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Autore: QueenOfEvil    22/08/2020    0 recensioni
Prima che Aa perdesse due dei suoi tre occhi. Prima dell'ultimo verobuio. Prima della Profezia.
Mia era senza alcun dubbio "una ragazza con una storia da raccontare".
Ma, vedete, gentili amici, quella definizione poteva benissimo valere anche per i suoi genitori.
"Julius non aveva mai visto qualcuno morire quando, a sei anni non ancora compiuti, Atticus aveva deciso che era il momento per lui di assistere al suo primo venatus magnii. Non conosceva l’odore ferroso del sangue, né il modo in cui la sabbia cambiava colore, mentre dai corpi caduti sbocciavano fiori vermigli. Non conosceva le urla estasiate della folla adorante, né tantomeno quelle agonizzanti degli schiavi che trovavano la morte per l’altrui divertimento.
Dopo averli conosciuti, non era riuscito a dormire per settimane.
La seconda volta, quando di anni ne aveva otto, era andata meglio: si era limitato a rimettere il suo ultimopasto, l’illuminotte seguente.
La terza, l’unica reazione che quello spettacolo gli aveva procurato era stata uno sbadiglio."
Genere: Avventura, Fantasy, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Alinne Corvere, Altri, Julius Scaeva, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Neh diis lus'a, lus diis'a'
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Iocus, dum optimus, cessandum







… Pensi davvero che funzionerà…?
“Può darsi, come può darsi di no. Fatico a trovare alternative, comunque”
… Non mi sembri molto ottimista…
Julius si rigirò sulla tavola di legno che costituiva il suo letto, socchiudendo gli occhi e infastidito per l’intrusione della soliluce attraverso le tende: “Ho avuto poche occasioni per esserlo, in questi ultimi mesi”
Sussurro gli si arrotolò accanto, con un sibilo. Anche lui, come il suo compagno, era visibilmente indebolito dal terzo occhio del Semprevigile, che faceva capolino all’orizzonte, deciso a raggiungere presto i suoi fratelli nel loro viaggio attraverso la volta celeste, e il non-sguardo che lanciò alle finestre, prima di parlare di nuovo, bruciava dello stesso astio che anche Julius provava, ogni cambio più intenso, per la divinità che aveva arbitrariamente deciso di odiarli: “… Cos’è che non ti convince…?
“Un po’ tutto, in realtà. Più ripenso all’intera faccenda, più mi sembra un azzardo”
Julius doveva riconoscere, in tutta sincerità, che quello che Alinne gli aveva proposto, quella mattina, poteva essere il modo giusto per risolvere la loro faida con un compromesso che soddisfacesse entrambi. La familia del morto, aveva argomentato la ragazzina, sarebbe stata più che interessata sia a ritrovare i documenti trafugati che ad identificare e far condannare il vero responsabile della morte del loro pater: anche non fossero stati in buoni rapporti con lui, lo smacco di vedere un proprio parente assassinato e non poter pretendere giustizia avrebbe infiammato i loro cuori abbastanza da essere disposti a pagare per avere le giuste informazioni. E si dava il caso, Alinne aveva aggiunto, con una veloce occhiata alla botola, che loro conoscessero il nascondiglio della persona in questione.
“Saresti disposta a vendere Distillaluce? A tradirlo in questo modo?
“Tu non hai idea di quello che sarei disposta a fare, per riavere mio fratello”
In un primo tempo, Julius non era rimasto convinto da quello scambio di battute: nessuno dei due, visto dall’esterno, dava l’impressione di essere il testimone più affidabile del continente itreyano e dubitava che una famiglia di nobili -di provincia, d’accordo, ma pur sempre nobili- avrebbe dato loro udienza. Suo padre non lo avrebbe mai fatto, almeno.
“Neanche se presentassimo loro una prova materiale?”
Il modo in cui Alinne aveva pensato di usare i documenti era, glielo doveva concedere, ingegnoso: rompere la rilegatura, prenderne alcune pagine come prova e nascondere le altre nella cantina di Distillaluce, accanto all’anello della dominus a cui li aveva consegnati. Se i Luminatii fossero entrati e avessero trovato i fogli, accompagnati da un oggetto che collegava il proprietario della casa a persone notoriamente in conflitto con il morto, le conclusioni sarebbero state ovvie anche per un completo imbecille1. E a quel punto sarebbe stata la parola di Jonnen contro quella di un comprovato contrabbandiere: c’erano ottime possibilità che tutto si risolvesse per il meglio.
Julius si era dimostrato d’accordo sulle linee generali -Saai stava per fare la sua comparsa nel cielo, il calore era sempre più soffocante e il mal di testa dovuto ai raggi dei soli gli impediva di pensare con sufficiente chiarezza-, ma aveva posto un domanda su cui, di nuovo, le loro volontà si erano scontrate: metà dei documenti sarebbe rimasta in quella casa, benissimo, ma chi avrebbe dovuto custodire l’altra metà?
Alinne non si fidava a lasciarli in mano sua, e viceversa, per ovvi motivi, si presentava lo stesso problema. Era un punto, quello, su cui erano entrambi d’accordo: perché l’accordo funzionasse, nessuno dei due doveva avere la possibilità di agire all’insaputa dell’altro, il che voleva dire che una terza persona era necessaria, che facesse da guardiano imparziale fino a che non fossero stati pronti a procedere.
Quella terza persona era stata presto identificata in Lucius, ma convincerlo a collaborare -ad aiutarli una volta ancora- si era rivelato più difficile del previsto.
Julius aveva già accennato al compagno la necessità di dover mentire, una volta tornati alla villa: per il bene di tutti -soprattutto il mio, aveva pensato- era bene che Hëloise non sapesse quello che era successo, quel cambio. Era probabile che gli altri servi si fossero accorti della sua assenza, pur nella confusione del pomeriggio, e che, se non avesse trovato una spiegazione plausibile per giustificarsi, sarebbe stato punito con severità: la minaccia di venire marchiato pendeva ancora sulla sua testa, affilata come una spada appena uscita dall’armeria, e tentare la sorte sfidando le ire della padrona di casa non sembrava una mossa saggia. Senza contare che qualche malalingua avrebbe anche potuto connettere la sua momentanea sparizione con quanto accaduto a Sorella Claudia. Un dubbio pericoloso, che erano obbligati a prendere in considerazione.
La soluzione che Julius aveva proposto -che era stata accettata da Lucius con un’alzata di spalle e che aveva davvero prodotto gli effetti auspicati- era stata quella di fingere una partenza temporanea di Oonan dalla casa per motivi di lavoro impellenti e di attribuire proprio al medico la colpa per l’allontanamento di Julius dalla villa, per quel cambio: se il figlio dell’interessato avesse testimoniato che egli li aveva aiutati con i preparativi, recapitando messaggi e comprando l’occorrente per il viaggio, nessuno avrebbe potuto trovare nulla da obiettare. Il ragazzino aveva accolto con sollievo il tacito cenno del capo con cui l’amico aveva accettato di prestarsi a quella farsa, e la sua ombra scura due volte il normale aveva migliorato la qualità della sua performance, garantendogli una credibilità altrimenti insperata, ma quando lui ed Alinne lo avevano preso da parte e gli avevano confidato quello che avevano deciso allora, con uno scatto di energia e personalità assolutamente inaspettato, Lucius si era tirato indietro.
