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Autore: Mercurionos    24/08/2020    0 recensioni
Vegeta, il nostro eroe. Vegeta, il nostro amore segreto (dipende da voi quanto). Vegeta, il più forte di tutti. Ma di tutti cosa, esattamente? Eccovi le risposte alle domande che non vi siete mai posti, poiché siete persone dotate di raziocinio. Eccovi la prova che la cucina italiana è la migliore del mondo. Eccovi il portale ad un mondo pieno di idee innovative, rivoluzionarie, e stupide. Eccovi la dimostrazione che concetti come "limiti" o "decenza" non hanno alcun significato nelle fanfiction italiane di Dragon Ball. Eccovi Vegeta in ogni tipo di salsa, con ogni tipo di piccantissima spezia. Vegeta in ogni situazione che lambirà la mia coscienza, in ogni mondo che possa sopportare la sua inclusione.
In poche parole è una raccolta di AU che spero risultino divertenti, con al centro la flessibilissima persona di Vegeta:
1) Ingegnere
2) Paninaro
3) Zar (Songfic)
4) Poeta (Poesia)
5) Re Leone (Musical)
7) Dark Souls (Metafic)
8) James Joyce (Flusso)
9) Il Sesto Senso
10) Narnia
11) Haiku
12) Dragon Quest
14) Intelligenza Artificiale (SPERIMENTALE)
Genere: Comico, Demenziale, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Freezer, Goku, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU, Cross-over, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Vegeta, il Nipote del Mago

Ovvero la storia di come un mocciosetto stempiato rovinò i piani di suo zio (che tra parentesi è un gran filibustiere) portando la sua fidanzatina in un mondo parallelo pieno di animali parlanti e simbolismo religioso che nemmeno Dante sarebbe riuscito a mettere in così poche pagine
Parte Prima

Ah sì, quello era proprio un mattino uggioso a Privet Drive… No, aspettate, non siamo a Privet Drive. Fandom sbagliato. Capita. Però siamo lo stesso a Londra, nel periodo magico e misterioso in cui Sherlock Holmes (il cane della vicina) indagava ancora per il giardino in cerca di qualche roditore o qualche altro piccolo animale da infastidire. Certe volte potevi vederlo con in bocca una rana che guaiva: “È Ginyu, è Ginyu, lo giuro!”

A quei tempi la Capsule Corporation non era ancora stata fondata, ragazzi, per ovvi motivi. Papà Brief non era ancora nato, ma c’ero io, e c’era Bulma. Se vi state chiedendo come tutto ciò possa avere senso, tranquilli, la risposta è semplice. Questa è una storia comica alla Dragon Ball e pertanto di senso può averne anche poco. Il mio scopo, dopotutto, è di farvi ridere e pensare “Cielo, cosa sto leggendo?” quanto più possibile nell’arco dei trenta minuti che impiegherete per leggere questa storiella. Ma se volete comprarla, andate alla Mondadori e comprate quel bel volume rosso con davanti Aslan. Nella libreria è superfigo.

Ma dove eravamo rimasti… Certo, Bulma. Bulma era la figlia dei vicini, i signori Casalpusterlengo-Scaccabarozzi, tipico nome del Wessex. Avevano fatto una certa fortuna con l’invenzione dell’elettricità. Sì sì, ho detto invenzione e non scoperta, perché stiamo parlando della famiglia di Bulma. Avevano messo le mani su una bella villetta nella periferia della città, un delizioso quartiere di case tutte uguali, tutte rosse con i tetti verdi di rame.

Capitò un giorno che, una volta usciti i genitori per far compere di bobine Tesla, Bulma si trovò nel giardino di fronte alla casa a giocare con le sue bambole. Badate bene di non trovare quelle bambole, perché sparano raggi laser dagli occhi mentre fanno una piccola danza. Bulma sentì un rumore, alzò lo sguardo e vide quel ragazzo che la osservava oltre il muretto del giardino: era vestito di nero, con gli occhi neri e i capelli neri come la notte. Sarebbe stato facile perderlo in un deposito di carbone.

“Come ti chiami?” Chiese Bulma, diretta come suo solito.
“Umpf.” Le rispose il ragazzo.
“Che nome stupido.”
“Mi chiamo Vegeta.”
“…che nome stupido.”
“Oh, sentiamo allora. Com’è che ti chiameresti tu, ragazzina?”
“Modera i toni, tappo. E non chiamarmi ragazzina. Il mio nome è Bulma, bi u elle emme a.”
“Che nome stupido!”

