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Autore: Nao Yoshikawa    02/10/2020    2 recensioni
Una piccola Fiona piena di speranza e poi una Fiona adulta con il dolore nel cuore.
Fiona si irrigidì sulle prima, ma poi si rilassò. Se fosse stata ubbidiente, una brava bambina, allora suo padre avrebbe fatto tutto quello che lei voleva, riempirla di abbracci e fiocchi di rosa, di parole d’affetto e dolcezza.
Gli diede le spalle, ma sentì il bisogno di porgergli una domanda che le premeva:
«Papà, tu mi vuoi bene?» domandò con tono speranzoso.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fiona Gallagher, Frank Gallagher
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La prima figlia
 
Quand’era bambina, Fiona si faceva tante domande.
La prima fra tutte, quella che si facevo più spesso era: perché io sono diversa?
Non se n’era resa conto fin quando non aveva visto con i suoi stessi occhi che esistevano altri tipi di normalità: vite felici di bambine che andavano a scuola ben vestite, con fiocchi rosa in testa e lo sguardo felice. I genitori che venivano a prenderle, le abbracciavano e poi salivano in auto per tornare, sicuramente, in una casa altrettanto felice.
Era stato mettendosi a confronto con gli altri che Fiona aveva capito di essere diversa e che la sua normalità non era poi un granché. Che sarebbe stato bello, almeno una volta, essere una di quelle bambine con genitori amorevoli, con il solo pensiero di giocare, ridere ed essere sereni.
C’era un’altra cosa che Fiona aveva notato, era sempre stata un’attenta osservatrice: il modo in cui i genitori guardavano i propri figli, il modo in cui padri erano orgogliose delle proprie figlie, trattandole come principesse.
Per lei una realtà del genere non era mai esistita. Frank  era stato il primo uomo a deluderla, il primo ad abbandonarla, troppo preso dal suo alcolismo, dalla droga e dal suo fottuto narcisismo.
Fiona era solo una bambina che cercava di aggrapparsi alla poca innocenza che le era rimasta. Di fatto non aveva avuto il tempo di godere dell’ingenuità, era dovuta crescere in fretta per badare ai fratelli più piccoli che man mano sarebbero venuti.
Sua madre non c’era, suo padre neppure. L’avevano abbandonata pur essendo presenti.
A scuola, Fiona si sedeva in disparte e ascoltava le sue compagne parlare.
«Papà oggi mi porta allo zoo.»
«Mio padre lavora tutta la settimana, ma nel week-end fa scegliere me cosa fare. Sono un po’ indecisa.»
Ascoltava e, chiudendo gli occhi, immaginava di essere al loro posto. Immaginava di tornare a casa e trovare un padre amorevole che l’avrebbe abbracciata, rassicurata e protetta dal male del mondo.
Aveva sette anni, Fiona. E nonostante avesse già visto e vissuto le peggiori vicende, voleva ancora avere un po’ di speranza, altrimenti sarebbe impazzita.
Decise che ci avrebbe provato. Avrebbe provato ad avere il suo affetto, la sua approvazione e il suo orgoglio, poteva farcela.
 
