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Autore: Cladzky    06/11/2020    0 recensioni
Un entomologo è contattato per investigare su degli strani fenomeni. Sembra che l'intera famiglia delle Formicidae, ovvero le formiche, stiano mandando strani segnali radio, in una lingua incomprensibile ma che deve essere tradotta al più presto, perché forse è in quelle onde che sta il motivo dietro l'improvvisa aggressione degli insetti contro il genere umano e che potrebbe portare alla sua estinzione in una lotta contro un nemico infinito e mostruosamente organizzato, pronto ad affermare la propria posizione come specie dominante sulla Terra.
Genere: Horror, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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La giornata proseguì come al solito. Fortunatamente forse, ma estremamente noiosa. Non ero sicuro fosse una cosa positiva. Oggi so solo che rimpiango quei giorni.

Bussai alla porta della camera da letto. Aspettai il suo permesso ed entrai. La trovai seduta di fronte alla toeletta, con in mano una sceneggiatura dei classici teatrali. Una dozzina d’altre erano sparse per il letto o sul ripiano. Non mi guardò direttamente, ma sollevò gli occhi viola dalle pagine e incontrò i miei, riflessi nello specchio. In quell’istante mi guardai anch’io. Avevo una pessima cera. La puntura della vespa sulla guancia si era gonfiata, molto più lentamente, però, rispetto a quelle delle due formiche. Oltre a quello avevo un necessario bisogno di farmi una doccia.

―Mi spiace per prima.

―Non c’è n’è bisogno― Frattanto lisciava fra le dita le pagine spiegazzate del copione.

―Ero fuori di me. Non volevo definirti un’iste…

―Sì, lo pensavi davvero.

―Non dire…― “cazzate” pensai, ma forse era il caso di abbassare i toni. Senza forse ―sciocchezze. Tu hai tutto il diritto di…

―Essere intrattabile? Violenta? Volgare?

―Lasciami finire― Forse intendevo essere imperativo, invece feci un gesto di preghiera con le mani e mi chinai un poco con le ginocchia ―Dico soltanto che, date le tue responsabilità, è più che giusto avere il diritto di sfogarsi un poco.

―Questo non è sfogarsi― Si alzò dalla sedia. Si volse verso di me finalmente e mi si fece incontro. I miei occhi gli arrivavano alla gola. Alzai il mento. Lei continuò ―Uno si sfoga ogni tanto. Qualcosa si sta rovinando fra noi.

―Non esagerare― La interruppi, mettendole le mani sulle guance ―È solo il periodo che è così. Vedrai che…

―Vedo solo che non riusciamo più ad andare d’accordo. Quand’è stata l’ultima volta che ci siamo, beh, goduti qualcosa assieme?

―Beh, la settimana scorsa quando…―Mi fermai. Lei scosse la testa, agitando i capelli biondi. Riprovai ―Quella volta al lago, per esempio, è stato meraviglioso.

―È stato sei mesi fa.

―Come vola il tempo― Forse volevo fare una battuta, ma mi uscì con un filo di voce. Ero veramente sorpreso che fosse passato così tanto da quella volta.

―Ascolta. Sappiamo entrambi qual è il problema.

―No, non lo so― Ecco, ora mi stavo irritando io ―Spiegamelo per piacere.

―Devi trovarti un lavoro.

―Ancora questa storia― Mi voltai e feci per andarmene. Lei mi prese per il braccio e mi costrinse a voltarmi.

―Sì, hai capito bene, ancora questa storia.

―Non pensavo fossimo in bancarotta― Diventavo molto poco divertente quando si parlava di finanze.

―Non sono i soldi il problema. È una questione di principio. Non sopporto di impegnarmi tanto per poi tornare a casa e trovarti a far nulla.

―Nulla― Gettai le braccia all’aria ―È così che chiami i miei studi?

―Non li chiamerei studi― Controbatté, senza perdere un minimo di calma ―Poco più che un passatempo.

―Passatempo― Ripetei un’altra volta. Girai su me stesso come a cercare qualcosa da prendere a pugni. Ero fin troppo irritabile su questo argomento ―Se la mia ipotesi fosse corretta potrei rivoluzionare il mondo, ho solo bisogno di tempo, molto tempo per i miei esperimenti. Per questo non posso permettermi di prendere un impiego al momento e contavo sul fatto che tu mi supportassi in tutto questo, visto che il tuo stipendio ci permette benissimo di mantenere entrambi in modo più che dignitoso. Non ti avevo già spiegato quanto fossero importati le mie ricerche?