No,” aveva detto, con un’espressione ferma e fredda che a Julius non era piaciuta, “adesso bastaVi ho aiutato per tutto questo tempo, vi ho coperto, ho mentito, e per cosa? Papà… papà è…
Non aveva completato la frase, ma ulteriori spiegazioni si erano rivelate superflue: Lucius era stato irremovibile nel suo rifiuto, e né gli insistenti incalzi di Alinne né le pacate argomentazioni di Julius erano serviti a fargli riconsiderare la sua posizione. Questo, almeno, fino a che Julius non lo aveva guardato negli occhi e aveva riconosciuto una scintilla familiare: non aveva molta speranza di empatizzare con il suo dolore -gli riusciva difficile anche solo nascondere la propria felicità per la morte del medico, e il suo rapporto con Atticus era infinitamente più complicato di quello che Lucius aveva avuto con suo padre-, ma sapeva cosa si provasse a sentirsi arrabbiati. Con gli altri, con il mondo, con se stessi.
E sapeva anche molto bene quanto quella rabbia perdesse importanza, a confronto con la paura. Specie se si è privi di punti di riferimento.
Così, con nulla di più di un fioco senso di colpa annegato nell’irritazione, aveva fatto un muto cenno a Sussurro perché uscisse dall’ombra di Lucius e ritornasse da lui.
Il risultato -oltre che il sollievo per riavere l’ombravipera accanto- era stato immediato: tutta la sicurezza, tutta la determinazione, che aveva indurito il viso di Lucius si era sciolta come un blocco di ghiaccio nelle Frusciaride durante caldestate. Al suo posto, invece, era comparso il dubbio. Il timore dell’ignoto. Di rimanere solo.
In fondo, Julius era davvero l’unico sostegno che gli rimanesse, ad Elai. Un sostegno che avrebbe fatto di tutto per non perdere e che gli aveva salvato la vita, appena un cambio prima. 
Non c’erano state più obiezioni, da parte sua.
E ora Julius faticava a prendere sonno nella sua stanza, nervi tesi e zuppo del suo stesso sudore, con un mal di testa che si faceva sempre più lancinante ogni momento che passava e una sottile inquietudine che neanche Sussurro riusciva a dissipare del tutto.
L’accordo con Alinne era di presentarsi dalla familia del morto il cambio dopo, portando i documenti che avrebbero richiesto a Lucius, e non dubitava che anche lei, in quell’esatto momento, stesse passando un’illuminotte insonne, presa dai dubbi sulla buona riuscita del piano. Il suo nervosismo doveva essere anche peggiore, non avendo Sussurro nella sua ombra. Eppure, c’era qualcosa che lei ignorava e che di sicuro l’avrebbe fatta sentire ancor meno tranquilla, se avesse invece saputo. Qualcosa che continuava a tormentare la mente di Julius, in quelle lunghe ed asfissianti ore che lo separavano dalla tanto sperata ricompensa.
Laurentia. E il suo misterioso superiore.
La ragazza era in prigione. Quella, almeno, era una certezza. Ma il ragazzo con cui aveva parlato, il giovane uomo che l’aveva mandata lì come sentinella e l’aveva aspramente redarguita per il proprio comportamento sconsiderato, lui era ancora libero. Ed era, Julius lo sentiva nel sangue, memore della sensazione di nausea dolciastra -famelica- che lo aveva colto in sua presenza, cento volte più pericoloso della sua sottoposta.
Lui ed Alinne avrebbero dovuto concludere in fretta, se volevano sperare di non subire conseguenze.
E anche se così fosse stato, se tutto si fosse risolto per il meglio…
Julius si passò una mano sul viso -i polpastrelli che indugiarono un momento di troppo sulla sua guancia destra, libera dal falso marchio rimosso da Distillaluce, con il solvente adatto e delle energiche strofinate- e sospirò, braccia incrociate sopra la testa e labbra strette.
Più si avvicinava alla fine, più gli sembrava che la gara per cui stesse correndo fosse quella sbagliata. Cento miseri metri, invece dell’intera maratona.
E se la familia del morto si fosse rifiutata di pagare?
E se il denaro sborsato non fosse stato sufficiente?
E se non fossero sorti ulteriori ostacoli, e lui si fosse ritrovato con soldi sufficienti per prendere congedo da Hëloise e provvedere a se stesso per un indeterminato periodo di tempo, ma non avesse comunque trovato un modo per aiutare suo padre? 
Ripagare i debiti di Atticus era il primo grande passo per riappropriarsi della sua vita, poterla indirizzare verso qualcosa di diverso dalla strisciante sopravvivenza degli ultimi mesi, ma anche con la sua libertà ed indipendenza Julius faticava a trovare un ponte che collegasse la sua situazione di partenza al risultato sperato.
Non seguendo quella strada, almeno.
Tornò con la mente alla serie di riflessioni intraprese l’illuminotte precedente, quando immagini tentatrici di un’altra via lo avevano già visitato, e vi indugiò con più piacere della volta precedente, lasciando che si traducessero in parole, dolci e zuccherine sulla punta della sua lingua.
Quello di certo avrebbe messo a posto le cose.
Ogni cosa.
Ma poteva farlo?
Voleva?
Era riluttante a dire di sì.
Ma dire di no sembrava un tentativo di auto-convincimento piuttosto ridicolo.
Sperava -e questa speranza lo faceva sentire sciocco e debole- di non dover prendere una decisione in merito. Che le circostanze avrebbero reso irrilevante quella sua scelta. Che quella scelta, nel migliore dei casi, non avrebbe avuto luogo.
Ripensò al sangue sulle sue mani -di Bert, di Anthlem, di Oonan, in un certo senso- e si chiese quanta differenza avrebbe potuto fare se ne avesse aggiunto ancora.
Spendibile, sfruttabile, sacrificabile.
Tutta la differenza del mondo, o nessuna?
Forse entrambe.
“Tu cosa credi che…” 
Sussurro sibilò un avvertimento, troncando la sua frase a metà. Ma, ancora prima di poter chiedere spiegazioni, Julius la sentì, bruciante nel suo stomaco come qualche illuminotte prima, inspiegabile e al contempo familiare: fame. Quella fame.
