braccia, perché era la sua
incantevole amante di
cui non era ancora sazio ed era la ragione della sua rovina. Non
sarebbe
scappata, eppure non desiderava lasciarla andare –
l’aveva macchiata con l’oscurità
che aveva tinto la sua anima di nero, ma ora doveva salvarla fino in
fondo. Forse
non avrebbe mai accettato d’indossare l’anello
magiaro che teneva in tasca,
eppure non si era nemmeno strappata dal collo il ciondolo della strega
che,
anzi, brillava sinistro alla fioca luce delle candele.
“Non
le hai uccise?” insistette lei.
“No,”
rispose Loki sollevando fieramente il mento. “Ma non ho fatto
nulla per
impedirlo, tranne che in un caso. Tu.”
Sigyn
decise che non le stava mentendo. Che quella verità
graffiante non era frutto
di nessun imbroglio e che l’inganno stesso in cui
l’aveva trascinata conteneva,
in sé, una traccia di verità. E capì
che riusciva ad amarlo nonostante
l’irrefrenabile sete di sapere, a prescindere dalle cose che,
quasi certamente,
ancora le nascondeva e sempre le avrebbe celato.
“Cosa
vuoi fare, adesso?”
“Salvarti
e ucciderlo. Vieni con me,” le suggerì lo
scienziato stringendola tanto a sé da
far aderire nuovamente i loro corpi, divisi dalle stoffe dei rispettivi
abiti,
ma tesi, immancabilmente, l’uno verso l’altro.
“Credevo
tu mi avessi già salvata.”
Una
pioggia violenta iniziò a rovesciarsi su Londra.
L’acqua scrosciava sulle
finestre, lustrava i tetti e i marciapiedi, inzuppava le strade che si
allontanavano dalla città rendendole quasi impraticabili.
Loki
prese la pistola dalle sue mani delicate; per ringraziarla,
avvicinò il dorso
alle labbra sfiorando la pelle liscia e morbida. La ragazza
sussultò, ma il suo
sguardo continuava a seguirlo fermo e deciso.
“Ti
ho resa la mia amante e una fuggiasca. Ritengo di dover rimediare,
almeno a una
di queste due cose,” ammise sornione.
Sigyn
piegò la testa di lato. “Per dovere? Per
vendetta?”
“Non
sarai l’ultima delle sue mogli.” La voce
dell’alchimista si era fatta roca. Lady
Odinson. Forse avrebbe accettato l’anello e, con
quello al dito, Laufey non
avrebbe potuto sposarla. No, Sigyn non sarebbe stata l’ultima
delle sue mogli, stesa
su un tavolaccio di legno senza alcun vestito addosso, pronta ad
accogliere lo
spirito di un’altra. Aveva perso l’innocenza
– la purezza – che il suo mentore
bramava e considerava un elemento imprescindibile per la buona riuscita
del suo
esperimento. Era marchiata. “Sarai la mia.
Stanotte ci sposeremo. Ho
preso accordi con un prete fuori Londra.”
Sigyn
rimase immobile. Loki le teneva ancora la mano che aveva baciato e fu
sull’anulare di quella che infilò
l’anello, leggermente troppo grande,
delicatamente lavorato per accogliere una gemma
d’incomparabile bellezza. La
pietra preziosa era trasparente, ma con delle particolari venature
verdastre
appena percettibili alla luce fioca delle candele.
Sigyn
amava Loki, ne era dolorosamente certa. Non sarebbe fuggita con lui, se
non
fosse stato così. Fissò il gioiello e poi
l’alchimista e pensò che provava una
paura cupa e folle. Forse non voleva sposarsi in quel modo, di notte,
con un
matrimonio segreto e riparatore, eppure non riusciva nemmeno a
immaginare di
dover abbandonare quell’uomo intelligente e beffardo che
sorrideva perfido e la
guardava come un drago avrebbe fissato un tesoro. Non si era
inginocchiato per
chiedere la sua mano. L’aveva pretesa, anzi, di
più: si era accordato prima
ancora di parlarne con lei.
