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Autore: _Blumenonfire_    11/08/2020    2 recensioni
Sherlock rimase in piedi sulla soglia, gocciolante e  indeciso su cosa fare.
L’altro sembrava non essersi accorto minimamente della sua presenza, assorto com’era in se stesso.
L’aria era ingombrante e la stanza inospitale, l’equilibrio del loro bizzarro focolaio domestico era intaccato da una situazione le cui connotazioni emotive erano sconosciute al detective.
Insomma, non era la prima volta che John andava in bianco, ma stavolta sul suo volto si leggeva qualcosa di diverso dalla delusione, come se una forma di conoscenza superiore lo avesse invaso lasciandolo traumatizzato.
Era insopportabile, decise Sherlock.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’acqua della vasca, a una perfetta temperatura di 36° ottenuta con meticolosità, avvolgeva il corpo di Sherlock come un dolce abbraccio, una coccola per i suoi lembi sempre tesi e provati dall’azione.
Dopo la lunga giornata di investigazioni, che era sfociata in un furioso inseguimento a piedi e anche in uno scontro fisico con il colpevole- un rozzo individuo che aveva accoltellato il fratello per diventare unico erede dell’azienda di famiglia- si sentiva stanco per la prima volta dopo due giorni.
Il silenzio totale dell’appartamento gli permise di svuotarsi totalmente e approfittare così del breve lasso di tempo pacifico prima che la noia cominciasse di nuovo a torturarlo.
Spostò il peso in avanti e allungò il braccio verso l’angolo fra la vasca e il water, dove una mattonella apparentemente uguale alle altre era in realtà staccata dal muro e nascondeva un piccolo buco, da cui Sherlock estrasse un pacchetto sgualcito di sigarette, uno dei pochi sopravvissuti alle retate anti-nicotina del suo coinquilino.
Chissà perché quello sforzo assurdo per fargli smettere di fumare, come se con il suo stile di vita potesse davvero essere il cancro ai polmoni a riuscire a spedirlo nella tomba.
In quel caso, avrebbero dovuto riconoscere una qualche onorificenza alla Marlboro, pensò.
Ne accese una e si lasciò scivolare nella vasca, finché solo una porzione di volto non rimase in superficie.
Gli ritornò in mente la nuova conquista di John, la cassiera per cui quella sera non era lì con lui a mangiare cinese d’asporto e guardare la TV come al solito.
Aspirò una boccata più lunga per narcotizzare la sensazione pungente al centro del petto.
Lei era insulsa, ovviamente, assolutamente priva di una qualunque caratteristica che potesse giustificare l’attrazione di John.
Quell’idiota si faceva abbindolare da qualunque essere femminile che gli rivolgesse un sorriso in più.
Ah, inoltre era chiaramente fidanzata, probabilmente con un uomo più ricco di lei, come si poteva dedurre dal segno dell’anello e dalla borsa Gucci che sicuramente non poteva essersi comprata da sola, data la sua paga.
La teoria più credibile era che lei fosse prossima all’altare, ma che avesse avuto una crisi d’identità che l’aveva portata a “riscoprire se stessa” attraverso un lavoro umile e molteplici avventure sessuali.
Già, molteplici. Davvero non si capiva dal modo in cui tutti gli uomini che frequentavano quel supermercato la guardavano orgogliosi?
Ovviamente tornerà dal suo futuro marito, l’eczema da stress mostra quanto poco le piaccia la sua nuova vita non agiata.
In fondo lo sapeva anche lei che sarebbe stato passeggero, altrimenti perché tenersi quei costosi regali?
Quel pomeriggio stava per illuminare John sulla faccenda, ma poi ci aveva ripensato, ricordando quanto poco fossero graditi i suoi commenti sulle relazioni altrui.
Sherlock esalò il fumo, tenuto dentro per tutto il corso dei suoi pensieri, e iniziò a ispezionarsi la pelle chiara dove qua e là si vedevano i lividi guadagnati di recente.
L’altro però era decisamente messo peggio, sogghignò.
All’improvviso si irrigidì, colpito da alcuni suoni che venivano dall’entrata del palazzo.
Il suo udito finissimo distinse subito i passi del dottore su per le scale.
Passi pesanti, strascicati.
Lo sentì sbuffare mentre apriva la porta e poco dopo ci fu il tonfo del suo corpo sulla poltrona.
Sherlock rimase silenziosissimo mentre cercava di dedurre qualcosa da quegli indizi sonori.
Era tornato troppo presto per aver potuto concludere qualcosa, ma non c’era solo questo.
La poca cura con cui aveva lasciato andare la porta dietro di sé e il fatto che non si fosse nemmeno tolto la giacca e le scarpe indicavano rassegnazione, rabbia.
Dolore.
Di nuovo la sensazione pungente fece eco dentro il detective, che dopo alcuni minuti di attento ascolto senza risultati decise di uscire dal bagno.
Gettò la sigaretta nell’acqua, si infilò un accappatoio e con passi cauti si diresse verso il salotto.