Tese le orecchie, ma non riuscì a captare nulla, nel corridoio: chiunque stesse arrivando -e, Figlie, Julius aveva una chiara idea di chi fosse il suo visitatore- era abbastanza abile da impedire ai propri piedi di fare rumore. Non poteva calarsi giù dalla finestra e la cassettiera non era abbastanza grande da contenerlo, perciò fece l’unica cosa che gli venne in mente: ignorò il dolore sordo che percorreva le sue ossa e la sua pelle e, aggrappandosi alla tenebra con tutte le sue forze, riuscì ad avvolgersi nelle ombre proprio mentre la porta della sua stanza si apriva, cigolando.
La sensazione di nausea crebbe, trasformandosi in un desiderio dolciastro e lacerante, e questo, oltre alla soliluce che filtrava dalle tende troppo poco spesse, rendeva la stretta di Julius sull’oscurità che lo circondava flebile e instabile: quando sentì il pavimento della camera scricchiolare, dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per mantenersi nascosto. Sussurro, arrotolato attorno al suo collo, aspettava in silenzio.
… LO SENTI…?
“Sì, è come l’illuminate che Laurentia ci ha chiesto di venire”
… È PIÙ FORTE, PERÒ… PIÙ VICINA…
“Qualsiasi cosa sia, però, non ci riguarda: siamo qui per trovare il ragazzo”
Julius avvertì che Sussurro tentava di ingoiare la sua paura, ma era troppa, e i tre soli in cielo di sicuro non stavano facilitando il compito: nonostante l’ombravipera, sentì il proprio cuore accelerare i battiti, mentre i due sconosciuti -di cui riusciva solo ad intravedere i contorni- si muovevano per la camera.
… QUI NON LO VEDO: CREDI CHE SIA SCAPPATO…?
La risposta non giunse immediatamente, ma quando il ragazzo parlò Julius quasi perse la presa sulle ombre: “Lo avrebbe fatto, se fosse stato furbo. Ma no, vedi: la sua borsa è ancora lì”
… POTREBBE AVERLA ABBANDONATA…
“Mi sembra improbabile. Quando possiedi poco, ti è molto difficile lasciarlo indietro” E qualcosa, nel suo tono di voce, fece sospettare a Julius che egli stesse parlando per esperienza personale.
… E QUINDI…?
“E quindi,” la voce sospirò, dopo un lungo silenzio “o è da qualche parte in questa casa, nascosto, oppure…”
Ci fu un movimento improvviso nell’aria attorno a loro, simile a quello che sarebbe accaduto tra i flutti se Trelene avesse all’improvviso deciso di aggiungere una corrente marina, e Julius sentì le ombre che lo avvolgevano venire risucchiate da una forza esterna: cercò di fermarle, di fissarle attorno a sé con crescente disperazione, ma era semplicemente troppo stanco. E la forza che gli si opponeva semplicemente troppo superiore.
Il suo manto di tenebra gli fu strappato di dosso, lasciandolo esposto alla soliluce e, soprattutto, alle due presenze nella stanza. Quando i suoi occhi si posarono su di loro, la paura -che Sussurro non riusciva più ad inghiottire- venne per un attimo rimpiazzata dallo stupore.
Uno dei due -Cassius- era un ragazzo più o meno dell’età di Laurentia, forse di un paio d’anni più grande. Era vestito di nero, una casacca dalle maniche ampie e dei pantaloni infilati in stivali che sembravano avere visto tempi decisamente migliori, con capelli corvini legati in una lunga coda e lineamenti affilati. Gli occhi, dello stesso colore delle ombre che vibravano attorno a loro, lo fissavano con una scintilla di sorpresa che Julius stesso sapeva stava illuminando anche il proprio sguardo. 
Il motivo di quello stupore era evidente.
Perché, se Cassius era senza dubbio umano, il suo compagno -compagna?- era invece un lupo fatto di ombre.
Tenebris, Julius realizzò, spalancando gli occhi per la meraviglia, mentre quella dilaniante sensazione di mancanza gli riempiva il petto e lo lasciava senza fiato, è un tenebris come me.
Sussurro scivolò dal suo collo sul letto, lingua guizzante e non-occhi concentrati sulla lupa, e i due animali si scrutarono, in attesa, mentre le loro controparti umane rimanevano in silenzio, squadrandosi con diffidenza e curiosità.
Julius sentì una lieve brezza passargli tra i capelli e quando gettò un’occhiata alla propria ombra, creata dalla soliluce sulla parete dietro di lui, si accorse che essa sembrava protendersi verso quella del suo visitatore. L’ansia che lo aveva attanagliato fino a pochi momenti prima veniva ora annacquata dal sollievo di aver trovato un suo simile. Qualcuno che avrebbe potuto spiegargli chi era. Cos’era.
Questo, se fosse riuscito a sopravvivere a quell’incontro, ovviamente. Perché, pur nello stupore, non era così stupido da credere che la loro comune natura -un’affinità che li legava più del sangue e affondava in bui anfratti della coscienza- sarebbe stata sufficiente a risparmiarlo da ripercussioni piuttosto pesanti per gli affari in cui si era immischiato.
Perciò ingoiò le domande che già gli avevano affollato la lingua e che tentavano di uscire, cadendo l’una dopo l’altra come tessere di domino, e si limitò a fissare il suo interlocutore negli occhi, gambe incrociate e schiena dritta, in attesa che prendesse l’iniziativa.
“Questa,” Cassius iniziò, la voce non più alta di un mormorio “è senza dubbio una sorpresa inaspettata.” Mosse un passo verso Julius, non tradendo nessuna emozione tranne che dagli occhi. Sussurro spostò la sua attenzione dall’ombralupa al suo padrone e scivolò davanti a lui, sibilando in muta minaccia: il passeggero di Cassius ringhiò, nel medesimo atteggiamento di difesa. Anche se sapeva che non poteva fargli del male, Julius sentì comunque un brivido percorrergli la spina dorsale, in contrasto con il caldo che continuava a soffocarlo.
“Eclissi, sta’ buona,” il ragazzo parlò, sempre con quel tono basso e profondo, articolando le parole con una lentezza studiata, priva però di incertezza o dubbio. Di paura “E anche tu tieni a bada il tuo serpente”
“Sussurro,” chiamò Julius, intimorito da quello che sarebbe potuto capitare se quel lupo e il suo passeggero fossero giunti ad uno scontro -un’ombra poteva ferire un’altra ombra? o peggio?-: “Vieni qui”
L’ombravipera lanciò ancora un’occhiata ai loro visitatori, evidentemente in dubbio se lasciare la sua posizione difensiva oppure obbedire all’ordine ricevuto, ma alla fine scivolò verso Julius, arrotolandosi attorno al suo collo ed osservando con attenta diffidenza entrambe le figure. Il ragazzino, da canto suo, si sentì vagamente rassicurato dalla sua non-presenza.
“Laurentia mi aveva detto che c’era qualcosa di strano, in te, ma non avrei mai pensato…” Cassius scosse la testa “Bando ai convenevoli: sai perché sono qui, non è vero?”
