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Autore: Soul of Paper    11/10/2020    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 46 - La Pantera, il Pitbull ed il Toyboy


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.



 

“Grazie per aver accettato di incontrarmi.”

 

“Si figuri, dottoressa! Lei è una mezza leggenda qua in procura, è un piacere conoscerla di persona.”

 

Il dottor Mazzetti - un cinquantenne dai capelli brizzolati scolpiti in una pettinatura quasi perfetta e dall’aria di chi ha un’altissima opinione di se stesso - strinse la mano ad Irene con entusiasmo, mentre a lui non rivolse nemmeno un cenno di saluto.

 

Irene si accomodò e gli fece segno di sedersi accanto a lei, lui eseguì, pronto col taccuino a segnare qualsiasi informazione importante.

 

“Di cosa voleva parlarmi, dottoressa?”


“Del processo su Fumagalli. Di come sta andando il procedimento e chi saranno i testimoni, in particolare.”

 

“E perché lo vorrebbe sapere?” le chiese, con aria stupita.

 

“Per vari motivi, tra i quali il fatto che a breve avrò a che fare con l’avvocato Villari nel mio processo a Roma.”

 

“Beh… che Villari sia l’avvocato più temuto qua a Milano già lo sa, immagino.”

 

“Certamente, o non sarei qui. Vorrei capire… il suo modus operandi. E, se lei mi aiuterà, potrei avere in mano a breve informazioni che potrebbero esserle utili anche per il suo processo.”

 

“A breve quando?”

 

“Diciamo… nel giro di qualche settimana al massimo, se mi aiuterà. Sarebbe disponibile al limite a venire a Roma per un incontro? Sa… meno orecchi indiscreti.”

 

“Beh… una trasferta romana, poi con una collega come lei… non mi dispiacerebbe affatto, dottoressa,” proclamò Mazzetti e Calogiuri notò come lo sguardo di Irene si indurì leggermente, “le farò avere tutte le informazioni di cui ha bisogno, non si preoccupi.”

 

Irene sorrise ma percepiva distintamente quanto fosse tesa.

 

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“Dottore, aveva bisogno di me?”

 

Il sorriso di lei, dolce e gentile come sempre, gli sembrò quasi dissonante in mezzo a quel disastro, ma fu pure stranamente un conforto.

 

“Sì, Mariani. La dottoressa Tataranni è… è chiusa in bagno da un po’. Può verificare che non si sia sentita male? Io non posso entrare nel bagno delle donne, come può immaginare.”

 

“V-va bene, dottore. Ma la dottoressa non stava bene?”

 

“Problemi di stomaco, credo, Mariani,” rispose, stando sul vago, perché non voleva rivelare a tutti delle foto, almeno finché non fossero uscite.

 

Mariani annuì e la vide entrare in bagno. Trattenne il fiato mentre si sentiva diviso tra la voglia di strozzare il maresciallo, non appena ce lo avesse avuto davanti, e la preoccupazione per quello che stava passando Imma.

 

Se mai gli avesse dato una possibilità, una sola, lui non l’avrebbe mai fatta soffrire.

 

Ma lei era innamorata di quel cretino e, lo sapeva bene, i sentimenti non svaniscono da un giorno all’altro, purtroppo.

 

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“Dottoressa?”

 

Per poco non fece un salto.

 

Mariani.

 

Era chiusa in uno dei cubicoli dei bagni. Dopo aver vomitato aveva preso a piangere, senza riuscire a frenarsi, e non voleva farsi vedere in quel modo.

 

“Dottoressa, tutto bene?”

 

“S- sì, Mariani. Aveva bisogno di me?” chiese, maledicendosi per la voce che si spezzava a tradimento.

 

“No, ma… c’è il dottor Mancini che è preoccupato. Mi ha detto che non stava bene di stomaco. Ha bisogno di qualcosa?”

 

Mancini.

 

Sempre premuroso, sempre solerte, sempre discreto.

 

“No, Mariani. Tra… tra un attimo esco, ma è che… sono un po’ un disastro. Credo che il trucco sia da buttare.”

 

“Se vuole ho delle salviette umide che vanno bene anche come struccante.”

 

Provò un moto di tenerezza: Mariani pure era premurosa, solerte e discreta.

 

Aggettivi che, almeno una volta, avrebbe rivolto pure a qualcun altro. Ma il solo pensarlo era un pugno in piena pancia, quindi si costrinse a ragionare su come uscire da lì con quel poco di dignità che le era rimasta ancora intatta.

 

“Va bene, Mariani, se può… la ringrazio.”

 

“Torno subito, dottoressa!”

 

Aspetto di sentire la porta richiudersi e poi uscì dal cubicolo, affrettandosi a lavare mani e viso, prima che le lacrime sembrassero troppe pure per una che aveva appena vomitato l’anima.

 

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“Dottoressa. Vuole che la riaccompagni a casa? Grazie, Mariani.”

 

Mariani colse immediatamente il congedo implicito nel tono di Mancini e, dopo averle lanciato un ultimo sguardo preoccupato, si allontanò.

 

“Non- non lo so, dottore. Lo sa che… che non amo assentarmi,” gli rispose, a fatica, notando come anche il procuratore capo sembrasse molto in apprensione.

 

“Dottoressa, lo so, ma… ma se dovessero uscire oggi certe notizie, forse è meglio che lei non si trovi qui e che stia a casa, al sicuro, prima che… arrivino frotte di giornalisti.”


“Sa anche che non mi piace scappare dai problemi, no?”

 

“Lo so, ma… diciamo che è un ordine, dottoressa. Stia a casa, al riparo, finché non capiamo come affrontare… quello che ci arriverà addosso. Anche come procura.”

 

Imma sospirò. Sapeva che Mancini aveva le sue ragioni ed i suoi problemi e lei… si sentiva ancora uscita da una lavatrice, oltre che come se l’avessero presa a cazzotti. Non sarebbe stata in grado di affrontare i giornalisti a testa alta, non quel giorno.

 

Sull’affrontare lui… la sola idea di rivederlo le procurava rabbia e nausea insieme.

 

Se pensava a tutti i giuramenti che le aveva fatto, guardandola negli occhi, che non l’avrebbe mai tradita.

 

E invece… era diventato bravo a mentire, anche se in quello lei gli aveva fatto da maestra.

 

Forse era il karma: chi di corna ferisce….

 

“Dottoressa, allora, mi permette di riaccompagnarla?”

 

“Ha sentito il… il maresciallo e la Ferrari?” gli domandò di rimando, non riuscendo nemmeno a pronunciare il suo cognome.

 

“No, purtroppo no, risultano sempre non raggiungibili. Magari sono di nuovo impegnati in qualche appostamento.”

 

“Immagino… o in qualche altro… limone,” sibilò, amara, trattenendo nuove lacrime che minacciavano di uscire insieme alla rabbia, “va bene… me ne torno a casa, dottore, ma solo a patto che lei faccia di tutto per cercare di bloccarle quelle foto.”

 

Non tanto per lei o per Calogiuri, che a quel punto si meritava qualunque figuraccia - pure se la più derisa per la sua hybris sentimentale sarebbe stata lei - ma anche e soprattutto per il processo.

