Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: NanaK    26/09/2020    0 recensioni
Non c'era nulla di molto valoroso in lei, ma la storia non viene sempre raccontata dagli eroi.
Genere: Avventura, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo decimo
 

«Oh, merda!» imprecò Eren e superò Tallulah e Armin nello stesso momento in cui Mikasa abbandonò il suo cavallo. Si era accorta per prima della chioma bionda di Christa, seminascosta dall’ombra mostruosa che stava per afferrarla, e aveva ucciso la bestia con una precisione e potenza che Tallulah poteva solo sognare d’avere. Anche Eren si lanciò all’attacco, a dispetto della voce di Hanje che intimò loro di stare indietro, e Tallulah fu ben felice di seguirlo: si arpionò alla schiena di un gigante bitorzoluto ed anche piuttosto alto e puntò alla nuca, sfoderando le lame e guardandosi attentamente attorno per essere sicura di non essere colta alla sprovvista da altri suoi simili. Tuttavia, per qualche motivo il rampino si inceppò e non riuscì a tirarlo indietro per cambiare posizione. Per parecchi secondi rimase appesa al cavo, tentando di sbloccare il meccanismo, il cuore che pompava sangue sempre più velocemente. Il gigante si era probabilmente accorto del peso dietro le scapole e Tallulah vide con la coda dell’occhio la grossa mano che tentava di afferrarla alla cieca: buttò fuori l’aria di getto e con un colpo di reni tirò su le gambe per schivarla, ignorando gli addominali che le bruciavano e maledicendo Levi e le sue punizioni. Il suo cervello lavorava frenetico alla ricerca di una soluzione. Non aveva tempo e fece l’unica cosa che le venne in mente: poggiò i piedi sull’avambraccio irsuto del gigante curvato all’indietro e sperò vivamente che un salto sarebbe bastato. Piegò le ginocchia e scattò su come una molla, grugnendo per lo sforzo. Riuscì ad arrivare all’altezza dell’uncino e lo strappò dalle carni con la mano, conficcando immediatamente la lama tra le scapole per tenersi su. Il gigante urlò e Tallulah ne approfittò per rilanciare il cavo uncinato che stavolta si arpionò al collo; la lama affondò nella pelle come fosse burro e per la seconda volta sentì quella sensazione elettrizzante di averne fatto fuori uno da sola.
«Lu, sei impazzita?!». 
Abbandonò il corpo del gigante poco prima che si abbattesse al suolo e raggiunse il viso contrariato di Armin. Si piegò, reggendosi con le mani sulle ginocchia e si prese qualche secondo per riprendere fiato. 
«Che razza di azioni fai? Eri troppo esposta!» la rimproverò l’amico, intento a sorreggere un soldato ferito della squadra di Hanje. 
«Ma sono riuscita a ucciderlo, questo è ciò che conta» rispose, tirandosi su e alzando gli occhi al cielo. Armin stava per aggiungere qualcosa quando delle grida giunsero alle loro orecchie e Tallulah scorse Connie, Reiner e Berthold correre verso di loro. Le sue labbra si allargarono in un sorriso sollevato e sventolò il braccio nella loro direzione, mentre intorno gli ultimi giganti venivano finiti dal resto della squadra. 
«State bene per fortuna!»
«Per un pelo. Ce la siamo vista brutta»
«Già. Non è stato facile» esclamò Reiner con sguardo grave. «E c’è dell’altro...».
Armin rivolse loro un’occhiata interrogativa, ma non ricevette risposta: persino Connie evitò il suo sguardo e Tallulah capì che quella giornata non era ancora finita.
 
Quando sei così abituato al dolore, pensi quasi che nulla possa più scalfirti. Invece vieni scagliato in basso, di nuovo, nei meandri di quel burrone che chissà quante volte abbiamo dovuto scalare. Dovuto, sì, per tornare ad una parvenza di vita. Volenti o nolenti, siamo vivi; ad oggi sembra quasi un dovere. 
La trasformazione dei tratti di Hanje Zoe man mano che ascoltava quel resoconto fu quasi impercettibile. Tallulah non sapeva come e quanto intenso fosse il suo legame con Mike, ma intuì una sofferenza così grande da sentirsela sulla pelle. Niente lacrime, niente parole, solo una smorfia sul viso, un tremore delle dita, forse un cuore che per qualche secondo aveva smesso di battere. Anche l’aria sembrava comunicarglielo, nel silenzio che si era instaurato quando le ultime parole di Connie morirono incerte e stanche. Poteva capirlo: ora che l’adrenalina era scemata si sentiva come una bambola a cui avevano tagliato i fili, era distrutta fisicamente e psicologicamente. Quanto tempo era passato da quando si era svegliata quella mattina? 
«Tiratela su! Così, piano!».
La voce tuonante di un soldato attirò l’attenzione di tutti e Christa, no, Historia si precipitò verso il bordo delle mura. Non aveva avuto il tempo di metabolizzare bene la chiacchierata che avevano avuto poco prima e ad un tratto le sembrava una completa estranea. La guardò parlare concitata al corpo addormentato di Ymir, la loro amica Ymir, mentre veniva issata con delicatezza con la barella su cui era distesa. Tallulah non volle guardarla. Lei era stata l’ennesima scossa della giornata, la loro terza compagna che si rivelava un’altra persona ed una potenziale nemica. Approfittò di quella distrazione per avvicinarsi ad Hanje, titubante su cosa dire o fare. Non la conosceva abbastanza per poterla consolare, ma dopo tutte quelle ore a stretto contatto non riusciva a far finta di nulla. 
«Caposquadra» mormorò e la donna posò gli occhi su di lei. Si tolse gli occhiali, mentre un lento sospiro scivolava via dalle sue labbra. «Prestami la tua divisa, ti va?». 
Tallulah allungò il braccio in silenzio e le porse la manica della sua camicia malconcia, esattamente nello stesso stato della sua. Non c’era motivo per cui pulire le lenti sui suoi vestiti, se non quello di un attimo condiviso di normalità umana, qualche istante di pausa da tutto prima di ripremere play e rituffarsi in quel mondo che non lasciava né tempi né spazi. Lo aveva capito e aveva accolto con delicatezza quella richiesta, sentendosi in qualche modo confortata anche lei. 
Non era da sola. 
Non tutti erano nemici. 