Julius annuì.
“Bene, questo renderà le cose più semplici: dammi la borsa”
Nessuna risposta.
La tenebra attorno a loro tremò.
Sul muro, l’ombra di Cassius si allungò verso quella di Julius, dita affilate come coltelli protese verso la sua gola.
“Non lo ripeterò un’altra volta: dammi la borsa, se non vuoi conseguenze spiacevoli”
L’ombralupa ringhiò, accentuando la minaccia: “… TI CONVIENE FARE COME DICE… CASSIUS È UN UOMO DI PAROLA…
… Non vedo uomini, qui… Solo un ragazzo…
“Sussurro,” Julius interruppe l’ombravipera, irritato “basta: non peggioriamo la situazione.” Poi, rivolgendosi a Cassius: “Lo farei, se potessi, ma non è questo il caso”
Il suo interlocutore aggrottò la fronte: “Che significa?”
“Che non li ho”
Sarebbe stato semplice, in realtà, dire all’assassino che aveva di fronte l’ubicazione della prima parte dei fogli e il nome della persona che custodiva la seconda. La casa di Distillaluce. Lucius. Si sentiva disposto a scommettere che, se l’avesse fatto, la sua vita avrebbe cessato di essere in pericolo. Ma questo avrebbe voluto dire rinunciare alla seppur vaga possibilità di ricevere il denaro che gli serviva e di abbandonarsi del tutto alla, discutibile, benevolenza di sua zia. Inoltre, lui e Cassius non erano gli unici ad aver preso parte a quel gioco: c’era Alinne, e suo fratello, che ancora attendeva il suo processo in carcere, e Lucius, che aveva accettato di custodire la borsa promettendo di restituirla solo sotto determinate condizioni.
Entrambi dipendevano da ciò che avrebbe detto e fatto, nei successivi minuti.
Ed entrambi sapevano il suo segreto.
Il rischio era troppo grande per rinunciare senza combattere.
Aveva troppo da perdere.
Per sua fortuna -o sfortuna-, la stessa cosa si sarebbe potuta dire dell’individuo che aveva davanti, in quel momento impegnato ad osservare il suo volto, i suoi occhi, nel tentativo di decifrare una sua possibile bugia. Il risultato fu quello sperato: egli gli credette, anche se questo non lo fece desistere dal suo interrogatorio.
“Ma sai dove sono.” Non era una domanda. 
“Sì” Julius sentiva la paura crescere dentro di lui come un fiume in piena, minacciando di spezzare la sottile diga che aveva eretto tra sé e la resa, ma non abbassò lo sguardo, né indietreggiò nella sua posizione: Cassius era interessato ad un lavoro pulito e veloce, che non gli causasse più guai di quelli che già gli aveva procurato Laurentia. Julius era interessato ad una risoluzione per quanto possibile pacifica, che non gli impedisse tuttavia di perseguire i suoi obiettivi. Esisteva l’eventualità che riuscissero ad incontrarsi a metà strada, ed ottenere entrambi quello di cui necessitavano.
“Sto aspettando”
Julius notò, con l’occhio dell’attento osservatore, come la presenza di Cassius fosse implicitamente minacciosa, in un atteggiamento che contraddiceva quello della sua sottoposta in ogni movimento, ogni respiro: Laurentia non avrebbe esitato con l’uso della forza, con le minacce, in un’esibizione di abilità che gli avrebbe lasciato spazio per navigare, aspettando un suo passo falso. Il giovane uomo che aveva davanti, invece, si limitava a bloccare le altrui vie di fuga -materiali e figurate- e ad attendere: non perché fosse meno capace con le lame, no, era chiaro che la sua abilità fosse di molto superiore a quella di Laurentia, ma per una semplice questione di prospettiva. Invece che rincorrere ed azzannare, Cassius indirizzava le prede in un vicolo senza uscita ed aspettava che fossero loro stesse a mettersi all’angolo.
Una falsa sottomissione non sarebbe servita, con lui.
“Li ho presi per una ragione,” disse, evitando di rispondere a quella domanda non formulata “Mi servono”
Una risata tutto tranne che divertita uscì dalle labbra del suo interlocutore: “Ti servono? Madre Nera, e per cosa?”
Julius non rispose.
“Hai almeno idea di quello che hai rubato?”
“Non so cosa ci sia scritto: non conosco quella lingua,” replicò lui, con sincerità, umettandosi le labbra “ma sapevo che era importante e tanto è bastato”
Cassius fece un altro passo avanti, stringendo i pugni: “Sei riuscito a prendere per il culo la mia Mano, ma non ti sei posto alcuna domanda sul contenuto di quello che le hai sottratto… ‘Bisso e sangue, non so se ritenerti molto in gamba o un completo idiota”
L’ombra di Julius ebbe uno scatto in avanti, ma il suo proprietario represse il fastidio che quell’ultima frase gli aveva procurato, insieme alla replica che aveva già sulla punta della lingua: nessuno avrebbe lasciato in vita un testimone la cui memoria aveva impressi dei dettagli compromettenti. Invece, prese un respiro profondo e parlò nuovamente: “Il dominus che li possedeva prima di me ha avuto più o meno la mia stessa idea, mi sembra”
Un lampo di sorpresa saettò negli occhi di Cassius, ma l’espressione del viso si indurì: “Quell’uomo credeva di poter trattare con noi, di estorcere denaro di cui non aveva neanche bisogno -tutto per una questione di principio- per rivenderci quello che era nostro di diritto”
“Ha giocato d’azzardo”
“Ed infatti è morto”
Julius alzò le spalle, fingendo una tranquillità che non provava: “A volte la morte non è la cosa peggiore che possa capitare”
“Non lo pensi davvero”
“Penso che non avere scelta renda più facile indulgere in rischi che altrimenti non si correrebbero”
Le dita della mano sinistra di Cassius tamburellarono sui pantaloni, e la sua voce sembrò arrochita da una forte emozione, quando gli rispose, dopo un momento di silenzio: “C’è sempre una scelta. Tutto dipende da quello sei disposto a fare, e sacrificare, per ottenere ciò che vuoi.” Sospirò: “Come ti chiami, ragazzino?”
“Max,” rispose Julius, senza batter ciglio “Maximillianus”
… CASSIUS… NON ABBIAMO TEMPO PER QUESTO: LUI SA DOVE SONO I DOCUMENTI… SE LORD ADRIANUS SAPESSE CHE LI ABBIAMO PERSI…
“Lord Adrianus non saprà nulla,” ribatté Cassius, una traccia d’irritazione nella voce “Perché ci occuperemo di questa faccenda immediatamente. Vorrei poterti dire che è stato un piacere, Max, ma mentirei, perciò ora mi dirai dove hai messo quei fogli, in mano a chi li hai consegnati, e io farò in modo che tu non debba sentir nominare né me né nessun altro di noi mai più in tutta la tua vita. Oppure,” la sua ombra si mosse, mentre parlava, avvicinandosi tanto a quella di Julius che a quest’ultimo sembrò di sentire il tocco delle non-dita acuminate sulla propria pelle “puoi continuare ad insistere nel tuo mutismo e farti cavare le parole di bocca”
… E NON SOLO QUELLE…
… Il messaggio era arrivato forte e chiaro anche senza il tuo intervento, cagnetta…
“Non ho nessun interesse a tenervelo nascosto,” disse Julius, ingoiando la paura come quelli sciroppi amari e viscidi, disgustosi, che il medico gli aveva prescritto per anni ogni qualvolta si ammalava.
