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Autore: D a k o t a    14/09/2020    2 recensioni
[Partecipa alla #tictactoechallenge del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction&Fanart]
[Stanford!era - John&Dean]
Di John e Dean che passano insieme il secondo Natale in cui Sam è a Stanford.
"E’ la vigilia di Natale, il cielo di Grand Forks è interrotto solamente da sparute decorazioni natalizie che iniziano a spuntare per le strade sulle insegne dei negozi. Lui e papà cacciano da soli da quelli che Dean si ostina a considerare pochi mesi, ma che in realtà papà dice sempre: sono due anni, Dean. Lo dice con lo sguardo fisso sulla strada, con i muri che gli ricadono davanti agli occhi e che hanno spinto tante volte Sam a pensare che no, non li vedesse davvero – che non permettesse a sé stesso di vederli davvero."
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, John Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E’ la vigilia di Natale, il cielo di Grand Forks è interrotto solamente da sparute decorazioni natalizie che iniziano a spuntare per le strade sulle insegne dei negozi. Lui e papà cacciano da soli da quelli che Dean si ostina a considerare pochi mesi, ma che in realtà papà dice sempre: sono due anni, Dean. Lo dice con lo sguardo fisso sulla strada, con i muri che gli ricadono davanti agli occhi e che hanno spinto tante volte Sam a pensare che no, non li vedesse davvero – che non permettesse a sé stesso di vederli davvero.

E’ quasi Natale ed è un venerdì notte e sono rintanati nell’Impala, che ormai è una terra più familiare di qualsiasi altro posto - ne conosce l’odore della pelle dei sedili, quello di un profumo per automobili che Sam vi aveva infilato una volta (“Mi sono fatto fregare una volta, fratellino. Una volta”), le iniziali che aveva inciso con suo fratello da bambino, la foto della mamma che papà ha nascosto dentro al libretto di circolazione come un moderno santino.

Papà. Socchiude gli occhi, sbirciandolo per un attimo mentre sembra dormire, in quell’area di servizio deserta. Scuote la testa. Almeno uno dei due sembrava riuscire a prendere sonno, dannazione.

Sono di ritorno da un duello con un dannato licantropo, dopo il quale Dean ha preso in mano il telefono che non spegne più durante le cacce perché non si sa mai, magari Sam potrebbe chiamare e potrebbe essere urgente, potrebbe aver bisogno - e quella di Sam è un’assenza che pesa su di loro come un’incudine, masticata e mai digerita. Prende nuovamente in mano il telefono, che non si illumina come vorrebbe con un nuovo messaggio – ma d’altronde, cosa diavolo si aspettava? Sospira, appoggiando la testa al sedile.

Non riesce a trattenere un colpo di tosse e non è davvero una sorpresa: è già tanto che si siano semplicemente raffreddati dopo una colluttazione finita in un torrente ghiacciato a dicembre, grazie tante. Il primo Natale senza Sam aveva fatto abbastanza schifo; era stato a caccia da solo e non si era nemmeno accorto del fatto che fosse Natale, ma il secondo – con papà, entrambi influenzati e fermi in un’area di servizio, dove avrebbero passato la notte perché ehi, Grand Forks è una località turistica e trovare una maledetta stanza all’ultimo minuto il giorno della vigilia di Natale è un’impresa – sembra prospettarsi perfino peggiore. Si gira su un lato, improvvisamente scomodo. Aveva quasi pensato di prendere un regalo a papà il giorno prima, quando aveva visto i biglietti per un match di wrestling nella zona, ma non aveva bisogno di un rimprovero su come non avesse più otto anni e stesse spendendo soldi in cose inutili, quindi aveva lasciato perdere. Tanto papà avrebbe finito per venderli comunque, e anche se fosse andata diversamente, che senso avrebbe avuto senza Sam? E’ meglio così, almeno non avrebbe avuto modo di illudersi.

Si gira appena quando John inizia improvvisamente a tossire, come se non fosse riuscito ad ingoiare tutto il ghiaccio che avevano bevuto, al torrente. Mastica fra i denti un’imprecazione, e Dean lo sente poco dopo allungarsi verso il sedile posteriore per prendere qualcosa. Gran bella vigilia di Natale davvero, maledizione.

Suo padre gli lancia qualcosa di morbido addosso e Dean ci mette qualche secondo ad aprire gli occhi, afferrarlo e rendersi conto che è una coperta - che è quella coperta, la stessa con cui avvolgeva sé stesso e Sammy nel sedile posteriore quando papà aveva già negli occhi la sua destinazione ed era troppo concentrato sulla meta per accorgersi che il sedile posteriore non era certo il luogo più adatto dove far dormire due ragazzini. Si gira verso suo padre, con fare interrogativo.

“Papà? Va tutto bene? Perché sei ancora in piedi?” gli chiede, lanciando di nuovo un’occhiata alla coperta. La sua voce è improvvisamente empatica e ansiosa, prima di esplodere in uno nuovo colpo di tosse. Dannazione.

