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Autore: Stephanie86    26/10/2020    0 recensioni
AU | SwanQueen | Storia a 4 mani
Emma, figlia di re David e della regina Mary Margaret, è l'erede del regno del sud, Anatlon. Quando il regno cade, la bambina è costretta a nascondersi presso Camelot, protetta da Artù e dai suoi Cavalieri. Crescerà sapendo di dover vendicare la morte dei genitori e del suo popolo. Sapendo che un giorno dovrà affrontare colei che le ha portato via tutto.
Regina, la sovrana di Mehlinus, sale al trono molto giovane, affiancata e istruita dal consigliere Tremotino. Anche lei vuole vendetta e non è disposta a rinunciarvi per niente al mondo.
Le strade di queste due donne apparentemente così diverse si incroceranno presto. Ci sono molte cose che non sanno. Il loro viaggio sarà molto lungo e le persone che tramano alle loro spalle sono pericolose e assetate di potere.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Altri, Emma Swan, Nuovo personaggio, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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15

 

FENRIR

 

 

 

Thorntown.

 

 

Sua madre la prese in braccio e la sollevò perché Emma potesse raggiungere il ramo più basso dell’albero di mele e cogliere uno dei frutti gialli.

“Guardate, madre.”

Mary Margaret sorrise. “É molto bella, Emma.”

“Sì, è gialla. Mi piace il giallo, madre.”

“Allora dirò alla servitù di raccogliere altre mele gialle. Tutte quelle che troveranno.”

“Posso mangiarla?”

“Ma certo. Aspetta, togliamo la buccia, prima.”

Nel mangiare la sua mela Emma si sporcò il viso con il succo appiccicoso. Mary Margaret glielo tolse e rise, divertita. Poi si chinò per posarle un bacio tra i capelli biondi.

Emma si destò di soprassalto.

Il sogno, che più che un sogno era un lontano ricordo, stava già scivolando via. Le rimase impresso, però, il sorriso dolce di sua madre e il tocco fra i capelli.

Che cos’è che mi ha svegliata?

I cavalieri dormivano. Galahad si mosse sotto il mantello che aveva usato come coperta. Agravain, nonostante tutto il parlare di fantasmi, russava leggermente, ma non era colpa sua se si era drizzata a sedere di scatto, con il cuore che batteva all’impazzata. La pioggia, che aveva tempestato il tetto dell’abitazione di fortuna che lei e i cavalieri avevano trovato a Thorntown, era cessata. Un pallido chiarore penetrava dalle crepe nella porta di legno. Forse stava albeggiando.

Emma scostò le coperte, indossò il suo mantello e allacciò il fodero con la spada intorno alla vita. Poi, cercando di non fare rumore, uscì all’aria aperta, richiudendo subito la porta alle sue spalle.

In cielo vedeva ancora la falce di luna che faceva capolino tra le nuvole grigie, mentre il cielo si schiariva. Una vaga foschia ricopriva il paesaggio.

Un rumore. Dal retro. Dove c’erano le stalle. Un ringhio basso, seguito da qualche ansito.

Emma si irrigidì e mise mano alla spada. Camminando rasente il muro, si diresse verso le stalle.

Un altro ringhio. Unghie che graffiavano il legno. Un tonfo. Nitriti nervosi.

“Magari nelle storie che raccontano c’è qualcosa di vero, ma tu dovrai fermarti, Emma.”

Emma continuò a muoversi, passo dopo passo. Silenziosa. Stringeva Narsil così forte da sbiancarsi le nocche.

“Sarei più preoccupato se non provassi paura. Perché l’uomo che non sente la paura è un folle.”

Gliel’aveva detto Merlino, non molto tempo prima. Era stata l’unica volta che il druido aveva parlato di sé con lei.

“Ho anche paura. E non dovrei.” gli aveva detto Emma. “Dovrei essere pronta a combattere.”

“La paura. Sarei più preoccupato se non provassi paura. Perché l’uomo che non sente la paura è un folle. Chi è in balia di essa e fugge è un codardo. Ma tu continui a fare ciò che va fatto. Questo è coraggio.”

Emma continuò ad avanzare.