“Ma? Perché c’è un ‘ma’, giusto?”
Ma,” proseguì, sottolineando quella parola con un sorriso “ho una richiesta da fare, in cambio”
… NON CREDERAI CHE SOTTOSTAREMO AL TUO RICATTO, SPERO…
Sussurro sibilò, irritato, e avrebbe di sicuro proseguito con il diverbio se Julius non avesse replicato al suo posto, cercando di terminare la discussione: “Non è un ricatto. Non sono nella posizione di ricattare nessuno. Ho solo pensato che uno scambio amichevole avrebbe fatto risparmiare tempo ad entrambe le parti, e sarebbe stato meno spiacevole che ricorrere ad… altri mezzi”
… GLI ALTRI MEZZI DI CUI TU PARLI SARANNO MENO SPIACEVOLI PER TE CHE PER-
“Cosa vuoi?”
Julius avvertì una scarica di adrenalina scorrergli nelle vene, nel sangue, quando Cassius pronunciò quelle due parole, ma mantenne la mente fredda: la parte difficile non si era ancora conclusa. Il piano originale era stato quello di scambiare i documenti con i soldi -la Chiesa Rossa, dopotutto, era ricca: non gli sarebbe stato difficile trovare quanto richiesto da un ragazzino povero in canna per saldare un paio di debiti-, ma ora che aveva ottenuto la sua attenzione, e una parziale disponibilità…
La sua mente andò ad Alinne, alla loro conversazione, solo un’illuminotte prima -‘Bisso e sangue, ucciderei per una vita del genere-, e al fatto che non avrebbe potuto chiedere contemporaneamente del denaro e la libertà per suo fratello: sarebbe stato tirare troppo la corda, una corda già tesa e prossima alla rottura.
Quell’uomo credeva di poter trattare con noi, di estorcere denaro di cui non aveva neanche bisogno -tutto per una questione di principio- per rivenderci quello che era nostro di diritto.
La Chiesa Rossa non era ben disposta nei confronti di chi cercasse di giocarla, e se l’avidità era il suo maggior difetto -il suo punto debole-, c’era il rischio che quella soluzione temporanea creasse problemi a lungo termine molto più gravi. Julius non voleva passare il resto della sua esistenza a servire sua zia, ma non voleva neanche morire. Se non c’era altra scelta però…
C’è sempre una scelta. Tutto dipende da quello sei disposto a fare, e sacrificare, per ottenere ciò che vuoi.
Si trattava solo di decidere quello che voleva davvero. Una guancia marchiata o la libertà. Una vittoria parziale o una totale sconfitta. Quanto valutava la propria vita? E quella altrui?
Julius ripensò alle proprie mani. A Godsgrave. Al sangue. E quando rialzò lo sguardo, quando si apprestò a parlare di nuovo al giovane tenebris che lo osservava in silenzio, aspettando impaziente una risposta, si rese conto con sorpresa che la scelta che aveva sperato di non dover fare era, alla prova dei fatti, la più semplice del mondo.
Non l’unica possibile, ma l’unica degna di essere considerata tale.
“Nulla di particolare, in realtà,” rispose, dunque, qualcosa di scuro e scintillante negli occhi “e, di sicuro, nulla che possa mettere troppo in difficoltà una persona come te.”


 

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L’odore di pesce appena pescato. Le urla dei marinai che annunciavano il termine del viaggio ai loro passeggeri. Il cielo riarso dai tre soli, di un azzurro accecante, confuso all’orizzonte con il blu cristallino del mare. Dopo più di due mesi passati ad Elai, a Julius il porto sembrava meno confusionario di quando vi aveva messo piede per la prima volta, sulle spalle una borsa troppo grande e nella camicia una lettera contenete l’esatto opposto di quanto sperato. Ben lontano dal provare familiarità per quell’ambiente -nato e cresciuto midollano, non poteva che provare un moto di sprezzo e superiorità nei confronti di individui che nella maggior parte dei casi non avrebbero neanche saputo scrivere il proprio nome-, era altrettanto distante però dall’iniziale spaesamento, un timore nato dalla certezza di essere fuori posto, non più che un rammendo stonato in una tela perfettamente intessuta. No, quella città non sarebbe mai stata la sua casa, ma oramai riusciva a guardare ai vicoli, le strade, le case, con una parvenza di affetto.
O almeno, ci sarebbe riuscito se i passanti non avessero continuato a spintonarlo, rischiando di farlo scivolare sulla viscida banchina del molo.
“Ti consiglio di fare più attenzione, se non vuoi ritrovarti zuppo. E l’acqua del porto non è esattamente l’ideale per un bagno termale, o un bagno in generale”
Alinne era seduta a cavalcioni di un barile dimenticato, osservando con una scintilla di divertimento negli occhi il suo compagno che schivava per un pelo l’ennesima gomitata di un commerciante frettoloso.
“Sì, beh, stavo giusto considerando che un tuffo potrebbe essere comunque preferibile alla tua compagnia”
La ragazzina sbuffò ed alzò gli occhi al cielo, ma subito dopo la sua attenzione venne catturata da una figura alta e muscolosa che si stava avvicinando a loro, mani occupate da sacchi e borse dal contenuto ignoto. Con non più di un cenno a Julius -‘Tu aspetta qui, vado a parlargli’-, ella corse nella sua direzione, muovendosi nella medesima maniera che le aveva permesso di perdersi tra la folla, quel famoso cambio in cui le loro strade si erano incrociate: la caviglia era guarita, e anche le ferite sul braccio -coperte dalle maniche lunghe del suo vestito- si erano quasi del tutto rimarginate, facendo assumere al loro incontro con Anthlem e il suo cane nulla di più che un brutto sogno. 
Julius si appoggiò alla botte, ormai priva di proprietaria, e rivolse lo sguardo al mare, mentre la sua ombra scura due volte il normale tremava sotto i tre occhi del Semprevigile, che diffondevano veraluce con implacabile costanza: era passata quasi una settimana dal suo dialogo con Cassius, sei cambi da quando aveva rinunciato alla pur flebile speranza di ripagare il debito contratto con sua zia estorcendo del denaro alla Chiesa Rossa in cambio della libertà del fratello di Alinne, e ancora non riusciva a credere che fosse tutto finito. Che davvero quella vicenda avesse trovato la sua conclusione.
