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Autore: Impossible Prince    19/10/2020    0 recensioni
La storia è qua per disturbare la vostra ipocrisia.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: N, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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– Intermezzo –
“E se fossi una truffa anche io?”

 
 
Quando ero arrivato a casa mia, quel pomeriggio, la prima cosa a cui pensai fu quella di togliermi gli abiti fradici. Si poteva sentire la pioggia battere sopra le tegole del tetto, nonostante tra questi e il nostro appartamento ci fossero diversi piani in mezzo.
Odiavo la pioggia. Ma non la odiavo sempre. Tipo quando ero a scuola, seduto sul mio banco e guardavo fuori dalla finestra a me la pioggia non dispiaceva. E neanche se ero in casa a guardarmi i cartoni animati o le serie tv. Anzi, rimanere nel “piano terra” del mio letto a castello mi faceva sentire protetto. Sarà perché sopra la testa avevo una lastra di legno spessa cinque centimetri che lo faceva sembrare un tetto a sua volta. Adoravo vedere le serie tv con la pioggia con il rumore della pioggia. Non che capissi davvero quello che dicevano nella televisione. Se si rivedessero certi programmi che si vedevano da bambini quando si è più grandi ci si rende conto di tante cose di cui non coglievamo il senso allora. Non che sia certamente un bene o un male. È solo curioso.
Comunque, sì, ve l’ho detto, pioveva. E quando piove la luce in casa mia è tipo grigia. Magari anche nelle vostre case, non lo so. Non ci sono mai stato nelle vostre case.
Quindi arrivai in camera mia e feci scorrere lo zaino lungo il braccio sinistro facendogli fare un tonfo arrivato sul pavimento.
Quel giorno in classe due compagni erano arrivati vantandosi di essere cresciuti dopo aver avuto la febbre. Ancora oggi non ho capito la correlazione tra l’avere la febbre e l’aumento dell’altezza, ma all’epoca era molto in voga come diceria popolare, un po’ come guardare gli occhi negli occhi un Sistea ti faccia passare l’orzaiolo. La maestra li aveva però fatti mettere sullo stipite della porta, aveva tracciato la loro altezza con il gesso e poi, prendendo un metro, aveva misurato. Erano cresciuti entrambi di un centimetro. Lo dicevano loro! Quello alto come me era alto un metro e trentadue e adesso era un metro e trentatré.
Non so, ma avevo sentito invidia davanti a tutta quella scena. L’attenzione della maestra, della classe durante che era rimasta attorno a loro durante l’intervallo. Il bianco del gesso che risaltava in mano alla maestra, il segno, impreciso che veniva lasciato sul legno. Ricordo che quel pomeriggio continuavo a rivedere la scena a rallentatore mentre fissavo lo stipite della porta.
Presi una matita e mi rimisi lì davanti ancora. Appoggiai la fronte al legno bianco. Appoggiai il lato della mano, quella parte tra il palmo e il dorso per intenderci sopra la mia testa. Poi, con la mano con cui tenevo la matita la portai sulla mano.
E la alzai un pochino.
Poi misurai l’altezza, beh.
Ero cresciuto.
Senza avere la febbre.
Dico davvero.
   
 
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