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Autore: Tenar80    13/10/2020    1 recensioni
Victoria non dovrebbe essere una ragazza. Ha superato le selezioni per entrare nelle Ali Nere, il corpo militare d'élite che combatte contro gli angeli. Nell'Impero, un mondo steampunk dal sapore vittoriano, quella non è proprio un'occupazione adatta a una ragazza, per di più una trovatella. Ma Victoria è e rimane una ragazza...
Questo è il primo racconto della saga "L'assedio degli angeli – Preludi"
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'assedio degli angeli – preludi'
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Prendendo un respiro, Victoria si decise a mettere la mano sulla maniglia e ad aprire la porta.

    – Sono pronta – disse.

    Cazzo! C’era anche Chris!

    Non si era aspettata Chris, anche se era ovvio che ci sarebbe stato, dato che stavano per andare alla villa di suo zio. E quindi era lì, nell’uniforme di gala dei cadetti delle Ali Nere, grigia e non nera, con i suoi ricci miele scuro lunghi sulla nuca a coprire l’impianto, appoggiato al pianoforte a coda del salotto dei Morozov. La stava fissando con gli occhi verdi sgranati e solo il fatto di essere paralizzato aveva evitato che il bicchiere che teneva in mano fosse fatto cadere.

    – Non è possibile – boccheggiò il ragazzo.

    – Che vesta d’azzurro? – replicò Victoria.

    Per mascherare il disagio fece un giro su ste stessa, facendo roteare la lunga gonna vaporosa.

    – Che ieri giocando a calcio tu mi abbia fatto tre goal!

    Una volta accettato il fatto che il candidato più promettente degli ultimi anni era una ragazza,  il problema di come dovesse vivere Victoria era stato risolto in modo pratico e radicale. Lei era un cadetto dello Ali Nere. Come tale, aveva la sua stanza al quartier generale, mentre trascorreva l’Ottidì, il Novidì, il Decadì e i periodi di vacanza a casa Morozov. Aveva un guardaroba del tutto simile a quello degli altri e, dal momento che il suo corpo non sembrava intenzionato a produrre delle tette degne di questo nome, ignorare che fosse una femmina era la cosa più semplice. Nei momenti liberi usciva insieme agli altri cadetti dai capelli sempre più lunghi per vagabondare per la città o giocare nei parchi. La maggior parte delle volte la chiamavano col diminutivo «Vic». Chris non l’aveva mai vista in abiti femminili, probabilmente aveva del tutto dimenticato che fosse una ragazza.

    – Se giochiamo adesso te ne faccio anche quattro – replicò Victoria.

    – Quindi, cadetto Chris Jamenson, basta un abito per cambiare la concezione che hai di una persona?

    La voce di Delia Morozov era come lo spezzarsi di un ramo secco. Qualcosa di sgradevole e definitivo. Se c’era stata una cosa davvero sorprendente, nella nuova vita di Victoria, era stato scoprire che nella villa del generale Morozov, comandante in capo delle Ali Nere, eroe dell’Impero, il comando era saldo nelle mani della donna magrissima e altera che stava entrando in quel momento nella stanza. Anche la parte di vita di Victoria che si svolgeva fuori dal quartier generale era finita rapidamente sotto il controllo della moglie del generale. Era stata lei a insistere perché Victoria trascorresse lì il tempo libero. Sotto la sua tutela la ragazza aveva imparato a suonare il piano, aveva letto poesie, era insomma diventata parte di un qualche progetto di Delia Morozov volto a dimostrare la parità delle donne in ogni campo. Era stata di Delia, senza dubbio, l’idea di includere anche Victoria nell’invito ricevuto dal conte Jamenson per un fine decade in campagna. Ed era di Delia l’imposizione che Victoria non vi partecipasse come Vic Soilbeir, cadetto delle Ali Nere, ma come Victoria Moroziva, pupilla del generale. La ragazza pensava che sarebbe stata a suo agio come il proverbiale elefante nel negozio di cristalleria, tuttavia, adesso, nel pavoneggiarsi davanti a Chris nel vestito azzurro, non poteva negare che ci fossero degli aspetti piacevoli. Il cadetto Jamenson, quand’era imbarazzato, era senza alcun dubbio delizioso.

