Anime & Manga > Haikyu!!
Ricorda la storia  |      
Autore: Clownqueen_oa    09/08/2020    1 recensioni
Suo nonno gli raccontava spesso delle storie, quando tornava dall’Est: di serpenti grandi come torri di vedetta che spuntavano da sotto la sabbia, oasi di sangue in cui si abbeveravano gli stregoni, e una volta anche di stelle cadenti. Poco prima di morire gli aveva confidato di averne vista una in tutta la sua vita, e soltanto di sfuggita: “sono rapide” aveva detto, con un luccichio sognatore negli occhi opachi di stanchezza, “e portano sempre con sé qualcosa. Spesso guerre, o armi, o addirittura persone: dicono che quella che piovve su Sabir avesse dentro un bambino con i capelli come il fuoco e la pelle di porcellana. Ti auguro di riuscire a vederne una, Tooru”.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Takehiro Hanamaki, Tooru Oikawa, Yuutarou Kindaichi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Starcross AU'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Stargazing – IwaOi One Shot

 

“Ben poco ama colui che ancora può esprimere, a parole, quanto ami”

 

L’inverno aveva azzannato la contea come un leopardo delle nevi, e se n’era impossessato ricoprendola di neve. Le foreste si erano ridotte silenziose coltri bianche, attraversate di tanto in tanto da qualche carro temerario che sfidava le bestie e gli sciacalli, raschiando il terreno ghiacciato in un crepitio di ruote e zoccoli.

Tooru alitò delicatamente tra le mani chiuse a coppa, il fiato condensato a una nuvoletta di vapore, e sollevò per aria il naso arrossato. Un fiocco di neve vi si posò sopra con delicatezza, rabbrividì.

Passando per di là, Hanamaki gli tirò indietro il cappuccio, sorpassandolo ridendo insieme a Kindaichi. Gli stivali in pelle di daino dei due bambino produssero un suono sordo sul marmo del porticato, e ben presto quelli di Tooru si unirono al coro.

“Attenti a non scivolare” li redarguì pigramente la tutrice, sistemandosi i guantoni di lana e sospirando con un sorriso carezzevole. “Signorino Oikawa, lei più di tutti non dovrebbe correre. La Signora si arrabbierà se si sbuccerà di nuovo le ginocchia”.

Le gote del bambino si arrossarono un poco, più per le risate di scherno dei suoi compagni di giochi che per il freddo pungente di quel pomeriggio invernale. Gli piaceva che sua madre si accorgesse di lui, perlomeno non lo evitava come suo padre, ma si era guadagnato con molta fatica un buon nome tra i bambini dentro le mura del palazzo, e lei non aiutava affatto con il suo essere apprensiva.

Giocarono fino al tramonto, che in quel periodo arrivava presto, poi Tooru venne separato dagli altri e condotto nelle sue stanze, dove lo attendeva un bagno caldo per rilassare il corpo infreddolito.

Era molto stanco, quella mattina a lezione si era impegnato più del solito, perciò sprofondò all’istante in un sonno profondissimo, senza nemmeno farsi leggere una fiaba dalla madre.

Stava sognando di andare a cavallo, Hanamaki e Kindaichi ci avevano già provato al contrario suo e non voleva restare indietro, quando venne strattonato leggermente da qualcuno.

Tooru si stropicciò gli occhi impastati dal sonno, e nell’oscurità si ritrovò davanti il volto arrossato dal freddo di Hanamaki. Poco lontano, Kindaichi sorreggeva un candelotto con entrambe le mani, attento a non far colare la cera fuori dal piattino.

“Che c’è?” gli sussurrò, con uno sbadiglio. Non era normale che quei due si trovassero in quell’ala del palazzo, solo una stretta cerchia di inservienti vi aveva accesso e di sicuro non i pargoli di due cuoche dei piani inferiori, ma Tooru era troppo intontito per rammentarsene.

Hanamaki gli mostrò un sorriso sdentato. “Oggi mio padre ha visto dei cuccioli di leopardo delle nevi mentre tornava dalla miniera. Se ne ammazzassimo uno potremmo vendere la pelle, e saremmo dei veri uomini”.