 

Se la sua vita personale era allo sfascio, almeno quella professionale voleva cercare di salvaguardarla.

 

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“Ma… ma perché…?”

 

“Shhh, non dobbiamo farci scoprire, Calogiuri.”

 

Deglutì, tornando in silenzio e continuando il pedinamento di Mazzetti.

 

Lo seguirono a distanza, con discrezione, finché lo videro varcare l’inconfondibile ingresso della Procura di Milano.

 

“Va bene, Calogiuri, non possiamo proseguire oltre. Quantomeno è realmente tornato in procura, anche se potrebbe incontrarci pure Villari. Ma per ora dobbiamo aspettare.”

 

“Tu quindi temi… che potrebbe essere pure lui in combutta con Villari?” domandò, stupito.


“Non è che lo temo, Calogiuri, diciamo che… facendo questo mestiere, e soprattutto per questo tipo di inchieste, non bisogna fidarsi di nessuno. Nemmeno di PM o giudici. Ma per ora… vediamo che combinerà Mazzetti nelle prossime settimane e se mi farà avere o meno le informazioni che gli abbiamo chiesto.”

 

Annuì, pensando che Irene quasi era più paranoica di Imma, e poi la seguì mentre si incamminava verso la zona dell’hotel.

 

“Che vuoi fare ora?”

 

“Niente, Calogiuri. Torniamo al bar dell’hotel e possiamo continuare a consultare le informazioni che abbiamo raccolto, prima che giunga l’ora di andarcene a prendere il treno per Roma. Anzi, a proposito, chiama Roma e senti se ci sono novità sull’autopsia del canoista ritrovato morto nel Tevere, che doveva essere pronta stamattina. Almeno vediamo se ci togliamo un’incombenza o se dovremo occuparcene nei prossimi giorni.”

 

“Va bene,” annuì, estraendo il cellulare e togliendo la modalità aereo che aveva inserito per il colloquio con Mazzetti e poi per l’inseguimento.

 

Vide che anche Irene faceva lo stesso.

 

Pochi secondi ed il telefono cominciò a vibrare senza sosta.

 

Una sfilza di chiamate perse: Mancini e Mariani.

 

Mancini aveva persino lasciato un messaggio in segreteria.

 

Pure il cellulare di Irene sembrò come impazzito e si guardarono per un attimo.

 

“Mancini e Mariani,” le disse, in una domanda implicita.


“Mancini,” rispose lei e Calogiuri sentì un tuffo al cuore.

 

Mancava un nome all’appello, che in caso di emergenza solitamente gli intasava il telefono di notifiche.

 

Imma.

 

Col terrore che fosse lei l’emergenza, che le fosse successo qualcosa, in automatico selezionò il suo contatto e provò a chiamarla.

 

Uno, due squilli e poi il cellulare ammutolì.

 

Gli aveva staccato la chiamata.

 

Sempre più preoccupato, stava per richiamarla, quando il telefono riprese a vibrare.

 

Il sollievo durò il tempo di leggere il nome sul display.

 

Mariani

 

“Pronto?” rispose, trattenendo il fiato e preparandosi al peggio.

 

“Dove sei?! Che stai combinando?! Come hai potuto, ma sei scemo?!”

 

La sfilza di domande gli perforò quasi il timpano: non aveva mai sentito Mariani parlare con quel tono così concitato e furioso.


“Eh? Io… che stai dicendo?”

 

“Che sto dicendo?! Ho sentito Mancini ed Imma parlare, anche se loro pensavano non li sentissi. Usciranno foto che credo coinvolgano te, la Ferrari ed un limone… di che pensi che sto parlando, eh?!”

 

“Un limone?” chiese, stupito, non capendo cosa c’entrassero gli agrumi.

 

“Un bacio, Calogiuri, appassionato, c’hai presente, sì? Ed immagino tu sappia di cosa parlo meglio di me.”

 

Sentì il sangue precipitargli nei piedi, la testa che gli girava.

 

Non era possibile… non potevano averli fotografati proprio in quel momento!

 

Lanciò un’occhiata ad Irene, che lo guardò, preoccupata, “ti senti bene, Calogiuri?”

 

“Imma… Imma ho provato a chiamarla ma non mi risponde….” disse, quasi più tra sé e sé che rivolto a qualcuno.

 

“E ci credo che non ti risponde!” ribattè però Mariani, sempre più arrabbiata, “ma ti rendi conto del casino che scoppierà qui se esce una cosa del genere sui giornali? Cosa ti è saltato in mente?! Come hai potuto?!”

 

“Chiara, non è come pensi, era… era solo lavoro, mi devi credere. Poi ti spiego.”

 

“Lavoro?! E che lavoro sarebbe? E comunque non devi pensare a spiegare a me e a farti credere da me, ma devi farlo con Imma, che stava malissimo, pure se faceva finta di niente. Ora è a casa, vedi di muoverti e spero che tu una spiegazione ce l’abbia davvero, Ippazio, e non una di quelle cose cretine che dite voi uomini per giustificarvi.”

 

“Ce l’ho, ce l’ho. Io Imma non la tradirei mai e poi mai.”

 

“Ecco, magari una frase più originale con lei, Calogiuri, che questa è una delle scuse più vecchie del mondo, insieme al non è come pensi e al posso spiegarti tutto.”

 

Silenzio.

 

Mariani aveva messo giù.

 

“Cos’è questa storia di tradire Imma e del limone?” gli domandò Irene, guardandolo però con l’aria di chi aveva più o meno già capito.

 

“I giornalisti devono averci fotografati mentre… insomma… mentre mi baciavi per copertura e… e ora Imma non risponde e….”

 

Irene sospirò scuotendo il capo e passandosi una mano sulla fronte, in un modo che non lo rassicurava per nulla.

 

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“Dottoressa, vuole che rimanga un po’ qui o preferisce che le chiami qualcuno? Sua figlia, magari… in caso si… si sentisse male di nuovo.”

 

Si era mezza accasciata sul divano e Mancini appariva quasi a disagio, tanto che stava ancora in piedi come un soldatino.

 

E come sempre i pensieri la riconducevano a lui, mannaggia a lei!

 

“No, dottore, non si preoccupi. Non avrò altri malesseri e me la cavo da sola. Voglio soltanto starmene un poco per conto mio e non sentire né vedere nessuno.”

 

“Senta… è… è sicura di non voler parlare nemmeno con il maresciallo?” le domandò ed Imma spalancò la bocca dalla sorpresa perché quella frase da lui non se la sarebbe mai aspettata. Mancini sembrò ancora più in imbarazzo, “mi scusi ma… ho visto il suo nome sul display e che lei ha rifiutato la chiamata.”

 

“In questo momento no, dottore, voglio solo un po’ di silenzio. Ci parli lei, se vuole, per il lavoro, e magari pure con la cara dottoressa Ferrari. Io ci penserò più avanti.”

 

“Va bene… se ha bisogno di qualsiasi cosa però… il mio numero ce l’ha,” concluse Mancini, con aria esitante.