Aveva faticato non poco a convincere la ragazzina liisiana a non correre subito dalla familia del morto, la mattina dopo, e ad aspettare ulteriori sviluppi -‘Jonnen rischia il carcere a vita, Julius, o peggio. Non so se te ne rendi conto’ ‘Credi che l’idea di attendere a me convinca? Fino a che tu non riavrai tuo fratello, io non vedrò neanche un mendicante. Fidati di me, solo per questa volta’-, ma la loro pazienza era stata ripagata: Distillaluce era stato arrestato, Jonnen era uscito dalle segrete di Elai due cambi dopo, scosso dall’esperienza, ma integro, e Alinne era tornata a casa con lui, con  molte domande senza risposta e un’ultima occhiata curiosa alla borsa dei documenti, ancora in mano a Julius, che aveva apparentemente servito il suo scopo senza dover essere neanche utilizzata. Borsa, che il ragazzino si era premurato di lasciare nel posto concordato all’ora concordata non appena la notizia dell’avvenuta scarcerazione gli era giunta, perché Cassius la recuperasse e mettesse definitivamente fine alla loro collaborazione. 
Per illuminotti aveva temuto che qualche altro assassino della Chiesa sarebbe arrivato per occuparsi di lui, per assicurarsi che non rivelasse quel poco che sapeva, ma alla fine aveva dovuto arrendersi alla -tranquillizzante- evidenza: se n’erano andati. Non ci sarebbero state altre ripercussioni. Anche con Sussurro ad occuparsi della sua paura, il sollievo era stato enorme.
Il suo unico rimpianto -se di rimpianti si poteva parlare- era stato quello di non aver potuto chiedere a Cassius qualche delucidazione in merito alla loro comune natura di tenebris: il giovane assassino era infatti scomparso subito dopo aver concluso l’accordo, portando via con sé, assieme al ringhio dell’ombralupa, anche tutte le risposte alle domande che Julius sentiva bruciare nel petto. 
In fin dei conti, però, non importava.
Avrebbe trovato un modo per soddisfare la propria curiosità, in un modo o nell’altro.
E aveva problemi più urgenti di cui occuparsi.
Sospirò, inspirando poi profondamente e lasciando che l’aria salmastra riempisse le sue narici, ed attese che Alinne concludesse la sua conversazione con il fratello: quando se l’era ritrovata nel giardino della villa, a tirare sassi alla finestra dello studio di Oonan -ex-studio, per la precisione-, esattamente come il cambio in cui gli aveva chiesto asilo nella villa, irritazione, curiosità e un pizzico di divertimento si erano mischiati insieme, facendolo rispondere quasi subito alle sue insistenti chiamate. Si era aspettato un veloce commiato, oppure un improbabile ringraziamento, ed invece la ragazzina si era presentata da lui con una nuova richiesta: accompagnarla al porto, quel pomeriggio, subito dopo l’ultimopasto.
Julius aveva esitato, prima di accettare: la sparizione di Bert era quasi venuta a coincidere con il tradimento di Sorella Claudia, ed Hëloise si era confrontata con il suo padre spirituale per decidere come affrontare quella nuova prova a cui Aa aveva deciso di sottoporla. Fortunatamente, lei non era una dominatii e quello non era un collegio di gladiatii -non ci sarebbe stata un’esecuzione collettiva per la disubbidienza di uno solo-, ma era anche impensabile che non venissero presi dei provvedimenti, onde scoraggiare ulteriori tentativi di ribellione: erano almeno quattro cambi, ormai, che tutti i servi della casa -fatta eccezione per Forgiacatene, meritevole di avere trovato il foglietto incriminante tra le lenzuola di Laurentia- venivano costretti a turni sfiancanti e nutriti una sola volta al cambio, con nulla di più di un tozzo di pane e una ciotola d’acqua. Se non fosse stato per il passe-partout che ancora conservava nella sua vecchia borsa -e che gli garantiva l’accesso alle cucine-, Julius stentava a credere che sarebbe sopravvissuto. E non credeva che una sua eventuale assenza, sia pure per poche ore, sarebbe stata vista di buon occhio.
Però, ed era un grande ‘però’, la voglia di sapere cosa Alinne avesse di tanto importante da dirgli -e da mostrargli- era cresciuta. E alla fine aveva prevalso sulla prudenza.
Ora, mentre attendeva la fine di un colloquio che sembrava protrarsi in eterno, la sua mente era occupata dai preparativi per quella che sarebbe stata la sua ultima grande prova. Il suo capolavoro, per così dire.
Se tutto fosse andato come sperava, solo quattro cambi lo separavano dalla libertà.
Ripensò alla porta della biblioteca, alle scale, all’ennesimo peso che avrebbe dovuto caricare sulle spalle di Lucius, e dovette trattenersi dal pregare che tutto funzionasse a dovere -perché nessuno avrebbe ascoltato le sue suppliche, perché l’unica entità a cui avrebbe potuto rivolgerle, anche come formula vuota in cerca di un conforto spicciolo, era e sempre sarebbe stata sua avversaria-. Invece, si concentrò sul rumore delle onde, il dolce rollio delle barche attorno a lui, e cercò di convincersi che tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Doveva.
“Eccomi!” Alinne ricomparve davanti a lui, mento alzato e un’espressione trionfante negli occhi: “Jonnen sta organizzando le ultime cose per il viaggio”
Julius inarcò un sopracciglio, perplesso: “Partite?” Quando? Per dove?
“Tra tre o quattro cambi, se va tutto bene. Giusto il tempo di comprare provviste e vestiti.” Stava per aggiungere qualcosa, chiaramente divertita dallo sguardo perplesso del suo compagno, quando Jonnen la raggiunse da dietro, mettendole una mano sulla spalla e facendola voltare.
“Vado al mercato, non starò via molto: tu tieni d’occhio la nave”
L’uomo non sembrava particolarmente cambiato dall’ultima volta che Julius l’aveva visto, tranne forse che per i suoi lineamenti del viso, più affilati e magri dopo la prigionia prolungata. Manteneva, invece, la sua espressione imperturbabile e il suo forte accento, che rendeva la comprensione delle parole pronunciate quasi impossibile per un non madrelingua: malgrado i mesi passati ad imparare il Liisiano, e malgrado i progressi fatti in quelle ultime settimane, Julius era ancora ben lontano dal considerarsi un esperto in materia. Sperava, in realtà, che non avrebbe mai avuto occasione di diventarlo. 