A quelle parole si mise subito a sedere, spostando le coperte candide. “E la madre? Non correremmo mai abbastanza veloce, se ci puntasse saremmo morti prima di superare il fiume”.

“Nessuno l’ha vista, e i cuccioli sono molto magri” s’intromise Kindaichi, tirando su col naso. “Sarà andata a crepare da qualche parte e li avrà lasciati da soli”.

Tooru non era molto convinto. “Perché devo venire anch’io?”

“Sei l’unico che sa usare la spada” Hanamaki scostò la pelliccia di renna usurata, e mostrò con goliardica fierezza una lama stretta tra le braghe. “Ho portato questa, così non dovrai andare in armeria a quest’ora. Noi lo intrappoliamo e tu lo ammazzi”.

A Tooru non piaceva affatto come idea. Aveva familiarità con la morte, suo nonno era stato avvelenato da una carne speziata importata dall’est e lo aveva visto morire sul tavolo da pranzo, con una schiuma biancastra che gli usciva dalla bocca e il volto gonfio come un pallone, però aveva paura di incappare in qualche animale feroce, e non era così abile a combattere come aveva sempre decantato ai suoi coetanei.

Squadrò con diffidenza la lama allungatagli da Hanamaki, rigirandosi il metallo freddo tra le mani: era un vecchio pugnale arrugginito, con la punta neanche così affilata e il manico rotto. Avrebbe giusto tagliato una gola, ma in un duello vero sarebbe stato come usare una forchetta.

“Questa non è neanche una spada” si lagnò, anche se aveva già deciso. “Dove tira il vento? Se ci sentono arrivare sarà finita prima di cominciare”.

I volti dei due bambini di fronte a lui si aprirono contemporaneamente in un ghigno vittorioso.

Sgattaiolarono nel corridoio buio in fila indiana, strisciando rasente alla parete: Kindaichi era in testa, facendo luce con il candelotto, mentre Tooru veniva per ultimo sistemandosi i pantaloni in pelle di daino. Si era vestito troppo leggero per una scorribanda notturna, ma prevedeva che avrebbe corso parecchio e poi non voleva apparire come un pappamolle di fronte agli altri, che erano praticamente vestiti di stracci.

Durante la notte il portone principale era chiuso e soprattutto ben sorvegliato, ma non era la prima volta che violavano il coprifuoco e sapevano cosa fare: uno dei buchi delle latrine al piano terra, considerato inutilizzabile in seguito a una piccola frana, era in realtà percorribile da chiunque fosse abbastanza piccolo per passare tra le rocce. Tooru trattenne il fiato strisciando tra i residui di liquami e neve sciolta, finché non intravide la mano tesa di Hanamaki alla fine del passaggio. Si fece tirare su, e subito ispirò a pieni polmoni l’aria gelida della notte, tossendo.

Si calarono in testa i cappucci per scaldarsi, e si allontanarono rapidamente dal campo visivo delle vedette sopra le loro teste. Kindaichi buttò il mozzicone di candelotto nella neve, e si mise il piattino nelle braghe con un brivido infreddolito.

“Dove li hanno visti?” rantolò Tooru, tentando di coprirsi meglio con la sua pelliccia.

Stavano camminando rasenti al sentiero principale, con la sola luce della luna a illuminare l’oscurità intorno a loro, ma ben presto si sarebbero dovuti addentrare nella foresta e allora sarebbero stati al buio. Hanamaki strofinò le mani per scaldarsi. “Mio padre ha detto che seguivano il corso del fiume, non lontano dal villaggio. Al confine dovrebbero esserci delle torce, prenderemo quelle per farci luce”.

“Ma non servono alle sentinelle?”

Kindaichi sbuffò, tirandogli un pugno sul braccio. “Non fare il cagasotto, Oikawa. Le rimettiamo a posto non appena ripassiamo di là, con o senza il cucciolo”.

Perlomeno avevano preso in considerazione l’idea che quel folle piano potesse fallire. Tooru non era sicuro che ne sarebbero usciti vivi, se non per le bestie per il freddo che li stava lentamente congelando fino alle ossa, ma piuttosto che proporre di tornare indietro si sarebbe tagliato la lingua: se Hanamaki e Kindaichi fossero tornati con la carcassa, lo avrebbero preso in giro per sempre.