    – Siamo in ritardo, tanto per cambiare! – brontolò il generale Morozov, entrando nella stanza.

    Si sistemò il monocolo e diede uno sguardo torvo ai due ragazzi. Poi sbuffò.

    – Voi due, non mi importa come siete vestiti, cercate di non portare disonore alle Ali Nere – ringhiò. – Niente zuffe. Vale sopratutto per te, Victoria. Nessuno dei ragazzi che incontrerete ha il vostro addestramento, quindi non sarebbe leale battersi con loro.

    – Se se le fanno dare da una ragazzetta così non avranno più il coraggio di guardarsi allo specchio – commentò Chris.

    – La ragazzetta te le dà quando vuoi – replicò Victoria, facendo una linguaccia.

    Il generale la fulminò con lo sguardo, ma poi si limitò a scuotere la testa.

    – Bene, daremo la colpa del tuo comportamento a Delia, che non ti ha saputo educare – sentenziò, strappando un singulto di disapprovazione alla moglie.

    

    Con il vento che le scompigliava i boccoli tanto faticosamente composti, seduta sul sedile posteriore dell’auto a vapore dei Morozov, guidata con la solita scioltezza da Delia, a Victoria parve, per la prima volta, di scoprire il significato della parola «vacanza». Non si era praticamente mai allontanata dalla capitale e quel susseguirsi di colline, boschi e piccoli borghi, sotto un cielo non sporcato dalla perenne fuliggine della metropoli, sembrava quasi il preludio di una fiaba. Non andavano propriamente in un castello, ma in una villa su un lago. La bambina che era stata non avrebbe neanche potuto sognare qualcosa di simile. Chris, però, era silenzioso al suo fianco. Di tanto in tanto la guardava di sottecchi, come a controllare che davvero indossasse ancora quel vestito ridicolo. Per lo più, però, osservava il paesaggio, con la fronte aggrottata e gli occhi verdi assorti.

    – Non sei contento di andare da tuo zio? – chiese Victoria, quando il silenzio iniziò a pesarle.

    – Mio zio è abbastanza a posto. Ci saranno i miei genitori, però – sbuffò Chris.

    – E non va bene? – provò la ragazza.

    Quella delle relazioni famigliari era per lei una terra incognita in cui cercava di addentrarsi il meno possibile.

    – Io non vado bene – precisò il ragazzo. – Anche se il fatto di non essermi ancora fatto espellere dalle Ali Nere sta aiutando.

    Victoria non seppe cosa dire. Chris non reagiva bene quanto lei e George al sangue d’angelo, ma lei e Chris si contendevano la leadership in quasi tutti i corsi. Come questo potesse non andare bene ai suoi genitori restava un mistero che l’amico non aveva intenzione di spiegare.

    – È vero che hai provato la connessione con le Grandi Ali? – chiese infatti Chris, cambiando argomento.

    – Sì.

    Lo aveva fatto in gran segreto, alla presenza del solo Vadez. Pisciarsi addosso davanti agli altri aveva sostituito nei suoi incubi il rimanere a morire soffocata in un rifugio.

    – Com’è stato?  – chiese Chris, avido.

    – Terribile – sospirò Victoria, cercando qualcosa di interessante da guardare nel paesaggio.

    In realtà Vadez aveva detto che era andata bene. Non aveva avuto davvero un rigetto fisico. Era in grado di dominarle. Forse era quella la cosa peggiore.

    – Perché? Cioè, è davvero così diverso dalle ali normali? – chiese ancora Chris.

    Per combattere gli angeli, le Ali Nere si impiantavano temporaneamente ali di nemici uccisi. Finché c’era il collegamento era come avere degli arti in più, potevano davvero volare, oltre che andare nella Dimensione Angelica. Era inebriante. Bastava un minuto di volo per sentirsi ripagati di tutta la fatica dell’addestramento. Vadez, però, usava ali diverse, grosse il doppio, strappate, diceva la leggenda, da Sant’Astulf a un Generale Angelico, cinquecento anni prima.

    – Sì – rispose Victoria, cercando le parole. – Le ali normali… Non sono angeli, più di quanto un cappotto bordato di pelliccia non sia una volpe. Le Grandi Ali… Loro si ricordano di appartenere a un angelo. Forse sono ancora quel Generale Angelico e cercano di sopraffarti.