Il lupo grigio fermo davanti alle porte della stalla la vide subito. Era girato verso di lei, quando Emma si sporse per vedere cosa stesse succedendo.

L’animale era ferito ad una zampa, sanguinava ed era evidentemente sofferente e affamato. Ed era molto più grande di un lupo comune, con due sciabole che scintillavano nella luce del mattino al posto dei normali denti da lupo e ardenti occhi di brace che seguivano ogni suo movimento. Dalla bocca scese un rivolo di bava. Ringhiò contro di lei.

Un Fenrir!

Il bisogno di cibo l’aveva spinto fino a lì. Aveva percepito l’odore dei cavalli e aveva cercato di entrare nella stalla. Doveva essere anche debole, perché in caso contrario avrebbe già fatto a pezzi la porta. Emma non aveva idea di come avesse potuto fare, quella bestia magra, ad entrare là dentro e a prendersi anche solo uno dei cavalli. Maximus era robusto, ancora giovane e impetuoso. Gli altri cavalli erano tutti addestrati e, soprattutto, veloci e ben nutriti. Quella bestia doveva essere disperata. Ed era anche solo.

Emma strinse l’elsa di Narsil e lo guardò fissò negli occhi. Uno stormo di uccelli neri si alzò in volo.

Il Fenrir si avventò su Emma. Lei estrasse subito la spada e la fece roteare, mentre scartava di lato. Un lungo guaito di dolore, quando la lama ferì l’animale di striscio, ad un fianco. Emma si voltò subito verso il lupo, puntandogli contro la spada. Quello si girò, imbestialito, per fronteggiarla ancora. Fece qualche passo avanti. Emma indietreggiò di due. L’animale raspò il terreno con gli artigli e spiccò un altro balzo; lei lo ferì ancora. Schizzò altro sangue e il Fenrir guaì. Roteò un paio di volte su se stesso, come disorientato dall’ultimo colpo ricevuto e poi scosse la testa più volte, gettando bava ovunque. Nella stalla c’era un certo trambusto. Nitriti e rumori di zoccoli che sbattevano sulle assi di legno.

Poi un ululato, in lontananza, distrasse l’animale, che drizzò le orecchie e rimase in ascolto. Emma non lo perse di vista.

Infine, ringhiando, corse via, sparendo in mezzo alla boscaglia e lasciando sull’erba le tracce del suo sangue.

Emma sentiva il cuore pulsare forte nel petto. Chiuse gli occhi per qualche istante, poi rinfoderò la spada e si diresse verso le stalle. Voleva entrare e assicurarsi che i cavalli stessero bene.  

Aprì le porte della stalla. Nell’istante in cui lo fece, uno zoccolo si abbatté sul legno della porta.

Un lampo bianco.

Ebbe appena il tempo di scansarsi. Il suo cavallo si impennò, nitrendo impazzito e sbuffando. Solo per miracolo Emma riuscì ad afferrarlo per le redini. Strinse forte. Maximus s’impennò di nuovo, scuotendo il capo e tirando per liberarsi dalla sua presa. I suoi occhi erano folli di paura. Rotearono mostrando solo il bianco.  

- Maximus! Calmo! – gridò Emma.

- Che succede, per gli inferi?! – Le giunse la voce di Agravain.

- Emma! – urlò Galahad.

- I cavalli! Correte! – gridò Gawain.

Il destriero non si calmò. S’impennò una terza volta, dopodiché partì al galoppo. Emma riuscì ad afferrare il pomo della sella con la mano libera.

 

 

Da qualche parte, a ovest.

 

“Andrò avanti, in esplorazione. Cercherò di... di capire quanto siano abili. Con la magia. E cercherò di... di farmi un’idea del loro esercito. Elaborerò un piano. E quel piano sarà perfetto, una volta che saprò chi sono veramente i miei nemici.”

“Queste sono parole sagge, Maestà.”

Aveva fatto ciò che le aveva chiesto di fare Tremotino. Era andata avanti, in esplorazione.

- Maestà, non è sicuro. – le aveva detto uno dei suoi soldati, quando aveva esposto la sua idea.

- Lo è, invece. So quello che faccio.