«Grazie» Hanje inforcò gli occhiali ed accennò un sorriso debole «Adesso andiamo a ripulire questo casino». 
Tallulah annuì e la guardò dirigersi verso Ymir, la quale pareva essere in condizioni davvero pietose: le avevano sbranato un braccio e una gamba ed i suoi organi interni erano praticamente poltiglia. Ancora non riusciva ad avvicinarsi a lei, non ne capiva il perché. Christa, no, Historia, aveva letteralmente pregato di crederle: Ymir aveva a cuore l’umanità, li aveva salvati mettendo a rischio la sua vita. Non avrebbe ucciso nessuno, lo garantiva lei che la conosceva così bene. Eppure, Tallulah non riusciva a fidarsi: se aveva taciuto lo aveva fatto per un motivo ben preciso che sicuramente implicava chissà quanti oscuri segreti. E noi stiamo morendo per cosa? Lasciò scorrere lo sguardo intorno a lei, soffermandosi sui ragazzi che si scambiavano sussurri, che si aiutavano a salire sulle mura e a curarsi acciacchi e lesioni e per un attimo la realtà sfumò e ricordò alcuni eventi di poche ore prima. 
 
«Eren, basta» sbottò Tallulah, all’ennesimo tentativo del ragazzo di difendere Reiner e Berthold. I suoi amici la guardarono un po' sorpresi per quella sua reazione, ma ignorò le loro occhiate «Annie ci ha traditi e Christa... Non è Christa. Non è impossibile che anche loro ci nascondano qualcosa». 
Una vocina nella sua testa le ricordò che anche lei aveva sentito quello sgomento freddo mentre Hanje parlava di quei documenti sul passato dei compagni. Che non era giusto prendersela con Eren. Poi però era subentrata la rabbia, la stessa che da qualche giorno sembrava prendere piede sempre più spesso. 
«Eren» Hanje li interruppe, forse per stemperare la tensione «No, voi tutti, avete qualche ricordo dei loro atteggiamenti quando eravate reclute?»
«Sapevamo che provenivano dalla stessa terra, ma non sembravano molto legati ad Annie» disse Armin ed Eren annuì. 
«Non credo di averli mai visti parlare. Certo, Annie non parlava mai con nessuno»
«Vero» esclamò Sasha «A mensa mangiava sempre da sola». 
«Io non ricordo» mormorò Mikasa con sguardo assente. 
«Però come loro compagno di addestramento non credo ci sia motivo di sospettare di loro. Reiner è un po' come un nostro fratello maggiore». 
Hanje si portò una mano sulle labbra, intenta a concentrarsi. Poi alzò gli occhi su di lei. 
«Tallulah?». 
«Non ho chissà quale rapporto con loro, non ho prove. Solo sensazioni». 
A quel punto anche Levi la stava fissando e il suo era l’unico sguardo che bruciava. 
«Non preoccuparti. Stiamo solo riflettendo tra di noi» la rassicurò la caposquadra e Tallulah si sentì un po' a disagio sotto tutti quegli occhi.
«Ho sempre avuto l’impressione che tra di loro parlassero con una serenità diversa. Che fossero più a loro agio l’uno con l’altro che con chiunque. A volte, sembravano isolati in un mondo tutto loro».
 
Persa nei suoi pensieri, la mano che Armin le posò sulla spalla la fece quasi sobbalzare. 
«Ehi» mormorò «Come stai?». 
Come sempre, captava i suoi stati d’animo alla perfezione. 
«Sono stata meglio. E tu?»
«C’è qualcosa che non mi quadra».
Tallulah fu quasi grata che le offrisse qualcosa su cui ragionare perché stava per mettersi a piangere sulla sua spalla. 
«Cioè?»
«Dovrebbero esserci molti più giganti. Da quando abbiamo annientato quelli intorno al castello di Utgard non se n’è fatto vedere neanche uno».
La ragazza guardò la distesa d’erba sotto di loro fino ad arrivare all’orizzonte. Il cielo era coperto e c’era poca luce, ma era chiaramente tutto tranquillo. 
«Saranno sparsi per i villaggi...» mormorò rabbrividendo. 
«Non lo so. Stando a quello che ci hanno detto gli altri, Nanaba e la squadra hanno combattuto quasi l’intera notte. Perché i giganti erano svegli?»
Stava riflettendo su quelle ultime parole, quando qualcosa catturò i suoi occhi. 
«Guarda!». Armin seguì la direzione del suo indice e il suo viso si trasformò in stupore. 
«È il signor Hannes!». 
 
Apprendere che le mura erano intatte lungo tutto il perimetro fu la terza inquietante sorpresa di quel giorno. Lo sconcerto si diffuse tra i soldati e Tallulah scambiò uno sguardo allarmato con i suoi amici. 
«Se non c’è nessuna breccia non possiamo fare molto» esclamò Hanje, passandosi stancamente una mano tra le ciocche brune. Poi, si rese conto che tutti attendevano i suoi ordini e sospirò. 
«Va bene, faremo così: torniamo a Trost e rimaniamo in attesa. Le cure di Ymir sono prioritarie». 
Si voltò e cominciò a camminare, affiancata prontamente da Moblit: sentendo la donna cominciare a fare delle ipotesi riguardo quel mistero, Tallulah si affrettò a seguirla, incuriosita e con un’immensa voglia di distrarsi. 
«E se ci fosse un gigante capace di scavare sottoterra?»
«Sarebbe un bel problema capire individuare da quale punto siano entrati. E comunque dovrebbero essere tutti abbastanza intelligenti da seguire quella strada insolita» obiettò Moblit.
«Non sottovalutarli, alcuni di loro sono capaci di apprendere»
«Sì, ma sarebbe...». 
In lontananza sentì la voce di Armin gridare qualcosa, attutita come se provenisse da un’altra stanza e al contempo una forte folata di vento ululò, un vento freddo e secco che le diede i brividi. Improvvisamente un brutto presentimento si insinuò nel suo stomaco e si voltò di scatto con il nome dell’amico sulle labbra. Lo vide camminare poco più indietro, accanto a Sasha, e gli corse incontro, sentendo la strana necessità di stargli vicino. Il ragazzo la guardò e lesse qualcosa nei suoi occhi che gli fece aggrottare le sopracciglia. 