Eppure,
Sigyn non riuscì a offendersi per quel gesto: comprendeva
che tradire il
vecchio mentore folle esigeva un prezzo molto alto e sentiva che, nel
volerle
dare il proprio nome, Loki attuava un piano di più ampio
respiro. Avrebbe
dovuto chiedergli se Laufey fosse già sulle loro tracce, se
scoprire che era
fuggita con lui l’avrebbe davvero messa al riparo
dall’esperimento cui voleva
sottoporla. Scelse diversamente.
“Quest’anello,”
domandò guardinga, “anche quest’anello
apparteneva a una veggente o a una
fata?”
Negli
occhi di Loki scintillò una luce rapida e fugace, come il
suo sorriso laterale
e furbo. “Mio padre lo usò per chiedere la mano di
mia madre,” raccontò. “Lo
fece forgiare da un orefice ungherese[6],
ma la pietra apparteneva alla nostra famiglia da quando i miei antenati
cavalcano ancora sulle spiagge della Normandia. È stata
montata a volte su una
spilla, altre su una tiara, più spesso su un anello. Lei
forse lo
indossò e poi lo diede a una figlia o a una
nipote,” ipotizzò, riferendosi alla
strega danese. “Ascoltami,” disse.
“Questa vecchia storia ci riguarda, ti
riguarda, perché Laufey potrebbe raggiungerci da
un momento all’altro e tu rischi
non sapere mai una cosa essenziale,” proseguì
senza lasciarle la mano né tempo
per replicare. “Nessuno desiderava che il conte sposasse la
strega. Lui era
destinato a un altro tipo di vita. Durante una battuta di caccia,
però, venne
trafitto a morte da una freccia. La veggente danese lo
riportò indietro. Pregò
i suoi dèi antichi per una notte intera. Invocò
il dio delle forche, il mago orbo
che fu impiccato per nove notti consecutive, e poi chiamò
quello della tempesta
e del tuono, col suo martello forgiato per uccidere i giganti. Infine,
dissero
che pianse e si strappò i capelli supplicando quello del
fuoco e degli inganni.
All’alba, il mio antenato, il conte, si risvegliò
dalla morte. Mio padre e io
cercavamo l’incantesimo o la medicina che ha riportato
indietro quell’uomo. Tu
hai il ciondolo della strega, quello con cui scelse di essere sepolta,
l’unico
monile che portò nella sua tomba. Lui non lo sa.[7]”
♥
La
casa di Odino è piena di traditori. Laufey attendeva
nel buio, di fronte a un prato puntellato di
lapidi. Alcuni alberi ritorti, senza foglie e con i rami protesi verso
il cielo
come le mani ossute di un mendicante, ascoltavano le sue maledizioni
soffiate
tra i denti. Figlio d’un cane, ingrato bastardo. Si era
approfittato della sua
disperazione seducendo l’unica donna che volesse, la sola che
fosse degna di
ospitare il suo amore bugiardo, che le assomigliava come una goccia
d’acqua.
Ripensò allo sguardo vacuo e distratto che Loki gli aveva
rivolto mentre
sperimentava su di sé gli effetti dell’oppio[8],
al ghigno divertito che aveva stampato in faccia quando lui gli parlava
dell’amore insano e necessario che provava per Sigyn. E Loki
aveva recitato per
mesi, occupando indebitamente il posto che toccava a lui.
L’aveva sfiorata,
cercata, baciata e posseduta – si era preso ciò
che gli spettava e avrebbe
pagato con la vita, per questo.
Scoprì
di odiarlo quanto amava lei – o l’immagine che si
era costruito di Sigyn, perlomeno,
ma comprese anche di detestare allo stesso modo se stesso. Si era
lasciato
abbindolare e incantare ed era stato cieco. Non si era accorto che il
suo
giovane allievo si era invaghito della ragazza. Non avevo messo in
conto che la
vicinanza reiterata e quel continuo scambiarsi sguardi e sorrisi
avrebbe potuto
creare un terreno fertile per un desiderio che aveva reso possibile il
tradimento. Li avrebbe uccisi, e poi avrebbe avuto la sua vendetta. E
l’amore.
