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Autore: SkyDream    06/11/2020    4 recensioni
[DaiSuga][Brotp/Ship, a voi la scelta ❤]
Sugawara cammina lentamente tra i cieli candidi di neve. Più che camminare, Sugawara sembra essere sospeso.
Ed è lì, con il vento freddo sul viso, che la sua mente lo riporta a qualche mese prima, quando la primavera era alle porte e poteva ancora sognare.
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Dal testo: Gli acchiappasogni tintinnarono appena, scossi dalla brezza notturna. Gli occhi del setter si sollevarono, rapiti da quel gioco di luci e suoni argentini.
E con quei lievi rumori, Daichi scivolava nuovamente nel sonno.
Pensò, poco prima, che avrebbe continuato tutta la vita in quel modo.
Sospeso tra gli esami del liceo e le partite.
Mai da solo.
Con il suo setter pronto a sostenerlo.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daichi Sawamura, Koushi Sugawara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~ Winter Dreamcatcher~
 
 
Dicembre
Un mese dopo
 
Erano i mille fiocchi bianchi che vorticavano, lenti, sugli aliti di vento.
Era la brina, fredda, gelata, che si poggiava sulle panchine, sui rami spogli e sulle guance rosse dei pochi passanti che, con i loro respiri, creavano piccole nuvole leggere.
Era lo scricchiolio del ghiaccio sotto le scarpe, erano i rumori delle macchine, erano le luci colorate dei negozi in centro.
Messi assieme, tutti gli elementi costruivano un paesaggio invernale in cui Sugawara si sentiva totalmente estraneo. Sembrava essere finito lì dentro, per l’ennesima volta, per volere di una mano sconosciuta.
Sollevò il capo verso l’alto, i fiocchi bianchi si poggiarono sul naso, sul cappuccio e su quel ciuffo di capelli troppo chiaro.
Avrebbe giurato di non sentire più nemmeno il freddo, di non sapere su che terreno stesse camminando. Stava levitando in un realtà che non gli apparteneva.
 