«Sta’ tranquilla» le disse, ma subito dopo trasalirono. Un frastuono risuonò rimbombando nel vuoto delle campagne: la bandiera si era spezzata, sbattendo contro le mura e precipitando a terra. Fu allora che si accorse della postura tesa di Mikasa, dietro di loro, che fissava Eren. Eren, che a sua volta era immobile davanti a Reiner e Berthold. 
«Sta succedendo qualcosa» mormorò Tallulah, lo sguardo fisso sulle mani rigide di Mikasa.
«Non riesco a sentire ch-». Sasha si bloccò a metà frase perché Reiner si stava liberando delle bende con espressione cupa e gli occhi di iniettati di sangue. A quel punto tutti avevano captato la tensione, salita più rapida di un torrente, e chissà quali furono i pensieri di ognuno prima che il sangue gelasse nelle vene. Perché sì, Reiner aveva sollevato il braccio ora scoperto ed erano ben visibili le ferite che si stavano rimarginando velocemente; questo voleva dire solo una cosa. Reiner urlò e le sue parole giunsero allora ben chiare. 
«...e come guerriero devo adempiere alle mie responsabilità!»
«Reiner» gridò Berthold, digrignando i denti «Vuoi farlo proprio qui ed ora?!»
«Si. Decideremo tutto qui!». 
Tallulah non vide lo scatto feroce di Mikasa contro Reiner che si era curvato su Eren. Il sangue, quello lo vide. 
«Eren, scappa!» urlò la corvina, invano, perché il ragazzo era paralizzato. Tallulah si precipitò verso di lui non appena vide Reiner colpire Mikasa; voleva afferrarlo e tirarlo via, prima che fosse troppo tardi, ma il vento divenne intollerabile e cominciarono a volare macerie e travi di legno. Fu come se un fulmine si abbattesse su di loro ed allora Tallulah capì perché prima non riusciva ad avvicinarsi a Ymir e covasse così tanta rabbia verso Annie. Avevano passato anni insieme a loro, sotto lo stesso tetto, con lo stesso cibo, con lo stesso peso da portare, e non se ne erano mai accorti. Erano stati complici. 
Lei era stata complice degli assassini di Sadie e dei suoi nonni.  
 
Levi era in piedi, accanto al carro: un po' in disparte rispetto al capannello di soldati della gendarmeria che si era formato attorno ai perlustratori appena tornati. Pareva che le notizie che portassero fossero di vitale importanza ed erano stati chiamati sia il Comandante Pixis sia Erwin a presenziare al rapporto. Era sceso dal carro ripetendosi che avrebbe sfruttato qualsiasi occasione pur di evitare di star fermo e seduto, ma in realtà aveva riconosciuto la ragazza con la coda castana. Proveniva da dove era lei.
«Quindi non c’era alcuna breccia nelle mura, giusto?»
«No. Ma è successo qualcosa di terribile! Mentre stavamo tornando a Trost per fare rapporto, ci siamo imbattuti in un gruppo di ricerca comandato dal caposquadra Hanje. C’erano diverse reclute del 104º senza dispositivi...»
Levi avanzò di qualche passo senza nemmeno accorgersene, troppo occupato ad assorbire quelle informazioni.
«...e abbiamo scoperto che tre di loro sono in realtà Giganti!».
Sgranò gli occhi e d’istinto mise la mano al fianco destro, trovandoci però l’aria: non era in divisa e non aveva nessuna arma a portata di mano. Qualcuno gridò qualcosa che non riuscì ad afferrare e subito dopo ci fu la voce di Erwin, che invece gli arrivò forte e chiara.
«Cosa è successo dopo che li avete smascherati?»
«Il Corpo di Ricerca ha ingaggiato battaglia con il Gigante Colossale e il Corazzato, ma poco dopo il nostro arrivo la battaglia si è conclusa».
L’azzurro dei suoi occhi divenne vitreo: no, non poteva essere lei uno dei giganti. Troppo debole, troppo ingenua. Magari fosse stata lei l’impostora, traditrice come la sua mente che sentiva sgretolarsi come cenere. Almeno, sarebbe rimasta viva. Invece, era dall’altro lato, era dalla parte dei giusti, e probabilmente era già morta.
 
«Accidenti, che disastro.. Gli unici illesi siamo noi che per caso eravamo rimasti sulle mura. Gli altri sono stati travolti dal calore e dall’onda d’urto».
Armin sollevò appena la testa per quanto Tallulah glielo permettesse e vide Hannes studiare i feriti distesi lungo le mura. Il biondo non rispose, si limitò a seguire lo sguardo dell’uomo sui suoi compagni per poi tornare a fissare il terreno. 
«Come sta Mikasa?»
«Le sue ferite non sono gravi» mormorò piano «Forse ha una commozione cerebrale»
«Capisco» sospirò Hannes «Non avete ancora mangiato niente vero? Vado a prendervi qualcosa». 
Stava per scuotere la testa, ma poi pensò a Tallulah. Lei ne aveva più bisogno. Annuì con un cenno e l’uomo si allontanò, non prima di avergli dato una pacca di conforto. Passarono diversi minuti e nessuno di loro si mosse, solo Tallulah stringeva la presa sul suo braccio sempre più forte. 
«Tallulah» la richiamò «Mi fai male».
La ragazza non rispose, né diede segni di allontanarsi da lui. Aveva il volto nascosto sulla sua spalla da quando la battaglia era finita e ogni tanto la sentiva tremare, ma non aveva la forza di consolarla, non in quel momento. 
«Lu...Stai facendo l’egoista». 
Quelle parole le arrivarono come uno schiaffo e smise di respirare l’odore dell’amico, in apnea per qualche secondo. Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma in quei minuti, ore, giorni, aveva desiderato non staccarsi più da quel calore buio in cui si era rifugiata. Era intollerabile il pensiero di ciò che aveva fatto, o meglio che non aveva fatto: non era riuscita a muovere un muscolo per aiutare gli altri, per aiutare Eren a cui doveva la vita. A quante persone doveva la vita? A sua madre, che non sapeva neanche chi fosse. A Sadie, che le aveva donato la sua. A Levi, che l’aveva salvata da chissà quale fine. A Eren. Lei non lo voleva tutto quel peso, non era abbastanza forte. Avrebbe preferito essere lei a darla. 
Stai facendo l’egoista. 
