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Autore: lightvmischief    14/08/2020    0 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 36

KAYLA

«Ti prego, dimmi che hai trovato qualcosa.»

Eseguo la solita routine degli ultimi due giorni: entro in casa, appoggio - o meglio, butto - lo zaino a terra e scuoto la testa desolata e frustrata. Nessun segno di alcun tipo di cibo.

Dopo l’incidente della barca ho deciso di non avvicinarmi più al fiume se non strettamente necessario: ciò vuol dire che se non abbiamo estremo bisogno di medicinali, non ho intenzione di mettere piede su un’altra imbarcazione nell’immediato futuro. Cadere nell’acqua gelida è stato terribile, soprattutto quando ho aperto gli occhi e ho visto altre paia d’occhi fissarmi dall’altra parte, mentre con i loro arti gonfi d’acqua e molli mi incatenavano sott’acqua.

Ieri ho perlustrato gli altri tre piani sottostanti del palazzo in cui abitiamo e il risultato non è stato molto differente: solo vecchie riviste di arredamento, qualche scartoffia per le vie d’uscita d’emergenza, asciugamani e salviette. Nient’altro.

Ho diritto a un cracker al giorno; dopo aver regalato la mia misera porzione a Margaret due sere fa, Calum ed Elyse mi hanno obbligata a mangiare almeno un cracker al giorno per poter avere abbastanza forze per trovare altro cibo, ma di questo passo sto perdendo le speranze. 

Elyse ha ancora la febbre ma adesso riesce a stare in piedi, almeno. Calum ha provato a convincermi che questa mattina sarebbe uscito anche lui con me, ma l’ho messo a tacere con un gesto secco della mano. Non mi sarei mai azzardata a lasciare Margaret in casa da sola con un’Elyse malata: se dovesse succedere qualcosa, almeno, Calum sarà in grado di proteggerle.

Quindi oggi ho setacciato la casa del vicinato ma nessun risultato. La cosa migliore di questa città è che almeno posso girarne le strade senza preoccuparmi troppo di cadere in incontri indesiderati con i Morti, visto che sono stati tutti risucchiati da una lontana piena del fiume. Un punto per me.

Calum fa cadere sul tavolo l’ultimo pacchetto intatto di cracker con rabbia e sconforto, imprecando davanti a Margaret. Ormai non si scandalizza da anni. Stiamo finendo anche l’acqua e, per ironia della sorte, non piove da quando abbiamo lasciato il casolare.

Storgo il naso all’odore troppo intenso delle candele che hanno riempito l’intero appartamento. «Sono solo tornata a prendere qualche goccio d’acqua» dico, sedendomi in malo modo sullo sgabello della cucina, guardando il profilo di Calum muoversi in cucina. «Elyse?»

«Sta meglio.» Prende la penultima bottiglia piena di acqua e ne travasa un po’ nella mia, stando attento a non farla uscire. «Questo è tutto ciò che posso darti» risponde poi, sospirando e passandosi una mano sul viso stanco.

Non ha dormito molto queste due notti: quando mi sveglio dai miei frequenti incubi lo vedo affacciato alla finestra con gli occhi rossi e gonfi. Abbiamo già sparato quattro razzi - ce ne rimangono ancora due -, ma ancora nessun segno di Wayne, Mali o Blaine. So che sta lottando contro i pensieri negativi che gli girano per la testa per provare a mantenere un po’ di speranza accesa tra noi quattro.

Margaret vorrebbe farmi sentire come legge bene, tuttavia mi tocca liquidarla velocemente, spiegandole che devo uscire di nuovo. Se la prende più del dovuto, ma so che stasera le sarà già passato. La convivenza con la copia perfetta di Ebony sta andando meglio, forse perchè per maggior parte del tempo sono fuori casa e non mi tocca venir costantemente ricordata della sua misera e tremenda fine. Ci sto lavorando.

«Stai attenta.» Mi fa un cenno con la testa di saluto, prima di chiudere di nuovo la porta alle mie spalle.