 
Perché sei stata l’estate migliore della mia vita
 
 
Maggio
Sette mesi prima
 
«Hai deciso per i test d’ingresso?» Daichi finì di sistemare il borsone e diede un’ultima, amorevole, occhiata a quella palestra ormai immersa nel buio.
Convincere Kageyama e Hinata ad andare via prima di loro si era rivelata una sfida ardua.
«Mi piacerebbe fare l’insegnante. Cosa ne dici? Mi ci vedi con i pargoli?» Sugawara sollevò il mento e si passò una mano tra i capelli senza celare un mezzo sorriso.
«Non vedrei nessun altro con i pargoli, se non te! Hai una pazienza infinita, Suga.» Il Capitano portò il borsone sulla spalla e scese gli scalini in direzione della strada in cui, silenziose, le luci dei lampioni regalavano sprazzi dorati nella notte.
«Comincerò a studiare durante le vacanze estive! Per Marzo dovrei essere pronto, non credi?».
«Conoscendo il tuo cervellino, potresti riuscirci in molto meno tempo. C’è da considerare che, a Febbraio, avremo anche i test di fine ciclo però».
Sugawara guardava il suo amico sotto quelle luci che si alternavano a zone d’ombra. Erano cresciuti così tanto negli ultimi tre anni, soprattutto Daichi si era davvero trasformato.
Era diventato un atleta in tutto e per tutto. E, cosa non da meno, aveva uno spirito da far paura.
«Non mi hai detto per cosa vorresti fare tu i test, non ci hai ancora pensato?» Il setter infilò le mani nelle tasche della giacca nera e spostò lo sguardo verso le stelle che, lente, sfiorivano nel cielo primaverile.
«Avevo pensato di entrare nelle Forze di Polizia di Miyagi. Dovrò studiare tantissimo, ma non mi va proprio di diventare un impiegato qualunque.» Daichi portò due dita sotto al mento mentre rifletteva sulle sue stesse parole.
Avrebbe tranquillamente continuato a camminare se non lo avesse richiamato il suo amico, senza accorgersi di averlo lasciato qualche metro dietro.
«Che cosa?! Daichi, sei forse impazzito?!» Lo sguardo perplesso dell’altro lo fece quasi ridere. Era raro vedere Suga con quell’espressione stravolta e contrariata.
«Assolutamente no! Non sostieni la mia idea?».
«Sostengo che sia una follia! Cioè, ti vedrei pure come poliziotto, ma la pallavolo? Significherebbe abbandonarla immediatamente!» La voce del setter era agitata, carica di ansia come poche volte era successo.
Daichi strabuzzò gli occhi e sollevò le sopracciglia in un evidente stato di sorpresa.
«La pallavolo? Non ho mai detto di volerla abbandonare!» Eppure, pensò, non aveva nemmeno detto che voleva continuar a praticarla.
Suga scosse la testa, contrariato.
«Ho un patto da proporti, Daichi!» Esclamò incredibilmente serio mentre tornava a camminare al suo fianco.
Il Capitano voltò lo sguardo, il tempo rimasto era ormai poco, le loro case si vedevano in lontananza.
Suga si schiarì la voce:«Io ti do una mano con i test d’ingresso per entrare nelle Forze di Polizia, e tu mi giuri solennemente che continuerai con la pallavolo».
«No.» Fu la risposta secca dell’altro.
«Era un sì? Era proprio un sì! Ottimo, ne parlerò stasera con i miei. Dovrei avere una casa libera che sarebbe perfetta per passare le vacanze estive in tutta tranquillità e ci concilierebbe lo studio».
«Sugawara!».
«Come dici? Ci serve un campo da pallavolo? Nessun problema! La casa non dista molto dalla Karasuno, potremo continuare con i nostri kohai. E’ proprio un’idea geniale.» Il setter scoppiò in una risata quando vide il suo Capitano spalmarsi le mani in faccia in segno di resa.
«Dimmi che stai scherzando, Suga».
«Assolutamente no! Non ti piace l’idea di studiare un po’ insieme?».
Daichi spostò le dita di una mano e guardò il suo amico dalla fessura tra l’indice e il medio.
Non era la prima volta che studiavano insieme, anzi, per gli esami si ritrovavano spesso l’uno nella casa dell’altro. Sugawara era indubbiamente più bravo di lui, spesso gli esiti dei suoi esami dipendevano strettamente dalle sue spiegazioni.
«Smettila di guardarmi con quegli occhi, o finirò per ripensarci! E non è finita qui!».
Daichi gli lanciò un’occhiataccia che prometteva intere vasche di tuffi durante gli allenamenti, Suga si grattò la testa candida e rise di gusto mentre lo salutava per poi cambiare strada e raggiungere casa sua.
Sarebbe stata una bella estate, no?
 
 
E’ la verità, sembrava La Storia Infinita
 
 
Settembre
Due mesi prima
 
Sugawara e Daichi avevano passato due interi mesi sul tappeto di quella casa ventilata, le porte scorrevoli facevano passare delle correnti d’aria che smuovevano gli acchiappasogni che Suga, con un sorriso brillante, aveva appeso ai margini superiori del piccolo balcone.
Avevano studiato come matti, a volte avevano finito per addormentarsi l’uno accanto all’altro, con i volti poggiati ai tomi, quasi volessero continuare ad apprendere anche durante il sonno.
Ogni pomeriggio, però, l’appuntamento con la Karasuno continuava ad essere scandito dai comandi esigenti del Capitano. Daichi era davvero convinto di arrivare ai Nazionali, quel torneo di primavera se lo sarebbero guadagnato ad ogni costo.
Il setter, invece, sentiva la sua energia scorrere su due diversi canali.
Voleva vincere, sì, ma non avrebbe rinunciato ai suoi sogni.
Era davvero intenzionato a superare quei test di ingresso. Non voleva assolutamente fallire.
Non poteva permetterselo.
 
Non era raro, per Daichi, svegliarsi nel cuore della notte e trovare il suo amico seduto per terra, nel suo kotatsu, con quella tazza di tè verde sempre piena e gli occhi proiettati sui fogli candidi come la sua pelle, come i suoi capelli che sembravano luccicare sotto la luce dell’unica lampadina che accendeva.
Si chiedeva sempre se sarebbe riuscito a riposare adeguatamente e, soprattutto, se mentalmente si sentisse bene.
Sugawara riusciva a farlo preoccupare come poche cose. Era un libro aperto, diceva sempre ciò che pensava - con una gentilezza e una cordialità che mai erano appartenute a nessun altro -, ma quando voleva nascondere qualcosa lo faceva benissimo.
Gli acchiappasogni tintinnarono appena, scossi dalla brezza notturna. Gli occhi del setter si sollevarono, rapiti da quel gioco di luci e suoni argentini.
E con quei lievi rumori, Daichi scivolava nuovamente nel sonno.
Pensò, poco prima, che avrebbe continuato tutta la vita in quel modo.
Sospeso tra gli esami del liceo e le partite.
Mai da solo.
Con il suo setter pronto a sostenerlo.
 