- So che lo sapete. Ma mancano ancora parecchie leghe al regno del sud.

- Devo avvicinarmi da sola, soldato. Si tratta solo di andare in avanscoperta. Ho bisogno di sapere come agire prima di farlo sul serio. Non appena avrò un piano, riceverete un mio messaggio.

L’indecisione serpeggiò nel gruppetto.

- Ci vorranno giorni prima che facciate ritorno. – le aveva fatto notare Jim Halloway, come se lei ne avesse avuto bisogno.

- Non sapete badare a voi stessi, per caso?

Il giovane che gli stava sempre appiccicato, Will, aveva fatto un passo avanti e aveva aperto la bocca per dire qualcosa, ma Jim aveva sollevato una mano, agitandola.

- Naturalmente sì, Vostra Maestà. E sappiamo anche quanto Voi siate potente. Ma è sempre meglio, con il dovuto rispetto, che ci sia qualcuno a guardarvi le spalle.

- Lasciate che almeno uno di noi Vi accompagni, Maestà. – aveva proposto un altro soldato, chinando leggermente il capo. – Scegliete Voi chi, ma Vi prego di darmi retta. Diversi giorni di cammino Vi separano da quel luogo e i boschi sono infidi.

- Forse non ci siamo capiti, soldato. Il mio è un ordine. Dovete aspettare qui! – Regina era montata in sella a Rocinante, afferrando le redini e preparandosi a partire. Non voleva nessuno tra i piedi. Avrebbe percorso tutte le leghe che la separavano da Anatlon e poi avrebbe usato un sortilegio per cambiare il suo aspetto. In quel modo avrebbe potuto avvicinarsi indisturbata e capire che cosa l’aspettasse. Inoltre quella era una faccenda personale: si trattava della sua vendetta! Sarebbe stata lei, la prima a mettere gli occhi su Anatlon, su Snowing Castle. Erano anni che aspettava e voleva essere sola quando fosse accaduto.

- Il consigliere Tremotino ci ha raccomandato di proteggervi, Maestà. – provò a replicare, intimorito, un terzo soldato, strascicando i piedi sull’erba.

- Lo avete fatto. Adesso tocca a me. Vado avanti, soldato. Tornerò presto.

- Ma, mia regina, noi...

- Ora basta! Si dice Vostra Maestà! – Regina aveva appoggiato una mano sull’elsa di Stormbringer. I suoi occhi si erano colorati di viola. Il viola aveva preso a girare furiosamente. Le iridi non erano più iridi, ma buchi pieni di energia che vorticava. I soldati avevano fatto, tutti, qualche passo indietro. – Io sono la regina e voi farete ciò che io vi comando! Se non eseguirete l’ordine, ci saranno delle conseguenze! E vi assicuro che le conseguenze potrebbero essere molto spiacevoli.

I soldati si erano inchinati al suo cospetto e avevano promesso che avrebbero eseguito i suoi ordini. Non si sarebbero mossi da lì.

E ora cos’era successo?

Era successo che si era persa. Non aveva idea di dove si trovasse.

La circondavano cespugli, tronchi nodosi e spogli, fossi, pozze su cui aleggiavano nugoli di mosche, qualche albero contorto e vecchio. Il terreno era pianeggiante, ma non c’erano sentieri. Quello che aveva seguito e che le avevano indicato anche i suoi soldati, avrebbe dovuto esserci ancora, a quel punto. E invece non lo vedeva più. Non sentiva più il rumore delle acque del fiume che avevano costeggiato. Forse era arrivata ad un bivio senza rendersene conto e aveva preso la strada sbagliata, una strada che l’aveva condotta in una zona paludosa e deserta.

Maledizione.

Respirò a fondo per escludere qualsiasi emozione negativa. Aveva perso l’orientamento, ma non doveva farsi prendere dal panico. Avrebbe ritrovato la strada.

Se avessi portato qualcosa appartenuto ad uno dei miei soldati avrei potuto fare un incantesimo di localizzazione e tornare indietro...

Ma non aveva niente, quindi doveva cavarsela da sola.

 

 

Da qualche parte, a ovest.