L’angolo
di Shilyss
Care Lettrici e
cari
Lettori,
siamo al
penultimo
capitolo di questa storia che sto amando moltissimo e che no, non
è affatto
una AU, come potete vedere. Come sempre, è un
momento particolare: la real
life bussa prepotentemente per avere la mia attenzione e credetemi
quando vi
dico che scrivo nei ritagli di tempo, nelle pause. Il fatto
è che per me scriverli
è una necessità, nonostante soprattutto le fiabe
mi abbiano provocato un po’ di
seccature negli ultimi tempi.
Ecco
perché il
sostegno è importante – si scrive per sopperire a
un bisogno, ma la gioia che
si riceve quando questo bisogno suscita qualcosa nel prossimo
è qualcosa che non
si può spiegare. E ricordatevi che anche se non rispondo
sempre le recensioni
le leggo sempre, tutte, subito.
Nel prossimo
capitolo
parlerò meglio della fiaba di Barbablù e del
senso che ha in questa storia e
finalmente qui Sigyn ha scoperto come si otteneva il colore verde al
tempo che fu.
Vi informo fin da ora che la storia della strega danese e del conte
verrà
scritta, che dopo l’epilogo di Ombre troverete
l’aggiornamento di Accordo
e quello di Scintille e…
chissà. **
Voglio
ringraziare
coloro che recensiscono/ leggono/seguono/ricordano e
preferiscono – ogni
volta che listate o vi palesate
m’illumino d’immenso, per voi sembrerà
una cosa da niente, ma vi assicuro che ricevere sostegno per chi scrive
ha la
sua importanza.
Ricordo che il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia,
è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
A presto e
grazie per
tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi
lovviate me).
Shilyss
[1]
Sulla trasformazione della nobiltà terriera in imprenditoria
ho letto troppi
testi. Comunque sì, alcuni nobili lungimiranti si adattarono
facilmente, grazie
alle loro finanze e contatti, al mondo che cambiava. In Gran Bretagna
c’è
un’antica tradizione manufatturiera nel settore del tessile
– sono famose
soprattutto le lane, quindi no, non è casuale.
[2]
Ovviamente questa è una mia licenza poetica. Bambini, non
giocate con l’arsenico!
[3]
Se questa battuta vi ricorda qualcosa, è perché
è un chiaro riferimento a una
mia vecchissima e amatissima minilong, “Sposami,
Sigyyn.” La trovata in fondo
al mio profilo ^^.
[4]
L’educazione del tempo prevedeva che si suonassero uno o
più strumenti.
[5]
La scelta di Sigyn di fuggire con Loki è coerente col tempo.
Né lei né Vanir né
Loki mettono in discussione le regole sociali del periodo, pur
violandole. Mi
spiego meglio: nei secoli (o decenni) passati si faceva molta
attenzione
all’avere costumi sobri e a non avere rapporti al di fuori
del matrimonio,
tuttavia c’è un proliferare di figli illegittimi,
di persone che hanno due
famiglie, di bambini che si scoprono figli di persone che non sono il
marito
della madre. Ecco perché Sigyn che scappa con Loki non
è anacronistico – sa di
stare commettendo qualcosa di ritenuto grave, un po’ come
quando si lascia la
macchina in seconda fila. Non andrebbe fatto, se passa il vigile ci
multa, ma
spesso per qualche minuto ce la lasciamo.
[6]
Quindi è magiaro, almeno per quanto riguarda
l’incastonatura. Per questa cosa
dei gioielli riutilizzati mi sono basata sui Windsor.
[7]
Vi avevo detto che non era una AU…
[8]
L’oppio è una sostanza illegale come molte altre
droghe. Nell’Ottocento la
concezione di queste sostanze e il loro uso era un po’
diverso da quello di
oggi (su tutti: l’imperatrice Sissi prendeva regolarmente la
morfina, Freud
faceva uso di sostanze simili eccetera). Appartiene dunque alla
normalità ed è
coerente che un giovane nobile scavezzacollo e mezzo scienziato come
Loki
Odinson in questa storia possa farne uso senza troppo clamore.