Ma aveva deluso tutti. No, sé stessa principalmente. Non era forte, ma si era sempre detta che lei aveva una differenza. Il cuore era la sua differenza, come le aveva sempre detto la nonna, e se ce lo avesse messo in tutto non avrebbe rimpianto nulla. E invece, aveva ceduto e non aveva fatto niente, non ci aveva nemmeno provato.
Egoista. 
Alzati. 
Sollevò la testa, sentendo i muscoli del collo formicolare dopo essere stata così a lungo piegata, e si specchiò negli occhi limpidi, ma spenti del ragazzo. 
«Scusa» sussurrò, sciogliendo le dita dal suo braccio e portandole poi sul viso del biondo per sfregare via una macchia nera che gli solcava la guancia. Che stupida, Armin stava soffrendo molto più di lei. Abbassò gli occhi verso il corpo incosciente di Mikasa e le si strinse il cuore al pensiero che si sarebbe svegliata senza Eren. 
«Quanto vantaggio hanno?»
«Circa cinque ore»
«Sei stanco». 
Non era una domanda e il ragazzo non rispose.
Un pezzo di stoffa rossa abbandonato poco più in là attirò la sua attenzione: riconobbe subito la sciarpa di Mikasa e di nuovo la assalirono i sensi di colpa. Combatté le membra pesanti e si alzò per andare a raccoglierla. La scosse dalla polvere: era ormai quasi logora ed il colore si era sicuramente sbiadito, eppure continuava ad essere morbida e calda. La porse ad Armin, il quale la guardò senza capire.  
«Tienila tu. Se la vedesse in qualunque altre mani darebbe di matto» disse con un sorriso mesto. Il biondo rimase a fissarla per un istante e le si spezzò il cuore nel vedere il suo viso così triste. Doveva essere lei a lasciare che si posasse sulla sua spalla. Alla fine, il viso gli si ammorbidì ed afferrò la sciarpa toccandole volutamente una mano, segno che l’aveva perdonata. 
«Fortunatamente non è andata persa».
Il signor Hannes interruppe il loro scambio lanciandogli un paio di razioni di cracker.
«Scommetto che avete fame. Su, mangiate» borbottò, sedendosi accanto a loro e addentando la sua parte. «Ehi, Mikasa si sta svegliando».
L’attenzione di tutti si puntò sugli occhi semi aperti della ragazza e Tallulah poté vedere il momento esatto in cui le tornò la coscienza. Si sollevò di scatto, guardandosi attorno e non appena Armin entrò nel suo campo visivo, si gettò su di lui e gli afferrò la divisa, strattonandolo.
«Dov’è Eren?».
Tallulah si intromise d’impulso e le prese i polsi, spostandoli verso di sé.
«Mikasa, aspetta un secondo. Sei ferita, non puoi fare questi movimenti bruschi»
«Dov’è?» chiese alzando la voce, stavolta rivolta a lei. Tallulah si voltò verso Armin e le si spezzò il cuore nel vedere il suo viso così triste. Improvvisamente, avrebbe voluto essere lei a lasciare che si posasse sulla sua spalla.  
«È stato portato via insieme a Ymir da Reiner e Berthold. Eren è stato sconfitto» mormorò, prima di aggiungere «Siamo stati sconfitti»
«Lo stanno seguendo?»
«No»
«Perché?»
«Non abbiamo modo di trasportare i cavalli dall’altro lato delle mura. Dobbiamo aspettare che portino il montacarichi».
La corvina abbassò le braccia mollemente, senza più energie né luce negli occhi. Adesso era lei a sembrare una marionetta senza fili. Prese la sua sciarpa dalle mani dell’amico e se l’avvolse intorno al collo con una lentezza esasperante, gli occhi rubati da ricordi lontani.
«Perché Eren si allontana sempre da noi?» disse infine, forse rivolta a sé stessa.
 «Beh, è sempre la stessa storia no?» la voce bonaria di Hannes si intromise nel discorso «È sempre toccato a voi due rimediare ai disastri di quella peste, no? Anche se il tempo passa e le situazioni cambiano, vi comporterete allo stesso modo di quando eravate ragazzini».
I ragazzi avevano lo sguardo basso: Tallulah aveva conosciuto Armin, e di conseguenza anche Eren e Mikasa, solo poco prima di arruolarsi tra i cadetti e tentò di figurarsi i tre da bambini.
«Già...Ma tra un bulletto e un gigante c’è una certa differenza di altezza» sorrise Armin, con un lampo di nostalgia negli occhi.
«In ogni caso quell’idiota era davvero una schiappa nelle risse, però si è sempre buttato, che gli avversari fossero tre o cinque. Non l’ho mai visto vincere, ma nemmeno arrendersi dopo aver perso. A volte Eren sa essere così tenace da spaventare persino me».
La riccia sgranò gli occhi e fu come se un macigno le si sollevasse dal petto.
Alzati.
«Credete davvero che permetterà a quei due di trascinarlo via senza problemi? No, scommetto che si scatenerà con tutta la forza che ha in corpo».
Si mise una mano sulla bocca, preda di un’emozione forte: Eren aveva perso, però sicuramente lui non avrebbe mollato la presa. Perdere andava bene. Perdere non era la fine.
«Continuerà a dare grattacapi a chiunque gli si pari davanti fino a quando io o voi non lo raggiungeremo».
Si voltò verso i suoi amici e li trovò con la sua stessa espressione; quelle parole non avevano fatto effetto solo su di lei.
«Verrò con voi».
Il signor Hannes fu un faro in mezzo al buio per tutti e tre: ognuno aveva il suo personale percorso.
«Anch’io». Tallulah volse lo sguardo sui feriti distesi uno accanto all’altro, come a formare una catena di resistenza. In testa, Hanje Zoe che si sforzava di rimanere sveglia, nonostante le sue ferite. Eccola, la rabbia era tornata.
«Mikasa, riusciremo a riprendere Eren». E stavolta ce la metterò tutta.
 
Il Comandante Erwin aveva portato con sé una gran quantità di soldati e di cavalli per poter attuare la formazione a lungo raggio, oltre che una nuova ventata di speranza. I volti disorientati si erano trasformati in espressioni determinate, unite dallo stesso spirito: Erwin in questo era maledettamente bravo. Un razzo rosso squarciò il cielo ed improvvisamente sentì Maria accanto a sé che la rimbeccava. Frignona, le avrebbe detto, se osi perdere altro tempo ti sistemo io. E accelera, sei più lenta di una lumaca. Arricciò le labbra in un sorriso amaro e strinse le redini, aumentando il ritmo del galoppo. Cavalcarono per almeno un’ora, scansando i giganti nei limiti del possibile: nessuno fu di molte parole, chi concentrato sull’andatura del cavallo, chi troppo teso, chi guardava esclusivamente dritto davanti a sé. Il sole stava quasi per tramontare quando delle fronde altissime si stagliarono all’orizzonte. 