―Certo, le tue ricerche― Sbuffò lei. Dal tono era chiaro che non le stava prendendo affatto sul serio, anzi, sembrava stesse reggendo il gioco a un bambino ―Le tue importantissime ricerche sugli effetti delle onde elettromagnetiche negli insetti.

―Ma cosa vuoi capirne tu?

Lei si risentì.

―Pensi che non ci capisca niente e sarà anche vero, ma di sicuro non andrai da nessuna parte con i tuoi studi fatti in casa. Hai bisogno di attrezzature adeguate e non possiamo permettercele.

―Ed è per questo― Mi avvicinai a lei, chiudendo le mani in preghiera, contento che stesse arrivando al punto della situazione ―Che devi darmi fiducia. Sto inviando le mie ipotesi e i risultati dei miei esperimenti all’università e mi assumeranno a breve, vedrai. Potrò continuare i miei studi con gli strumenti adatti e in più avrò uno stipendio anch’io, se questo ti può mettere il cuore in pace.

―Quanto a breve?

―Questo non te lo so dire― Farfugliai. Pensavo di star guadagnando credibilità ai suoi occhi, ma con quella domanda mi aveva di nuovo messo alle corde ―Aspetterò una risposta e te lo saprò dire.

―Io so già cosa dirti invece― Alzò un dito ―Hai di fronte due strade.

―Questa retorica non è da te.

―Lasciami parlare― Fece fare all’indice un mulinello in aria, come per ricominciare da capo ―Una è un’incognita e l’altra è una certezza. L’incognita è quando ti assumeranno all’università e se mai lo faranno. La seconda è andare a fare a qualcosa, qualunque cosa, purché tu contribuisca a qualcosa in questa casa.

Ponderai su come rispondere. Non avevo assolutamente voglia di darle ragione.

―Questo significherebbe abbandonare le mie ricerche.

―Non è vero e lo sai― Fu categorica ―Non inventarti delle scuse.

―Perderei comunque del tempo e ci metterei molto più del previsto, proprio ora che credo di essere sulla strada giusta.

―Ascolta, forse questa argomentazione ti suonerà più convincente― Si avvicinò, tanto che i nostri petti stavano per toccarsi ―Se anche tu ti cercassi un lavoro io non dovrei più fare certi turni assurdi per mantenere il nostro stile di vita “più che dignitoso” e non dovrei lavorare durante i festivi, come è successo oggi e molte altre volte. Forse, dico forse, finalmente avrei un po’ di tempo ed energia da impiegare in quello che mi interessa veramente.

Il suo occhio cadde sulle sceneggiature. Le raccolse, una per una, se le mise sotto braccio e fece per uscire dalla stanza, non prima di essersi fermata a fianco a me.

―Non sei l’unico che vorrebbe seguire il suo sogno. Sii meno egoista per una volta. Sii più uomo, ecco cosa intendevo a tavola.

Lasciò la stanza e scese le scale. Probabilmente era andata in salotto per continuare a provare. Non potevo ribattere nulla e mi sentivo uno schifo. Mia moglie aveva ragione. Scesi le scale anch’io, non prima di aver rimesso a posto la coperta spiegazzata del letto. Mi affaccia sul salotto, senza varcare però la soglia, fermo di fronte l’ingresso, appoggiato al muro. Lei era sdraiata sul divano, mi dava le spalle e sfogliava un’altra di quelle sceneggiature. Stava modulando la voce per vedere quale tono era adatto per una specifica linea di dialogo.

―Cosa pensi che potrebbe fare qualcuno che ha solo un dottorato in entomologia?

Lei si voltò, prima sorpresa, poi sollevando appena le labbra, felice che mi fossi arreso.

―Per quanto mi riguarda puoi anche fare il magazziniere. L’importante è portare a casa qualcosa.

Sorrisi anch’io. Mi misi le mani in tasca e guardai il parquet.

―Non pensavo intendessi fare l’attrice.

―Il tuo spirito di osservazione si ferma agli insetti.

Perfetto, ero nuovamente riuscito a farle perdere il sorriso. Entrai nel salotto e le misi le mani sulle spalle. Abbassai gli occhi e lei alzò i suoi, riflessi uno nell’altro.

― Se non mi risponderanno a breve dall’università andrò all’ufficio di collocamento, farò colloqui, qualunque cosa, basta che tu sia felice.

Lei sorrise per un momento.

―Quanto a breve?

Attesi.

―Questo non te lo so dire.

