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Autore: Miryel    11/10/2020    6 recensioni
«Tony, non c'è amore, non c'è traccia di sentimento. Non c'è chimica, non c'è attrazione fisica, non c'è niente di tutto questo ma…», esordì Peter, poi la sua voce si fece microscopica. «Dimmi che lo senti anche tu.» Si morse le labbra e gli occhi gli si illuminarono di speranza.
Cosa? Quell'irrefrenabile desiderio di non smettere un solo istante di parlare con lui? Sì, lo sentiva.
«No. Non lo sento. Non sento niente di niente.» Mentì.
[Soulmate!AU / Young!Tony x Peter / Introspettivo]
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Howard Stark, Jarvis, Peter Parker/Spider-Man
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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[Soulmate!AU / Young!Tony x Peter / Introspettivo]

«Non pensavo che mi sarei innamorato di qualcuno nel modo in cui mi sono innamorato di lui. 
E certamente mai avrei immaginato per un momento che due persone potessero innamorarsi a vicenda e che non potessero stare insieme.  
Onestamente, mi distruggo ancora per questo concetto.»
- Ranata Suzuki
 


Rewrite
  The
  Stars


«You claim it's not in the cards Fate is pulling you miles away
And out of reach from me But you're here in my heart
So who can stop me if I decide That you're my destiny?»


Graphic by @Fuuma ♥



 
 
| Capitolo III

 

         Un pomeriggio in sala giochi, visto dall’esterno, sembrava un’abitudine talmente normale che Tony incamerò quell’esperienza con un velo di malinconia e occasioni perse ad avvolgerla. Non gli era mai mancata occasione di passare del tempo a fondersi il cervello con i videogame, ma era la solitudine a fare la differenza. Quando MJ aprì la porta della sala, un'eco di suoni confusi e di risate lo avvolse: ragazzini e giovani adulti si divertivano spensierati con ancora indosso i loro zaini e la giornata scolastica addosso, ma per nulla intenzionati a tornare a casa e perdersi quel pomeriggio di chiacchiere e sfide con gli amici. Tutto perfettamente nella norma, tutto estremamente ordinario, così tanto che si sentì ancora più escluso da quel mondo, quando si ricordò delle proprie giornate dedicate alle attività musicali obbligatorie, alle lezioni di economia di suo padre e a quell’atmosfera artificiale che aveva sempre sentito addosso sin da quando era bambino. Deglutì un malloppo d’aria in gola, mentre Peter lo spingeva dentro sorridendogli, fin troppo comprensivo. Sembrava aver capito i suoi pensieri; sembrava averli sentiti come se, tra le loro menti, vi fosse un legame così forte da rendere qualcosa del genere possibile e, quando lo trascinò verso una postazione con due fucili rossi, e un grosso cabinato che ospitava un gioco molto vecchio, non seppe cosa fare.

«Non ho monete, in realtà. Solo la carta di credito», si sentì di dire, mentre si tastava le tasche vuote. Peter alzò le spalle e tirò fuori una manciata di gettoni dai pantaloni e, infilandone uno nel cabinato, lo invitò a prendere il fucile tra le mani e a fare l’unica cosa che avrebbero dovuto fare lì dentro: divertirsi. Non era semplice, era tutto troppo nuovo e il suo disagio lo aveva reso muto. Era così che si comportava quando si sentiva fuori posto e incapace di agire normalmente, palesando la sua solita aria saccente; ma cosa voleva mai sapere, uno come lui, di cosa significava vivere davvero? A quel modo, poi? Come avrebbe dovuto fare qualsiasi ragazzo della sua età.

«Offro io, per oggi. La prossima volta ti fai trovare preparato, però», asserì Peter e, cominciando la partita, lo mise subito in difficoltà. Si vedeva che era abituato a quel tipo di attività: era preciso e spensierato, lui invece era rigido e fin troppo razionale. Non si lasciava andare e non viveva il momento e, per qualche ragione, quasi gli venne voglia di dirgli che no, non era il luogo per lui e che forse sarebbe stato meglio tornare a casa. Solo che, ogni accidenti di volta che il sorriso di Peter gli splendeva addosso, Tony non riusciva a dire niente che potesse spezzare quei momenti. 