 

Ma, dopo un attimo, fermo in silenzio come uno stoccafisso, si voltò e se ne andò verso la porta d’ingresso.


Attese che se la fosse richiusa alle spalle, poi si avviò, ancora un poco tremante, verso la camera da letto, intenzionata a restarci distesa al buio fino a che avrebbe potuto. La testa le scoppiava, insieme a tutto il resto.

 

Fece in tempo a chiudere la porta quando li vide, sulla sedia lì vicino: i pantaloni e la felpa della tuta di di lui.

 

Una furia la prese. In due falcate, aprì l’armadio e ce li buttò dentro, per toglierseli dalla vista.

 

Poi si voltò verso il letto - per fortuna aveva cambiato le lenzuola per Diana - e la cornice sul comodino la salutò, beffarda, con la foto di loro due insieme che si baciavano al Pincio.

 

Ci si avventò quasi, la afferrò e stava per scagliarla contro al muro - e chi se ne fregava dell’intonaco! - quando la foto di loro due insieme, i visi sporchi di fuliggine delle castagne, le arrivò come una doccia d’acqua gelata.

 

La rabbia sparì, sostituita dal dolore, dalle lacrime e dai singhiozzi, dalla delusione, non sapeva se più verso di lui o verso se stessa.

 

Era lei quella più adulta, avrebbe dovuto essere anche la più razionale e capire che a lui una storia con lei non sarebbe potuta bastare per sempre, giovane e bello com’era. Certo, proprio con la peggiore delle gattemorte doveva cedere, ma… in fatto di donne aveva sempre avuto gusti terribili. Avrebbe dovuto impedirgli ed impedirsi di rivoluzionare le loro vite per una storia senza futuro.

 

Ma lo amava talmente tanto che non ce l’aveva fatta, non dopo le emozioni che le aveva fatto provare, per la prima volta in vita sua.

 

E forse pure per l’ultima.

 

Quante donne aveva conosciuto, con partner più giovani, che si tenevano strette il compagno, fingendo di non sentire il fascio di corna che si portavano in testa, pur di non perderlo, di non perdere il bello che comunque dava loro.

 

Ma, a parte che per lei sarebbe stato impossibile ormai non vedere, non era il tipo da accettare compromessi del genere. La sua dignità ed il suo amor proprio, per quanto feriti, venivano prima di tutto.


E poi Calogiuri le aveva mentito guardandola negli occhi, solo la sera prima, e… e questo lei non lo avrebbe mai potuto perdonare, ancora di più del tradimento fisico.

 

Aprì il cassetto del comodino e ci infilò dentro la cornice. Mentre lo richiudeva, pensò che avrebbe dovuto chiudere così anche il suo cuore, finché fosse stato necessario.

 

Anche se non era per niente facile.

 

Si lasciò andare sul cuscino, le lacrime che ancora scorrevano: avrebbe sfogato ora tutte le emozioni che provava, prima che lui tornasse.

 

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Ormai la mano non è che solo gli tremasse, vibrava non stop per via delle telefonate.

 

Mancini

 

L’ultima persona che avrebbe voluto sentire in quel momento.

 

Non servì nemmeno avvicinare il cellulare all’orecchio per sentire quanto fosse incazzato.

 

“Maresciallo, alla buonora! Non so quante telefonate ho fatto a lei e alla dottoressa Ferrari. Stanno per uscire foto vostre su internet e domani saranno sui giornali, non sono riuscito a bloccarle. Vi ritraggono mentre vi baciate e… devo dire altro?”

 

“Dottore-”

 

“Lei è un irresponsabile che evidentemente la professionalità non sa cosa sia, ma neanche un minimo di furbizia o di decenza. Da quando la conosco ci sono già stati troppi casini in questa procura a causa sua! L’Arma molto probabilmente aprirà un procedimento disciplinare nei suoi confronti. Ed io non sono affatto sicuro di voler tenere nella mia squadra un elemento che è più sui giornali per le cronache rosa che per quelle gialle o nere e che sta avendo relazioni con mezza procura!”

 

Mancini pareva un fiume in piena, non smetteva di urlare. Mariani in confronto era stata pacata.

 

Non sapeva se fosse più forte il senso di colpa o l’irritazione nel sentirsi fare la predica proprio da Mancini. Ma era il capo e non poteva perdere il controllo con lui: come minimo aspettava solo quello.

 

“Imma come sta?” chiese infine, perché era il suo primo pensiero e l’unica cosa che lo preoccupasse veramente, ancora prima di spiegarsi o giustificarsi.


“E come vuole che stia, maresciallo?! Sta malissimo, ovviamente, e questa pugnalata da lei non se la meritava. Ma del resto lei non se la merita una donna come la dottoressa!”

 

Calogiuri non ci vide più, stava per rispondere con un e voi invece pensate di meritarvela?! ma fece in tempo appena a pronunciare, “e voi invece-?” che Irene gli prese il telefono di mano e mise il vivavoce.

 

“Giorgio, scusami, ti ho messo in vivavoce, ma ti devo spiegare che-”

 

“Irene? Ma che t’è saltato in testa?! Siamo in una procura, non in una soap opera e da te mi aspettavo una prudenza diversa, soprattutto dopo quanto è successo in passato, e sai di cosa parlo.”

 

Irene sembrò colpita, come se le avessero tirato uno schiaffo. In effetti il tono di Mancini era duro, non quanto lo era stato con lui, ma non l’aveva mai sentito rivolgersi a lei in quel modo.

 

“Giorgio, lo so, ma non è come pensi. Era solo un bacio di copertura, per lavoro.”

 

“In che senso?”

 

“Non posso raccontarti i dettagli al telefono ma stavamo facendo un appostamento e la persona che seguivamo ci aveva quasi individuati a fotografarlo. Allora ho baciato Calogiuri, per non destare sospetti.”

 

“Ma con tutto quello che potevate fare proprio baciarvi?! Non stiamo in una fiction poliziesca!”

 

“Giorgio, che ti devo dire… è stato il primo istinto che mi è venuto sul momento. Ma è stata un’idea mia, Calogiuri lo ha solo subito e me ne prendo la piena responsabilità,” ribadì lei, decisa, e Calogiuri provò un moto di gratitudine nei suoi confronti per la veemenza con la quale lo difendeva, “e comunque a questo punto è evidente che siamo stati pedinati dai giornalisti ed è gravissimo. Tu come lo hai scoperto?”

 

“Tramite le intercettazioni a… tu sai chi… il fotografo lo ha chiamato per chiedergli se volesse comprargli le foto o cosa ne dovesse fare.”

 

“Ma allora tutto il lavoro di questi giorni può essere andato in fumo! Tu sai chi o i suoi fotografi potrebbero aver avvisato chi stavamo seguendo!”

 

“La credibilità di tutto il processo, anzi della procura può essere in fumo, Irene, non solo il lavoro degli ultimi giorni. Te ne rendi conto, voglio sperare?”

 

Vide Irene sospirare e passarsi nuovamente una mano davanti agli occhi.