Alinne annuì in risposta alla richiesta del fratello, ed egli le mise una mano sulla testa, scompigliandole i capelli e facendole emettere uno sbuffo irritato che di irritazione aveva ben poco. Julius, assistendo a quella scena da muto spettatore, provò una fitta intensa di disagio e fu tentato di seguire il suo stesso suggerimento -ovverosia di fare un bagno nelle acque del molo solo per trarsi d’impaccio-, ma fortunatamente non ce ne fu bisogno: Jonnen fece ancora qualche raccomandazione veloce alla sorella e poi uscì dall’area portuale, non lanciandogli più che uno sguardo neutro in cui il ragazzino non riuscì a trovare alcuna emozione identificabile. Si chiese cosa Alinne avesse raccontato, per spiegargli la sua improvvisa scarcerazione. Si chiese se avrebbe più ripensato all’uomo che era stato suo amante per anni, e che alla fine lo aveva tradito in nome di una vendetta a lungo non consumata.
Nulla di questo era affar suo, eppure quella serie di trame spezzate continuava a suscitare in lui una certa dose di fascino. Ma era un fascino non sufficiente da spingerlo a chiedere delucidazioni in proposito alla sorella dell’interessato: i tradimenti, in amore e non solo, non erano un argomento particolarmente originale, né sorprendente, e tendevano tutti a seguire lo stesso corso di eventi.
“Mio fratello si perde sempre in raccomandazioni inutili,” disse lei, nella voce di nuovo quella traccia di fastidio poco infastidito “anche se ormai dovrebbe aver capito che me la so perfettamente cavare da sola. Ma sai com’è: la famiglia”
Julius trattenne la risposta più sincera che gli fosse venuta in mente -ovverosia che no, non sapeva com’era, non nell’accezione sottintesa da Alinne- e replicò, atteggiando le labbra in un sorriso ironico: “Perfettamente mi sembra un’esagerazione. O devo ricordarti quello che è successo nelle scorse tre settimane?”
Alinne gli diede uno spintone così energico da rischiare di farlo cadere in acqua: “Non sono io quella che dovrebbe ridurre l’abitudine ad autocelebrarsi, tra noi due”
Julius ritenne saggio interrompere il filo di quella conversazione, anche solo per il bene dei propri vestiti: “Tuo fratello ha parlato di una nave, o sbaglio? Quale nave?”
La sua interlocutrice stava con tutta evidenza attendendo quella domanda dall’inizio, perché i suoi occhi brillarono e gli fece cenno di seguirla, zigzagando tra marinai e venditori di pesce, fino ad una zona riparata del porto. Lì, un po’ in disparte rispetto alle altre imbarcazioni, stava una goletta dal legno scuro, più piccola di quella con cui Julius era arrivato ad Elai: il ragazzino non sapeva assolutamente nulla di barche -la sua conoscenza in proposito era pari a quella che avrebbe potuto avere un kraken delle sabbie della poesia in dattili endecasillabi2- e perciò si astenne dall’esprimere un giudizio sulla struttura, o sulla solidità dello scafo. Invece, si appoggiò su uno dei pioli usati per fissare gli ormeggi delle barche e commentò, memore di quanto Alinne gli aveva detto in passato: “Quindi ce l’avete fatta”
“Jonnen l’ha comprata ieri,” gli rispose lei, issandosi su un altro di quei pioli e spostando lo sguardo da lui alla nave: “Dovrebbe essere pronta a salpare in massimo altri tre cambi”
“E come ve la siete potuta permettere? Mi avevi detto che mancava almeno ancora un viaggio a tuo fratello, prima di avere il denaro sufficiente”
La ragazzina gli scoccò un’occhiata trionfante: “Non hai più guardato nella borsa di pelle da quando siamo tornati alla villa, vero?” E poi, accorgendosi che Julius era impallidito, aggiunse: “Non fare quella faccia! Ho rispettato il patto: non ho neanche pensato di toccare i documenti. Ma nulla nella nostra reciproca promessa era stato detto riguardo quanto si accompagnava ad essi”
Un barlume di comprensione si fece strada sulla fronte di Julius, e un enorme sollievo prese posto all’inquietudine: “La sfera d’oro”
“Non è stato poi così difficile rubarla, in realtà,” Alinne scrollò le spalle, con finta noncuranza “eri così attento a controllare che i fogli fossero al loro posto che non hai fatto attenzione a nient’altro”
“E suppongo non sia stato poi così difficile neanche trovare un compratore”
“Supponi benissimo”
Alinne sorrise e Julius si rese conto, con sorpresa, che era la prima volta che la vedeva sorridere in quel modo -sincero, rilassato, privo della traccia di aggressivo sarcasmo che di solito le dipingeva il viso-: lo notò, e si sentì anche abbastanza stupido per averlo notato.
Alla fine dei conti, era un bene che lei ed suo fratello partissero, veleggiando in allegria verso il loro futuro: Alinne era una delle tre persone rimaste in vita a sapere del suo segreto e, se Julius stentava ad avere dubbi sul conto di Lucius, o anche di Cassius -tenebris anche lui-, non riteneva la promessa stretta dentro a un pollaio sufficiente per ripararlo dai tiri mancini della sorte. Non che non ci sperasse, questo era ovvio, ma prevenire era meglio che curare. E il fatto che le loro strade si dividessero -per un lungo tempo nel peggiore dei casi, per sempre se fosse stato fortunato- gli sembrava il modo migliore perché lei non usasse le sue conoscenze contro di lui. Era stata una fortuna che avesse scelto di ripagare l’amante del fratello con la medesima moneta.
“Devo essere sincero, quando abbiamo scoperto che Distillaluce… insomma, che era stato lui ad uccidere il dominus, non ero sicuro di come avresti reagito”
La ragazzina corrugò la fronte: “Che vuoi dire?”
“Beh, che si è pur sempre dimostrato disponibile ad aiutarti e che le sue motivazioni avevano quantomeno senso. Ho pensato che fosse possibile -non probabile, solo possibile- che avresti lasciato correre”
“Non l’ho mai neanche preso in considerazione: quell’uomo aveva fatto un torto terribile, a mio fratello e a me, e meritava di subirne le conseguenze,” si rimboccò i capelli dietro le orecchie “Perdonare è già un’impresa ardua ma lasciar correre, dimenticare… quello mai” Alinne rivolse lo sguardo all’imbarcazione davanti a loro, prima di lanciargli un’occhiata in tralice: “E tu, invece, che farai?”
Julius alzò un sopracciglio: “Adesso?”
Alinne annuì.
“La persona a cui ho consegnato i documenti mi ha consegnato quanto promesso: dovrei essere libero dai debiti di mio padre in poco tempo.” L’ombra sotto di lui tremò, esprimendo il suo dissenso, ma la sua interlocutrice non sembrò notarlo.
“E tornerai a Godsgrave”
“Questo è il piano,” disse lui, in tono piatto “anche se non ho bene idea di quello che succederà, dopo” Altra bugia, ma spinta da motivi diversi: si sentiva poco propenso a condividere il suo progetto -un progetto che aveva iniziato a prendere forma nella sua mente a contorni sempre più chiari con il passare dei cambi- con chiunque. Era ambizioso e incerto, il che lo avrebbe reso nulla di più che lo spettro di un’intenzione fino a quando non si fosse realizzato.