 

Non sapeva bene quanto tempo fosse passato da quando si era aggrappata alla sella del suo cavallo imbizzarrito ed era stata trascinata in una lunga corsa.

Ad un certo punto, quando aveva ormai percorso diverse leghe, Emma era riuscita a vincere la sua lotta con Max e il cavallo, dando retta alla sua voce, si era calmato. Aveva rallentato il passo, proseguendo al trotto per un po’ e infine si era fermato, sfinito, sbuffando furiosamente e scuotendo la testa.

Emma smontò e accarezzò il destriero.

- Va tutto bene, Maximus. – sussurrò Emma. – Ora è tutto a posto.

Subito dovette rimangiarsi le parole appena pronunciate perché, guardandosi intorno, si rese conto di non sapere bene dove si trovasse. Il sole si era spostato nel cielo e aveva diradato la foschia che si era formata quella mattina. Era una zona pianeggiante e paludosa; pozze di acqua stagnante e rivoletti tra le pietre. Alberi alti e nodosi, sparsi qui e là. Nugoli di insetti che già le bazzicavano intorno alla ricerca di sangue da succhiare. Nessun sentiero, ovviamente. Era ben lontana dalla nota Via del Re e, a quanto sembrava, era lontana anche da qualsiasi villaggio abitato. L’ovest era pieno di zone paludose e difficilmente praticabili. Ed Emma era finita proprio in mezzo ad una di quelle paludi.

Si mette male.

Doveva capire dove si trovasse.

Se i cavalieri sono sulle mie tracce, forse è meglio che rimanga qui. Se mi allontano, rischio di non ritrovarli.

Ma il terreno intorno a lei era un terreno paludoso. Un vero pantano anche a causa del temporale di quella notte. Le tracce lasciate da Max nell’ultimo tratto stavano già svanendo. Sarebbe stato molto complicato, per i cavalieri, ritrovarla. Aveva percorso diverse leghe.

No. Decise di muoversi. Decise di cercare qualcosa che potesse indicarle in che zona era finita.

Emma prese le briglie e si incamminò, con Max che la seguiva, tranquillamente. Lo spavento era passato, ormai.

Dannazione a quel Fenrir!

La nota positiva era che, legati alla sella, aveva ancora delle sacche con del cibo, erbe medicinali e un piccolo otre pieno d’acqua. Le sarebbero bastati per qualche giorno. Doveva razionare le provviste, ma non sarebbe stato un problema.

“Ma sempre i piedi che han tanto vagato, tornano infine al tetto bramato”, aveva cantato Agravain solo il giorno precedente.

Vagare era proprio la parola giusta. I suoi piedi avrebbero avuto il loro bel vagare, ne era convinta.

Attraversò una macchia d’alberi, rovi, cespugli spinosi e sterpi, aprendosi la strada con la spada per evitare che le spine la pungessero o pungessero Max. Procedeva senza fretta, guardinga, attenta alle pozze profonde e ai pantani, si guardava intorno e tendeva le orecchie ad ogni minimo rumore. Raggiunse uno stretto fiumiciattolo. Tra le canne e i giunchi, un asse di legno marcio, largo un paio di spanne, collegava le due sponde.

Non ebbe bisogno di attraversarlo, fortunatamente. Il paesaggio si era aperto davanti ai suoi occhi ed Emma vide ciò che cercava, qualcosa che la aiutò a capire dove si trovava: l’Arduo Colle. Era molto peggio di quanto immaginasse, perché, anche se l’Arduo Colle era ancora ad una lega di distanza, lei si trovava da questa parte, non oltre il colle, dove la zona paludosa lasciava spazio al lago di Inis Witrin, da molti chiamato la Porta di Avalon.

Emma era nella Grande Palude.

L’aveva vista segnata sulla mappa che Artù aveva dispiegato sulla Tavola Rotonda. Non c’era niente in quel posto. O meglio, da qualche parte, qualcosa... qualcuno c’era. Se avesse esplorato meglio la zona avrebbe trovato delle casette improvvisate che appartenevano ai cosiddetti Uomini Paludosi; reietti, vagabondi, gente che non aveva più un luogo a cui tornare né tantomeno un’identità, persone che campavano pescando rospi, anguille e sanguisughe, raccogliendo bacche commestibili o erbe che poi venivano rivendute a qualche miserabile mercante delle città più vicine.