Giunti al confine non trovarono alcuna torcia, solo un paio di sentinelle che russavano profondamente attorno alla brace di un fuoco morente. Riuscirono comunque a ricavarne un paio con ciò che restava dei ceppi, prima di proseguire nella loro spedizione fuori dalle righe.

“Almeno qualcuno sa che siamo nel bosco?” non poté fare a meno di domandare Tooru, trattenendo a malapena uno starnuto. Aveva un freddo terribile, percepiva anche il più sottile alito di vento insinuarglisi tra i vestiti e non si sentiva più le dita dei piedi: inutile dire che si era già pentito di aver saltato il suo bagno caldo quel giorno.

“La sorella di Kindaichi si sveglia sempre poco prima dell’alba per dar da mangiare ai maiali, se non lo troverà nel suo letto sputerà il rospo e andranno a cercarci” masticò ansante Hanamaki. Era il più gracilino dei tre, persino più di Tooru, e ogni passo affondato nella neve gli costava una fatica immensa.

Ciò non lo rincuorava affatto, ma si astenne dal fare commenti.

Seguendo il corso del fiume trovarono solo alcuni escrementi, ma non erano in grado di stabilire a che animale appartenessero. La notte avanzava e le torce andavano sempre di più ad affievolirsi, stremate dall’aria gelida e prive di combustibile che potesse tenerle vive.

A un tratto Kindaichi si fermò, senza dire una parola, e puntò il ceppo nel buio davanti a lui.

“Ho sentito qualcosa” mormorò, con un filo di voce.

Tooru non riusciva a sentire nulla, invece, tranne il battito frenetico del proprio cuore. Le gambe presero a tremargli, portò una mano al pugnale nella tasca dei pantaloni e si preparò.

“Porca-E’ un coniglio” sbottò Hanamaki, sospirando.

La bestiola si affacciò completamente dalle frasche, sbattendo gli occhietti neri e storcendo il naso in direzione dei bambini. A Tooru parve quasi che stesse ridendo di loro, con quello sguardo vispo.

Hanamaki raccolse un sasso e fece per tirarglielo, ma l’animale drizzò le orecchie prima che potesse farlo e con un balzo scomparve nella boscaglia, rapidissimo.

“Stupida bestia...” ringhiò, gettando la pietra.

Non fu l’unico a emettere quel suono. Un ringhio sordo proruppe dalle loro spalle, spezzando il silenzio surreale.

Tooru divenne una statua di sale, e con lui i suoi compagni di avventura. Si girò lentamente, gli scarponcini che crepitavano appena sulla neve mezza sciolta, e strinse il pugnale così forte da rischiare di tagliarsi con il manico spezzato.

Diverse paia di occhi gialli li scrutavano nell’oscurità, anche se con le torce erano perfettamente in grado di distinguere i contorni dei loro possessori.

Il ghepardo delle nevi era immenso, ancora più di quello impagliato nel bar del paese, ed era palesemente in posizione d’attacco: tra le sue zampe striate e alle sue spalle vi erano i famigerati cuccioli, con i corpi smagriti che tremavano e le zanne scoperte come la mamma.

Erano stanchi, lenti e debilitati dal freddo: Tooru non aveva dubbi, sarebbero crepati come cani e niente avrebbe potuto impedirlo. Secondo sua madre era troppo negativo, ma in quel momento non riusciva a pensare a nulla che potesse impedire a quella femmina di ghepardo di farlo a pezzi e renderlo la portata principale dello spuntino notturno dei suoi piccoli.

Passò il pollice sulla superficie del pugnale, deglutendo un fiotto di saliva, e incrociò lo sguardo con l’animale: il padre di Hanamaki diceva sempre che potevano sentire la paura, ma che a volte era un bene perché una creatura che non si sente minacciata da te potrebbe anche lasciarti in pace.

In quel momento di stallo, in cui a Tooru parve anche di sentire odore d’urina, segno che uno dei suoi amici se l’era probabilmente fatta addosso, un tuono squarciò il cielo notturno facendoli sobbalzare tutti sul posto, bestie comprese.