Come potete capire, i due ragazzi non erano certo grandi conoscitori delle buone maniere. Per motivi altrettanto ovvi, però, siete legalmente costretti a shipparli. Ma torniamo alla nostra storia. I due giovani restarono ad insultarsi per poco più di tre ore, quando finalmente esaurirono i vocaboli a loro disposizione (Vegeta era pure entrato in casa a prendere un dizionario di lingua greca per poter insultare la sua rivale con lemmi quanto più arcaici) e cominciarono a conoscersi un po’ meglio.

“Come mai sei triste, Vegeta?”
“Mia madre sta male. Sta morendo.”
“Oh, che povera. E come si chiama?”
“Non lo so.”
“Diamine, non potete nemmeno comprarle una lapide. Però, io pensavo che in quella casa vivessero solo i due anziani coniugi Oberhofen-Schuhmacher-Walters-Mayr.”
“Ci siamo trasferiti dagli zii per la mamma.”
“E tuo padre?”
“Fa parte della Royal Society, non lo vedo quasi mai.”

E così, senza motivo apparente se non il caro vecchio “Trunks dovrà pure essere figlio di qualcuno e Yamcha non è un Super Saiyan”, Bulma e Vegeta divennero ottimi amici nell’arco di un paio di giorni. Quando giocavano in giardino spesso si raccontavano storie del passato, come tutti gli adolescenti feriti e delusi dalla loro lunga vita. Bulma tentò di scoprire qualcosa riguardo la famiglia del suo nuovo amico, ma Vegeta si rivelò un interlocutore piuttosto silente.

“Hai detto che vi siete trasferiti, ma da dove?”
“Da… Vegeta.”
“No, Vegeta sei tu, e anche tuo padre da quello che ho capito.”
“Si chiama Vegeta anche il mio pia… paese!” Vegeta insistette, conscio di aver raccontato solo una mezza verità.
“Sarà… E cosa mi dici di tuo zio? A me è sembrato sempre un po’ pazzo. La signora Figgypudding, la mia domestica, mi ha sempre detto di non interessarmi a lui.”
“Non deve sembrarti pazzo. Lo zio Paragas è pazzo a tutti gli effetti. Farfuglia cose strane e continua a ripetermi di non entrare nel suo studio.”
“E come mai? Cosa vi nasconde?”
“Non lo so.”
“Allora scopriamolo! Sarà un’avventura.”

Rapito dal sorriso divertito della ragazza, Vegeta si lasciò convincere alla folle intrusione. Le villette in cui abitavano erano tutte l’una attaccata all’altra, in una lunga schiera di casupole rosse. Decisero dunque di infilarsi nel sottotetto, quel lungo corridoio sopra la casa, buio e pieno zeppo di ragnatele, che collegava tutte le case. Aprirono in fretta la porta di legno e, cric crac, si trovarono nello studio del vecchio Paragas, ma non seppero dove guardare. Era una stanza perfettamente quadrata, con una sola finestra sul soffitto di assi. Non c’erano molti mobili, giusto una scrivania e due armadietti con le antine, ma erano ricoperti da cima a fondo di libri vecchi, fogli ingialliti e sacchetti pieni di polveri colorate. Sulla scrivania però c’erano un paio di oggettini lucenti, rotondi che, come li avrebbe descritti Bulma anni dopo, risplendevano di luce propria. Allungò la mano per toccarne uno, ma una voce la fermò.

“Non ti azzardare a toccarle!”
Bulma saltò all’indietro, finendo dritta dritta addosso a Vegeta. Quando poterono rialzare gli occhi incrociarono quelli dello zio Paragas, che li osservava severo.
“Cosa diamine ci fate qui?”
“Non abbiamo…” Ma Vegeta non poté finire la frase.
“Aspetta, aspetta… Non vi ha mandato la zia giusto?”
“No. Stavamo solo esplorando il sottotetto.”
“Uh! Che sollievo!” Gli occhi di Paragasi si illuminarono. Tutta quell’aura da vecchio fuori di testa svanì di colpo.

“Tu sei Bulma, la figlia dei vicini?”
La ragazza annuì timidamente, tra l’imbarazzo e il timore.
“Su, su, non aver paura. Vuoi prendere una di quelle sfere? Te ne regalo una, prendila pure.”
Bulma fece qualche passo in avanti, piano piano, sugli assi scricchiolanti del pavimento, e allungò una mano. Fece per prendere la sfera a lei più vicina, di un bel color arancione con una stelletta rosso sangue al centro. Poi la toccò, e svanì. Nessun rumore, nessuna luce, niente di niente. Di colpo Bulma era sparita nell’aria buia della stanza.