«Deve essere quella la foresta di cui ha parlato Hanje» esclamò Tallulah a voce abbastanza alta da farsi sentire. Mikasa annuì, torva. L’avevano quasi raggiunta quando un lampo illuminò il cielo arancione e molti sobbalzarono. 
«Proveniva dall’interno della foresta! Probabilmente segnala la trasformazione di un gigante!» gridò Armin. Tallulah vide parecchi giganti tra i tronchi e strinse i denti. 
«Uomini, disperdetevi!! Individuate Eren e recuperatelo!». 
L’urlo di Erwin fu il segnale: Si comincia. Virò bruscamente verso destra, subito dietro Mikasa, per un motivo ben preciso. Probabilmente sarebbe stata lei a trovare Eren per prima, era sicura che l’istinto l’avrebbe guidata, e di conseguenza anche Berthold e Reiner. Tallulah avrebbe fatto di tutto per fargliela pagare. Le lande che fino a quel momento erano state tranquille e pacifiche divennero campo di orrore. Sembrava che i giganti avessero percepito la loro furia e la loro determinazione e si muovessero con altrettanta veemenza. Non ne era cosciente, forse se ne sarebbe accorta parecchi anni dopo, o forse mai, ma quel giorno per la prima volta Tallulah perse un pezzo della sua umanità: non guardò coloro che vennero strappati dalle selle e ingurgitati come carne trita, né si fermò a tentare di salvare chi chiedeva aiuto. Sentiva i suoi sensi allerta come non erano mai stati e schivò gli attacchi finché non si addentrò nella foresta. Azionò il dispositivo di manovra e si arpionò ad un tronco, ignorando la familiare sensazione di vertigine non appena si librò in aria. Insieme a tutti gli altri volò tra i rami e nel frattempo si guardò attorno, alla ricerca di un segnale. In un posto come quello avrebbero potuto nascondersi ovunque. Furono delle grida bestiali a direzionarli e poco più avanti videro un gigante più basso della norma aggrappato ad un tronco. 
«Ehi, fermi! È Ymir! Non sparate!». 
Con enorme stupore Tallulah si bloccò a debita distanza per osservare meglio il gigante della compagna. Aveva effettivamente i suoi stessi capelli scuri e lisci, ma difficilmente avrebbe riconosciuto il suo volto umano, a cominciare da quell’espressione contratta e feroce. 
«Si è trasformata per combattere contro Reiner e Berthold?» domandò Mikasa dall’albero accanto al suo. 
«Non credo che l’avrebbero mai lasciata libera di trasformarsi» borbottò Tallulah.
«Sei riuscita a scappare? Loro dove sono?» 
«Parla per favore!».
Lei non rispose ad un solo richiamo. Connie le saltò in testa e scosse il piede per farsi prestare attenzione, palesemente sul punto di perdere la pazienza, ma Ymir non gli badò e continuò a ruotare la testa come alla ricerca di qualcosa. 
«Armin» mormorò guardinga Tallulah all’amico che sentiva dietro di sé. «Che ne pensi?»
«È strana, sembra stare guardia. Non capisco perché ci stia osservando uno ad uno».
A quelle parole la riccia stava per urlare a Connie di allontanarsi, aspettandosi qualcosa che non le sarebbe piaciuto, ma un ennesimo richiamo la precedette e fu a quel punto che Ymir si riscosse. Historia le stava volando incontro con un sorriso incredibilmente sollevato: aveva temuto il peggio quella volta, di non vederla mai più, proprio nel momento in cui si era liberata delle sue finzioni. Tuttavia, il luccichio negli occhi della sua gigante non bastò ad avvisarla di ciò che stava per succedere. Tallulah assistette attonita al salto sovraumano di Ymir, dritto verso la biondina, e allo sparire della sua figura tra le sue fauci. 
«No...»
«Ha-Ha appena mangiato...».
Qualcosa nella sua mente scattò.
Si gettò al suo inseguimento con veemenza tale da sentire la pressione sulle orbite: una sorta di velo rosso era calato sul suo campo visivo e dimenticò ogni cosa. Qualcuno forse gridò il suo nome, ma non riuscì nemmeno a identificarne la voce. Vedeva solo Ymir, i suoi movimenti fluidi e fulminei, era proprio come una scimmia nel suo habitat naturale e le venne istintivo imitarla. Iniziò a sfruttare i rami e le fronde a suo vantaggio, accorgendosi di quanto fosse più facile manovrare i cavi in quel modo. Aveva acquisito molta più rapidità, la vegetazione le scorreva accanto indistinta e offuscata, ed era riuscita ad arrivarle alle calcagna. Poi, la foresta finì ed un’esplosione che aveva già visto accecò qualunque forma di vita fosse nei paraggi: il Corazzato di Reiner apparve e Tallulah capì che Ymir si era alleata con loro. La vide saltargli sulla spalla con agilità e girarsi indietro a guardarla. 
No. Stavolta no. 
Senza pensare si tuffò verso il basso; le dispiacque tornare a terra, ma sapeva bene che era l’unico modo per seguirli sulle colline. Senza appigli il dispositivo tridimensionale era pressoché inutile. Ben presto il terreno tornò a tremare sotto gli zoccoli furiosi dei cavalli e venne raggiunta da Mikasa. Si scambiarono uno sguardo e Tallulah vide nei suoi occhi lo stesso accanimento. 
«Questa volta non esiterò, li ucciderò assolutamente» dichiarò secca.