Tornò a casa dopo scuola, in una casa lasciata a se stessa. Fiona si torturava le manine, con una certa emozione negli occhi. Non era mai stata abituata a chiedere niente, dopotutto.
Si sedette sul divano, Frank come sempre non c’era, quindi lo avrebbe aspettato. E mentre aspettava, aveva iniziato a immaginare: cosa avrebbero potuto fare insieme? Sapeva che erano troppo poveri per andare allo zoo, ma Fiona aveva qualche moneta nel suo salvadanaio, forse sarebbe bastato. E poi magari avrebbero preso un gelato. Sarebbe stato divertente.
Il tempo passava ma Frank non arrivava. Stanca, si addormentò.
Aprì gli occhi che era già il tramonto e che qualcuno era rientrato: finalmente Frank era tornato!
Dovevano però sbrigarsi o lo zoo avrebbe chiuso.
Fiona si mise in piedi, tutta emozionata e sorridente. Come al solito, Frank era strafatto. O forse aveva bevuto, ma non ci fatto caso.
Subito gli andò incontro.
«Papà, sei tornato!»
Frank borbottò qualcosa, muovendosi instabile sulle sue gambe. Cercava il divano e lo trovò poco dopo, gettandovisi a peso morto.
«Papà», sussurrò Fiona avvicinandosi. «Andiamo allo zoo? Ho dei soldi da parte.»
Fiona era speranzosa. Ancora troppo giovane per credere che alcune persone fossero semplicemente perdute.
Frank aprì gli occhi, guardandola.
«Sono stato fuori tutto il giorno, Fiona. E poi sono troppo fatto, rischierei di annoiarti», disse con tono strascicato.
Ma la bambina di allora non voleva perdere la speranza.
«Allora… Allora solo un gelato, va bene solo quello!» insistette con forza. «Io voglio… passare del tempo con te…»
E la sua voce si era spezzata, un singhiozzo le era sfuggito. Ci teneva tanto, solo una volta, a essere normale.
Frank si sistemò meglio sul divano, chiudendo gli occhi.
«Adesso stiamo passando del tempo insieme, no? Ah, senti, ci sono delle birre in frigo? Prendimene una.»
Fiona si irrigidì sulle prima, ma poi si rilassò. Se fosse stata ubbidiente, una brava bambina, allora suo padre avrebbe fatto tutto quello che lei voleva, riempirla di abbracci e fiocchi di rosa, di parole d’affetto e dolcezza.
Gli diede le spalle, ma sentì il bisogno di porgergli una domanda che le premeva:
«Papà, tu mi vuoi bene?» domandò con tono speranzoso.
Frank sollevò un po’ la testa.
«Sei la mia prima figlia, ovvio che sì.»
Sei la prima figlia, ovvio che sì.
Avrebbe conservato quelle parole nella sua memoria, le avrebbe scritte, così non avrebbe dovuto temere che fosse stato tutto un sogno. Era forse questo il massimo a cui poteva ambire? A parole d’affetto tirate fuori a forza?
«Ah, Fiona.»
Il suo cuore per un attimo sussultò.
«Sono al verde. Quanti soldi hai detto che hai da parte?»
 
Ma ora Fiona non è più una bambina. Non ripone più speranza nelle cause perse, non cerca più un ti voglio bene in nessuno.
Fiora fissa una lapide con il nome di suo padre scritto sopra, stringe i pugni e si odia perché non dovrebbe piangere. Nessuno dei suoi fratelli dovrebbe, lei meno di tutti. Perché in fondo Frank la vita gliel’ha rovinata. Non le ha mai dato affetto, né attenzione, l’ha costretta a crescere, a comportarsi da madre anziché da figlia.
Si asciuga il viso e fissa duramente la lapide.
Aveva sempre creduto che Frank Gallagher fosse impossibile da far fuori, ma dopotutto era umano anche lui. Un pessimo essere umano, un pessimo padre da cui forse non aveva mai smesso di cercare l’approvazione. Forse è rimasta ancora quella bambina disposta a credere in lui, ma non lo dirà ad alta voce.
Te ne sei andato dopo aver reso la vita impossibile a tutti noi.
Si inginocchia e singhiozza. Nonostante siano passati tanti anni, ricorda ancora bene quella frase.
Sei la mia prima figlia, ovvio che sì.
La prima figlia che avrebbe dovuto essere amata e protetta, che adesso È una donna in parte spezzata. Forse avrebbero potuto essere migliori, una vera famiglia, ma oramai È tardi.
La vita È una sola e non capisce perché debba fare così male.
Dopotutto lo odiava.
Sì, ti odio, ti detesto.
 
«Fiona, mi vuoi bene?»
«Sei il mio unico padre, ovvio che sì.»


Nota dell'autrice
Questa brevissima one-shot nasce da un rewatch che sto facendo (in attesa che esca l'ultima, sigh). La mia unica storia in questa sezione l'ho scritta tre anni ed era una Gallavich, adesso invece avevo bisogno di scrivere del rapporto tra questi due personaggi che amo (sì, anche Frank con i suoi mille difetti). Perché Frank nella seconda parte è morto? Perché sono fermamente convinta che la serie si concluderà con la sua morte, sarebbe d'effetto e giusto e sarebbe un modo per riunire attorno alla sua morte TUTTI i personaggi (sì, soprattutto Fiona, a cui hanno dato un trattamento orribile nelle ultime stagioni, ma lasciamo stare). L'ho scritta di getto e non ha grandi pretese, però ne avevo bisogno, perché c'è dramma e dolore nel rapporto tra Frank e Fiona (e in tutto Shamaless a dirla tutta).
Spero vi sia piaciuta.
   
 
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