Per un secondo soltanto, complice forse il fattore sorpresa, mamma ghepardo aveva puntato gli occhi verso l’origine del frastuono, e si era distratta. Tooru la prese come un’opportunità, e girando i tacchi si fiondò nella boscaglia.

“CORRETE!” urlò, con tutto il fiato che aveva in corpo.

Forse non avrebbe dovuto metterci tanta enfasi, quel fiato gli sarebbe servito a restare vivo di lì a poco, ma per il momento ci pensò l’adrenalina a pompargli un fiotto di argento nelle vene. Vide Hanamaki e Kindaichi affiancarlo e poi superarlo, piangendo e gridando incuranti di altri possibili pericoli: anche Tooru gridò di nuovo, perché i soldati da cui avevano preso le torce al confine non erano lontani e soprattutto avevano delle spade vere alla cintura.

Intanto la pioggia esplose sopra di loro, e in un attimo una notte serena si trasformò in un acquazzone senza pietà, che fece ben presto perdere di vista i tre bambini.

Tooru non si fermò per un secondo, spinto dal terrore e la consapevolezza che se avesse scelto lui, il ghepardo avrebbe macinato in poche falcate i metri che li dividevano e lo avrebbe azzannato alla gola, ammazzandolo in un modo non troppo diverso da quello in cui inizialmente aveva deciso di applicare sui suoi pargoli. Urlò di nuovo, sentendo il piede incappare in una radice e un dolore lancinante propagarsi lungo la caviglia prima della caduta. Rotolò tra la neve, sbattendo la testa contro una roccia pronunciata, e lì Tooru si arrese.

Era stanco, non riusciva a muovere il piede e non aveva più fiato nei polmoni. Singhiozzò e le sue lacrime si mischiarono alla pioggia, che gli impregnò rapidamente i vestiti sporchi e strappati dai rami e le edere. Da sdraiato portò lo sguardo verso l’alto, e strizzò gli occhi castani.

Era una sua impressione o le nuvole si stavano... diradando? Stavano come vorticando su se stesse, aprendo uno squarcio circolare che lasciava intravedere il cielo notturno, spruzzato di stelle.

Tooru aveva sicuramente battuto la testa, sentiva il calore del sangue colargli sulla nuca, ma non pensava gli avesse fatto così male. Sbalordito, realizzò che la pioggia non lo toccava più.

Il temporale non era affatto cessato, lo udiva bene esplodere tutto intorno a lui e con la coda dell’occhio vedeva le gocce infrangersi rapidamente sulla radice che lo aveva fatto inciampare: semplicemente, non pioveva all’interno dello spazio circoscritto in cui si trovava.

Si tirò a sedere con fatica, e notò immediatamente mamma ghepardo ferma a pochi metri da lui: gli occhi giallastri erano puntati verso l’alto, e non lo stava calcolando minimamente. Anzi, dopo qualche secondo in cui Tooru dimenticò persino come respirare, l’animale fece dietrofront e s’inoltrò nella foresta con un rantolo gutturale.

Tooru non poteva credere ai suoi occhi. Rimase immobile, seduto sulla neve sciolta per un tempo che gli parve infinito, con la caviglia che pulsava dolorosamente e il temporale che imperversava senza bagnarlo nemmeno con una goccia. Alzò la testa scrutando il cielo notturno sopra di lui, o almeno la porzione circolare di cielo che per qualche motivo era in grado di vedere: qualsiasi cosa fosse, lo aveva appena salvato da morte certa spaventando il ghepardo delle nevi.

Tooru si aggrappò alla roccia, in un goffo tentativo di alzarsi, e affondò gli stivali nella steppa umida con un gemito dolorante. Non riusciva ad appoggiare bene il piede, e la gola gli faceva male: sperò che Hanamaki e Kindaichi, ovunque si fossero nascosti, fossero in cerca di soccorso.

Iniziava a fare caldo, o era una sua impressione? Forse gli stava venendo la febbre. Tooru protese una mano verso la pioggia, aldilà della zona delimitata da quel bizzarro diradarsi di nuvole, e aggrottò la fronte sentendola subito infradiciarsi sotto l’acqua. Pioveva un po’ di meno, ma forse sarebbe stato meglio restare finché non avesse smesso completamente.