«Mi hai letto nel pensiero» le rispose, prima di tornare a fissare le enormi figure davanti a loro. Un soldato aveva puntato il collo del corazzato, proprio accanto a Berthold che portava Eren in spalla, legato e imbavagliato. La rabbia aumentò nel momento in cui Ymir lo afferrò e scaraventò a terra. Strinse i polpacci contro il cavallo, incitandolo a galoppare più veloce e stando attenta a seguirne il movimento con il corpo. Non doveva avere nessuna pietà, proprio come quei mostri non ne avevano dimostrata verso di loro. Fu con enorme piacere che vide Mikasa, letale ed elegante, scheggiare verso Ymir e ferirle gli occhi, per poi volare verso Eren. Valutò velocemente la situazione: per quanto avrebbe voluto ucciderli con le sue mani era ben conscia di non esserne in grado. Questo pensiero le faceva rivoltare le budella, ma non era tanto stupida da mentire a sé stessa. In quegli istanti le ritornò alla mente Hanje ed il modo in cui si era sorretta a lei, in un momento difficile. 
Non sono da sola. 
Si arpionò decisa alla spalla di Reiner non appena vide Ymir che stava per sferrare un pugno verso l’amica e le si piazzò davanti, specchiandosi negli occhi bui. Costi quel che costi avrebbe guardato le spalle a Mikasa. 
«Ymir» gridò e tirò fuori le lame, mettendosi in posizione d’attacco «A questo punto non mi importa nemmeno il motivo per cui tu sia contro di noi. Ora sei un nemico e basta»
«Tallulah, aspetta!» la voce familiare di Historia sbucò dai capelli del gigante e la ragazza si bloccò.
«Allora sei viva»
«Se non obbedisce a Reiner la uccideranno! Non ha scelta»
Tallulah contrasse le labbra in una linea dura. 
«Nel momento in cui ti ha rapita ed ha difeso questi stronzi, per me ha perso qualsiasi valore»
«Questo non è giusto! Ymir c-»
«Christa» entrambe sollevarono la testa verso Mikasa, aggrappata ai capelli di Reiner. Se uno sguardo avesse potuto uccidere sarebbe stato il suo «Vuoi ostacolarci anche tu?». 
Ymir urlò non appena capì la minaccia sottintesa della corvina e sollevò il braccio per colpire, ma Historia le intimò di fermarsi. 
«Morirai. Non fare resistenza». 
Sembrò pensarci e quando abbassò la testa, fece un cenno a Mikasa: potevano occuparsi di Berthold e Reiner. Furono raggiunte dagli altri, Connie, Sasha, Jean ed Armin, e Tallulah li ascoltò richiamare le vecchie memorie e chiedere il perché. 
Già, perché. Non me ne frega più niente del perché. Dovete pagarla e basta. 
Ebbe quasi paura dei suoi pensieri e fu per questo che rimase in disparte, sulla spalla di Reiner, dove non poteva avere uno scambio faccia a faccia. Nemmeno quando le frasi di Berthold tremarono di disperazione riuscì a provare pietà.  
«Berthold» disse infine, quando non riuscì più a trattenersi «Hai ragione tu. Non hai nessun diritto di chiedere perdono. No, non hai nessun tipo di diritto, devi solo tacere e incassare. E ridarci Eren».
Nessuno per qualche secondo parlò. 
«...Non posso. Qualcuno deve pur farlo. Qualcuno deve sporcarsi le mani di sangue». 
«Ragazzi. ALLONTANATEVI» la voce del signor Hannes la fece sobbalzare e quasi perse l’equilibrio: fortunatamente aveva ancora l’arpione ancorato a Reiner. 
Tutti si resero conto di ciò che si avvicinava di fronte a loro, Erwin aveva fatto in modo di dirottare i giganti verso i traditori. Imitò i suoi compagni e scese a terra, ma dovette cambiare direzione all’ultimo momento perché si accorse che il suo cavallo non era con il signor Hannes. Imprecò, virando a destra e salendo sul più vicino che vide. 
«Scusa Mikasa. Devo chiederti un passaggio» disse affannosamente e approfittò di quella pausa per asciugarsi il sudore dalla fronte. 
«Cerca di non cadere» le disse, atona.
«Uomini carica!».
La gran voce di Erwin si disperse tra i soldati e tutti lo guardarono terrorizzati. Non a torto, un’orda di normali giganti aveva assaltato Reiner e il Comandante aveva appena ordinato di gettarsi nella mischia. 
Si sollevarono molte grida nel momento in cui tutti si decisero a seguire Erwin, ma la strage era appena cominciata e Tallulah lo sapeva. Si strinse all’amica con un braccio e ritirò fuori la lama ben attenta a qualunque mandibola si avvicinasse. 
«Ehi» gridò Jean «Ha liberato le mani!». 
Mikasa la avvisò delle sue intenzioni «Tallulah. Sei ancora in tempo a cambiare cavallo» 
«Scordatelo» rispose la riccia, scuotendo la testa con decisione. La velocità aumentò e scansarono parecchi giganti, entrambe concentrate sull’obiettivo, ma ognuna con pensieri diversi. Era a Sadie che pensava Tallulah, a lei e a tutti quelli che aveva perso, era la loro battaglia e spettava a lei onorarla. Nemmeno vedere il Comandante Erwin afferrato per il braccio da un gigante bastò a dissuaderle, nonostante alla riccia gelò il sangue nelle vene. 
«AVANTI! EREN È AD UN PASSO DA NOI».
Fu quell’urlo bruto che le fece aprire gli occhi: non era solo per i morti che doveva combattere. Il suo cuore l’aveva legato all’umanità intera. Digrignò i denti e tranciò delle dita che stavano per afferrare la coda del loro cavallo, impassibile davanti al sangue che fuoriuscì e le macchiò il viso. 
«Ci siamo!». 
Si arpionarono a Reiner che ormai troneggiava a pochi metri da loro: Tallulah si portò alle sue spalle, mentre egli afferrò il cavo di Mikasa per lanciarla via, ma forse fu troppo lento perché lei lo sfruttò come perno e roteò verso Berthold. Gli era praticamente davanti quando quest’ultimo saltò e recise il cavo uncinato. Eren sbraitò qualcosa e Mikasa guardò sotto di sé, vedendo la faccia di un gigante farsi sempre più vicina. Tallulah fece in tempo a lanciarsi verso di lei ed a sentire il fiato caldo di quell’essere, prima di afferrarla per la vita e dare di tutto gas. Purtroppo, non fece in tempo ad allontanarsi; Reiner intercettò nuovamente il cavo, ma si bloccò all’improvviso e loro rimasero penzoloni sotto di lui. Tallulah fece una smorfia di dolore, le pareva che i muscoli del braccio si stessero staccando uno ad uno, ma non mollò la presa. Bastava solo che Mikasa riuscisse a raggiungere l’altro cavo uncinato, ma la posizione non era delle migliori.
