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Autore: Axel Knaves    04/11/2020    0 recensioni
"Non mi ricordo quando sono nato, mi sembra di essere sempre esistito.
Sono nato o sono stato creato? Non so nemmeno questo.
Ma so lo scopo per cui vago su questa terra: portare il freddo e il gelo in ogni angolo abitato."
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~Pubblicata anche su Wattpad
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non mi ricordo quando sono nato, mi sembra di essere sempre esistito.
Sono nato o sono stato creato? Non so nemmeno questo.
Ma so lo scopo per cui vago su questa terra: portare il freddo e il gelo in ogni angolo abitato.
Ho vissuto così a lungo da poter osservare gli esseri umani evolversi.
Li ho visti uscire dalle caverne, gli ho visto lodare il sole, gli ho visto creare la filosofia, la matematica e la scienza.
Ho camminato tra di loro durante le guerre, le carestie e le festività.
Invisibile a tutti ma conosciuto da chiunque.
Era questa la mia missione: vagare e non essere visto.
E ciò avevo fatto fin quando quei due splendidi occhi viola si posarono su di me.
Il mattino in cui lo incontrai fu specialmente freddo e rigido, le nuvole grigie era spesse e segno di malaugurio. Il giorno successivo avrebbe nevicato copiosamente su quella reggia dorata.
All'inizio non ci avevo dato peso, credevo stesse guardando attraverso il mio corpo come ogni altra persona; ma poi notai i suoi occhi seguirmi in ogni mio spostamento, ovviamente incuriosito da una persona mai vista negli immensi giardini.
Quando un giardiniere mi trapassò senza accorgersene, l'uomo dagli occhi viola sbiancò dallo spavento e svenne.
La corte di servi fu veloce ad accorre in aiuto del loro signore con dei sali; io mi trovai a scappare spaventato da quello appena successo: un essere umano era in grado di vedermi per davvero.
Per il periodo restante, di quella gelida stagione con cui avevo avvolto la città di Parigi, anche se non era nei miei compiti, continuai a studiare lo strano uomo dai capelli bianchi e gli occhi viola.
Lo spiai da dietro i cespugli, coperto da colonne e attraverso le finestre: ne ero spaventato ma allo stesso tempo curioso. Nessuno mai prima d'ora si era accorto della mia presenza, cosa aveva diverso quell'essere umano?
Non ci misi molto a comprendere che si chiamasse "Jean-Claude", non avevo mai capito perché gli umani dovessero darsi un nome ed etichettare tutto, erano così tante parole da ricordare!
Questo umano era diverso in diversi aspetti: non poteva correre e divertirsi, era sempre seguito da molti servi ed amava il cielo coperto dalle nuvole grigie.
A quanto avevo capito poteva uscire solo quando arrivava il freddo nella città oppure stava male a colpa del caldo e della luce.
Mentre lo studiai, sempre più curioso, mi accorsi anche di un'altra cosa: i suoi occhi erano sempre in cerca di me, pieni di una lucente curiosità; appena mi notava non distoglieva mai lo sguardo. Senza perdere un singolo briciolo di speranza continuò a cercare un contatto con me anche se fuggivo a gambe levate ogni volta che si avvicinava troppo.
Però il freddo e il brutto tempo non potevano durare per sempre e dovetti proseguire il mio viaggio, il mio compito, ciò per cui ero sulla terra. Lasciai il posto al sole e alle margherite; quegli occhi, però, non lasciarono mai la mia mente.
Continuai a viaggiare fino a ritornare a camminare per le strade della Francia, quando le foglie rosse vennero finalmente coperte dalla magnifica neve sempre al mio seguito.
Jean-Claude era ancora lì, ancora in attesa, ancora speranzoso di conoscermi.
