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Autore: ConRom76    08/11/2020    0 recensioni
Quella sera, Erin dormiva nel suo letto, avvolto tra le coperte, al riparo dalla bufera che si abbatteva sulla sua città. Era il 2085 e i mostri avevano smesso di spaventare i bambini mentre gli adulti non leggevano e non raccontavano più storie ai loro figli.
Genere: Dark, Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella sera, Erin dormiva nel suo letto, avvolto tra le coperte, al riparo dalla bufera che si abbatteva sulla sua città. Era il 2085 e i mostri avevano smesso di spaventare i bambini mentre gli adulti non leggevano e non raccontavano più storie ai loro figli.

Erano trascorsi più di sessant'anni dall'ultimo lungometraggio: cinema, teatri e librerie non esistevano più. Qualsiasi forma di narrazione era stata abolita: in città vigeva una legge che proibiva a chiunque di raccontare storie e chi fosse stato sorpreso nel farlo sarebbe stato punito con l'arresto e la prigionia. Per i cantastorie non c'erano alternative: dovevano scegliere tra l'esilio forzato e quindi vivere lontani dalla loro terra natale o rinunciare alla loro professione se non volevano essere scoperti e condannati dalle autorità locali.

A scuola, Erin aveva scoperto che i mostri erano solo proiezioni delle fantasie della mente delle persone e si manifestavano durante la notte sotto forma di incubi. Durante le lezioni di scienze, Erin aveva appreso che i mostri potevano essere sconfitti con i farmaci: le persone che soffrivano di insonnia assumevano delle pillole bianche per poter dormire qualche ora con la mente sgombera dall'ansia e dalla paura.

Eppure, nonostante gli studi al riguardo e le raccomandazioni dei suoi genitori, "Figliolo, i mostri non esistono!", Erin riusciva a vederli durante la notte e li temeva: i mostri erano ovunque, nascosti sotto il letto o il tavolo, nella credenza, dietro le tende, nel cuore delle persone.

Al calar del sole uscivano dal loro nascondiglio e si divertivano a spaventarlo.

Per molti anni, i mostri terrorizzarono il piccolo Erin trasformandolo in un bambino insicuro e piagnucoloso.

Ma qualche anno più tardi...

Un giorno arrivò la tecnologia. Un nuovo mondo era pronto ad accogliere il piccolo Erin, ormai cresciuto: aveva da poco compiuto 15 anni ed era rimasto incantato dalla Realtà Virtuale, una signora molto affascinante. I mostri non gli facevano più paura e vivevano nascosti all'ombra del suo letto. Si sentivano dimenticati e per loro ormai non c'era più spazio: decisero di cercare un altro posto dove poter continuare a terrorizzare i bambini.

Era l'inizio di una nuova era ma qualcuno li osservava, nascosto nell'oscurità, e bramava vendetta.

Capadena, 25 settembre 2094

L'orologio appeso alla parete segnava la mezzanotte mentre fuori il vento muoveva le fronde degli alberi e la nebbia avvolgeva la città. L'inverno era freddo e burrascoso: da cinque giorni, la bufera non dava tregua agli abitanti di Capadena. L'intera città era in ginocchio.

Il sindaco, il vecchio e burbero dr. Smoove, aveva consigliato ai cittadini di rimanere barricati nelle proprie abitazioni fino all'emissione del successivo bollettino meteo.

Il vento gelido che soffiava da Nord-Est si abbatteva, implacabile, sulla città mentre il fiume Argo straripava, innondando i terreni limitrofi e distruggendo le distese di grano. Il porto era chiuso per il maltempo mentre la ferrovia era bloccata dalla neve che cadeva incessante e ricopriva il manto stradale. I rifornimenti, per via mare e per via terra, erano bloccati dal maltempo mentre i viveri incominciavano a scarseggiare nelle singole abitazioni: i negozi alimentari erano stati saccheggiati e distrutti.

Pian piano, il panico si diffondeva tra gli abitanti di Capadena.

 

Erin continuava a dormire nel suo letto incurante dei rumori di fondo mentre Eddy, il suo dinosauro di peluche, Ivan, il guerriero impavido e Natalia, la principessa ranocchio, erano riposti nello scatolone, insieme agli altri giocattoli e conservati nell'armadio come vecchi cimeli.

 

A un tratto, le lancette dell'orologio, appeso alla parete della camera, avevano smesso di muoversi: l'orologio segnava la mezzanotte mentre fuori nuvoloni grigi ricoprivano il cielo. Il vento, gelido, soffiava ancora più forte mentre le chiome degli alberi si agitavano come tentacoli pronti ad afferrare la preda di turno.

All'improvviso, incominciava a piovere: la pioggia tamburellava sui tetti dei palazzi facendo un gran baccano. Lampi e fulmini squarciavano il cielo a metà mentre un tuono si abbatteva nella contea facendo un gran trambusto: in quel momento, Erin si svegliò di colpo, frastornato.