«Ce l’ho fatta» sussurrò concitata e stava per rilanciarsi all’attacco, ma Tallulah la bloccò.
«Aspetta. Guarda, è distratto». L’aveva notato subito, il guizzo di capelli biondi. Armin si era posato sulla guancia di Reiner e Tallulah sapeva benissimo che non l’avrebbe mai fatto senza un motivo ben preciso. Lo fissò cercando di capire a cosa stesse pensando, soprattutto dal momento che aveva il viso contratto in un sorriso folle del tutto in contrasto con lo sguardo angosciato. Continuò a guardarlo con ansia crescente, cosa gli stai dicendo, sei troppo vicino.
«Discendenti del demonio! Vi sterminerò tutti!».
L’urlo di Berthold le fece sgranare gli occhi. 
«ARMIN!» urlò, impotente.
Berthold estrasse la sua arma, ma nell’esatto momento Erwin Smith usò la sua per recidere le corde che legavano Eren. Mikasa non si lasciò scappare quell’occasione e si gettò su di lui, liberando le braccia di Tallulah che quasi gemette dal sollievo; Armin sporse il braccio verso di lei e lo afferrò al volo, ormai libera dalla presa di Reiner, troppo occupato a tenere Berthold al sicuro. Volarono verso i cavalli, seguendo l’esempio degli altri: era la ritirata. La riccia strinse Armin da dietro, felice di sentirlo sano e salvo.   
«Ce l’abbiamo fatta! Ho temuto il peggio» si lamentò, inspirando il suo odore vivo.  
«Guarda che non abbiamo ancora vinto».
Era sicura che l’amico avesse alzato gli occhi al cielo e, dal modo in cui le sue spalle erano tese come una corda di violino, sapeva che stava pensando a qualcosa. 
«Lo so» esclamò Tallulah «Non si arrenderanno, vero?»
«Già. Erano troppo disperati» disse, prima di voltare appena il capo verso di lei «Non sono una brava persona».
Tallulah strinse la presa sui suoi fianchi e corrugò le sopracciglia «Non dire assurdità»
«Li ho manipolati».
La ragazza tacque per un momento.
«Siamo in guerra» disse infine e subito dopo un’ombra scura saettò sulle loro teste e qualcosa cadde parecchi metri più lontano. Qualcosa di grosso e pesante che si abbatté sul terreno sollevando zolle di terra, fumo, macerie. 
«Cos’era?» proruppe Tallulah prima di tossire convulsamente. 
«N-Non lo so» rispose l’amico a fatica. 
«Guarda! Segui Jean!». 
Riuscirono a farsi strada in quella coltre di fumo e quando iniziò a diradarsi si resero conto di cosa stesse succedendo: Reiner aveva preso a lanciar loro contro i giganti che lo assalivano, in modo da bloccare la strada. 
«Maledizione» borbottò Jean accanto a loro. «Ohi! Non vedo più Eren». 
Si guardarono in giro spasmodicamente fino a quando non scorsero il ragazzo e Mikasa a terra, disarmati, di fronte ad un gigante incredibilmente alto. 
«Muoviamoci!»
«Non...Non faremo in tempo» mormorò Armin, tormentato. 
«Non possiamo arrenderci» gli disse Tallulah, cercando di fargli forza, le mani che prudevano dalla voglia di intervenire. L’aver ripreso Eren le aveva dato speranza. Potevano vincere. «Accelera». 
Un altro gigante crollò davanti a loro con inaspettata precisione. Non poteva essere un caso. 
«Quei maledetti bastardi. Ci stanno ostacolando!!» disse Jean con una smorfia arrabbiata. 
«Ma perché?»
«Avevo capito che Eren gli servisse vivo» si lamentò Tallulah, digrignando i denti. «Non abbiamo tempo, dobbiamo aggirarli». 
Fu semplice scansare quelli distesi, troppo lenti nel rialzarsi, ma ce n’erano molti ancora in piedi pronti ad afferrarli. L’unica cosa positiva era che con quattro paia di occhi il lavoro era dimezzato. Tallulah continuava a non perdere di vista il signor Hannes che nel frattempo era intento a proteggere i suoi amici.
Resisti, ti prego. Ancora un po'. 
Avrebbe dovuto aspettarselo, ormai erano anni che le sue preghiere si rivelavano inutili. Vide un’ombra e la riconobbe al volo: istantaneamente si sporse in avanti per afferrare dalle mani di Armin le briglie del cavallo e tirarle indietro. Frenarono bruscamente, ma riuscirono a non rimanere travolti. Qualcun altro non fu così fortunato. 
«Jean!» gridarono quasi all’unisono alla vista dell’amico venire catapultato via. Armin si buttò giù dalla sella. 
«Aspetta, Armin!». 
Tallulah non riuscì ad afferrarlo in tempo e lo vide precipitarsi verso il ragazzo, palesemente ferito, e sollevarlo leggermente mentre le urlava di scappare. Con orrore si rese conto dei giganti vicini e l’ottimismo di cui era stata pervasa scemò velocemente, trovandosi davanti ad uno sterminio. Uomini e cavalli, mangiati, calpestati, tutto ad un tratto le parve di sentire le urla di centinaia di migliaia di morti.
Cosa...faccio? 
Era immobilizzata, proprio come qualche ora prima. Era tutto perduto, non avrebbero mai potuto vincere. Potevano solo continuare a morire. 
«Tieni duro!» sentì pronunciare Armin verso Jean e in quell’attimo sgranò gli occhi.
No.
Sguainò le lame e corse verso di loro, piazzandoglisi davanti. 
«Tallulah, che fai?! Ti ho detto di-!»
«Smettila!» gli gridò con gli occhi lucidi «Non ti lascerò mai, Armin!»
Fissò i giganti di fronte a sé, erano tre o quattro o cinque, e le dita delle mani presero a tremarle. Cosa si provava a morire in quel modo? Sadie cosa aveva provato? Se lo era chiesta spesso. Tutto il suo corpo le gridava di scappare, lo stomaco in gola, il cuore veloce, le tempie pulsanti, la paura. Aveva paura, ma Armin era più importante. Costrinse i suoi piedi ad avanzare e si piegò sulle ginocchia, per darsi uno slancio. Saltò e si arpionò al gigante dai capelli insolitamente chiari, distraendolo dalle figure accasciate sul prato. Le sembrò quasi di vedere Levi volteggiare in lontananza con la destrezza che lo caratterizzava. Lui avrebbe salvato Armin. Lui avrebbe salvato tutti.