Non abbiamo parlato molto dopo l’incidente. In realtà non ho parlato molto con nessuno dei tre, anche perchè gli unici momenti in cui sono in casa li trascorro dormendo per recuperare e mantenere la maggior parte delle forze. Aver diminuito tutto a un tratto le razioni mi ha reso più suscettibile, spossata e stanca, ma almeno riesco a dormire un sonno tranquillo e senza sogni. 

Scendo le scale a due a due per fare più in fretta ad arrivare in strada: ho deciso di setacciare le due case a due piani dall’altro lato della strada e vorrei spingermi fino a quelle più avanti. La responsabilità della nostra sopravvivenza è caduta tutta sulle mie spalle: non posso permettermi di lasciarmi andare alla stanchezza o al leggero mal di testa che ho da quando ho aperto gli occhi. Hanno bisogno di me, non posso deluderli. Non voglio deluderli.

Attraverso la strada deserta stando attenta a non inciampare nelle radici degli alberi, che hanno rotto l’asfalto per proseguire la loro crescita e rincorrere la loro libertà. Vorrei averla anche io, la libertà.

Mi ricordo che pochi giorni dopo lo scoppio di quello che ora so essere un virus, i gruppi anarchici gioivano: erano finalmente liberi da ogni forma di governo. Niente regole e, soprattutto, nessuno a farle rispettare. Il completo ed assoluto caos. Credevano di essere finalmente liberi; ovviamente si sbagliavano. Essere arrivati fino a questo punto è sia una salvezza che una condanna: la prima perchè vuol dire che non abbiamo ancora contratto il virus, la seconda perchè da un momento all’altro potremmo morire di morte violenta e perchè la nostra vita ruota attorno a tre cose principali: acqua, cibo, rifugio. Non c’è spazio per la vita vera, per i divertimenti, gli hobby, lo svago. Non siamo liberi, non lo saremo mai: saremo sempre rinchiusi nella stretta gabbia della paura finchè questo mondo non cesserà di esistere o tornerà normale; è più possibile la prima che la seconda.

Noto subito una “x” disegnata con una bomboletta nera sulla porta della prima casa: non è fresca ma nemmeno troppo datata, avrà qualche giorno al massimo. Mi guardo attorno scettica prima di spingere la porta con il palmo della mano e vederla aprirsi facilmente. Lancio un’occhiata fugace alla nostra finestra, non riuscendo a capire se c’è qualcuno affacciato a causa del riflesso del sole sul vetro. Faccio scrocchiare il collo, prima a destra poi a sinistra, prendo un respiro ed entro, impugnando ben stretto il manico del coltellino svizzero e facendolo aprire di scatto.

Dopo aver fatto un veloce giro dell’intera area e aver scoperto che il piano superiore è completamente barricato e che non c’è traccia umana qui dentro, rilasso le spalle e rimetto via l’arma, cominciando ad esaminare la cucina. 

Impreco. Qualcuno ha anticipato le mie mosse e ha deciso di svuotare l’intera dispensa. Non controllo neanche il piccolo salotto, notando che è in completo disordine. Esco e passo alla casa di fianco, notando che stavolta sulla porta c’è una “x” rossa.

Ora non mi resta che capire cosa significano questi due colori. Spero solo di non finire in qualche imboscata. 

Apro con cautela anche questa porta, trattenendo il respiro. E poi, niente. Nessun rumore, nessun segno di vita, nessun movimento. Niente. Passo in rassegna tutte le stanze, prendendo qualche bottiglia di vino vuota, così da poter raccogliere l’acqua nel caso il tempo decidesse di regalarci un po’ della sua preziosissima pioggia.

«Ti prego» sussurro a denti stretti, aprendo i mobiletti della cucina. Polvere, polvere e ancora polvere. Mi chiedo se si possa mangiare.

***
«Abbiamo preso una decisione» comincia quasi solenne Elyse. È la prima sera che è tornata a sedersi al tavolo e questo non fa altro che alleggerire un po’ il peso sulle mie spalle. «L’ultimo pacchetto sarà solo per voi due» dichiara, indicando prima Margaret e poi me.