“Non stavi dormendo neanche tu, ragazzo, quindi smonta questa recita” ribatte, ma non è un rimprovero quanto una brusca esternazione, sebbene sia sempre all’imperativo e racchiuda un ordine sotteso.

Dean sta quasi per rispondere, prima che papà esploda in un attacco di tosse così profondo da fargli contrarre i muscoli dello stomaco in un moto di insormontabile empatia.

“C’è ancora una pasticca per il mal di gola nella scatola nel cruscotto, papà.” mormora con tono cauto, come se non avessero consumato una scatola recuperata ad una rara parafarmacia di turno nel giro di una notte.

John per un attimo lo guarda, nella penombra dell’abitacolo. Dean lo sta osservando in attesa, con uno sguardo che tradisce una certa premura, oltre a quel timore riverenziale che lo lascia sempre un po’ stordito. Non che non ne sappia l’origine, ma sono anni che Dean ha quell’espressione sul volto quando lo guarda, e si dice che è necessario e che è giusto, ed è la verità: è qualcosa che può gestire fino a quando quella distanza terrà i suoi ragazzi al sicuro. Il problema è che, ecco, a volte quello sguardo reverenziale sembra aver spazzato via il ricordo di come lo guardava quando tornava dal lavoro – il suo vero lavoro, quello di prima – e cercava la sua complicità dopo aver combinato qualche marachella, quando i suoi meravigliosi quattro anni erano ancora quattro.

“Quale pasticca? Quella che ti avevo detto di prendere quando ci siamo fermati a mangiare?” ribatte bruscamente, perché non ha davvero intenzione di sgridare il ragazzo, ma nemmeno di finire a doverlo trascinare in ospedale per una polmonite perché non sa in alcun modo riguardarsi. No, gli era bastata quella volta in cui a diciassette anni aveva pensato bene di nascondergli un’appendicite poi degenerata in peritonite, grazie tante.

Dean si morde un labbro, per un attimo. Evita volontariamente il suo sguardo.

“Era l’ultima, papà.” ribatte piano, in un solo sospiro. C’è uno “Stai male anche tu, l’ho lasciata a te” sotteso in quella frase.

John sa che c’è qualcosa che dovrebbe rispondere a questa sua precisazione. C’è qualcosa che un buon genitore direbbe, anche se sospetta che un buon genitore non si trovi mai in una situazione del genere, perché in fondo anni e anni di Lascia l’ultima porzione a Sam, perché è più piccolo fanno questo a qualcuno. Si lascia andare ad un verso stanco, mentre apre il cruscotto e gli passa la confezione di pasticche.

Dean esala un verso di dissenso.

“Andiamo, papà. Non è come se tu potessi uccidere i mostri con uno starnuto” ribatte.

Lo scappellotto che gli arriva dietro la testa non è del tutto inaspettato, anche se Dean giura di aver intravisto un sorriso. Potrebbe ribattere qualcosa sul fatto che abbia ventitré anni e che sia del tutto fuoriluogo, ma un nuovo attacco di tosse lo coglie di sorpresa. Scuote la testa, mentre scarta una pasticca e John gli passa una bottiglietta d’acqua.

Rimangono entrambi in silenzio per un po’, ma non è il tipo di silenzio carico di rabbia e di rancore che si sarebbe aspettato. Dean si stringe addosso la coperta e per un attimo inizia a pensare di nuovo a quei biglietti. Si chiede se per caso avrebbe dovuto comprarli, dopo tutto.

“Che razza di persone vorrebbero fare un’uscita turistica in un posto del genere?”

John esterna quella riflessione ad alta voce, con una nervosa scrollata di spalle. Dean scuote la testa e per un attimo non si accorge che papà non cercava davvero una risposta.

“Quelle che non sanno che c’era un maledetto figlio di puttana assetato del loro sangue nel bosco” risponde d’impeto, prima di concludere. “E quelle che vogliono festeggiare il Natale, suppongo”

Suo padre riporta i suoi occhi su di lui, inarcando un sopracciglio. Per un attimo il maggiore dei Winchester si chiede se non abbia esagerato, se si sia spinto troppo oltre, se -

“Vuoi festeggiare il Natale adesso, ragazzo?” borbotta.

Dean resta in silenzio, intimidito dal tono quasi accusatorio di suo padre. Rimangono entrambi in silenzio per qualche istante.

Suo figlio ha paura di lui.

“Ti ha richiamato?” chiede all’improvviso, e Dean alza la testa di scatto.

Guarda la strada e non riesce per un istante a guardare suo padre negli occhi, sentendosi tutto d’un tratto in colpa per essere scappato nel bagno del locale dove avevano cenato per parlare con la segreteria di Sam, quando papà sembrava aver messo bene in chiaro che suo fratello non sarebbe stato il benvenuto, nel caso fosse tornato. Pensa per un momento di far finta di niente o mentire, ma papà non sembra arrabbiato.

“No. Pensavo che l’avrebbe fatto questa volta perché è Natale e...”si interrompe, scrollando le spalle, in un movimento che rievoca il dolore dei lividi che ha sulle spalle, dopo la caduta nel torrente.