Poi lo colpì, forse per un colpo di fortuna o forse perché iniziava ad entrare nell’ottica di gioco, ma alzò le sopracciglia, orgoglioso di sé.

«È solo fortuna», rise l’altro, e quando si voltò a guardarlo lo trovò con la lingua tra una guancia, concentratissimo a fare meglio di quanto già non stesse facendo per batterlo. Ma Tony aveva già perso, e non solo nel gioco, ma nella vita. E fu per quel motivo che decise, infine, di dare il massimo lo stesso perché, in fin dei conti, sapeva bene che quella giornata non si sarebbe mai più ripetuta. Né con Peter, né con nessun altro. Sarebbe tornato a casa, suo padre gli avrebbe palesato tutta la sua delusione e, per altri dieci o quindici anni, avrebbe speso il suo tempo a fare solo ed esclusivamente cose che non gli andava di fare.

Gli venne quasi il magone, al pensiero, ma le sue dita erano più leggere, serrate intorno a quel grilletto, mentre esultava ogni volta che colpiva Peter e questo metteva su una delle sue buffissime espressioni deluse, ma non si arrendeva e si impegnava ancora di più. Esattamente come stava facendo con quella loro conoscenza. Era l’unico che, in qualche modo, ci stava almeno provando a renderla concreta, vivendo il presente e sperando in un domani. 

Un domani che Tony voleva. Lo voleva con tutto se stesso. 

Non conosceva bene Peter, non così tanto da poter asserire che stava nascendo un interesse, ma la sua presenza era piacevole e, tra la frustrante routine della sua vita al di sopra della normalità, necessaria. Probabilmente sarebbe accaduto con qualsiasi altra persona appartenente a quell’universo così diverso da suo, e di questo era convinto – o voleva convincersi – ma niente gli avrebbe estrapolato via la consapevolezza che era così che voleva che andassero le cose, per sempre. Una vita costruita diversamente da quella che suo padre aveva già progettato per lui.

«Migliori in fretta», gli concesse Peter, quando la partita finì con la sua vittoria schiacciante e, quando si passò una mano tra i capelli un po’ sudati, Tony non riuscì a non perdersi in quel gesto distratto. Poi rise e gli diede un pugno sul braccio, amichevole. 

«Ed era la mia prima volta! Pensa tra qualche mese, quando sarò così bravo che sarai costretto ad ammettere la mia superiorità.»

«Mi farebbe proprio piacere vederti vincere, ma non accadrà», lo sfidò, con quel tono impacciato che, di minaccioso, non aveva niente. «Ce ne sono molti altri. Se ti va di provarli…», propose, poi e Tony annuì, puntando ad un simulatore di guerra che sembrava molto più moderno di quello che avevano appena provato. Peter sembrò ben disposto ad accontentarlo e, quando iniziarono a giocare, la mente di Tony fu decisamente più libera da tutti quei cupi pensieri che l’avevano ospitata fino a poco prima. 

Si stava godendo il momento, e l’unica pecca era la clessidra attaccata alla schiena che scandiva quel tempo e lo accorciava ogni istante di più. Un’ombra sulla testa che si faceva più nera ad ogni secondo, ma che i sorrisi splendenti di Peter rendevano meno inquieta e minacciosa. Si sentiva intrappolato tra l’oscurità e la luce. Tra il bene e il male. Concetti stupidi, da quinta elementare, che però non poteva fare a meno di elaborare.

Così spesero quel pomeriggio a sfidarsi ai videogame, a parlare un po’ a caso della loro vita, a conoscersi inconsapevolmente come non avrebbero dovuto fare per non rischiare di far avverare quella profezia che il destino aveva scritto per loro, segnando la loro pelle con quel simbolo identico. 

«Non puoi davvero fare niente di niente? Uscire con gli amici, svagarti…?», chiese Peter, quando si sedettero poi al bancone del bar della sala giochi, mentre Ned e MJ erano rimasti incollati a un vecchio cabinato di Puzzle Bubble e sembravano per nulla disposti a lasciarla. 

Tony diede un sorso alla sua Coca Cola e poi alzò le spalle. «No. La mia vita è programmata per un futuro già scritto: prima o poi la società diventerà mia e devo essere pronto ad affrontare ogni difficoltà per non farla crollare.» 