 
Poi, Eren urlò.
 
 
«Sono tornati, Capitano».
La voce dietro la sua porta risuonò ansiosa ed esitante. Levi alzò gli occhi dalle scartoffie e li puntò su quel legno scuro, prendendo lentamente quanta più aria possibile. Erano sei ore che si preparava a quel momento, sei ore in cui aveva rimesso le cose in ordine nei cassetti della sua mente, dopo che qualcuno aveva rivoltato tutto fuori alla rinfusa. Non qualcuno, lei. Anche da morta gli incasinava la testa. Si alzò, infine, e si diresse con passo sicuro fuori dall’ufficio per accogliere il suo Comandante. Fuori, il suo sguardo vagò sulla familiare vista dello sfacelo, di visi deturpati, corpi vuoti. Un carro sfrecciò più veloce degli altri.
«Largo! Il Comandante è ferito!».
 
Tallulah aveva fame.
Le cuoche erano state colte di sorpresa dall’arrivo dei superstiti ed avevano arrangiato la cena più veloce che potevano. Patate lesse, piselli e pane raffermo. Tallulah si era lanciata sul piatto e ingoiava il cibo senza nemmeno masticare. Insieme a lei, Sasha era l’unica che mangiava. In realtà, ben pochi erano coloro che si erano fermati alla mensa. La maggior parte si era fiondata a letto o a piangere in qualche anfratto.
«Non riesco a credere di essere viva» disse infine, rompendo il silenzio del loro tavolo. Non lo sopportava più.
«Si può considerare una vittoria» mormorò Mikasa.
Tallulah sospirò una risata arida «Già. Eren, è merito tuo, di nuovo».
«Avrei potuto fare di più» disse il ragazzo e lei poté giurare che stesse stringendo i polsi sotto il tavolo. Sapeva benissimo a cosa si riferisse ed era contenta di non aver assistito alla morte del signor Hannes. Una magra consolazione.
«Stavolta abbiamo davvero rischiato. Persino il Comandante è quasi morto» disse Sasha a bocca piena.
«Quell’uomo è incredibile» rispose Tallulah, ricordando le frasi di Erwin urlate direttamente dalla bocca di un gigante.
«Avete notizie di Jean? O di Connie?».
Era la prima volta da almeno un paio d’ore che Armin apriva bocca. Le stava contando perché non aveva aspettato altro da quando avevano scampato il pericolo. Non aveva il coraggio di affrontarlo, sapendo bene che senza l’intervento di Eren sarebbero morti. Lei non sarebbe stata in grado di salvarlo.
«Jean è in infermeria» disse Eren
«Connie invece è con la squadra di Hanje. A quanto pare c’è in ballo qualcosa di grosso» biascicò Sasha e deglutì una patata. «Ehi, Tallulah. Dove vai?».
La ragazza si era alzata e aveva preso il vassoio per riporlo tra gli altri sporchi, sul bancone in fondo alla sala.
«A dormire» disse semplicemente, una mezza verità. Sarebbe andata a dormire presto, ma prima doveva fare una cosa. Non augurò la buonanotte come al solito, conscia che non lo sarebbe stata per nessuno, si azzardò solo a fare un mezzo sorriso di scuse ad Armin che la fissava intensamente. Non ce la faceva ad affrontarlo, non ora. Si diresse verso le scale toccando il corrimano: il legno era duro, ruvido e un po' rovinato, soprattutto verso la fine di ogni rampa. I gradini scricchiolavano sotto le sue scarpe, un rumore di cui non si era mai accorta e che allo stesso tempo le risultava familiare. Era casa sua ed aveva rischiato di non tornarci mai più. Sorpassò molte porte, alcune silenziose, altre che nascondevano voci basse e gravi. Quando arrivò davanti al suo ufficiò si sorprese del cuore che le batteva in petto.
Era viva.
Bussò, tre tocchi lievi che rimbalzarono nel corridoio vuoto. Era mezzanotte passata, ma era sicura di trovarlo sveglio. La maniglia si abbassò e lentamente la luce interna alla stanza la illuminò. 
«Salve Capitano».
Bevette ogni tratto del suo viso, voleva imprimerselo a fuoco nella mente di modo che se di nuovo si fosse trovata ad un passo dalla morte, avrebbe potuto richiamarlo a sé così vicino, così bello, così umano. Levi aveva allargato gli occhi in una espressione disorientata: un’accozzaglia di emozioni piovve addosso all’uomo e strinse la mano intorno alla maniglia tanto da farsi venire le nocche bianche.
«...Sei viva» le disse, riflettendo i suoi stessi pensieri di poco prima.
«Sì», rispose senza distogliere lo sguardo. Vide quasi a rallentatore le dita libere di Levi sollevarsi e raggiungere una ciocca dei capelli che le macchiava la fronte. Chiuse gli occhi non appena percepì il contatto, leggero come una piuma, ed espirò schiudendo le labbra.
«Capitano» si costrinse a sussurrare, prima che il suo viso seguisse quelle dita per sfregarglisi contro. La stava accarezzando? Perché, se si era pentito di quel bacio? Glielo avrebbe chiesto se solo non avesse conosciuto la risposta. Levi abbassò il braccio come se si fosse scottato e qualcosa dentro di lui si arrabbiò.
«Perché sei qui?» disse, riprendendo a stento la lucidità necessaria. Tallulah riaprì gli occhi con fatica, non si era resa conto di essere così stanca. Deglutì e puntò lo sguardo determinato sul viso dell’uomo.
«Mi insegni a combattere. Ad essere forte».
Non era mai stata più seria in vita sua e Levi glielo lesse negli occhi secchi e svuotati. Qualcosa era cambiato. Soppesò ogni implicazione, ogni conseguenza, e tutte gli urlavano la stessa cosa.
Rifiuta.
Era un Capitano, non allenava cadetti. Lei non era speciale. Non era nessuno. Fissò la sua figura malmessa e si chiese cosa fosse successo durante quella spedizione.
«Dopodomani, all’alba» rispose in un tono che avrebbe dovuto essere molto più fermo.
   
 
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