Il calore continuava ad aumentare, nel mentre, tanto che Tooru non resistette e si sbottonò tremante la pelliccia, e si tolse i guanti sporchi e laceri: aveva le mani piene di graffi e un’unghia rotta a causa dell’impatto con il masso, iniziò a ciucciarla per fermare almeno il sangue e storse il naso sentendone il sapore metallico invadergli la gola raschiata dalle grida.

La fronte gli si imperlò di sudore in pochi minuti, non ebbe il coraggio di togliersi anche il gilet e la casacca ma avrebbe voluto, perché all’improvviso gli pareva fosse estate. Guardò di nuovo verso l’alto, e questa volta gli sfuggì una delle celebri imprecazioni che lo stalliere, lo zio di Hanamaki, sbraitava sempre quando gli sfaldavano le balle di fieno saltandoci dentro per gioco: sua madre non avrebbe certamente approvato, ma Tooru era sicuro che vedendo quella che pensava fosse una stella avvicinarsi sempre di più a terra avrebbe detto anche di peggio.

Il cielo sembrava essersi preparato ad accogliere quel… Qualunque cosa fosse, e lui era proprio dove sarebbe caduto quel qualcosa. Provò a correre, ma finì solo per zoppicare e poi ricadere dolorosamente qualche passo più in là, senza neanche riuscire a raggiungere la pioggia.

Il bagliore intanto si faceva sempre più vicino, così come il calore più intenso: sarebbe caduto come un meteorite, oppure sarebbe semplicemente esploso portandosi via le vite di chiunque nel raggio di intere miglia? Tooru non lo sapeva, ma dava per scontato che la sua, di vita, sicuramente l’avrebbe avuta. Strisciò comunque nella neve fangosa, in un maldestro tentativo di uscire dal raggio d’azione di quella cosa, che ormai illuminava ogni cosa sotto di sé come un piccolo sole incandescente.

Tooru la guardò discendere con la coda dell’occhio, e rimase sbalordito fin dentro l’anima. L’impatto non fu devastante né distruttivo, anzi, la fonte di luce e calore fermò dolcemente la sua avanzata appena passato il cerchio di nuvole, e planò al centro della radura naturale con delicatezza.

Rimase comunque ad almeno un piede da terra, levitando come sorretta da una forza estranea, e poi si spense come un cerino.

Nel bosco era piombato un silenzio surreale, interrotto solo dal ticchettio ritmico della pioggia: e a proposito di pioggia, le nuvole diradatesi per far spazio alla luce si chiusero rapidamente, finché Tooru e l’entità che aveva appena visto arrivare sulla terra non vennero ricoperte d’acqua.

Che cosa diavolo era appena successo?

Trattenendo il fiato sia per il dolore sia per la tensione, Tooru si trascinò goffamente in direzione di quello che, a occhio e croce, sembrava un grosso masso fluttuante. Suo padre ultimamente si era lamentato dell’affluenza di stregoni nella contea, che fosse opera loro? Non credeva ne esistessero di così potenti, il pensiero che toccare quella cosa potesse maledirlo lo terrorizzò, facendolo desistere dal tastare con mano l’artefatto misterioso. Con la coda dell’occhio notò un ramo semi sepolto nel terreno sciolto dalla pioggia, lo raccolse con una smorfia e pungolò timidamente la roccia. Non successe nulla.

Tooru deglutì, buttando a terra il bastoncino, e protese lentamente la mano nuda. Si irrigidì come una corda di violino nello sfiorare la superficie rugosa con la punta dei polpastrelli, ma qualunque cosa fosse sembrava spenta, visto che continuava a non reagire. Vi appoggiò dunque il palmo, facendolo aderire alla roccia fredda, e in quel momento Tooru avvertì una pulsazione scuoterlo fin dentro le ossa.