«Ma è ridicolo vivere solo in funzione di questo. La vita è anche altro, non solo responsabilità e profitti. Tuo padre non ce l’ha avuta, un’infanzia?»

Gli venne da ridere, a quel pensiero. Le foto di suo padre, che tappezzavano la casa insieme a quelle di sua madre, lo rappresentavano in vari archi temporali e, quelle dove aveva la sua età, mostravano un giovane e serioso uomo d’affari in potenza, sempre in giacca e cravatta e lo sguardo proiettato ad un futuro brillante che, infine, aveva abbracciato. Solo che Tony non era suo padre, e il loro rapporto incerto lo aveva convinto che non voleva nemmeno diventare come lui. Era più ribelle, più libertino, soffocato da una vita che gli stava stretta e su cui erano stati già posati troppi tasselli; come un pacchetto pronto e imballato, pronto per essere aperto senza aver fatto niente di niente per sceglierne un altro. E, per quanto Peter fosse in qualche modo qualcosa di già stabilito, non riusciva a coinvolgerlo in quel suo pensiero distruttivo e triste. Lo vedeva più come una speranza, come un cambiamento, come… una scelta, malgrado poi fosse destinato a lui sin dagli albori. 

«A casa mia il libero arbitrio non è contemplato. Quando sarò maggiorenne vedremo… magari riesco a prenderla, una decisione totalmente mia. Fino a quel momento ho le mani legate.» 

Peter sembrò voler palesare ancora la sua indignazione, di fronte a quel fatto, ma tacque e Tony sapeva benissimo il perché. Non c’era soluzione, non c’era una via di fuga e, per quanto di certo entrambi desiderassero che ci fosse, era ancora più triste il pensiero che probabilmente nessuno dei due era in grado di cambiare le cose. Così sospirò e basta.

«Mi dispiace molto.»

«La vita è piena di ingiustizie, me ne farò una ragione. E poi solo il pensiero di tornare a casa e sorbirmi una sua ramanzina mi fa uscire di testa. Che palle…», borbottò Tony, tornando a nascondersi dietro la sua bevanda, chiaramente troppo esposto per andare oltre ma… Peter aveva il potere di farlo parlare  a briglia sciolta, senza filtri. Quasi aveva il desiderio che divenisse il suo confidente, un amico a cui raccontare tutte quelle cose che non avevano una soluzione, certo, ma che anche solo tirarle fuori faceva bene. Era questo, anche, un rapporto di amicizia. Ascoltare e alleggerirsi del male di vivere. 

«Perché non…», esordì Peter, poi si bloccò e arricciò le labbra, quando Tony si voltò a guardarlo incuriosito. Questo sembrò zittirlo e, allo stesso tempo, convincerlo a proseguire. «Perché non resti qui? Per una notte, intendo. Tanto ormai sei già nei guai e non ti va di tornare. Forse se sparisci tuo padre capirà c-» 

«Capire?», rise, senza entusiasmo. «Mio padre non sa nemmeno cosa significa capire le persone. No, non posso – o meglio, lo farei anche, se non ci andasse di mezzo Jarvis. Se fosse qualcun altro avrei già detto di sì, ma lui è l’unica persona che…»

«Che ti capisce?» Tony annuì, poi rilassò le spalle, sconfortato all’idea che, più quella conversazione andava avanti, più l’idea di tornare a casa diventava sempre più frustrante. 

«Mi staranno già cercando. Mi avranno riempito di telefonate e avranno fatto un giro infinito di chiamate ai contatti più vicini che ho. È una bella rottura dal quale non so come uscirò ma non posso restare ancora. Ogni istante che passa rischio sempre di più la galera; anzi, la galera sarebbe una gran bella liberazione, ad essere onesti. Mi porterai le arance?», chiese, e Peter, preso per un secondo in contropiede da quella battuta, sussultò sulle spalle, poi scoppiò a ridere.

«Certo. E in mezzo ci nasconderò una lima, così potrai tagliare le sbarre e scappare. Dopotutto sono la tua Anima Gemella, spetta a me salvarti.» 