    Era stata investita da… Forse dalla memoria della morte che era rimasta impressa in quel corpo. Un dolore subitaneo e imprevisto al petto. la sensazione che tutta l’aria uscisse di colpo dai polmoni, mentre lei bruciava dentro. Poi era riuscita a respirare di nuovo e a riprendere il controllo di se stessa. Ma lui, l’angelo, era lì, in qualche modo. Lo sentiva premere. Era stato come… Indossare un fantasma malevolo.

    – Adesso mi addestrerò da sola con Vadez qualche ora ogni giorno – concluse.

    Le Grandi Ali facevano molto più che permettere di raggiungere e muoversi nella Dimensione Angelica. Erano quasi indistruttibili, resistenti persino all’energia degli angeli. Permettevano inoltre di trasmettere il proprio pensiero agli altri e di pilotare gli spostamenti attraverso le dimensioni. Per coordinare un’azione era indispensabili, il fatto che al momento non ci fosse un valido sostituto di Vadez era la preoccupazione principale dei soldati.

    – Forte! – commentò Chris, con quella sua genuina capacità di gioire per i successi altrui.

    Come sempre quando non sapeva cosa dire, Victoria si limitò a sorridere.

    Le odiava già, le Grandi Ali. Il fatto che tra tutti i membri effettivi e i cadetti delle Ali Nere al momento solo lei e Vadez riuscissero a portarle segnava un’altra differenza tra lei e gli altri, un altro sottile solco di isolamento. 

    Negli ultimi mesi Victoria si era resa conto sempre più di quanto fosse fittizia quella sensazione di uguaglianza, di appartenere a un gruppo. Le Ali Nere erano un corpo speciale sotto molti aspetti. Erano talmente poche i candidati in grado di sostenere la connessione con le ali ed era così alta la possibilità di morire in combattimento che molti aspetti diventavano secondari. Le Ali Nere portavano orgogliosi i capelli lunghi, per nascondere l’impianto alla nuca e allo stesso tempo rimarcare la propria alterità. Non c’erano classi sociali, c’erano nobili come Chris e figli di bottegai come George. C’era persino uno degli ufficiali in servizio attivo che prediligeva senza nasconderlo troppo i ragazzi, una cosa che lo avrebbe fatto radiare, o peggio, da qualsiasi altro corpo militare. Ma non c’erano altri orfani. E non c’erano ragazze. Ogni mese Victoria doveva ripiegare con cura le bende perché non si notassero indossando i pantaloni dell’uniforme da cadetto. Si sforzava di ignorare il mal di testa e i crampi, per essere performante come gli altri. Un domani, in combattimento, la sopravvivenza dei suoi compagni non poteva dipendere dai suoi mal di testa da donna. E poi c’erano le altre questioni. Le infinite volte che erano andati in un certo caffè del centro perché Chris faceva gli occhi dolci alla cameriera sedicenne. Poi avevano smesso di andarci di colpo. Il perché Victoria lo aveva scoperto quattro sere prima, proprio dopo aver provato le Grandi Ali. Era uscita dal quartier generale da sola, molto più tardi degli altri, con l’idea di sciogliere in una passeggiata quel ricordo fantasma che le aleggiava dentro. Con i sensi ancora acuiti dal sangue d’angelo che le correva nelle vene, aveva sentito i gemiti provenienti da dietro uno dei capannoni vicini al quartier generale, usato come rimessa per veicoli. Chris e la cameriera erano addossati a una parete, intenti in qualcosa che più che un bacio sembrava una reciproca invasione dell’apparato laringeo. E Victoria aveva sentito una fitta improvvisa allo stomaco, qualcosa di sgradevole quasi quanto i ricordi dell’angelo morto. In che modo mai una ragazza che girava per la città in uniforme militare avrebbe potuto trovarsi in una circostanza simile? Che sensazione si poteva provare nel trovarsi premuta contro un muro, con gli occhi verdi di Chris puntati contro e poi le sue labbra contro le proprie?