John aveva le gambe piegate al petto, circondate dalle braccia, e il mento appoggiato sulle ginocchia, mentre con lo sguardo vuoto fissava un punto indefinito oltre la finestra.
Sherlock rimase in piedi sulla soglia, gocciolante e  indeciso su cosa fare.
L’altro sembrava non essersi accorto minimamente della sua presenza, assorto com’era in se stesso.
L’aria era ingombrante e la stanza inospitale, l’equilibrio del loro bizzarro focolaio domestico era intaccato da una situazione le cui connotazioni emotive erano sconosciute al detective.
Insomma, non era la prima volta che John andava in bianco, ma stavolta sul suo volto si leggeva qualcosa di diverso dalla delusione, come se una forma di conoscenza superiore lo avesse invaso lasciandolo traumatizzato.
Era insopportabile, decise Sherlock.
Avrebbe voluto trovare la voce per liquidare subito la faccenda con una sua qualche uscita sarcastica, una di quelle coltellate verbali che paradossalmente aiutavano il coinquilino a lasciarsi alle spalle le brutte esperienze e ritornare alla normalità.
Invece c’era solo il silenzio.
“Perché non va mai niente come voglio?” la voce di John gli arrivò flebile come un sussurro.
Si guardarono intensamente, una comunicazione molto più profonda di qualunque discorso.
Sherlock poteva leggere nelle rughe del suo volto l’ombra di pensieri oscuri, anche se per una volta non sapeva dove cercarne l’esatta causa.
La catena logica sembrava irrimediabilmente spezzata e tutto ciò che avrebbe voluto fare era allungare la mano per spazzare via quella nube malvagia.
Probabilmente John dava per scontato che sapesse tutto della ragazza, non avrebbe dubitato delle sue capacità intellettive, ma non lo avrebbe accusato di non esserne stato informato prima.
In fondo bisogna pur sempre cavarsela da soli, no?
Non era questo il punto.
Il detective si avvicinò di qualche passo, ancora in silenzio e incerto sul significato della frase precedente.
“Tutta la mia vita, mai come voglio” continuò il dottore, riabbassando la testa.
Sherlock si sforzò di osservare non attraverso il filtro della logica ma servendosi dell’intelligenza emotiva, che solo negli ultimi tempi aveva scoperto di possedere, seppur in una forma grezza e impacciata.
Davanti a lui c’era un uomo in crisi, piegato da sempre dalla sofferenza.
Una vita su cui aveva potuto esercitare ben poco controllo e che spesso gli aveva mostrato i suoi lati più crudeli, sprezzante dei suoi bisogni e dei suoi desideri.
E ancora nella quotidianità si ritrovava a dover combattere i suoi Mostri, alimentati da ogni minuscolo incidente di percorso.
Lottava e sanguinava e rimaneva sempre in piedi, senza però comprendere mai bene il perché.
Perché sforzarsi tanto se alla fine si sentiva sempre così perso?
In questo si somigliavano, loro due, tanto inadatti al mondo intorno a loro e tanto incapaci di capire perché si ostinassero a starci.
Forse da tempo erano in cerca di un compagno con cui condividere implicitamente il proprio Disagio, ma non se n’erano resi conto finché non si erano trovati.
A quel punto, per lo meno, c’era un altro che soffriva quanto te e ci si sentiva meno soli.
E quell’altro era anche il mezzo attraverso cui si potevano esplorare parti di sé rimase buie e inabitate per secoli, senza la paura di cosa potessero celare, perché a varcare quelle soglie erano sempre in due.
Insieme erano partiti all’avventura, uniti da uno strano legame, certi di doverci essere per l’altro, a qualunque costo.
Come sarebbe stata la vita senza John Watson?
Il suo petto quasi si lacerò all’idea.

In un moto istintivo, Sherlock poggiò la mano sulla testa dell’amico, che tremò leggermente per il contatto improvviso, senza però scostarsi.
“Non è colpa nostra, John”
Fuori una pioggerella cominciava a cadere sulla strada via via meno affollata.
Dentro casa faceva più freddo, ma all’imbarazzo di prima si era sostituita una piacevole sensazione di intimità.
Erano al sicuro.
Dopo un tempo indefinito il dottore si alzò in piedi lentamente e si voltò verso l’altro.
Un unico sorriso sfuggevole sembrò cancellare tutto il resto.
“Dobbiamo disinfettare questo taglio” con le dita sfiorò la ferita sullo zigomo del detective.
Sherlock rise.
“Agli ordini dottore”
Si diressero quindi verso il bagno, commentando spensierati i fatti del giorno.


I due protagonisti della grottesca favola di Baker Street.

 

 

 

N.d.A

Ecco la mia prima storia su Sherlock, una serie con cui mi sono fissata quest'estate e che adoro (pls uscite la quinta stagione)
Ringrazio chi ha letto fin qui e spero vivamente vi sia piaciuta
Se vi va, lasciatemi una recensione per dirmi che ne pensate :)
Alla prossima!

-A

P.S. Ignorate il nickname tumblerino, è in corso di modifica ahah

   
 
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