Il sorriso che si scambiarono e che dunque seguì quella frase, alleggerì di nuovo l’atmosfera, e Tony sentiva ogni momento un filo legarlo a cuore di Peter, che invece sembrava ignaro di tutto. Forse spensierato, forse aveva già accettato quel fatto e, inconsciamente, cercava solo di non spezzarlo. Tony avrebbe fatto lo stesso, ignorando ogni conseguenza, ma aveva paura. Paura di qualcosa che, comunque, affrontarlo non avrebbe dato i frutti che sperava. 

Alzò il polso per guardare l’ora, scoprendo che erano già le sei del pomeriggio e che, probabilmente, era arrivato il momento di andar via. Alzò gli occhi su quelli di Peter, che lo fissava speranzoso; pregno di aspettative che Tony non poteva risolvere.

«Pensaci, al fatto di restare. Una notte sola, magari facciamo un pigiama party a casa di Ned. Tanto la sfuriata te la becchi comunque, io ne approfitterei per godermela fino in fondo, questa libertà.»

«Mobiliterà la CIA se non torno a casa… e non mi va», fu la sola risposta, che dietro nascondeva un desiderio di domandargli cosa avrebbe fatto lui, al suo posto; se avrebbe davvero rischiato pur di restare con lui assecondando un desiderio dato dal semplice istinto. O dal destino. Ma era scomodo pensare che fosse opera sua. 

Peter abbassò per un secondo la folta corolla di ciglia, che gli nascose gli occhi castani e frizzanti per troppo tempo e, quando tornò a guardarlo, annuì lentamente. Capendo le sue necessità ma probabilmente non riuscendo ad accettarle. Come se invece, a Tony, andasse bene così…

«D’accordo. Va bene. Se sei più tranquillo così, capisco. Un po’ ci spero di darti la rivincita a Metal Slug, comunque», ammise, nascondendo dietro quella scusa il desiderio di rivederlo.

Tony rise, buttando giù la malinconia che lo aveva colto. «La pretendo, a dire il vero.» 
 

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Si incamminò verso casa sperando che quel tragitto potesse durare per sempre. L’idea di raggiungere la meta non lo entusiasmava per niente e, mentre metteva un piede davanti all’altro per raggiungere la fermata dell’autobus, cercava di elaborare una scusa coerente e, nel caso, anche un’ipotetica discussione con suo padre; era inevitabile che accadesse. Non era mai mancato da casa senza che i suoi genitori sapessero dov’era e quando sarebbe tornato. Quell’uomo non tollerava ritardi di mezz’ora, figurarsi ore intere che avrebbe dovuto giustificare con una bugia credibile. Sbuffò all’idea che non gli stesse venendo in mente niente di credibile e, infilando le mani nelle tasche della giacca, sussultò. Sentì qualcosa di ruvido a contatto con i polpastrelli e, quando estrasse un foglietto che era sicuro non gli appartenesse, lo fissò con aria confusa, fermandosi in mezzo al marciapiede. 

L’aria si era rinfrescata e la luce del tramonto bagnava la strada d’oro, rendendola più accogliente e, allo stesso tempo, la pantomima di uno scenario post apocalittico. Aprì il foglio piegato a metà e ne lesse il breve contenuto: un numero di telefono e un nome, quello di Peter. Doveva aver fatto scivolare il foglietti quando aveva appoggiato la giacca alla sedia del bar e, senza dirgli nulla forse per paura che avrebbe avuto da ridire a riguardo di quella scelta che implicava l’idea di risentirsi, aveva poi continuato a comportarsi normalmente.

Capiva il bisogno di Peter di mantenere quel contatto, perché aveva pensato più o meno alla stessa cosa ma, l’idea che comunque ogni proposito di vedersi potesse essere bloccata dal suo vecchio, lo aveva fermato. Ammirava il suo coraggio, dato da una vita di certo più semplice. No, non era più semplice, era diversa ma almeno, dalle sue parti, i desideri poteva essere assecondati senza troppe ripercussioni. Si passò una mano tra i capelli e si ripromise che avrebbe pensato se scrivergli o no solo dopo aver parlato con suo padre. Così quando si ritrovò davanti al grosso cancello automatico di casa, e citofonò mentre accendeva il telefono – che iniziò a suonare riempiendolo di notifiche di cui conosceva la fonte – la voce di Jarvis lo raggiunse piatta. Il primo segnale che le cose non poteva andare bene, quella sera.

