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Autore: Mademoiselle_Scarlatte    14/05/2005    2 recensioni
La breve storia di una ragazza lacerata da un mondo che non la comprende. Lacerata dalla sua stessa identità... Piuttosto deprimente, onestamente, ma commentate!!
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiedete cosa volevo fare a quattordici anni? Volevo solo lacerare l’anima degli altri, di tutto il resto del mondo… Mi piaceva farlo, mi sentivo realizzata. Scrivevo tutto ciò che mi passava per la testa, quei pensieri crudeli che nessuno mai racconta, perché sono troppo… fuori dalla realtà per essere ricordati anche dai loro stessi artefici. Tutto ciò che volevo era colpire la gente, indurla a riflettere. Spaventarla, a volte… Voi direste che era un modo inconscio per attirare l’attenzione. Chissà, forse avete ragione. Volevo solo che il mondo si accorgesse della mia esistenza, e quello mi sembrava il modo perfetto per farlo… Perché, non lo era, forse?
Ho colpito così tanta gente, in quel modo. Perfino i miei amici, perfino lo psicologo da cui mia madre mi mandò quando scoprì cosa facevo quando mi rintanavo per ore in camera mia, da sola… Forse avrebbe preferito scoprire che fumavo e che mi facevo di cocaina, piuttosto che accorgersi del fatto che avevo un cervello, e che mi piaceva usarlo. In realtà non se ne accorse propriamente, perché liquidò la faccenda mandandomi dal suddetto psicologo. Un vero genio, non c’è che dire. Quando lesse ciò che avevo scritto, rimase così sconvolto che, per le sedute successive, fu terrorizzato da solo pensiero di avvicinarsi a me… Solo perché parlavo di omicidi, sangue e morte… Forse avevo visto troppi film horror, per la mia età.
Comunque il poveraccio durò poco, dopo un po’ smisi di andarci non per decisione personale – mi piaceva farlo impazzire – ma per scelta di mia madre. Non ho mai capito il motivo per cui prese certe decisioni… Onestamente non mi interessa…

E adesso mi state chiedendo cosa volevo a diciassette anni? Allora volevo distruggere lui, l’uomo che mi aveva rubato l’anima e che me l’aveva restituita in pezzi, sanguinante… Lo amavo con tutta me stessa, avevo già sognato tutta la mia vita, con lui, ma forse per lui non ero così importante, perché qualche ora dopo avermi detto, guardandomi negli occhi, che mi amava, lo disse anche alla mia migliore amica, e lei non aveva mai resistito molto agli uomini affascinanti che le dichiaravano il loro amore… Chi lo farebbe, del resto?
Però lo odiavo, lo odiavo con tutta me stessa, e avrei soltanto voluto ucciderlo con tutto il mio disprezzo, e piangere tutte le mie lacrime perché non potevo fargli ancora più male… E invece mi limitai a restare in silenzio, piangendo da sola, nel buio, senza nemmeno pensare che qualcun altro potesse ascoltarmi, capirmi… Nessuno poteva, ne ero certa.

Vent’anni… Vent’anni sono troppi, per non aver fatto ancora niente d’interessante, e la mia vita era sopraffatta da tutto ciò che avevo nella mente, e di cui non riuscivo a liberarmi. Ero letteralmente soffocata dai pensieri che mi affollavano la mente, dal rancore che provavo e dalla malinconia che sempre mi pervadeva, anche se non ne avevo un reale motivo. I miei sentimenti erano così discordanti che niente di ciò in cui mi impegnavo, mi riusciva come volevo… Non volevo continuare l’università, anche se mi piaceva, non volevo trovarmi un uomo… Non volevo nemmeno più suonare il mio violino. Era troppo per me, non riuscivo a prendere fra le mani la mia vita e gestirla come volevo.
E’ solo per questo che la uccisi, non per altro… Non le volevo male, alla fine, non avevo niente contro di lei. Solo che mi asfissiava, controllava tutta la mia esistenza, e non potevo resistere ancora…
“Torna presto” “Mi raccomando, fai questo, fai quello…”
Avevo vent’anni, insomma! Non potevo sopportare che mi dicesse tutto ciò che dovevo fare, che mi desse consigli anche su ciò che non volevo, e non me ne desse quando ne avevo bisogno… L’unica cosa che voleva era proteggermi dal mondo, ma lo faceva per se stessa… Non voleva che le complicassi troppo l’esistenza! Non voleva che le sue amiche pensassero che non fosse stata in grado di crescere una figlia! Come potevo pensare che fosse sincera, e fidarmi delle sue parole?
Però le volevo bene, davvero… Altrimenti poi non sarei stata così male. Non mi sarei sentita così in colpa, così inutile da non voler più esistere… Da voler ferirmi, farmi del male per punirmi per ciò che avevo fatto. Perché era inconcepibile uccidere la propria madre e non sentirne nemmeno la mancanza…