Ritrasse la mano di scatto, osservando la roccia illuminarsi dall’interno, e rivelare i contorni indefiniti di quella che pareva una figura umana rannicchiata in posizione fetale: l’uovo pulsò di nuovo, e il bambino notò con gli occhi fuori dalle orbite che il punto che aveva toccato era solcato da una piccola crepa. Subito se ne formarono altre, e dagli spertugi più importanti sbuffarono bollenti getti di vapore, che sciolsero ciò che rimaneva della neve nei dintorni. Smise di piovere.

Tooru osservò quello spettacolo surreale con occhi vacui, a causa del fiume di ricordi che lo aveva appena investito in pieno.

Suo nonno gli raccontava spesso delle storie, quando tornava dall’Est: di serpenti grandi come torri di vedetta che spuntavano da sotto la sabbia, oasi di sangue in cui si abbeveravano gli stregoni, e una volta anche di stelle cadenti. Poco prima di morire gli aveva confidato di averne vista una in tutta la sua vita, e soltanto di sfuggita: “sono rapide” aveva detto, con un luccichio sognatore negli occhi opachi di stanchezza, “e portano sempre con sé qualcosa. Spesso guerre, o armi, o addirittura persone: dicono che quella che piovve su Sabir avesse dentro un bambino con i capelli come il fuoco e la pelle di porcellana. Ti auguro di riuscire a vederne una, Tooru”.

Quella era una stella cadente, non c’erano dubbi, una stella cadente con dentro una persona.

Dopo un susseguirsi di incrinature e cigolii, l’involucro cedette del tutto, sbriciolandosi e cadendo a terra insieme al suo contenuto.

Toruu fece per riprendersi il bastone, poi si ricordò del pugnale di Hanamaki e subito lo strinse nella mano sinistra, che tenne dietro la schiena.

Si avvicinò con circospezione, scostando i cocci infranti della stella e i residui di un liquido vischioso che non aveva alcun odore, ma gli ricordava terribilmente albume d’uovo a vedersi.

A terra, completamente asciutto nonostante la sostanza in cui galleggiava fino a un momento prima, c’era un bambino. Era nudo e il suo petto si alzava dolcemente, avvolgendolo in un sonno leggero.

Tooru si chinò a osservarlo, dimostrando una curiosità di ferro in contrasto al timore quasi reverenziale che lo attanagliava, e sul momento ne rimase abbastanza deluso: il bambino aveva sì una carnagione un po’ troppo scura per quella zona in cui il sole si vedeva di rado, ma non c’era nient’altro di degno di nota in lui. Eccetto il fatto che fosse caduto dal cielo, ovviamente. Lo punzecchiò con il bastone, e lanciò un urletto quando lo vide muoversi appena, e storcere il naso prima di aprire gli occhi.

Cadde seduto sul fango, spaventato. Il bambino si strofinò gli occhi appiccicati dal sonno, e gli puntò contro due iridi nere come l’inchiostro: schiuse le labbra e, per quanto Tooru fosse un bambino molto precoce e preparato in ben cinque lingue, con la sesta in cantiere, non capì una parola di quello che gli disse.

“Tu sei… Incomprensibile” raschiò con voce roca. “Capisci quello che dico?”

L’altro abbaiò qualcosa nella sua lingua, mostrando i denti come un animale, e si alzò in piedi a fatica. Sembrava un cucciolo di cerbiatto, le gambe lo sorreggevano a malapena, eppure non pareva dare alcun peso al fatto di non avere nulla a ripararlo dal freddo in una notte così dura.

Tooru provò a imitarlo, ma era messo anche peggio e non ci riuscì, gemendo mentre ricadeva a terra. Il bambino continuava a fissarlo senza dire una parola, anche se forse era meglio così, e rimase a guardarlo provare ad alzarsi per almeno cinque minuti, con un’espressione indecifrabile.

A quello che probabilmente era il decimo tentativo, Tooru lo vide incurvare lievemente le labbra in un ghigno di scherno, che lo fece arrossire dalla vergogna.

“Non c’è niente da ridere” borbottò, sollevandosi con estrema fatica. Si sentì afferrare per la casacca e strillò quando il bambino lo tirò su come se non pesasse niente.