Quando entrò in casa la trovò deserta dagli addetti, ma di fronte a lui, nel salotto principale, sua madre e suo padre lo aspettavano a braccia incrociate.

Maria aveva palesata in faccia una preoccupazione palpabile, e quasi gli dispiacque averle dato quel dispiacere. Si era portata un pollice alla bocca, mordendosi un’unghia e passava lo sguardo da lui a Howard. Immobile, austero, zero preoccupazione in viso, solo una delusione forte che lo inondò e lo fece quasi tremare. Strinse i pugni nella giacca; in uno di questi c’era stretto come una reliquia il foglietto con il numero di Peter.

«Ebbene?», chiese suo padre, solo, quando lui si fermò e Jarvis chiudeva la porta dietro le sue spalle, lentamente. Quando sentì il suono del chiavistello chiuse gli occhi preso alla sprovvista. Ogni rumore era come una bomba atomica esplosa a due centimetri dalle sue orecchie.

«Tony…», mormorò sua madre, e se avesse potuto le avrebbe chiesto di parlare, solo loro, nessun altro che loro. Perché lei, malgrado tutto, capiva sempre e lo supportava in ogni scelta, pur non potendo dargli quello che cercava dalla vita, perché anche lei prigioniera delle regole ferree della casa.

«Ho fatto tardi», disse solo, e Howard si esibì in una risata senza entusiasmo. Quella che gli aveva lasciato in eredità quando gli aveva trasmesso i suoi geni. 

«Jarvis non ti ha trovato all’uscita dal corso di Piano. Hai fatto tardi dove, Tony? Dove accidenti te ne vai, senza avvertire?» 

«Avvertirti? E per quale motivo? Ora devo anche giustificare una passeggiata in città? Non sono mica tuo prigioniero.» 

«Hai anche da ribattere? Ti abbiamo cercato ovunque, hai spento il telefono, invece di usarlo per avvertire noi e il tuo maggiordomo che avresti perso del tempo a bighellonare in giro. Perché è questo, quello che hai fatto. Oltre la figura nera che mi hai fatto fare con i Carter.» 

Tony alzò le spalle e, indifferente, distolse lo sguardo puntandolo con insistenza verso un vecchio arazzo di famiglia dove lui non era ancora stato inserito. Un sollievo, in effetti, che non ne facesse parte. «Figura nera? Papà, la mia presenza alle tue riunioni implica il mio mutismo, perché se apro bocca fai solo brutte figure. Parole tue, non mie, dunque per quale motivo dovrei prenderne parte? Per fare la bella statuina?»

«Per imparare qualcosa! Ma è chiaro che non sei in grado di capirlo e, soprattutto, comprendere quanto un’assenza possa offendere qualcuno che è venuto qui anche per te!» 

«Per me? I Carter sono più interessati all’idea che io possa sposare la loro figlia e accaparrarsi una buona dose ei tuoii soldi. Sai che gliene importa, di me?»

«Non sei tu a decidere cosa fare o cosa non fare. Sei sotto la mia supervisione, e finché sarai sotto questo tetto e usufruirai dei miei guadagni per vivere, farai quello che dico io!» 

«Allora forse sotto questo tetto non ci voglio stare più! Pure se questo comportasse la decisione di vivere sotto ad un ponte! Piuttosto la povertà, il freddo, la morte, sono meglio di questo inferno dove mi vuoi rinchiudere. Dove mi hai già rinchiuso!» Lo disse stizzito, arrabbiato, deluso, e si sentì terribilmente solo, finché non incrociò lo sguardo di sua madre, che tutto palesava oltre che la delusione che forse meritava. Era triste, muta, senza alcuna voce in capitolo, quando quel supporto ce lo aveva stampato negli occhi ma non poteva dedicarglielo. Non davanti a suo padre.

Howard strinse i pugni e, con uno scatto, gli si avvicinò e lo prese per un braccio, saldamente e lo strattonò.

«Howard, per favore!», cercò di fermarlo sua madre, ma entrambi le riservarono un’occhiata che la fece indietreggiare.

«Dove accidenti sei stato?»