Parlammo poi delle punture che avevo sul corpo e io le spiegai il tutto, ma la discussione, di fatto,era già finita.

Finii di leggere il mio stupido romanzo, che terminò stupidamente come era iniziato. Considerai di cancellare il mio abbonamento alla collana di cui faceva parte, ma in tutta onestà mi divertiva troppo quell’ammasso di azione becera ed errate conoscenze scientifiche per farlo. Non avevo voglia di proseguire le mie ricerche quel pomeriggio, ne avevo abbastanza di insetti, dopo quello che era successo quella mattina. Uscii invece, feci una passeggiata al parco, così, per pensare al da farsi senza fretta, illudendomi che il tempo sarebbe scorso più lentamente se fossi in presenza di un bel paesaggio. Il buio arrivò molto prima del previsto, tanto prima che ero appena arrivato al laghetto che già tramontava il sole. Odiavo l’inverno. Le temperature, poi, passarono da tiepide a freddissime senza preavviso e mi ritrovai a raggelare sotto una tramontana particolarmente antipatica. Mi sarei dovuto vestire più spesso, in previsione di questo, ma mia moglie doveva proprio aver ragione, non vedevo più in là degli insetti. Camminavo sulla ghiaia lambita dall’acqua increspata dai soffi ghiacciati, molti uccelli, specie i cigni e le papere che nuotavano, presero il volo, facendosi trasportare dalle raffiche. Non ero solo, sotto la luce gialla elettrica dei lampioni, stavano molte coppie attorno a me. Forse, in realtà non lo avrei notato, o forse ancora non erano così numerose come mi sembravano, ma fatto sta che non potei fare a meno di pensare che avrei fatto meglio di chiedere a lei di uscire insieme. Non lo avevo neppure considerato per un momento, come se la evitassi, che preferissi stare da solo che in sua compagnia. Possibile? Forse aveva ragione lei, forse veramente qualcosa non funzionava più fra noi due. Provai a pensare perché stessimo insieme. Dovevo essere sotto l’influenza di quel paesaggio così idilliaco, con quelle acque viola, alla luce del tramonto, come gli occhi di lei, e le fronde, scosse dal fischio nell’aria dell’inverno. Pensavo, sapevo che c’era una buona ragione perché noi due ci fossimo sposati e la sentivo ogni volta che la vedevo sorridere, eppure, nonostante mi pendesse sempre sulla lingua, non la riuscivo a comporre in parole umane. Gli ultimi mesi ci avevano così tanto allontanato che non riuscivo più a ricordare un giorno che non avessimo litigato. Sicuramente c’erano stati, ma ora rileggevo il passato con un filtro negativo, cinico. Come avrei voluto essere dolce e romantico come un tempo. E continuavo a riflettere, potendo solo pensare ai suoi capelli biondi, le sue labbra soffici, le guance rosate e la pelle liscia come porcellana. Che razza di animale, mi dicevo, non posso amarla solo per queste frivolezze. Doveva esserci qualcosa di più, doveva, non ero un tipo del genere in fondo.

I miei pensieri furono interrotti. Molti, attorno a me, prima che me ne accorgessi, esalarono un unanime sussulto di sorpresa, fermandosi, accalcandosi per vedere meglio, via dalla luce artificiale e dalle fronde degli alberi, indicando il cielo, con mille diti puntati verso le stelle. Alzai il capo e vidi, ma non vidi stelle, vidi uno stormo, che prima credetti essere aerei, prima di rendermi conto che quello che udivo non era il rumore di alcun motore, ma solo un costante, persistente, insopportabile, ronzio di insetti. Sopra le nostre teste, contro il nero mistero della notte, si agitavano, in formazione a V rovesciata, tante luci, incalcolabili, di un colore che prima definii bianco, prima che lo sciame si avvicinasse, spense e riaccese i propri addomi, dandoci invece un chiaro segnale verde. Molti gridarono di sorpresa, contentezza, esaltazione di fronte a uno spettacolo simile. Una flotta di insetti che si comportavano più diligentemente di una squadriglia dell’aviazione, tenendo il passo l’uno con l’altro, accendendo e spegnendo i loro faretti verdi all’unisono. Alcuni risero, molti si baciarono sotto quello spettacolo, qualcuno, preso dall’emozione, e conscio che qualcosa di simile non sarebbe mai più potuto accadere, si dichiarò a qualcun altro, ma non potei udire la flebile risposta in mezzo a quel fracasso che si stava levando da terra, che ora rivaleggiava con il ronzio dell’aria.