 

“A questo punto anticipiamo il rientro, Giorgio: prendiamo il primo treno disponibile. Immagino che sia meglio fare una dichiarazione preventiva? Prima che escano le foto? Ma sai che non ho profili social e che non posso averne, per ovvi motivi.”

 

“Cercherò di organizzare una conferenza stampa per stasera qua in procura. Ma dovete essere pronti perché è probabile che le foto escano da un momento all’altro. Verrete sicuramente massacrati con le domande e dovrete essere molto convincenti. Confermami l’orario in cui arriverete a Roma che vi passo a prendere.”

 

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Un trillo fastidioso la riscosse da quella specie di catatonia in cui galleggiava.

 

Calogiuri

 

Il nome su display fu una mazzata. Rifiutò la chiamata nuovamente. Poteva capirlo pure da solo che non lo voleva sentire.

 

Il cellulare squillò un’altra volta e stava per incazzarsi ancora di più verso di lui. Ma stavolta il nome che lampeggiava era quello di Valentina.

 

Un peso nello stomaco, capendo che la notizia doveva per forza essere uscita e non poteva non parlarle.

 

Anche se una parte di lei avrebbe solo voluto nascondersi.

 

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“Niente?”

 

Scosse il capo, un senso di panico che quasi gli faceva girare la testa.

 

Imma aveva rifiutato la chiamata di nuovo. Non voleva parlargli e cominciava a temere di non riuscire nemmeno a spiegarsi, a spiegarle.

 

Capiva che fosse incazzata e delusa, certo che lo capiva, e la paura di perderla cresceva ogni minuto di più.

 

Finalmente le porte del treno si aprirono e ci salirono, raggiungendo la carrozza di prima classe ed i loro posti a sedere.

 

Il cameriere, solerte come sempre, arrivò per offrirgli loro il benvenuto e qualcosa da mettere sotto i denti, ma aveva tutto tranne che fame.

 

“Calogiuri, devi mangiare qualcosa, che poi chissà a che ora finiamo stasera, con la conferenza stampa.”

 

Sollevò gli occhi ed incrociò lo sguardo di Irene. Era molto preoccupata pure lei, si vedeva, lei che di solito era quasi imperturbabile. E questo non lo confortava di certo.

 

Rimasero per un attimo in silenzio, mentre il cameriere portava loro il solito finger food ed un bicchiere di champagne che gli provocò nausea al solo vederlo.

 

E poi il cellulare di Irene vibrò.

 

“Merda!”

 

Quelle due sillabe, pronunciate da lei, sempre così posata, furono il segnale definitivo.

 

“Sono… sono uscite le foto?” le chiese, il cuore in gola, ed Irene gli passò il telefono, con aria sdegnosa.

 

La Pantera, il Pitbull ed il Toy Boy.

Triangolo in Procura a Roma

 

Altro che sdegno: gli veniva voglia di dare un pugno al titolista.

 

E poi le foto, che pareva uno di quei fotoromanzi che leggeva sua sorella Rosa da ragazzina.

 

Un paio di scatti del bacio e poi loro che si allontanavano a braccetto.

 

Non sapeva nemmeno se leggere la spazzatura che sarebbe stato il breve articolo o lasciar perdere.

 

“Mi dispiace, Calogiuri. Non pensavo che… ti potessero riconoscere e seguire pure insieme a me. Sai, Imma nel bene o nel male si nota subito, pensavo che io e te insieme risultassimo più… anonimi.”

 

“No, è anche colpa mia,” ammise, amaro, perché era stato un cretino, “avrei dovuto evitare certe cose di partenza ed avrei dovuto cercare di spiegare subito per telefono quanto era successo ad Imma.”

 

“Calogiuri, ma un conto è per il… privato… un conto è qualcosa che è successo per lavoro. Nelle operazioni questo genere di cose può succedere, e tu non hai fatto niente di male, anzi, ti sei sempre comportato da gentiluomo in questi giorni. Mi dispiace per averti creato problemi.”

 

Sospirò. Creato problemi era un eufemismo ma le cose si facevano in due ed era stato lui imprudente per primo. Avrebbe dovuto dare retta ad Imma e mantenere le distanze di sicurezza e non lo aveva fatto.

 

“Se non fossi stata con me ma con un altro collega quelle foto non ci sarebbero state. Quindi… spiace anche a me di averti coinvolto in tutto questo casino con i giornalisti,” ammise poi, perché alla fine era solo l’ennesimo colpo in una battaglia contro di lui ma soprattutto contro Imma, “ma ora l’unica cosa che mi interessa veramente è parlare con Imma, chiarirmi con lei, e non buttare via tutto il lavoro che abbiamo fatto in questi anni per il maxiprocesso. Poi se mi dovrò prendere le conseguenze sul lavoro me le prenderò.”

 

Irene scosse il capo e sembrò intenerita, ma poi gli intimò, perentoria, “non ci pensare nemmeno! Non ti permetterei mai di buttare via la tua carriera per una decisione mia. E sono sicura che pure Imma, al di là della rabbia e delle delusioni personali che potrà provare ora, penserebbe lo stesso.”

 

“Io spero solo che Imma non stia troppo male perché non lo sopporterei, sapendo che è anche colpa mia,” rispose, un nodo in gola, mentre si costringeva a leggere quell’immondizia di articolo che avevano scritto.

 

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“Valenti…” esordì, stando sul generico, giusto giusto in caso si trattasse di una coincidenza.

 

Anche se lei alle coincidenze non aveva mai ma proprio mai creduto.

 

“Ho visto le foto.”

 

Un colpo al cuore. Ma del resto Valentina era sempre stata diretta, a volte anche brutalmente.

 

Una delle cose che aveva preso da lei.

 

“Se becco quello stronzo lo ammazzo! Come stai? Hai bisogno di qualcosa?”

 

Gli occhi le pizzicarono nuovamente, ma stavolta per la commozione: Valentina era davvero cresciuta tantissimo.

 

Ma restava pur sempre sua figlia e lei sua madre.

 

“Valentì, non ti devi preoccupare, veramente. Ed ucciderlo al limite spetta a me,” le rispose, cercando di tenere un tono di voce il più possibile neutro.

 

“Sta ancora a Milano con quella?”

 

“Sì, dovrebbero rientrare stasera,” le spiegò, e la voce si incrinò al solo pensiero di doverlo affrontare.

 

“Farebbero meglio a sparire e non farsi più vedere!” sibilò invece Valentina, con un tono quasi degno di lei, “vuoi che venga lì? O venire tu qua?”

 

“Voglio solo stare da sola, Valentì. Te l’ho già detto, non ti devi preoccupare,” ribadì, mentre non poteva fare a meno di pensare che tanto non sarebbe cambiato niente: o lì o da Valentina tutto le avrebbe comunque ricordato di Calogiuri, quindi tanto valeva, “pensa a te stessa, all’università ed alle tue di relazioni, che ci manca che i ruoli si ribaltino.”

 

“Ti ho già detto che ti preferisco quando sei umana, mamma. Non serve fare la recita con me.”

 

“Insomma, mi preferisci quando soffro?” ironizzò, ed il sospiro le arrivò nitido pur al telefono.