Ovviamente voi non capite perché cominciai a guardarmi intorno, a cercare delle persone con cui dimenticare le sofferenze della mia anima dilaniata dalla vita, e da tutto ciò che essa aveva preso da me, senza restituirmi niente…
Non capite perché avevo bisogno del dolore per far scomparire il mio dolore… Non capite perché le ferite sulla mia pelle sono così tante. O forse credete di capirlo, rifugiandovi nei vostri bei libri costosi, su cui avete speso la vostra intera esistenza… D’accordo, sempre meglio di ciò che ho fatto io della mia, ma credete che tutto ciò che avete studiato vi aiuti a capirmi meglio di quanto possa aiutarvi ascoltarmi?
Perché la gente ha così paura di me, di parlarmi, di guardarmi negli occhi? Forse perché le mie cicatrici parlano prima di me? Forse perché il mio fascicolo vi dice più di quanto possa dirvi io? Forse perché…? Perché avete chiuso le orecchie nel momento in cui siete entrati qui dentro?

E adesso voi ve ne state lì, seduti sulle vostre comode poltrone di pelle, e mi guardate, mi osservate, come se fossi pazza… Come se non riusciste a capire lo strano animale chiuso dentro questa gabbia. Come se aveste il coraggio di ammettere che non avreste fatto ciò che ho fatto io, se foste stati al mio posto. Voi credete di essere forti, giusto? Di non cadere in ciò in cui sono caduta io… Credete che le lacrime smettano di cadere quando nessuno può vederle più?
Non conoscete il dolore, non conoscete la sensazione di annegare in un oceano profondo, da cui non si può più risalire… Non sapete cosa si prova a essere etichettati come “pazzi”, o come altro vogliate chiamarmi! E non sapete cosa si prova a guardarsi allo specchio e a non vedere un riflesso… Come un fantasma, come un vampiro!
Non potete giudicarmi. Non potete giudicare nessuno, neanche voi stessi… Eppure lo fate. E ora mi guardate, i vostri sguardi si incontrano, come per chiedersi cosa fare, e bisbigliate fra voi, come se non sapessi ciò che pensate di me.
Ma la decisione è vostra, giusto? Io sono “pazza”, ho tendenze suicide e amo le droghe e ferirmi da sola. Quindi non potete passare troppo tempo con me… Queste faccende vanno liquidate subito. Volete tornare nelle vostre case, dalle vostre belle famiglie. Non volete che io mi avvicini troppo a voi o alla vostra vita perfetta… Non volete che i vostri figli crescano e diventino come me, vero?
Ma non preoccupatevi, non ho intenzione di complicarvi l’esistenza. Non più… Non voglio più ferire nessuno… Sono solo stanca.
Le pareti bianche della mia stanza, le lenzuola, i mobili, è tutto così bianco, così calmo… Sembra quasi chiamarmi, e dirmi di dormire, di riposare e non pensare più a niente. Un sussurro dolce, pieno di speranza… E io sono così stanca…
Non voglio rovinare più la vita di nessuno.. Non volevo rovinare la vita di mia madre. E non voglio rovinare le vostre. In fondo cosa importa, se allo specchio non vedo che la mia pelle pallida riflettere il bianco della stanza, e le mille ferite e cicatrici sul mio corpo? Cosa importa se vedo i miei capelli arruffati e delle bende macchiate di rosso sangue ai miei polsi? Un riflesso non è poi così importante… Per una pazza poi, cosa vuoi che conti?
Tornatevene a casa. Salutatemi le vostre mogli… Date un bacio da parte mia ai vostri figli, e dite loro di crescere e diventare come voi. Perché siete perfetti… Io sarò qui, tra le pareti bianche e nell’aria viziata di un luogo che deve diventare la mia casa. Ad aspettarvi, quando tornerete in questo luogo imperfetto, da un fantasma imperfetto, che deve espiare i suoi peccati in un purgatorio gelido e candido, aspettando di essere ascoltata. Aspettando di vivere…
  
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