Mi cercò e mi seguì proprio come gli umani addestravano i cani a fare con le prede della caccia.
La prima volta che mi parlò era pomeriggio; la mattina era stata gelida e mi ero trovato a contemplare l'acqua ghiacciata di un'arzigogolata fontana. L'uomo dagli occhi viola arrivò da dietro di me, prendendomi di sorpresa.
«Cosa sei?!» Mi chiese, quasi urlando.
I suoi capelli bianchi come la nave erano visibili e scompigliati sotto l'innaturale parrucca scivolata su un lato, i vestiti erano in disordine senza nessuna traccia di un soprabito, il respiro irregolare diventava bianco all'aria: probabilmente mi aveva visto in lontananza e aveva corso per braccarmi prima che avessi il tempo di fuggire, lasciando indietro i suoi servi.
Mi alzai, spaventato ed intenzionato a scomparire dalla sua vista.
«No, ti prego!» Supplicò lui facendo un passo verso di me, il tono era così disperato da farmi rimanere immobile e guardarlo da sopra la spalla. Quei magnifici occhi viola mi stavano urlando il loro bisogno di risposte. «Voglio solo sapere cosa sei».
Fu lì, in quell'esatto impossibile istante, che la nostra amicizia iniziò; purtroppo non lo avrei compreso per molto, molto tempo.
All'inizio la situazione fu un po' idilliaca: io non potevo parlare mentre lui pronunciava così tante parole da soddisfare il fabbisogno di entrambi. Ci vollero alcuni giorni ma Jean-Claude iniziò piano piano a comprendere le risposte disegnate da me sulla neve che ricopriva i giardini e a intuire i significati degli spifferi di vento gelato con cui gli scompigliavo vestiti ed abiti.
«Ho compreso cosa sei». Disse lui un giorno e un mio sopracciglio s'inarcò curioso. «Noi sei una persona, noi ti chiamiamo "inverno"».
Inverno. Dunque avevo anche io un nome.
Grazie alla stupefacente velocità con cui Jean-Claude parlava, scoprii tante cose su di lui: gli piaceva ballare, leggere libri davanti a un camino acceso e si lasciò sfuggire come mi "amasse", essendo l'unico periodo in cui poteva uscire dalle sue stanze senza preoccuparsi della luce del sole.
«Ma tu provi "amore"?» Mi domandò subito dopo con uno sguardo dubbioso. «Sai quello strano calore al petto che ti vuole far stare con una persona...»
Contemplai un attimo la domanda. Uno strano calore al petto? No, il caldo era ciò che veniva dopo di me, dopo il freddo. Io non potevo sentire calore, non era nei miei compiti.
Scossi il capo. Gli occhi viola di lui si incupirono a quella risposta.
«Deve essere davvero triste una vita senza amore».
I giorni passati in compagnia di Jean-Claude, d'improvviso, si iniziarono a susseguire molto velocemente e, come ogni ciclo, arrivò il giorno in cui dovetti andarmene; cercai di rimanere un po' di più per poter parlare con quel magnetico uomo ma il caldo e il sole mi scacciarono violentemente, ricordandomi quale era il mio posto.
Questo ciclo si ripeté tante e tante volte. Arrivavo, parlavo con Jean-Claude ed era già tempo di andare.
Ma quell'uomo dagli occhi viola e la pelle candida mi continuava ad aspettare e mi accoglieva ogni volta sempre più debole, con sempre qualche ruga in più, sempre meno distante dalle sue stanze.
Fino a quando non dovetti andarlo a cercare io stesso nei suoi alloggi.
Ma continuammo ad incontrarci: lui sdraiato a letto accanto al suo amato camino acceso ed io seduto vicino ad una finestra aperta. Lui parlava, io ascoltavo; amavo la sua voce, soprattutto mentre leggeva ad alta voce i suoi libri preferiti.