 
E forse era solo la felicità
 
 
Novembre
Quello stesso mese
 
Sugawara adorava calpestare le foglie arancioni sul vialetto della Karasuno, per questo l’arrivo della neve era sempre un pizzico al cuore.
Quella mattina aveva messo le scarpe invernali e si era tuffato tra le strade ancora umide di pioggia, nelle pozzanghere erano ben visibili i riflessi di quel cielo che, da autunnale, minacciava di diventare invernale.
Portò la cartella sulla spalla e la sciarpa davanti il naso, così che l’aria fresca non gli ferisse la gola. Sentire quello scricchiolio sotto le scarpe gli aveva strappato un piccolo sorriso.
Poi aveva citofonato più volte a casa Suwamura. Più e più volte.
«Ehi, Daichi! Faremo tardi!».
Suga inarcò un sopracciglio. Non era da lui essere in ritardo, soprattutto durante gli allenamenti mattutini.
Fece il giro sul retro, non era di certo sua consuetudine essere così curioso, ma qualcosa decisamente non gli tornava.
La stanza di Daichi aveva le finestre chiuse e le tende tirate al centro, della macchina dei suoi genitori non vi era l’ombra.
D’istinto, Suga aveva preso il cellulare dove, però, non spiccava alcuna telefonata né alcun messaggio.
Provò a chiamare decine di volte nel tragitto da casa verso scuola, senza ottenere nessuna risposta.
 
Daichi non si era presentato a lezione.
Non si era fatto vivo in pausa pranzo.
Nessuna telefonata durante gli allenamenti.
Sugawara era sempre stato un ottimo Vice, ma quel giorno non fece altro che essere distratto da quella situazione inusuale.
I suoi kohai lo tempestavano di domande a cui lui, con un mezzo sorriso, rispondeva con “Sono sicuro che sta bene, domani lo costringeremo a fare cento vasche di tuffi per punizione!”.
Ma non ci credeva nessuno, nemmeno lui stesso. Tutti finsero il contrario e continuarono ad allenarsi mentre il cielo plumbeo si faceva via via più scuro.
Come il viso di Suga, che mai aveva perso il sorriso per così tanto tempo.
Sulla strada del ritorno aveva citofonato ancora, stavolta era stata sua sorella ad aprirgli. Aveva gli occhi lucidi di pianto e non riuscì a trattenersi davanti il viso stravolto del setter.
«Suga-niichan!» Si era catapultata al suo petto, così bassa in confronto all’altro, alla ricerca di un abbraccio che però non arrivò mai.
Gli occhi del ragazzo furono catturati dai vestiti ripiegati sulla sedia dell’androne, sotto era presente anche una valigia. Sopra di essa, quasi a voler spiccare sopra tutte, vi era la maglia da Capitano di Daichi.
Sugawara non riuscì immediatamente a chiedere spiegazioni, doveva prima far rientrare l’aria nei polmoni, doveva chiedere alla sua mente di non annebbiarsi.
E quella, dannata, gli riportò davanti gli occhi il sorriso del suo Capitano, in una di quelle calde mattine d’estate passate sui libri universitari.
Gli sembrava di sentirlo lo scampanellio degli acchiappasogni sopra le loro teste, quel vortice di colori che Daichi guardava sempre prima di addormentarsi.
Gli sembrava di vederlo in uno dei pochi momenti che si concedeva per riposare, steso sul pavimento con i cuscini mentre si godeva l’aria fresca del pomeriggio.
 