Gli gracchiò qualcosa che l’altro intese come un “prego” abbastanza seccato, e gli fece mettere un braccio intorno alle spalle per sorreggersi: era letteralmente bollente, Tooru poteva percepire nitidamente il suo calore corporeo attraverso due strati di abiti invernali, ecco spiegato come facesse a non avere freddo in quelle condizioni.

Le sentinelle del confine non ci misero molto a trovarli: Tooru era quello che era arrivato più lontano dei tre, ricevette una lavata di capo e sul momento non gli venne chiesto nulla riguardo al bambino. Si erano spostati dal punto in cui era caduta la stella e aveva la sua giacca a coprirlo un po’, fortunatamente era più piccolo di lui, quindi poteva ancora essere spacciato per uno di loro.

“Come ti chiami?” gli bisbigliò Tooru, mentre seguivano i soldati in direzione del palazzo; i suoi genitori erano palesemente stati allertati della sua fuga, ma con tutto ciò che aveva passato non aveva mai avuto così poca paura di una ramanzina in vita sua.

Il bambino non gli rispose, fissandolo con quel suo sguardo penetrante, e quando gli venne ripetuta la domanda inclinò leggermente il capo senza dar cenno di aver inteso.

“Il tuo nome” insistette Tooru, indicandosi con entrambi i pollici. “Tooru”.

“Taara?” grugnì lui, aggrottando la fronte.

“No, Tooru. Io sono Tooru” indicò verso di lui, “E tu?”

Il bambino seguì la traiettoria del suo dito, puntandosi il proprio al petto con fare scettico. “Taara?”

“No! Quello sono io!” Dio, non aveva capito niente.

Una delle sentinelle si voltò a guardarli perplessa. “Si può sapere che problemi ha quello lì?”

“Taara” gracchiava intanto il bambino, storpiando la pronuncia in ogni modo possibile.

“Taara” sospirò. “Sì, va bene, come ti pare. Vorrà dire che te lo darò io un nome”.

Non era bravo con i nomi. A essere sinceri, non era bravo in niente che non fosse lo studio e le palle di neve, ma si disse che si sarebbe inventato qualcosa.

Guardò sottecchi il bambino, intento ad annusare incuriosito un lembo della sua pelliccia, e si sentì emozionato come quando lo aveva visto uscire dalla stella: non voleva mentire anche ai suoi genitori, ma sperò che non glielo portassero via una volta scoperta la verità su di lui. Lo sentiva un po’ suo, lo aveva anche visto nascere… Anche se sembrava avere la sua età, o poco meno.

Tooru non tentò nemmeno di chiedergli quanti anni avesse, e prendendolo per la mano bollente aumentò il passo come poté, zoppicando leggermente per stare al passo delle sentinelle.

Il bambino grugnì qualcosa in tono lamentoso, come se lo stesse rimproverando di star andando troppo veloce, e poi non emise più un suono per il resto di quella turbolenta nottata: si limitò a tenere d’occhio Tooru, e a diventare la sua ombra da quel momento in avanti.

 

 

Sono stata travolta dallo show e da Oikawa, che potrebbe calpestarmi e a cui direi grazie comunque, quindi era inevitabile che capitombolassi anche per questa ship.

Lasciate che vi illustri come funziona un processo creativo nella mia testa:

Io: potrei scrivere una os piccante su una coppia che mi piace… Per esempio la IwaOi.

Il mio cervello: è vero, potresti.

OPPURE, un Au in cui Iwaizumi è una sorta di semi dio/uovo kinder incandescente che piove dal cielo su un regno a tratti medievale in cui Tooru non sembra avere alcuno scopo, giusto perché tu dai tutte le informazioni presenti solo nella tua testa per scontate.

Io: sai che ti dico? Okay.

Stendiamo un velo pietoso, grazie.

Questo au si merita una long tutta sua, lo so e prima o poi ci lavorerò sopra. Sono terribile con i progetti a lungo termine, basta guardare quel cimitero che è il mio elenco delle storie…

Abbiate pazienza, la one shot più porno che altro è comunque in arrivo, non ho intenzione di rinunciarvi. Spero vi sia piaciuta e scusate per l’OOC di Tooru, ma sappiamo bene che da bambino era ben diverso da come si atteggia nel presente.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: Clownqueen_oa