 

    Forse non era un castello quello a cui arrivarono, ma poco ci mancava. La villa del conte Jamenson era  un enorme edificio grigio, con tanto di torrette decorative che si stagliava sullo sfondo di un lago incastonate tra le colline. Probabilmente era tutto parte della proprietà, il lago e anche le colline. Ad attenderli era schierato un intero stormo di servitori in livrea nera e bianca. La maggior parte era impura, selezionata secondo il gusto della casa, perché tutti avevano piccole corna ritorte che spuntavano dai capelli e gambe che terminavano in zoccoli caprini. Victoria aveva ancora quella curiosità che Delia definiva «campagnola» nei confronti degli impuri, anche se ormai si era abituata a quelli che servivano al quartier generale o a villa Morozov, e, mentre trotterellava dietro alla cameriera che aveva preso in carico la sua valigia, cercò di capire se avesse anche una coda, nascosta dentro la gonna.

    – Questa è la sua camera, miss. Per qualsiasi cosa basta suonare il campanello.

    Victoria ci mise dieci secondi buoni a capacitarsi che «miss» era rivolto a lei. Poi si rese conto che per la prima volta entrava in una camera appositamente allestita per ospitare una ragazza. C’era un quantitativo imbarazzante di fiocchetti. Fiocchetti a fermare la trapunta alle gambe del letto. Fiocchetti come decorazione ricamata sul cuscino. Fiocchetti a tenere aperte le tende del baldacchino. Fiocchetti sulle boccette posate sulla toeletta. E poi la toeletta stessa, con tre spazzole diverse, due pettini, cinque tipi di nastro, due ciprie, quattro profumi e altri aggeggi che non seppe identificare. Che cosa si intendeva per «darsi una rinfrescata prima di incontrare il conte»? Poteva cavarsela con una sciacquata alla faccia e un colpo di spazzola? Possibile che non fosse ancora iniziato niente e già si sentisse così inadatta? Aprì la finestra. Dava verso il prato che digradava nel lago. I rami di albero di noce arrivavano quasi a lambirla e la ragazza pensò che forse poteva scappare da lì, arrampicandosi sull’albero e poi nascondersi da qualche parte. Ma no, ovviamente. Delia era già sul prato a parlare con un’altra sessantenne alta e distinta. Non c’era proprio modo di fuggire alle sue buone intenzioni.

 

    – Ed ecco la nostra piccola protegée, Victoria Moroziva – fu quindi presentata, circa un quarto d’ora dopo.

    La ragazza si inchinò cercando di fare come le era stato insegnato, alzando appena la gonna ai lati con le mani, mentre si piegava. Non aveva pensato alla quantità di gente che sarebbe stati invitata insieme a loro, né alla quantità di ragazzi. I figli del conte Jamenson erano già adulti e affaccendati in altro, ma la sorella della moglie del conte aveva due figlie Marina e Gloria, evidenti segnali dei frustrati desideri di un rampollo da instradare nell’esercito. C’era Thérese, la sorella minore di Chris. E infine Theo e Maurice, i gemelli quattordicenni del terzo dei Jamenson, virtualmente indistinguibili. Tutti la guardavano come se fosse una strana creatura che non sapevano bene come trattare. I ragazzi, però, almeno fino a che venne servito il the, portato in giardino in leziose tazze bordate d’oro, si astennero dal fare domande. Cosa che invece non fecero gli adulti.

    – Delia, cara, questo sì che è inaspettato, questa deliziosa ragazza è una tua parente? Mi pare che ti somigli, già alta com’è – cinguettò la contessa.

    – A un certo punto la casa si sente il bisogno di riempirla – replicò Delia, con un delizioso tono da «fatevi i fatti vostri». – Non siamo parenti diretti, che io sappia. Però suona il piano in modo passabile.

    Victoria cercò di guardare con attenzione il proprio the e di definirle l’esatta tonalità. Delia era stata da giovane una famosa pianista. Le aveva insegnato a strimpellare. Ci mancava solo che le chiedessero di suonare e facessero il confronto.

    – Quindi pensate di adottarla a tutti gli effetti? – chiese la madre dei gemelli.

    Victoria si obbligò a deglutire il the senza strozzarsi. Quella era sicuramente una domanda a fini patrimoniali. I Morozov erano ricchi e potenti, Delia frequentava addirittura l’Imperatrice Madre e non avevano figli. La loro erede sarebbe di sicuro stata contesa da tutti i rampolli dell’impero. Ci mancava solo di essere scambiata per una merce in vendita al mercato delle doti.