 

“Ti voglio bene.”

 

Le lacrime se ne erano definitivamente scappate fuori e chi le fermava più. Tre parole a cui non era più abituata.

 

“Ti voglio bene pure io, Valentì. E ti ringrazio per la preoccupazione e soprattutto per non avermi detto te l’avevo detto!

 

Mise giù, prima che Valentina potesse rispondere: meglio non tentare troppo la sorte in quel giorno.

 

Ma il telefono riprese a trillare, che per poco non l’assordava.

 

Pietro

 

La nausea tornò prepotente: non era pronta ad affrontarlo perché lui, quasi sicuramente, non si sarebbe risparmiato con le frecciatine.

 

Respinse la telefonata e spense il telefono, lasciandosi cadere sul cuscino.

 

Per almeno qualche ora voleva solo il silenzio.

 

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“Che c’è?”

 

Irene doveva aver letto il terrore nel suo sguardo alla vista di quel nome.

 

Valentina

 

Non poteva non risponderle, ma sapeva già che non sarebbe stata una telefonata piacevole, anzi.

 

“Pro- pronto?” domandò, un po’ esitante, venendo subito travolto da un muro di decibel che neanche in discoteca.

 

“Sei uno stronzo! Bastardo! Ti avevo pure dato la mia fiducia! Ma sei uno di quelli che fa tutto il finto santo e poi invece… sei uno stronzo!”

 

“Valentina, non è successo quello che credi,” cercò di spiegarle, inserendosi nella sfilza di insulti.

 

“Quindi io e tutta Italia stiamo avendo allucinazioni visive su internet?”

 

Il sarcasmo di Imma. Pure nel panico, non poteva non sciogliersi al solo sentirlo.

 

“No, Valentina ma… era solamente lavoro, veramente, non… non tradirei mai tua madre. Mi… mi fa male solo a dirlo,” spiegò, la voce che gli cedeva, sperando che lei capisse e gli credesse.

 

“Lavoro? Quindi tra i compiti dei carabinieri adesso c’è anche infilare la lingua in gola a tutte le PM? Mi pare una novità!”

 

“No, no, era un bacio finto, ci siamo appena sfiorati. Non posso spiegarti nel dettaglio al telefono, ma se vuoi in privato-”

 

“Tu non hai capito che se ti becco di persona, altro che cantare nelle voci bianche!” lo interruppe, con un tono che gli fece capire che non scherzava affatto.

 

“Lo capisco che sei arrabbiata, Valentina, e… e mi sento uno schifo per tutto il dolore che sto dando a te e… e soprattutto a tua madre. Ma io la amo tantissimo e non farei mai niente che possa farle del male, non volontariamente, almeno.”

 

“Fai bene a sentirti uno schifo! E per il resto non contano le parole ma i fatti.”

 

“Hai… hai sentito tua madre? Sto provando a chiamarla da un po’ ma… mette sempre giù e sono molto preoccupato di come possa stare.”

 

“Dovresti più preoccuparti di come potrai stare tu e mamma vuole soltanto essere lasciata in pace.”

 

“Non posso lasciarla in pace, perché devo dimostrarle di non averla tradita, Valentina,” rispose, sperando, nonostante tutto, di riuscire a farsi credere.

 

“Se non ne hai le prove, e pure schiaccianti, tanti auguri!” ribattè, sarcastica, e Calogiuri sapeva che, conoscendo Imma, tutti i torti non li aveva, “e se veramente tu non l’avessi tradita, sarà meglio che fai di tutto e di più per spiegarglielo e per evitarle non solo di stare male ma pure l’umiliazione pubblica che le stanno dando e che le daranno.”

 

La telefonata si interruppe ma forse aveva una flebile speranza: era solo un se, al momento, ma forse avrebbe convinto Valentina, prima o poi.

 

Anche se la cosa più importante era che gli credesse Imma.

 

*********************************************************************************************************

 

“Salite, in fretta!”

 

Mancini aveva parcheggiato con la sua auto proprio all’uscita di Termini, in seconda fila pure - anche se era in buona compagnia - e non aveva perso mezzo secondo ad intimare loro di muoversi.

 

Calogiuri inserì rapidamente le valigie sua e di Irene nel bagagliaio e poi si infilò di corsa nel sedile posteriore. Irene era già seduta su quello del passeggero.

 

Mancini sgommò via, che per poco non finiva contro al sedile e ci lasciava il naso. Si allacciò la cintura, pregando di non lasciarci pure le penne.

 

“Ho fissato la conferenza stampa per le venti. Dobbiamo concordare su cosa dire e non dire. Vi porto subito in procura.”

 

Sapeva che contestare qualsiasi cosa al procuratore capo in quella condizione sarebbe stato più deleterio del solito, ma mancavano quasi tre ore e c’era una cosa che non poteva rimandare.

 

“Dottore, secondo me basta dire la verità, senza entrare nei dettagli dell’indagine, anche se lascio ovviamente a voi le valutazioni da fare. Ma… prima vorrei dirla ad Imma la verità. Non ci metterò molto e poi verrò in procura a piedi, il più rapidamente possibile.”

 

“Maresciallo, forse non mi ha capito. Non sono il suo autista, anzi, sono un suo superiore e dove andiamo lo decido io, visto che siete entrambi ancora in orario di servizio. Dovrebbe ringraziarmi che sto cercando di salvarvi la faccia e salvare la faccia della procura, dopo tutto quello che avete combinato!”

 

“Dottore, anch’io per primo voglio tutelare la procura ed il maxiprocesso, ci tengo tantissimo, veramente, ma prima di tutto devo tutelare Imma. Non voglio che abbia una spiegazione da una conferenza stampa. Almeno questo glielo devo.”

 

“Beh poteva pure pensarci prima, Calogiuri, a darle la spiegazione e magari a darla pure a me,” sottolineò Mancini, durissimo, gesticolando in un modo che gli fece temere potesse perdere il controllo del veicolo.


“Volevo parlare ad Imma di persona, guardandola negli occhi, lo avrei fatto stasera stessa, indipendentemente da quelle foto,” rispose, la pazienza che cominciava ad esaurirsi di fronte al tono e all’insistenza del procuratore, manco dovessero metterci tre ore per concordare una conferenza stampa con delle domande comunque imprevedibili, “o non sarà che tutta questa vostra insistenza sull’andare in procura subito deriva dal fatto che non aspettate altro che io ed Imma ci lasciamo, e sapete benissimo che Imma lo prenderebbe come un ulteriore tradimento da parte mia? Se davvero ci tenete al bene di Imma-”

 

I freni stridirono e si trovò proiettato in avanti mentre la macchina inchiodava. Per fortuna aveva le cinture, anche se gli fecero male al petto.

 

Sentì un clic metallico: Mancini si era tolto la cintura e si trovò abbrancato per il maglione, il procuratore capo che si era quasi arrampicato oltre il sedile per raggiungerlo.

 

Aveva gli occhi che erano una fessura, dietro gli occhiali. Non l’aveva mai visto tanto incazzato, nemmeno con lui.