«Prima che tu dica qualcosa, è la decisione più saggia,» dice Calum, lanciandomi un’occhiata severa, «tu devi uscire, devi mantenerti in forze, mentre tu devi crescere.»

«Quindi avete intenzione di lasciarvi morire di fame?» chiedo scettica, guardandoli con le sopracciglia alzate, incredula.

«No. Perchè tu e Margaret uscirete-»

«Io e chi, scusa?!» Non credo di aver capito bene.

«Margaret. Lei è d’accordo.»

«Non me ne frega un cazzo se lei è d’accordo. Non la porto con me-»

«Non hai forse detto che tutti i Vaganti sono finiti nel fiume? Allora non c’è alcun pericolo per lei.» Elyse alza le spalle, facendo schioccare la lingua sul palato.

Non credo alle mie orecchie. Mi stanno davvero obbligando a portare fuori Margaret? Una bambina di nemmeno nove anni?

«Perchè?» chiedo, incrociando le braccia al petto, facendo saettare lo sguardo da Calum e Elyse, ignorando invece Margaret al mio fianco. Forse pensa che non la voglia con me o che in qualche modo non mi stia simpatica, ma è per la sua protezione.

«Perchè se rimane con noi sarebbe più in pericolo?» chiede retorica Elyse, quasi intonando la frase. «Voglio dire, Kayla, riflettici: io ho questa dannata febbre e i miei riflessi fanno più che schifo, oltre al fatto che se sto in piedi per troppo tempo mi gira la testa. Calum non mangia da stamattina e se andiamo avanti di questo passo, chissà quando mai riusciremo a farlo. Non possiamo badare a una bambina in queste condizioni, a malapena riusciamo a raggiungere il letto.»

«Se ci dovesse essere qualsiasi intruso, non saremmo abbastanza veloci da proteggerla, questo è ciò che vuole dire.»

«Non è detto che io lo sia» ribatto dura, chiudendo gli occhi in due fessure. Lui prima di tutti dovrebbe saperlo, soprattutto dopo Ebony. Non ho potuto fare niente, l’ho lasciata da sola: chi mi dice che non potrebbe succedere un’altra volta? So di aver fatto una promessa a me stessa che non l’avrei lasciato accadere, ma alcune cose sono fuori dal mio controllo. «Dovrei avere anche io una scelta, non credete?»

«Siamo tre contro uno. La scelta è già stata presa» replica Elyse decisa, mantenendo il mio sguardo senza troppa fatica.

«Grazie per avermelo chiesto» rispondo sarcastica, già pronta ad alzarmi dalla tavola e uscire di nuovo, da sola.

«Dì la verità, Kayla: tu non vuoi portarla per quello che è successo a tua sorella-»

«Elyse-»

«No, tu chiudi quella cazzo di bocca,» Elyse si alza dalla sedia, facendola stridere sul pavimento e puntando un dito contro Calum per farlo stare zitto, «credi di essere l’unica ad aver perso tutto? Fattene una ragione e vai avanti, sono stanca di te che continui a pensare che tutta questa merda sia successa solo a te!»

Rimango allibita e sconcertata per qualche minuto alle sue parole gridatemi in faccia. Ho davvero assistito a questo? Scuoto la testa amareggiata, alzandomi dallo sgabello e raccogliendo subito lo zaino da terra. «Dopo questa, puoi ben scordarti che io la porti con me.»

«Certo, scappa, Kayla, scappa; non è forse quello che fai sempre?»

Sbatto la porta dietro le mie spalle, provando ad ignorare il pizzicore agli occhi e alla base della gola. «Fanculo.»

***

Sono fuori da qualche ora, seduta sul pavimento di una casa rivoltata da sotto a sopra, cercando di trovare un po’ di pace. Non ho voglia di affrontare Elyse, non ho le energie per farlo, anche se ho dovuto sforzarmi di uscire dalla porta e non tornare indietro a dirgliene quattro in faccia; la situazione non sarebbe cambiata comunque.