“Chissà, magari un cambio mi stabilirò anche io a ‘Grave. Non ho intenzione di invecchiare su una nave”
Hai detto ‘come ha sempre desiderato’. Il che implica che tu vorresti qualcos’altro. Che cos’è?
La domanda rimaneva parzialmente senza risposta e, a quel punto, sarebbe rimasta tale. Era chiaro che quell’ultimo loro colloquio stava prendendo la direzione di un addio.
“Solo il tempo potrà dirlo.”
Alinne sospirò e tirò un ginocchio al petto, rimanendo in equilibrio sul palo di legno: “Sì. Immagino di sì,” replicò, assorta.
Rimasero in silenzio a lungo, in uno stato d’animo molto simile a quello che avevano condiviso quel cambio di una settimana prima, nella cantina di Distillaluce, osservando le onde, la goletta, e l’orizzonte che si specchiava sul mare. Infine, con un grande sforzo, Julius si mosse dalla sua posizione: “Credo che sia ora che vada: mia zia è un po’ paranoica in questi cambi e non vorrei che prendesse provvedimenti… spiacevoli”

La ragazzina si voltò nella sua direzione, sorpresa e qualcos’altro -qualcosa a cui non avrebbe saputo dare nome- ad illuminarle occhi: “Giusto. Non vorrei mai che ti trovassi nei guai per colpa mia,” lo aveva detto con un tono che si sforzava di essere ironico ed irriverente, ma c’era una traccia di serietà nelle sue parole. Scese dal piolo su cui era appollaiata e gli si pose di fronte, tendendogli la mano: “Potrà essere una sorpresa per te sentirlo, ma è stato -quasi- un piacere”
Julius esitò un momento, ma gliela strinse: “Potrà essere una sorpresa per te sentirlo, ma il sentimento è -quasi- reciproco. Saluterò Lucius da parte tua”
“Non so se sia una buona idea, in realtà. Credo che gli farebbe più piacere dimenticarsi della mia esistenza a tempo indefinito.”
“Forse hai ragione: come non detto.”
Alinne sorrise: “Beh, buona fortuna allora. Che il Semprevigile pos…” si bloccò, lanciando un’occhiata all’ombra ai suoi piedi: “Buona fortuna” 
Julius sorrise di rimando: “Anche a te, per tutto”
Rimasero immobili in quella posizione per un lungo istante, nessuno dei due sicuro di quello che sarebbe dovuto seguire ai saluti, ma infine, con un movimento faticoso e lento, Julius si ritirò e le diede le spalle, iniziando a ripercorrere la strada all’indietro, occhi fissi davanti a sé e uno strano malessere allo stomaco.
… Sei soddisfatto…?” arrivò il sibilo al suo orecchio, troppo debole per essere udito da un altro essere umano.
“La soddisfazione implica la fine di un percorso,” Julius rispose, tra i denti “e io ancora non sono neanche a metà strada”
… Saremmo arrivati, se tu avessi chiesto a Cassius…
“So benissimo dove saremmo ‘se’, ma non è questo il caso,” e poi, vedendo che Sussurro non replicava, aggiunse, irritato: “Hai qualche rimprovero da farmi?”
… Nessun rimprovero, Julius, credo solo che quello che vuoi fare sia rischioso. Vale davvero la pena mettere tutto in gioco ancora una volta solo per…
“Non sto ‘rimettendo tutto in gioco’, ma giocando la partita fino in fondo. E se ritieni che io lo abbia fatto per una questione di onore, o di qualcos’altro diverso dalla mera opportunità, ti sbagli. Credevo di dover scegliere tra una vittoria parziale o una sconfitta totale e quasi non mi sono accorto che avrei potuto ottenere più di quanto avessi richiesto in primo luogo, se solo lo avessi voluto. Mi sono sottovalutato,” le sue labbra si tesero nell’ombra di un sorriso, molto diverso però da quello con cui aveva salutato Alinne “Ma non preoccuparti: non farò più lo stesso errore”
Raggiunto il limitare del porto si fermò, i piedi che sembravano all’improvviso più pesanti di quanto lo fossero stati solo un attimo prima e fu solo dopo un respiro profondo che riuscì a proseguire.
Senza guardarsi indietro neanche una volta.








[1] Che poi era all’incirca quello che Julius pensava della maggior parte dei Luminatii.
[2] Ci fu in effetti, ora che mi ci fate pensare, un direttore di circo che tentò di sensibilizzare il suo kraken da esposizione -chiamato ‘Sbudellatore’ per la sua tendenza a tagliare a fettine gli addetti alla pulizia della sua gabbia- alla nobile arte della poesia. La prova non ebbe il risultato sperato: dopo circa mezz’ora di ascolto, Sbudellatore decise di ricordare al suo proprietario la ragione del suo soprannome, ingoiando il pover’uomo insieme ai fogli su cui egli aveva trascritto i propri versi. Da allora, i critici hanno più o meno unanimemente escluso che i kraken delle sabbie possano avere qualche tipo di intelligenza letteraria, anche se ci sono -poche- opinioni discordanti in materia. I loro sostenitori più spassionati argomentano infatti che non fosse l’insensibilità artistica la causa dell’aggressione, quanto piuttosto un accesso di disperazione in senso opposto: il direttore da circo aveva sempre avuto la fama di pessimo poeta.



Note finali: e anche in terzultimo capitolo è andato! Solo due settimane, due aggiornamenti, ci separano dalla fine di questa prima parte e nelle note finali del prossimo capitolo vi dirò come ho intenzione di organizzarmi per la seconda che, se tutto va come previsto, lunedì dovrei iniziare a scrivere, avendo già un'idea di dove voglio andare a parare. Per wuanto riguarda Cassius e Julius: nulla in Nevernight viene detto sull'età del primo e, considerando che Marielle può mettere a posto la faccia della gente come se stesse riordinado un cesto di frutta, non credo ci siano limitazioni di questo tipo. Cassius qui ha sui diciannove anni e considerando che Mia ne aveva 16 quando ha incontrato un altro tenebris per la prima volta non credo sia neanche così impensabile che egli non ne conoscesse altri (e quindi non avesse mai sperimentato la sensazione di 'fame')... per quanto riguarda il loro incontro, spero sia stato abbastanza IC: entrambi sono molto giovani, distanti dal diventare le future versioni di loro stessi che vediamo nei libri, e sappiamo che Cassius, pur non volendo indagare le ragioni del suo essere tenebris, sentiva una certa... fratellanza, per così dire, nei confronti degli altri della sua stessa specie, quindi boh non mi è sembrato così improbabile. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che vorrete concludere questo viaggio che ormai dura da più di quattro mesi!
Un grazie di cuore come sempre anche solo a chi legge,
QueenOfEvil

   
 
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