 

“Di sicuro al bene di Imma ci tengo più di lei, maresciallo, visto tutto quello che ha combinato! E non mi faccio dare lezioni da un ragazzino incosciente ed irresponsabile! Da quando conosco la dottoressa Tataranni, non ha fatto altro che metterla in situazioni che possono comprometterle la carriera e farla stare male.”

 

Ma come si permetteva?!

 

Una furia cieca lo invase, la stessa che quasi lo aveva portato a menare quel maiale di Romaniello.

 

Allungò le mani per afferrarlo a sua volta per il bavero, quando qualcosa picchiò contro le braccia sue e di Mancini, frapponendosi tra loro.

 

“Ma siete scemi?!” gridò Irene, il busto tra il suo e quello del procuratore capo, “ci manca che escano queste di foto sui giornali e poi altro che conferenza stampa! O che vi presentiate pieni di lividi dopo esservi presi a sganassoni.”

 

Gli finì tutto il sangue al viso, mentre ringraziava il cielo che lo avesse fermato per tempo, prima di perdere pure il posto di lavoro.

 

“Giorgio, porta Calogiuri a casa. Nel tempo che stiamo qui a discutere poteva già essersi chiarito con Imma e ci serve che sia concentrato alla conferenza stampa, lucido, e così non lo potrebbe essere.”

 

Vide l’espressione di Mancini, tra l’imbarazzato e lo sbigottito.

 

Ma poi annuì, riallacciò la cintura e si rimise al volante.

 

*********************************************************************************************************

 

Buio.

 

Era completamente buio.

 

Silenzio.

 

Sembrava quasi surreale, non si sentiva volare una mosca.

 

Surreale, rispetto al caos che c’era di solito quando rientrava e che tanto amava, con lei che stava appostata sul divano o, a volte, vicino alla porta, per prenderlo di sorpresa.

 

“Imma?!” chiamò, accendendo le luci, ma non ebbe alcuna risposta.

 

La chiamò un’altra volta ma ancora niente.

 

Eppure il cappotto era appeso all’ingresso e c’era la sua borsa leopardata da lavoro buttata subito sotto.

 

Si avviò verso la stanza da letto, provò ad aprirla ma la trovò chiusa a chiave.

 

“Imma? Imma?!” la chiamò, bussando sul legno, preoccupato, “Imma, lo so che sarai furiosa ma… fammi almeno un cenno, che non ti sei sentita male, se no devo sfondare la porta.”

 

“Se ci provi ti denuncio!”

 

Un sibilo, durissimo, nonostante fosse attutito dalla barriera tra di loro.

 

Al sollievo per il fatto che fosse cosciente, si sommò un’ondata di dolore per quello che percepiva nella voce di lei.

 

Era roca come raramente l’aveva mai sentita, solamente dopo aver pianto tanto.

 

Fu come una lama dritta al cuore, che si torceva tra il senso di colpa e l’insultarsi da solo per aver contribuito a ridurla così.

 

“Imma, ti devo spiegare: è stato tutto un equivoco. Mancini ha fissato una conferenza stampa per le venti, per parlarne ma… volevo chiarirmi prima con te, raccontarti cosa è successo.”

 

“E cosa mi devi raccontare, eh? Come ti sei limonato - e chissà che altro! - la tua cara amica Irene? Ma che mi prendi per scema?! Quelle foto sono chiarissime e non c’ho proprio nessuna voglia, nessuna, di sentirmi raccontare altre fandonie da te.”

 

“Ma Imma-”

 

“Parlane con chi vuoi: con la stampa, vai in televisione, parlane pure con il papa o padreterno, se ci credi, ma lasciami in pace!”

 

Oltre alla durezza nella voce c’era un cinismo ed una disillusione che gli facevano malissimo. Forse era dalla sera in cui le aveva raccontato una palla per incontrare Valentina in segreto e c’era stata quella sparatoria che non la sentiva così.

 

Se mai l’aveva sentita così.

 

“Imma, ti prego, apri questa porta e lasciami spiegare, guardandoti in faccia. Se poi quello che ti dico non ti starà bene me la puoi pure spaccare la faccia. Per favore.”

 

“Non puoi proprio chiedermi nessun favore, maresciallo,” ribattè, usando il suo titolo come un insulto, come faceva quando era veramente furiosa, “non ti voglio vedere, mi dai il voltastomaco!”

 

Altro che spaccare la faccia! Fu un gancio netto e preciso, di quelli da knockout.

 

Avrebbe voluto guardarla negli occhi per capirla e farsi capire: da sempre comunicavano meglio con gli sguardi che con le parole.

 

Ma sapeva ormai con certezza che quella porta non si sarebbe aperta a breve.

 

“Imma, lo so che suona malissimo, ma non è come pensi: è stato un bacio finto, per lavoro e-”

 

“Non mi pare che l’esplorazione del cavo orale delle colleghe sia uno dei tuoi compiti. A meno che tu sia diventato un dentista!”

 

Nonostante la paura, anzi, il terrore che aveva di perderla, non riuscì a trattenere un sorriso: lei e Valentina si somigliavano davvero tantissimo, era incredibile!

 

“Stavamo pedinando Villari e ci ha visti che lo fotografavamo. Irene mi ha baciato per copertura.”

 

“Sì, si dice così mo. Altro che copertura! A parte che c’erano mille altre cose che potevate fare e che dovreste avere imparato entrambi al corso da carabinieri, ma tu potevi pure rifiutarti ed inventarti qualcos’altro.”

 

“Non ce n’è stato il tempo: è successo tutto in pochi secondi, mi devi credere.”

 

“Ah sì? In pochi secondi sono riusciti a scattarvi più foto in posizioni diverse? E pure il camminare avvinghiati è successo in pochi secondi?!”

 

“No, quello no, ma era solo per levarci di lì, veramente: a quel punto dovevamo proseguire con la recita.”

 

“Metodo Stanislavskji, immagino, visto che la recita mi pare sia proseguita pure molte ore dopo, fino in sauna. Che immedesimazione, complimenti! E tu non mi hai detto niente! Chiaro sintomo che c’avevi una coda di paglia lunga come la Salerno - Reggio Calabria!”

 

Nonostante la durezza ed il sarcasmo, il fatto che Imma, pure con una porta di mezzo, alla fine stesse litigando con lui, era già più di quanto avrebbe osato sperare, conoscendola.

 

“Veramente ti ho detto che era successo qualcosa durante il pedinamento, ma che volevo parlartene di persona e l’avrei fatto stasera se-”

 

La porta si spalancò, di botto, tanto che per poco non le cadde addosso, visto che ci si era appoggiato contro.

 

Il sollievo durò giusto un secondo, perché Imma lo fulminò con due occhi rossi di pianto e tanto dilatati da apparire quasi neri, spingendolo indietro con una forza sorprendente.

 

Qualcosa?! Limonarti un’altra me lo chiami qualcosa?!” gli urlò contro e Calogiuri capì che non solo non si era calmata, ma che anzi era ancora più fuori di sé e proprio per quel motivo era uscita, per affrontarlo di persona.