«A fare una passeggiata in città, te l’ho detto. E mi stai facendo male», protestò, cercando di divincolarsi.

«Ti sei visto con quel ragazzo, non è così? È lui che ti ha messo in testa certe cose?»

«Quale ragazzo? Ma di che accidenti stai parlando? Sei impazzito? Non ho bisogno di qualcuno che mi metta in testa strane idee; e lasciami!»

Suo padre serrò le labbra e lo lasciò, con un gesto brusco. Tony si prese il braccio con una mano, massaggiandolo. L’uomo lo guardò dall’alto in basso, poi gli mostrò una mano con il palmo rivolto verso il soffitto e, duro, soffiò aria dal naso.

«Dammi il tuo cellulare.»

«Non troverai niente di niente. Non mi sono visto con Peter, se è quello che pensi!» 

«Dammi il cellulare», ripeté, poi avvicinò di più la mano al suo viso. «Non impari, Tony. Sei nella tua fase di ribellione? Bene, e io ti faccio passare la voglia di ribellarti! Ti confisco il telefono e tutto ciò che ti possa permettere di comunicare con l’esterno. Niente lezioni di piano per un mese, niente visite di Banner e Rogers il sabato sera, niente interazioni a parte quelle con me e tua madre. C’è una lezione che devi imparare.»

«Ovvero quella che non ho una mia vita, a parte quella che tu hai deciso per me?»

«Quella che il tempo dei giochi è finito, e che quello delle responsabilità è appena iniziato. Dammi il cellulare», ripeté, infine, e si guardarono intensamente per secondi interi, pregni solo di odio e rancore. Di lontananza, di incapacità di comunicare; di comprensione. Come sempre. 

Tony sospirò e tirò fuori il telefono dalla tasca. Glielo porse con un gesto secco e, cupo come il cielo nero d’inverno, lo superò cercando perlomeno di raggiungere la propria camera e restare da solo per un po’. Gli aveva appena tolto, inconsapevolmente, anche la possibilità di comunicare con Peter; anche di sentirlo, scambiare due chiacchiere e farsi salvare anche solo con una frase di conforto. 

«Tony?», lo chiamò sua madre, piano, e lui fece solo finta di non averla sentita. 

«Quando ti chiameremo per la cena farai bene a scendere immediatamente. Oggi posso ben sperare che tu abbia finito di comportarti come un teppista.» Ignorò anche suo padre e, quando passò accanto a Jarvis, questi gli mormorò velocemente qualcosa. Lui si rizzò sulla schiena e annuì leggermente; Tony sperò che lo avesse visto solo lui e che la cosa fosse rimasta, come sempre, tra loro. 

No, non era tempo di comportarsi come un teppista, ma di porre fine a quella vita che somigliava di più ad una prigione. Gli tremavano le mani all’idea che forse, ora, avrebbe davvero combinato il guaio più grosso della sua vita ma, dopotutto, rischiare era meglio che restare schiacciati tra quelle mura. 

 


Fine Capitolo III
 


 

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Torte | Pasticceria Cappelli Parma
Carissimi!
Come la va? Sono giorni un po' intensi e... non ho tempo ç_ç non ho tempo, sebbene questa storia sia già bella che scritta, va comunque revisionata ad ogni pubblicazione e non c'ho tempo. Vorrei, anche per scrivere nuove cose ma, ehi, non sono qui per regalarvi del buon sano melodramma, quindi la smetto e... spero che questo capitolo vi sia piaciuto, spero che la storia non vi stia annoiando, spero che questi due vi stiano facendo dannare come lo hanno fatto con me mentre la scrivevo (Gesù, tre mesi d'inferno, mi faranno andare in terapia... qualsiasi sia la storia, mortacci loro ♥ Ma li amo, non ce posso fa niente ç.ç )
Ringrazio chiunque abbia deciso di proseguire, chi ha listato/recensito la storia e, dunque, senza molto altro da dire – a parte... vedrete! Vedrete, non dubitate! – vi do appuntamento alla prossima settimana con già il quarto capitolo (siamo a metà, dunque ** visto che saranno 8) e vi ringrazio tutti augurandovi in week end molto felice ♥
A presto,
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Torte | Pasticceria Cappelli Parma
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La vostra amichevole Miryel di quartiere.

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