Che insetti erano? Molti le chiamarono lucciole e anch’io per un attimo fui portato a definirle così. Ma da quando le lucciole volavano in stormi così compatti, intensi e coordinati? Quello spettacolo fu considerato talmente meraviglioso che sicuramente mi sarei svegliato il giorno dopo con quello in prima pagina. Tornai sulla via di casa, inizialmente sgomento da quello a cui avevo assistito. La formazione a V rovesciata, intanto, era sparita, oltre quegli scogli che erano i palazzi e le luci del centro, chissà dove e avevano portato le loro luci verdi con loro. Ma, a dire il vero, aguzzando la vista, quello sciame immenso, che poteva raggiungere un’apertura alare di oltre cento metri, poteva ancora essere visto sfarfallare, fra le cime dei grattacieli, volare via, solcando verso la campagna.

Una volta sul vialetto mia moglie mi corse subito incontro, abbracciandomi. Fui preso alla sprovvista.

―Cosa è successo?― Chiesi, sbigottito, risvegliandomi dalla trance in cui ero caduto prima. Premevo le guance sul suo collo, le potevo sentire la carotide pulsare, mentre le sue braccia si chiudevano dietro la mia schiena.

―Vieni a vedere, vieni― Disse lei di tutta risposta, trascinandomi per il braccio su per le scale. Non potei fare a meno di seguirla. Seguimmo il corridoio, poi, fino al mio studio ―Stai a guardare, hanno cominciato poco dopo che eri uscito.

Da oltre la porta sentivo un ronzio stranissimo, come di falene, che sbattevano su un vetro. Lei spalancò la porta e mi spinse dentro. Prima ancora di varcare la soglia potei vedere cosa voleva mostrarmi. Mi si prospettarono i miei due terrai, quelli in cui conservavo le specie che usavo per i miei studi. Le termiti non si vedevano, dovevano essersi nascoste sotto terra, a causa della scena che si stava consumando nel terrario accanto. Quello delle Formica rufa, infatti, era nel bel mezzo di un pandemonio. Le luci, le stesse luci che avevo visto quella sera al parco, venivano emanate dagli addomi di uno stormo alato di centinaia di esemplari, che ronzavano e schiantavano dappertutto, agitando freneticamente le loro mandibole, maxila labium e glossa, come a sbavare, letteralmente avendo fame di libertà, e guardandosi intorno con i loro occhi compositi e i loro tre ocelli. La stanza era preda dei loro riflessi verdi, che lanciavano, spaventosamente intensi come neon, proiettando quell’aura spettrale su ogni parete e mobilio. Mia moglie mi cinse la mano, respirando affannata.

―Che stanno facendo? Te lo saprai no?― Chiese lei, illusa che potessi risponderle.

Ero allibito. Completamente. Di fronte a me avevo la prima prova fattuale che queste Formica rufa, per pura convergenza evolutiva, avevano sviluppato una forma di bioluminescenza simile a quella dei coleotteri, adoperando l’ossigeno come carburante per la loro illuminazione. Non solo quello, ma erano come regredite, ritornando al loro stato di vespe, riguadagnando le ali che avevano perso centosessanta milioni di anni fa nel Giurassico. Mi girava la testa, tanto quanto quelle giravano e rigiravano le loro antenne segmentate. Era impossibile, eppure era proprio di fronte ai miei occhi. Mi premetti i palmi sulle tempie, calde, poi sulle orecchie, come per non sentire quel maledetto ronzio. Solo i maschi e le giovani regine possedevano ali, ma non era periodo per i voli nuziali. Che i loro cicli biologici si fossero confusi? E anche se così fosse, come potevo spiegare quella moltitudine di individui alati, che di numero rivaleggiava con le formiche operaie?

―Non lo so, io proprio non lo so― Fu tutto quel che potei rispondere, prima di afferrare per lo schienale la mia sedia da sotto la scrivania e cascarci sopra, esterrefatto. Mia moglie si teneva il viso fra le mani, emozionata da quello spettacolo che riteneva, come quelle coppie al laghetto, meraviglioso. Frattanto le luci verdi continuavano a lampeggiare, vivide come lava, illuminando la stanza come una pista da ballo, ipnotizzando la mia attenzione. E, come per magia, credevo di capire cosa stessero dicendo loro, come anche quella squadriglia che aveva sorvolato il parco.

“Il momento è giunto, sorelle. Il momento è giunto”.

Le loro zampe continuavano a battere sul vetro e le loro ali a ronzare.

“Il momento è giunto, sorelle”.
   
 
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