E ora?

Il Lago di Inis Witrin. La Porta di Avalon...

Le tornò in mente la sua conversazione con Morgana.

“Ma ricordati delle mie parole. Non essere avventata. Non fare cose di cui potresti pentirti. Non lasciarti trascinare dalla tua rabbia. Vieni ad Avalon.”

Ma non ebbe il tempo di rifletterci sopra, perché dalla macchia d’alberi che aveva oltrepassato poco prima sbucò qualcuno. Dapprima Emma udì il rumore di una lama che tagliava cespugli e rovi. Poi un’imprecazione. Una voce femminile. Il nitrito basso di un cavallo.

Un Paludoso?

Emma non sapeva quanto forti fossero quelle persone. Sicuramente avevano armi per difendersi. Armi rubate. Armi forgiate con le loro mani. Se un tempo erano stati dei combattenti, dei cavalieri o dei semplici soldati, erano in grado di difendersi.

Emma mise mano all’elsa. Maximus nitrì, nervoso.

Infine comparve una donna.

Sbigottita, Emma rimase là, a fissarla.

La donna indossava una robusta armatura nera e impugnava una lunga spada la cui elsa era altrettanto nera. I capelli erano corti e scuri e l’espressione corrucciata del viso decisamente attraente lasciava intuire che anche lei si fosse persa. Teneva per le briglie un bel cavallo, anche lui abbigliato più o meno come la padrona: sella scura, sottopancia e arcione neri.

Non può essere...

Emma credette davvero di essere piombata in un sogno allucinato. Era successo tutto troppo in fretta. Forse la sua mente stava reagendo nel modo sbagliato alla perdita dell’orientamento; forse era caduta da cavallo e giaceva svenuta da qualche parte.

La donna la vide e sbarrò gli occhi, stringendo saldamente la spada in pugno. Non parlò. Si limitò a guardarla.

No, non sto sognando. Tutto questo sta accadendo veramente.

Regina.

La donna era Regina, la sovrana del regno di Mehlinus. Non l’aveva mai vista ma non avrebbe mai potuto non riconoscerla; non solo perché gliel’avevano descritta, ma anche... per via dello stemma. Sul petto, incisa sull’armatura, c’era la testa di una pantera con le fauci spalancate. La spilla che chiudeva il mantello alla base del collo aveva la medesima forma. Aveva un portamento elegante, regale, anche se era vestita come un cavaliere. E quella spada... quella spada era Stormbringer, la Tempestosa. La spada della regina del nord. Solo lei avrebbe potuto impugnarla. Non se ne separava mai. Merlino l’aveva disegnata, basandosi sulle proprie visioni.

- Chi siete? – domandò Regina, puntando la spada nella sua direzione, ma restando a distanza.

Emma strinse il pugno. Aveva la bocca secca e il cuore in tumulto. Nella sua testa si facevano largo le immagini più dolorose della sua vita: Snowing Castle che bruciava, le fiamme che divoravano il castello, la gente che urlava, i corpi sparsi per il giardino sul retro del castello, suo padre che uccideva l’uomo che voleva spaccarle la testa con la sua ascia, David che la consegnava a Graham, Narsil...

Le ultime parole.

“Presto verrà il tuo momento. Lo so. Non può essere altrimenti. Allora tornerai e tutto questo sarà tuo! Tutto! Il trono che ti appartiene di diritto sarà tuo! Le terre saranno tue! I miei uomini saranno tuoi!”

Il dolore nei suoi occhi. Lo stemma... il melo, che una volta era il simbolo della regina del nord, che sventolava, che capeggiava sugli scudi, sulle armature.

“Un giorno, quando sarai abbastanza forte, tornerai. Vendicherai me e tua madre. Il regno sarà tuo! Ma adesso devi andare con Graham. Se rimani qui, morirai e tutto sarà davvero perduto! Fallo per me, figlia mia.”

Furiosa, Emma sguainò la spada.

   
 
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