«Sei stato un ottimo amico», mi disse una sera mentre fissava il fuoco acceso, interrompendo la lettura di un bellissimo libro. «Il migliore di tutti quelli che ho avuto. Non so perché non puoi parlare o perché solo io posso vederti, ma sono grato di averti avuto nella mia vita per tutti questi anni».
Quando notò la mia faccia corrugata, scoppiò a ridere sguaiatamente.
«Ovviamente non sai cosa sia un amico!» Esclamò divertito. «Io sono tuo amico. E lo sarò sempre, non scordartelo».
Il ciclo successivo, quando portai di nuovo il freddo a Parigi, di Jean–Claude era rimasta solo una tomba con il suo nome. Ora non avevo più nessuno che mi vedeva, non avevo più nessuno con cui potevo parlare.
Avevo solo il mio compito, il mio scopo.
Continuai a viaggiare, a studiare gli umani, senza mai fermarmi, senza mai una pausa.
Sempre da solo, sempre invisibile, trovandomi più e più volte nostalgico del tempo passato con Jean-Claude.
Ma non potevo fermarmi.
Anche in quel gelido gennaio, continuavo a camminare per le strade di Edimburgo in cerca di qualcosa introvabile nelle vetrine ancora arredate in tema natalizio.
Ero stanco, vuoto; camminavo da così tanto e sempre da solo.
Delle risate mi tolsero quei tristi pensieri dalla mente e mi portarono a guardare un gruppo di bambini giocare in un parco più in là con la neve.
La loro energia, la loro vita, le loro risate mi calmarono i pensieri: seppur fossi da solo, il mio cammino faceva avvicinare le persone e fargli passare più tempo insieme.
Sospirai, un poco più leggero. Stavo per tornare a camminare quando qualcosa attirò la mia attenzione.
No, non qualcosa, un paio di occhi attirò la mia attenzione.
Un paio di occhi viola.
Mi bloccai a metà passo, gli occhi sgranati.
Lì, in mezzo a tutti quei bambini urlanti e intenti a rincorrersi, ce n'era uno con i capelli bianchi e gli occhi viola puntati su di me. Quando notò come i miei occhi fossero fermi su di lui, mi sorrise a trenta due denti e mi iniziò a salutare sventolando la piccola mano sopra la testa.
Mi stava salutando.
Mi guardai attorno ma non c'era nessuno, stava davvero salutando me.
Quel bambino poteva vedermi, non ero più solo, avrei avuto di nuovo qualcuno a cui tornare ad ogni ciclo ma allora perché non ero felice? Non era questo quello che stavo cercando da così tanto tempo?
No.
Non era questo che cercavo.
Quello che cercavo io non c'era più. Non volevo qualcuno che potesse vedermi. Io cercavo Jean-Claude.
Una strana sensazione mi prese al petto. Mi sentii come incapace di respirare tanto calore stavo provando poi arrivarono anche le lacrime; calde ed implacabili accesero fiumi di fuoco sulle mie guance glaciali.
Mentre piangevo per la prima volta nella mia esistenza, compresi finalmente cosa significasse "amore" e cosa fosse un "amico".
Compresi finalmente cosa Jean–Claude fosse stato per me.


 


♦Angolo Autrice♦

Dopo tanto ecco che finalmente torno a pubblicare qualcosa, più o meno: avevo già pubblicato questa one–shot in una mia vecchia opera "30 Day Challange – Isolation Edition" (ora cancellata) e ho deciso di pubblicarla come storia a se stante editata.
Questi ultimi mesi sono stati molto eclettici e pesanti per me, non solo da un punto di vista fisico ma anche psicologico. Mi hanno insegnato molto, mi hanno regalato molte persone di cui so di potermi fidare però mi hanno anche buttato a terra; ci è voluto molto per riprendermi ma finalmente ci sono riuscita.
L'inverno è la mia stagione preferita e ho voluto dedicargli una piccola one–shot, specialmente con i mesi che ci si presentano davanti.
Spero che questa piccola one–shot sia piaciuta e se vorrete lasciare una piccola recensione lo apprezzerò molto!!!

Axel Knaves

   
 
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