John tossisce e non risponde subito, si rigira quella risposta in testa come la lingua contro i denti. Annuisce.

“Te l’avrei detto, papà” dice ad un certo punto, ma quella frase arriva come se fosse una domanda, non sa se per sé stesso o per suo padre.

Da John arriva un altro colpo di tosse. Poi esala un verso di dissenso.

“No, non l’avresti fatto, Dean”conclude alla fine.

Non sembra arrabbiato, ma la tensione non abbandona del tutto la sua mandibola. Dean esala un sospiro stanco.

“Scusa” gli concede alla fine, ma John non è così ingenuo da credere che si stia scusando per aver chiamato Sam.

Scuote la testa, quasi a dirgli che non fa niente. L’abitacolo si riempe di un silenzio carico di disagio, mentre si trova a pensare che dannazione, non può davvero fargliene una colpa. Per tutti quegli anni ha solo visto Sam. Lo ha visto crescere, lo ha visto parlottare confusamente, lo visto ridere mentre Dean gli faceva il solletico o le boccacce. Non lo ha mai osservato, ecco. Non gli ha mai preso la mano per aiutarlo a muovere i primi passi, non lo ha mai ascoltato pronunciare la sua prima parola, non è mai stato lui a farlo ridere.

Suo figlio sembra intercettare quel filo di pensiero, quando riprende parola.

“Ti ricordi quella volta in Nebraska, quando ha chiamato Bobby e tutti i nomi che trovava nelle Pagine Gialle perché credeva che chiunque meritasse degli auguri di Buon Natale?” chiede e sorride, ma c’è di nuovo quella casa dalle tende bianche nei suoi occhi, c’è sua madre che profuma di biscotti fatti in casa, ci sono le manine di suo fratello quando aveva deciso di dargli l’amuleto che porta al collo.

“E di una felice Hannukkah” aggiunge alla fine, ricordando l’espressione incredibilmente seria di suo figlio a sei anni, intenzionato a non escludere nessuno dalle celebrazioni natalizie. “Mi ricordo anche l’accredito del telefono in motel quella volta, però”

Quell’ultima frase gli esce come un borbottio irritato, ma Dean scuote la testa e si lascia andare ad una risata che scoppia ben presto in un attacco di tosse.

“Probabilmente è troppo impegnato a fare cazzate da college per accorgersi che è Natale” afferma dopo aver ripreso fiato.

Papà annuisce. I suoi occhi sembrano lucidi, illuminati dalla luce della luna, ma deve essere solo una conseguenza del raffreddore e del freddo.

“Già” risponde con tono leggero, ma c’è qualcosa nel modo in cui quella risposta gli si arrotola sulla lingua, gli batte contro i denti, che parla di una vulnerabilità che a volte a Dean è concesso intravedere. Dura poco, però. Dura sempre poco.

“Siccome nessuno dei due riesce a dormire, risparmiamo sul tempo e avviamoci verso Palo Alto.” dice ad un certo punto e lo dice con quel tono da sergente che è quello in cui Dean è più abituato a sentirlo parlare. Il giovane aggrotta per un attimo la fronte, perché sono a quasi un giorno e mezzo di distanza dalla California, e Palo Alto non è tanto distante da Stanford e -

“Il tasso di mortalità del Sutter Health è aumentato drasticamente. Alcuni corpi sono spariti. Guida tu” chiarisce, per poi aprire lo sportello della macchina e non dargli nemmeno il tempo di ribattere che non sembra esattamente il loro tipo di strano.

Quando fuori dall’Impala si incrociano, Dean solleva le spalle in una noncuranza che è smentita dalla piega imbarazzata che gli incrina le labbra. Fa freddo ed è così strano, perché è papà e -

Si infila semplicemente in macchina dal lato del guidatore, facendosi accarezzare dal rumore del motore e dalla musica che copre i loro silenzi.

“Andiamo a incontrare questo dottore psicopatico, allora” ripete, senza che ce ne sia bisogno. Il nodo che ha nella gola non è dovuto solo al raffreddore, ne è sicuro. Procede a fari bassi fuori dal parcheggio, prima di prendere coraggio e osare ancora un po’.

“E ad augurare buon Natale al piccolo idiota” aggiunge alla fine e no, il colpo di tosse che segue quella frase non è abbastanza forte da coprirla.

Da papà per un attimo arriva un silenzio che lo mette nuovamente a disagio e non può fare a meno di chiedersi se abbia spezzato quell’equilibrio così faticosamente costruito, se -

“E una felice Hannukkah” conclude John.

Suo figlio si gira a guardarlo, con aria confusa e improvvisamente sorpresa. Sa perfettamente che è una battuta, che non augureranno davvero a Sam un buon Natale, ma è una mezza ammissione e -

“Guarda la strada” gli intima bruscamente John e si dice che beh, è soltanto per buona misura.

NDA. 
Sono la definizione di fuori stagione, ma vogliatemi bene lo stesso. 
Le recensioni sono sempre gradite.

   
 
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