Dicembre
Un mese dopo
 
Sugawara continuò a camminare fino al cancello grigio e pesante del cimitero, lo aprì con un cigolio sommesso e si fece spazio tra quelle due ante.
L’erba era ormai colma di quel soffice bianco, così come le tombe su cui era ormai impossibile riconoscere i nomi,
Poco importava, sapeva a memoria dove si trovava.
E anche se lo avessero spostato, non avrebbe impiegato molto a ritrovarlo.
Daichi e Suga erano così, d’altronde. Si ritrovavano in mezzo ad ogni difficoltà, ad ogni tempesta. C’erano sempre stati l’uno per l’altro.
Avevano portato la squadra a livelli altissimi, e l’avevano fatto insieme.
Avevano provato a raggiungere i propri sogni, fianco a fianco.
Ma Daichi non sarebbe mai arrivato al traguardo.
La mano gelida e cianotica di Sugawara, così smagrita da non poter essere più contenuta nei guanti, sfiorò la lapide e tolse via quell’eccessivo manto bianco.
La foto del Capitano brillò sotto la luce di quel lampione accecante, cominciarono a risalire le singole lettere, fino a completare la scritta che vi era di sopra.
 
Non vinceremo mai se non crediamo di poterlo fare.”
 
Era stato proprio il Vice, supportato dall’intera squadra, a volerle incidere.
Se Daichi avesse potuto dire un’ultima cosa a tutti loro, sicuramente sarebbe stata quella.
«L’avresti detta anche a me. Hai sempre sostenuto che io non avessi abbastanza stima di me stesso e che non credessi nelle mie qualità, stupido Sawamura».
Il vento gli scompigliò il ciuffo candido sugli occhi, le mani affusolate si aggrapparono a quel marmo scuro mentre le ginocchia cedevano sulla neve.
«Me lo hai scritto anche sul libro di preparazione ai test, questa estate, te lo ricordi? Che dicevi sempre che studiavo troppo, che il ruolo di insegnante mi calza così bene che nessuno si sarebbe opposto al mio sogno».
Sugawara sentì il respiro smorzarsi, da quando Daichi se n’era andato non aveva fatto altro che stare male.
Il suo corpo si era rifiutato nettamente di sopravvivere a quella perdita, la sua mente non faceva che riportargli davanti gli occhi il sorriso e le parole del suo Capitano.
Le notti d’estate passate a chiacchierare su quel balcone troppo stretto.
Il tintinnio, i colori, il vento tra i capelli.
Erano scene indelebili, così nitide che sembrava poterle fotografare. Ritornare alla Karasuno non era stato facile, ma sapere di avere comunque il suo nakama accanto gli dava la forza, giorno dopo giorno, per impegnarsi in ciò che amava.
La squadra di pallavolo, i test d’ingresso e quelli di fine ciclo.
Suga non voleva rinunciare a nulla. Nemmeno a lui.
«Se solo avessi saputo che quella sarebbe stata l’ultima volta ...» Le dita si allungarono sulla tomba fino a sfiorare la foto del ragazzo che sorrideva da dietro il vetro.
Suga sentì il fiato mancare ancora, chiuse gli occhi e respirò profondamente.
Non era mai successo da quel giorno. Non aveva mai pianto.
I ricordi, però, quella sera sembravano accendersi nella sua mente come quelle miriadi di lucine natalizie che brillavano tra le vie della città.
Quelle vie caotiche e colorate che non avevano minimamente sofferto quella perdita enorme, non avevano risentito della mancanza di Daichi.
E questo infastidiva tremendamente Suga. Come lo aveva infastidito essere nominato nuovo Capitano.
Aveva pregato Asahi di farlo al posto suo, ma tutti si erano opposti.
Gli spettava di diritto e poi, avevano detto all’unisono, Daichi avrebbe scelto proprio lui. Era il Vice, d’altronde.
«Voglio solo tornare a tre mesi fa. Voglio solo tornare a tre mesi fa».
Tre, fottutissimi, mesi fa.
E la tormenta finì per avvolgere anche lui, la neve gli riempì i capelli, la brina si depositò su quelle labbra screpolate e cianotiche, gli occhi lucidi divennero arrossati per il pianto e quel vento che non sembrava dargli tregua.
I vestiti ondeggiavano, come fossero appesi su uno spaventapasseri.
E Suga pensò che avrebbe nutrito per sempre un odio profondo per le pozzanghere se non poteva specchiarsi e vedersi insieme a lui.
Che quegli acchiappasogni dovevano essere strappati, perché ogni scampanellio lo riportava ad un’estate sprecata sui libri piuttosto che passata a vivere il suo amico.
«Sei stata l’estate migliore della mia vita, Daichi».
 
 
 E’ la verità.
Sembrava La Storia Infinita
 e forse era solo la felicità
 
   
 
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