 

“No, ma non c’è stato… insomma… è stato un bacio finto, ci siamo appena sfiorati le labbra e-”

 

“E non voglio sapere i dettagli, grazie!” gli soffiò contro, ricordandogli quel non voglio sapere altro!, di quando le aveva dovuto confessare di Lolita, “e dalle foto non mi pare proprio, anzi!”

 

“Se le guardi bene, vedrai che sono a disagio. Mi conosci, Imma, e-”

 

“Veramente a me sembravi solamente sorpreso, con quell’espressione da pesce lesso che c’avevi pure quando ti baciai io per la prima volta. E sappiamo bene come è andata a finire, no? Mo proprio nel senso letterale del termine.”

 

Il solo accenno alla fine fu un secondo schiaffo, ancora peggiore del primo. Il panico lo stava soffocando.

 

“Imma… n-non… ero sorpreso e a disagio ma per motivi diversi che con te, completamente! Se guardi le foto io nemmeno l’ho sfiorata, te lo giuro, mentre con te… subito dopo… altro che starmene fermo! E lo sai pure tu. Se fosse successo di più, i giornalisti avrebbero scelto quelle foto, visto che scelgono sempre le più compromettenti.”

 

Imma si bloccò per un attimo, sorpresa, poi scosse il capo ed alzò gli occhi al soffitto.

 

Lui ne approfittò per estrarre il cellulare ed aprire l’articolo, “guarda, è come ti ho detto!”

 

Imma lo fulminò con lo sguardo e poi scosse di nuovo la testa, “non so se sei più coraggioso o più scemo a mostrarmi di nuovo questo… questo schifo!”

 

Ed improvvisamente, Calogiuri notò un dettaglio, un piccolo dettaglio che, preso dalla disperazione, non aveva nemmeno visto.

 

“Ho il telefono in mano!”

 

“E grazie al cavolo! Gli occhi ce li ho, e pure il cervello funzionante, e-”

 

“No, non mo, nella foto. Ho il telefono come se io e… ed Irene ci stessimo scattando un selfie, ma in realtà stavamo facendo foto a Villari, come ti ho detto. Ma secondo te, se io mai… se io mai volessi tradirti, sarei così scemo da scattarmi una foto mentre lo faccio? Con il mio cellulare oltretutto?”

 

Imma di nuovo rimase come ammutolita ed una flebile speranza si fece largo in lui.

 

“Puoi controllare tutte le foto e-”

 

“E l’avrai già cancellata, in caso, se non sei proprio scemo, Calogiuri.”

 

Lo aveva chiamato Calogiuri. Forse c’era veramente qualche possibilità che gli credesse.

 

Fece scorrere tutte le immagini sul suo cellulare ed arrivò a quelle di Villari.

 

“Stavamo scattando queste. Puoi confrontare il giorno e l’ora con quelle inviate ai giornali e-”

 

“E sono foto digitali, Calogiuri, non c’è alcuna prova certa di data e ora e-”

 

“Ma l’angolo di Milano è lo stesso, puoi verificare,” replicò, sembrandogli stranamente di stare in procura a discutere di un caso, e poi la implorò, guardandola negli occhi, “Imma, tu mi conosci, ma pensi davvero che… che io sarei capace di tradirti in questo modo?”


La vide esitare e c’era un qualcosa nello sguardo, qualcosa di lievemente più dolce rispetto a prima.

 

“Puoi verificare, puoi chiedere conferma pure a Irene e-”

 

Capì dall’occhiataccia di lei, che poteva uccidere, di avere appena commesso un enorme passo falso.

 

“Secondo te io mi abbasserei a fare gli interrogatori alla cara Irene?” sibilò, nera, “e comunque mi avresti dovuto dire subito tutto, non mo, se veramente… non aveva significato niente per te.”

 

“Ma non ha significato niente! Ma non potevo parlare di dettagli sensibili del caso al telefono, me lo hai insegnato tu!”

 

“Non dovevi spiegarmi per filo e per segno tutti i particolari dell’inseguimento, Calogiuri, solo che c’era stato questo… bacio. E dai!”

 

Lo guardava fisso, con le braccia incrociate al petto.

 

Sospirò, perché forse tutti i torti non li aveva.

 

“Lo so, ma… temevo la tua reazione, Imma, che fraintendessi, e volevo parlartene di persona, guardandoti negli occhi, per farti capire che non c’era niente di cui preoccuparsi, veramente.”

 

“Guardandomi negli occhi?! Ma se mi hai garantito, guardandomi negli occhi, anche se in video, dopo che c’era già stato questo bacio, che Irene non fosse interessata a te e ci sei pure andato in sauna, mezzi nudi! E sei tornato come sei tornato che... lasciamo perdere!”

 

“Lo so, ma… dopo il bacio, effettivamente, pure io mi sono sentito… a disagio e… ho pensato di allontanarmi e di mettere i famosi paletti. Solo che… Irene mi ha raccontato, pregandomi di non dirlo a nessuno, di… di essere bisessuale e che negli ultimi anni è stata solo con donne. E allora… diciamo che mi sono rassicurato che non fosse interessata a me.”

 

Imma spalancò gli occhi ma poi scosse di nuovo il capo, una mano sulla fronte.

 

“Calogiuri, ma qual è il tuo problema?” domandò, con un tono esasperato, “va bene che sul latino non sei molto ferrato, ma almeno che cosa significhi bi dovrebbe esserti chiaro, spero! E comunque non oso nemmeno immaginare come siate arrivati ad un argomento del genere!”

 

“Per una battuta dello stilista amico di Irene che ci ha offerto lo champagne e-”

 

“E comunque poi, nel giro di mezz’ora in sauna, improvvisamente il significato di bi ti è stato chiaro, dopo mesi e mesi e mesi nei quali sostenevi che la cara Irene ancora un po’ ti vedeva come il suo fratellino. Che cosa ha provocato questa miracolosa conversione, che neanche San Paolo sulla via per Damasco?”

 

Lo stava fissando in un modo che avrebbe colto ogni sua esitazione, seppur minima. E la verità era che gli mancavano le parole per spiegare, perché già sapeva che si sarebbe incazzata ancora di più.

 

E come non capirla.

 

“Quando… quando abbiamo finito la sauna e ci siamo alzati in piedi… Irene ha avuto… un calo di pressione e… stava cadendo. Io l’ho presa al volo ma… mi è caduta addosso e… siamo finiti a terra e... me la sono trovata addosso… mezza nuda.”

 

“Mezza nuda?! Intendi in costume o…”

 

Il tono era quello degli interrogatori, del momento decisivo nel quale stava per inchiodare un sospettato e… e Calogiuri si sentiva proprio così: inchiodato al muro, in trappola.

 

“Sì, ma…” la voce gli si ruppe, si sentiva il viso bollente per la vergogna, la paura che gli contorceva le viscere, “le è… le è uscito il seno.”

 

“Che cosa?!” gridò Imma e si trovò di nuovo spintonato all’indietro, e mo era inchiodato al muro non solo metaforicamente ma pure letteralmente, “cioè te la sei trovata spalmata addosso praticamente nuda, con tutto di fuori?”