“Cosa le hai fatto?!?” Gridò Vegeta spaventato.
“Niente, Vegeta. Io niente. Ma ora è importante quello che deciderai di fare tu.”
“Che significa?”
Il ghigno che si fece largo sulla faccia di Paragas fu terribile, degno di un uomo che non possiede più alcun raziocinio. Si avvicinò al ragazzo, lo strinse prendendolo per le spalle e disse: “Hai visto? Tu lo hai visto! Dopo tanti anni ha finalmente funzionato!”
“Che cosa?”
“Ah ah, è da anni che studio quella che oggi chiamano magia, Vegeta. Prima ho provato ad usare degli insetti, poi qualche dinosauro appena nato. Certo, taluni sono esplosi, ma gli altri sono spariti come la tua amichetta Bulma. E, nel caso tu voglia riportarla indietro, ti conviene darmi retta.”
“…Parla, vecchio pazzo.”
“Ma dico, è questo il rispetto che insegnano verso gli adulti? Non importa. Guarda quelle sfere, sono le Sfere del Drago, ne ho ben quattro. Le due arancioni servono per andare, le altre blu servono per tornare.”
“Andare? Tornare? E dove?”
“Questo certo non so dirtelo, ma cosa pensi? Non ho ovviamente provato sulla mia pelle le sfere, ma dico, non sono di certo pazzo! Ora, metti in tasca le sfere blu, poi prendi quella arancione se vuoi andare a riprendere la tua amichetta Bulma.”

E così, sbottando e inveendo con parole che alla sua età non dovrebbe di certo conoscere, Vegeta intascò le sfere blu scuro e poi toccò la sfera arancione, e svanì anche lui. Il tempo di un battito di ciglia e si trovò altrove. C’erano nuvole, dorate come il sole, fino all’orizzonte. E lui vi stava camminando. Guardò dietro di sé: un alto palazzo, come quelli disegnati nei libri sui Monti Paoz, bianchi e rossi con i tetti di smeraldo, e ce n’erano altri un po’ più in là. Come potete capire Vegeta si sentì parecchio disorientato, ma poco dopo incontrò Bulma.

“Ciao.” Disse la ragazza, un poco assonnata.
“Ciao. Chi sei?” Chiese il ragazzo.
“Sono Bulma, e tu?”
“Vegeta.”
“Sì, lo so.” Scosse la testa, come per risvegliarsi da un denso torpore.
“Ma che domande fai, Bulma?”
“Non lo so! Aspetta, adesso ricordo… Quella razza di bastardo di merda stronzo oltre ogni limite amante di Gt di tuo zio!”
“Quel fottuto bastardo della merda ci ha fottuti! Ma che cazzo!”
“Dove hai imparato queste parole?”
“Su internet.”
“Comprensibile, ma non importa. Cosa facciamo adesso?”
“Non lo so. Dove siamo?”

Si guardarono di nuovo intorno. Oltre alle nubi dorate e i palazzi orientali non c’era null’altro. Vegeta guardò la sfera arancione che teneva in mano. Quella era la chiave per il viaggio. “Le due arancioni servono per andare, le altre blu servono per tornare.” Aveva detto zio Paragas. Allora sarebbe bastato toccare le sfere blu per tornare a casa?

“Senti, devi mettermi la mano in tasca.”
“Sì, ma almeno portami fuori a cena prima, Vegeta.”
“Non dire fesserie! Ho in tasca due sfere blu, per tornare a Londra. Toccane tu una, poi userò io l’altra.”
“Va bene, ma sappi che farò esplodere lo studio di tuo zio con un cannone laser, appena sarò tornata.”

Bulma si avvicinò a Vegeta. I loro sguardi si incrociarono per un lungo, lunghissimo istante, un po’ come nei doujinshi. Mise la mano nella tasca e vi trovò la superficie liscia delle sfere blu. Ma non accadde nulla. Bulma indietreggiò.

“Non è successo niente.”
“Strano – disse Vegeta infilando la mano nella tasca – ma vero. Non succede niente.”
“Magari dobbiamo rientrare nel palazzo.”
“Tu dici?”

Vegeta lanciò un’occhiata al grosso palazzo in mezzo alle nuvole d’oro.
“Però – aggiunse Bulma – Non ho voglia di tornare da quel maniaco di tuo zio. Non mi piacciono i suoi baffi.”
“Nemmeno a me. I baffi fanno schifo, non li avrò mai e poi mai.”
“Allora possiamo provare ad entrare in uno degli altri palazzi, che dici?”
“Ci sto.”

E così fecero. Ragazzi miei, quando vi dico che proprio non si sarebbero potuti aspettare affatto quello che a poco avrebbero visto… Credetemi. Se vi trovate davanti ad un passaggio interdimensionale sconosciuto, è meglio che lasciate perdere.
   
 
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