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Autore: Freaky_Frix    02/09/2020    0 recensioni
One-shot ambientata anni dopo il diploma. Una certa gattina deve venire a patti con i suoi sentimenti per un certo ragazzo biondo...
Dal testo: "Perché aveva accettato di rincontrarli tutti? Era passato troppo tempo. Troppe cose erano cambiate. Eppure non era riuscita a nascondere il rossore sulle guance né i pensieri che ne erano seguiti, come una bambinetta qualunque, quando un certo ragazzo biondo l’aveva salutata."
[SumirexKokoroyomi]
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kokoro Yome, Sumire Shouda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DEVO ANDARE...?

«Devo andare.»
Sumire camminava veloce, scansando le persone sul marciapiede. Se solo avesse potuto usare il suo alice in quel momento, sarebbe schizzata via, sparendo per sempre da quella città che aveva sempre trovato troppo grande e soffocante. Troppo piena di odori e di gente viscida.
Perché aveva accettato di rincontrarli tutti? Era passato troppo tempo. Troppe cose erano cambiate. Eppure non era riuscita a nascondere il rossore sulle guance né i pensieri che ne erano seguiti, come una bambinetta qualunque, quando un certo ragazzo biondo l’aveva salutata.
D’altro canto, Kokoroyomi non aveva afferrato. Non lo faceva mai. Una parte di lei (una piccola, nascosta, talmente minuscola che Sumire stessa non la percepiva) voleva che lui se ne accorgesse. Che lui capisse la natura dei suoi sentimenti.
Ma forse era chiedere troppo.
L’aveva presa in giro come al solito, pensando che quei pensieri, che quel sentimento caldo e vaporoso, fosse tutto per Natsume. E lei proprio non ce l’aveva fatta a sopportarlo ancora. Così aveva girato i tacchi (che erano in realtà delle ballerine) e se n’era andata, inventandosi una scusa.
Il cielo era tinto di un rosa acquoso, molto raffinato. Elegante, quasi. Sumire si perse ad osservarlo, attirata dal modo in cui il rosa si mischiava al bianco di una nuvola di passaggio. Si decise a sedersi su una panchina: mancava ancora un’ora al suo treno di ritorno, ritorno ad una normalità piatta.
Tutt’altra cosa dall’Accademia.
Perché non riusciva semplicemente a lasciarsi i melodrammi adolescenziali alle spalle?
«Perché in quei melodrammi sei sempre tu la protagonista, Sumire. E, tanto per intenderci, ho afferrato. L’ho sempre fatto. Ma tu non te ne sei mai accorta, presa com’eri dal tuo riflettore personale.»
La ragazza alzò lo sguardo. Kokoroyomi era lì di fronte a lei, sorridente come sempre.
Lo stupore si tramutò in imbarazzo quasi immediatamente, e poi diventò vergogna, profonda vergogna. Perché lui poteva vederle dentro. Lui sapeva sempre quello che stava pensando. Sempre.
Sentì le lacrime pungerle gli angoli degli occhi e la sua faccia assumere una smorfia.
«Se proprio devi insultarmi, potresti farlo togliendoti quel sorrisetto dalla faccia
Si era alzata dalla panchina quasi senza pensarci, guidata dal suo istinto felino, con l’intento di andarsene il più lontano possibile da quel ragazzo e da quella città e dai ricordi e…
E da quel paio di braccia affatto forti che le avevano cinto la vita, bloccandola e stringendola.
«Sei stata tu ad urlarmi di sorridere. Non te lo ricordi?»
Un sussurro caldo nel suo orecchio e brividi che non poteva sopprimere. Le lacrime scesero lungo le sue guance, arrossate e calde.
Il disagio lo aveva sempre accompagnato, ovunque andasse. Kokoroyomi era la spia, l’impiccione. Era una persona da tenere lontana, perché poteva leggerti a tua insaputa.
«Ed è vero, posso leggerti il pensiero ogni volta che mi pare. E non ti nascondo di averlo fatto, molto spesso. Cercavo me stesso, e mi incuriosiva vedermi nella tua testa, lontano da tutti gli altri, come un uccellino rinchiuso in una gabbia.»
Si fermò, allentando la presa e facendo voltare Sumire, che però non resse il suo sguardo.
«Sai, mi sarebbe piaciuto molto parlartene. Mi sarebbe piaciuto ascoltare con la tua voce ciò che pensavi di me. Ma non ti sei mai azzardata a farlo. Mai.»
Stava ancora sorridendo.
Lo aveva ferito? Avrebbe dovuto parlargli?
Ma Sumire non l’avrebbe mai fatto. Aprirsi, parlare dei suoi sentimenti, non era da lei. Per questo la presenza di Kokoroyomi nella sua vita era stata molto rassicurante: non c’era bisogno di parlare. Perché lui ascoltava sempre.
E adesso anche lui pretendeva delle parole. Parole pericolose. Parole che non potevano essere rimangiate. Provò ad articolare un suono, uno qualsiasi, ma non ci riuscì.
Fece l’unica cosa che le riusciva bene: comportarsi da gatto, seguire il suo istinto.
Chissà se lo aveva capito, Kokoroyomi, quando le loro labbra si incontrarono per la prima volta. Era un bacio irruento ma molto goffo. Sumire aveva praticamente preso il volto del ragazzo tra le mani, sorprendendosi quando sentì sotto i polpastrelli la ruvidezza della rasatura. E lui l’aveva stretta a sé, di nuovo, questa volta con più dolcezza.
Quando le loro labbra si allontanarono, il ragazzo l’abbracciò stretta, inspirando l’odore del suo shampoo.
Sumire non riusciva a credere (non fino in fondo, almeno!) a quello che aveva fatto.

«Ci credi eccome. E comunque sì, lo avevo capito.»
 
   
 
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