Crede che io non lo sappia? So benissimo che ogni persona ancora viva a questo mondo ha passato il mio stesso inferno o molto peggio, ma non è mai stato questo il punto. Vogliono che io mi porti dietro una bambina che dovrei tenere sott’occhio ogni minuto che passiamo fuori dall’uscio di casa, sapendo benissimo cos’è successo l’ultima volta sia a Reece che a mia sorella. Come possono anche solo pensare che io mi senta a mio agio con una responsabilità del genere, dopo aver fallito non una, ma ben due volte? Sono a conoscenza del fatto che Margaret non potrebbe in alcun caso morire per mano di un Morto, ma che mi dicono dei vivi, dei sopravvissuti? Possono essere due volte più pericolosi dei primi se hanno preso una cattiva strada - il che non sarebbe una novità e non ci sarebbe nemmeno da meravigliarsi, viste le cose orribili che sono successe a questo mondo -.

Prendo la testa tra le mani, facendo passare le dita tra i capelli, impigliandomi tra i nodi: non posso rimanere qui a rimuginare sul passato e sulle sue parole all’infinito, devo muovermi e setacciare altre abitazioni finchè c’è ancora luce.

Su questa casa c’era un’altra “x” nera e credo di aver intuito un loro possibile significato: nero uguale “siamo già stati in questa casa e l’abbiamo svuotata”; rosso uguale “qui non c’è più nulla”. Non lo so, so solo che non voglio imbattermi in nessuno.

Esco, non curandomi di chiudermi la porta alle spalle e continuo il mio giro infinito alla ricerca di qualcosa di commestibile, sperando che almeno stanotte il cielo decida di farci avere un po’ della sua acqua.

***

Metto piede dentro al portone del palazzo quando il sole è appena calato, lasciando spazio a un cielo carico di nuvole grigie. Salgo le scale lentamente, sentendo i muscoli stridere ad ogni gradino e il mio stomaco gridare che ha fame. 

Busso alla porta e mi apre Margaret frettolosamente, ritornando poi in salotto con lo sguardo basso non appena mi vede sulla porta. Ci dovrò parlare, prima o poi.

Appoggio lo zaino delicatamente ai piedi del tavolo della cucina, mi verso un bicchiere d’acqua, bevendolo tutto d’un sorso, provando a calmare lo stomaco che richiede cibo, cibo, cibo. Come sempre, istanti dopo il mio rientro, arriva Calum a chiedermi con il solo sguardo, speranzoso e rassegnato allo stesso tempo, se ho trovato qualcosa. E io, di nuovo, scuoto la testa.

«Potrebbe piovere» dico con la voce rauca, schiarendomi poi la gola. «Ha ancora la febbre?»

Scuote la testa e allora decido che il mio momento di interagire con le persone per oggi è finito. Comincio a muovere qualche passo verso il salotto, ma Calum mi prende il braccio.

«Senti, per quello che è successo oggi...»

«Non ne voglio parlare.»

«Voglio che tu sappia che non avremmo preso questa decisione se Margaret non fosse stata d’accordo. Anzi, è quasi stata lei a chiederlo.» Mi lascio scappare una risata, scuotendo la testa sconcertata. «Quando ha sentito che non c’erano Morti in giro, ha detto che voleva aiutarti e che non voleva lasciarti uscire sempre da sola. Forse dovresti darle ascolto.»

«Non mi aiuterebbe per niente, sarebbe solo d’intralcio là fuori» ribatto sottovoce, non volendomi far sentire dalla diretta interessata seduta davanti alla finestra.

«È intelligente. Farà tutto quello che le dici di fare.» Calum mi lascia andare il braccio, facendo ricadere la sua mano al suo fianco con poca energia. «Dovresti avere più fiducia negli altri. E in te stessa; noi già ce l’abbiamo, altrimenti non avremmo mai pensato a questo.»

«Devo sparare un razzo» replico, sviando il discorso e lasciandolo solo nella cucina.

   
 
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