 

“S-sì… era caduta sopra di me e quindi-”

 

“Certo che tu sulle cadute fortuite sei un esperto, Calogiuri! Pure con me, no?!”

 

“Credo che Irene non si sentisse veramente bene e… e forse non è stato niente ma… ma mi è rimasta addosso forse un po’ troppo a lungo e… e poi, quando l’ho riaccompagnata in camera, mi ha accarezzato il viso e mi ha dato un bacio quasi sulle labbra, cioè, all’angolo della bocca, dicendomi che, a differenza che con gli altri uomini, di me si poteva fidare al cento percento e quindi-”

 

Lei forse si può fidare al cento percento, io per niente!” gli urlò contro e, al di là dell’incazzatura, aveva gli occhi che le si facevano lucidi.


Si sentì uno schifo.

 

“Ma mi sono allontanato subito e-”

 

Subito?! Per il subito sei in ritardo di quasi due anni!”

 

“Stamattina a colazione le ho detto chiaramente che volevo… che lei da ora in poi tenesse le distanze, fisicamente, e che evitassimo alcune attività, per rispetto a te e perché mi sentivo a disagio. Ho messo i famosi paletti, e questo prima che sapessi delle foto e-”

 

“E grazie al cazzo! Letteralmente!” esclamò, sardonica, “ancora un po’ che aspettavi a piantarli questi maledetti paletti, ci mancava solo che lei, sempre per caso, ti cadesse addosso altrove, nudi, e poi sai com’è, che tu mica ti potevi spostare, ed avevate fatto tutto!”

 

Il calore alle guance non fece che peggiorare, mentre si sentiva uno schifo, il terrore che ormai gli faceva male al cuore, “Imma, non lo farei mai, mi devi credere! Non ti tradirei mai, io-”

 

“Dipende da cosa intendi con tradimento, Calogiuri. Magari con la cara Irene non ci avrai fatto…. sesso,” sputò fuori, la voce che le si incrinò leggermente, “ma ti sei comunque lasciato spupazzare per bene, le hai permesso di avvicinarsi quasi in ogni modo possibile, in continuazione, le hai permesso di prendersi libertà che un’amica mai avrebbe dovuto prendersi, soprattutto se uno è impegnato. Ti eri incazzato con me perché non avevo fermato Mancini dopo qualche complimento ed UN tentativo di bacio, mai andato in porto, mentre tu ti strusci sulla gattamorta e va tutto bene?! Dimmi almeno la verità, che te la sei goduta tutta questa ambiguità, tutte queste attenzioni, fino a che hai potuto!”

 

Fu l’ennesimo schiaffo, per quanto meritato, e non riuscì a trattenere le lacrime che gli bruciavano gli occhi, “n-non è vero! Io-”

 

“Non è vero, eh?! E quindi mi puoi giurare, guardandomi negli occhi, che la cara Irene non ti attrae e non ti fa nessun effetto?!”

 

Ebbe solo un attimo di esitazione, il viso ancora in fiamme, perché quando gli si era strusciata contro qualcosa lo aveva sentito.

 

Bastò quello ed il viso di Imma si trasfigurò in una maschera di rabbia.

 

E, nel giro di un secondo, Imma arretrò e, prima che potesse raggiungerla, si trovò di nuovo la porta chiusa in faccia, che per un millimetro non ci finì addosso.

 

“Imma! Non in quel senso! Irene… è… è una bella donna ma non è per me e-”

 

“Come non lo era Matarazzo prima che ci finissi a letto?!”

 

“Ma nonostante fossi mezzo ubriaco e mezzo nudo non ho fatto niente con Irene, pure se me la sono trovata addosso mezza nuda che… è chiaro che un poco di effetto me lo può fare. Ma non è minimamente paragonabile a quello che provo per te e certe cose desidero farle solo con te, veramente.”

 

“Peccato che io mo abbia tutto tranne che il desiderio di farle con te e che, se qualcuno mi finisse addosso mezzo nudo, l’unico effetto che mi farebbe sarebbe l’istinto di tirargli un bel calcio dove lo avrei dovuto tirare pure a te, già dai tempi di Matera, probabilmente!”

 

“Imma, io-”

 

“Imma un corno! Vattene dalla tua cara Irene a farvi la vostra bella conferenza stampa e lasciami in pace: non ti voglio né vedere né sentire!”

 

“Imma, ma io non-”

 

“Se sai cosa è meglio per te e pure per me, mo mi lasci in pace, Calogiuri.”

 

“Imma, ti prego! Io amo solo te e… mi dispiace di averti ferita ma non volevo farlo, veramente e-”

 

“Come la cara Irene che non voleva caderti addosso mezza nuda. Proprio bene hai imparato, complimenti! Vattene e lasciami in pace, o devo chiamarla veramente la polizia?”

 

Era serissima, almeno su quest’ultimo punto. Si sentiva impotente, le lacrime che gli allagavano il viso, la gola ed il naso.

 

Non poteva finire così!

 

“Imma ma… ma come faccio… con i vestiti e… con tutto il resto?” provò almeno a ragionare, perché sapeva che in quel momento era inutile insistere.

 

“C’hai quelli usati nel weekend a Milano, se la gattamorta non te li ha strappati tutti di dosso. Per qualche giorno ti basteranno e sicuramente non vedrà l’ora di ospitarti.”

 

“Non andrei mai a dormire da lei, Imma, e mi fa male che tu possa anche solo pensarlo!”

 

“Meglio che tu non sappia esattamente cosa sto pensando di te in questo momento, Calogiuri!” lo colpì nuovamente, mandandolo ancora di più nel panico, “vai dove vuoi, fai quello che ti pare, ma non voglio trovarti qui quando esco da questa camera!”

 

Rassegnato, con un macigno sul cuore, Calogiuri fece l’unica cosa che poteva fare.

 

Prese il borsone, recuperò il cappotto ed uscì da quella che ormai per lui era casa ma che temeva davvero, mai come prima, che non avrebbe più potuto considerare tale.


Nota dell’autrice: Ed eccoci alla fine di questo quarantaseiesimo capitolo. Non è stato facilissimo da scrivere, soprattutto la scena finale di Imma e Calogiuri, quindi è leggermente più corto del solito.

Che succederà alla conferenza stampa? Dove finirà a dormire Calogiuri? Imma potrà perdonarlo? Come reagiranno altri personaggi molto attesi alla scoperta del presunto tradimento del maresciallo ed alle giustificazioni pubbliche che dovranno dare? Nel frattempo il giallo procederà e arriveremo alla fine del caso Spaziani, finalmente.

Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento e che la storia continui a mantenersi interessante.

Vi ringrazio tantissimo per le vostre recensioni: sono veramente uno stimolo enorme a cercare di migliorare sempre e adoro discutere di questa storia e di questi personaggi che tanto amiamo con voi, in attesa della seconda stagione.

Un ringraziamento a chi ha messo la mia storia nei preferiti o nei seguiti.

Il prossimo capitolo arriverà tra due settimane, domenica 25 ottobre.

Grazie mille ancora!

 
   
 
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