    – Non ci abbiamo pensato, ancora – tagliò corto Delia Morozov. – I tuoi ragazzi, invece, sono fidanzati?

    – Non ancora – fu l’eloquente risposta.

    A salvarla intervenne Chris.

    – L’anno scorso in questo periodo c’erano i cigni con i loro pulcini – disse. – Mia sorella vorrebbe vederli, noi ragazzi possiamo andare?

    Un cenno di approvazione da parte del conte decretò il via libera.

    Il gruppo era abbastanza giovane, numeroso e ben assortito da essere lasciato scorrazzare senza timore che accadesse qualcosa di sconveniente.

 

    Quasi subito a Victoria si accostò Marina. Doveva essere sui quattordici anni e alla ragazza parve una versione più intensa ed esuberante sé stessa. I capelli non erano quasi bianchi, ma di un bel biondo dorato, gli occhi splendevano di un blu intenso nel volto rosato e la natura le aveva elargito attributi che rendessero chiaro il suo sesso di appartenenza. Infine, il vestito della stessa tonalità azzurra, accentuava la somiglianza e, di conseguenza, le differenze.

    – Credo che ci siamo serviti nella stessa sartoria – esordì Marina. – Non possiamo assolutamente indossare un abito simile anche a cena. Tu cosa metterai?

    Victoria sbatté le palpebre, nel tentativo di ricordare la successione concordata di vestiti. Per stare via due giorni ne aveva otto, quando per una decade di addestramento le bastavano due uniformi e un completo civile.

    – Bianco con ricami blu, credo.

    – Bene, io vesto in rosa antico, anche se secondo me in bianco e blu sembrerai un po’ slavata, meglio un grigio argento.

    Victoria annuì, fingendo interesse.

    – Da quanto vivi a casa Morozov? – si intromise Gloria, una versione di circa un anno più giovane e di una tonalità più scura della sorella.

    – Due anni.

    – E sono così terribili? Chris da quanto scrive ne è terrorizzato! – questa era Thérese, di un’ottava più amichevole.

    – Ma no. Il generale abbaia ma non morde. Delia… Ha la sicurezza di chi è convinto di essere nel giusto.

    La ragazzina, una dodicenne tutta ricci castani e lentiggini, le rivolse il primo vero sorriso che avesse visto a villa Jamenson.

    – E mio fratello, si caccia sempre nei guai anche lì? – chiese, a voce più bassa.

    – Non che mi risulti, ne parlano bene.

    Che grado di confidenza era lecito che avesse con Chris?

    – Hai molte occasioni per frequentarlo? – chiese subito Marina.

    Doveva trovare in fretta una risposta.

    – Il decadì spesso il generale invita a cena qualcuno dei cadetti o degli ufficiali – rimase sul vago.

    – Quindi vedi un sacco di ragazzi! – sospirò Gloria. – E tutti delle Ali Nere! È vero che sono tutti così lugubri?

    – Da che vivo dai Morozov sono morti cinque di loro e tre sono rimasti feriti gravemente. Forse non sono tra i più allegri al mondo.

    – Ma gli uomini più vicini alla morte sono più vicini anche all’amore, si dice – commentò Marina.

    – Non so. Non parlo d’amore con loro.

    Ma li ascolto, pensò, mentre parlano del bordello della Rosa Bianca, o di questa o di quella ragazza. Persino di ragazzi, nel caso del tenente Ciner. 

    Intanto erano arrivati al lago, ma non c’era nessun cigno in vista.

    – Vado a chiamare il garzone, lui saprà come richiamarli si offrì uno dei gemelli, correndo verso un capanno di legno poco distante.

    Una manciata di minuti dopo ne uscì seguito da un ragazzo dalle spalle larghe, più o meno della loro età che reggeva un sacco di granaglie.

    – Quei fannulloni vengono solo per mangiare – borbottò il ragazzo. – Dovete chiamarli e buttare loro il cibo. Ma sconsiglio le ragazze di farli mangiare dalle mani. Beccano.

    Mise una mano dentro un sacco e iniziò a fare uno strano richiamo gorgogliante, mentre gettava frammenti di mais verso l’acqua.

    Poi si girò per distribuire il mangime e Victoria poté vederlo in faccia.

    – Robert! – esclamò.

   
 
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