Dopo lo stordimento iniziale, qualcosa attirò la sua attenzione, le ante dell'armadio erano aperte e i suoi giocattoli erano sparsi sul pavimento come se qualcuno, durante la notte, fosse entrato nella sua camera per mettere a soqquadro la stanza.

Mentre cercava delle spiegazioni plausibili, Erin avvertì dei rumori di passi provenire dal corridoio che collegava la sua camera con quella dei suoi genitori. Qualcuno camminava avanti e indietro, battendo i piedi sul pavimento, e pronuciava suoni incomprensibili. Erin si alzò di scatto dal letto, cercando di capire cosa stesse succedendo, stringendo tra le sue braccia, ancora più forte, il suo orsetto di peluche.

Si avvicinò alla porta avvolto nelle sue lenzuola e cercando di non far rumore: rapido, l'aprì senza alcuna esitazione e scrutò il corridoio, immerso nell'oscurità, come un esploratore appena approdato su un'isola sconosciuta, scruta la natura selvaggia davanti a sé. In quel momento due puntini rossi lo fissavano nel buio. Erin rimase impietrito sulla soglia della porta. Si sentì indifeso mentre le sue gambe vacillarono.

Dopo essersi ripreso, farfugliò qualcosa: "C'è qualcuno nel corridoio?".

Silenzio: i due puntini rossi erano scomparsi nell'oscurità mentre un brivido lo scosse quando qualcuno sussurrò il suo nome: "Erin?".

Tra ttenne il fiato. Era solo suggestione? Si era immaginato tutto quanto? Forse. Si voltò lasciandosi alle spalle il lungo corridoio ed entrò nella stanza terrorizzato. Percorse qualche metro, poi si voltò ancora una volta verso la porta e guardò l'uscio mentre il cuore gli batteva forte.

Si precipitò a chiuderla a chiave.

Sospirò. Adesso si sentiva al sicuro, quella cosa non poteva entrare.

Ma... una risata beffarda risuonò, ancora una volta, nel corridoio della casa.

Corse verso il letto e d'istinto si nascose sotto le lenzuola. "È solo suggestione, Erin..." pensò dentro di sé per rassicursi. Chiuse gli occhi e strinse forte, al suo petto, l'orsetto di peluche: il suo portafortuna. "Forse è solo un incubo dal quale non riesco a svegliarmi..." pensò in cuor suo. L'incubo che stava vivendo gli porcurava una forte emicrania e aveva un nodo alla gola: i mostri esistevano, si annidavano nei meadri della mente delle persone e si nutrivano delle loro ansie e paure. "È quello che mi sta capitando adesso..." pensò dentro di sé. Poi sollevò le coperte e si guardò intorno: la porta e la finestra erano chiuse. Nessuno poteva entrare nella sua stanza e si tranquillizzò per un attimo.

Non riusciva a chiudere occhio, per ammazzare il tempo, decise di mettere in ordine la sua stanza e raccolse i giocattoli dal pavimento, senza far alcun rumore. Li ripose nella cassa di legno sulla quale era disegnato il simbolo dell'infinito e pensò che mancavano poche ore al mattino e tutto sarebbe finito.

Si coricò nel suo letto, al caldo. Strinse forte l'orsetto di peluche.

Cercò di rimanere vigile e in ascolto ma poi la stanchezza prese il sopravvento e si addormentò.

Le prime luci del mattino illuminavano la stanza mentre Erin dormiva ancora. A un tratto qualcuno bussò alla porta. Erin si svegliò di colpo in preda allo sconforto: "Allora non mi ero sbagliato! C'è qualcuno nel corridoio che si prende gioco di me!" tuonò ma poi si accorse che si sbagliava.

"Erin sveglia! Sono le otto e fuori nevica!" sentenziò sua madre per invogliarlo ad alzarsi.

Erin si voltò dall'altro lato del letto incurante delle parole proferite da sua madre. Poi guardò fuori dalla finestra: piccoli fiocchi di neve cadevano nel vicolo sciogliendosi al contatto con l'asfalto. "Nevica!" pensò Erin entusiasta. Quindi si alzò e corse in cucina come un ladro.

Sua madre aveva preparato la colazione e si accingeva ad andare al lavoro. Erika lavorava, come cameriera, in una piccola tavola calda situata vicino al palazzo del municipio.

"Ci vediamo più tardi!" disse sua madre. Poi lo baciò sulla guacia e uscì di casa lasciando Erin immerso nel silenzio del suo appartamento.

In quel momento, l'ansia tornò a bussare alla sua porta:

ERA SOLO IN CASA CON QUALCUNO CHE SI DIVERTIVA A SPAVENTARLO

Fece un giro di perlustrazione del suo appartamento. Controllò ogni stanza. Il silenzio era quasi assordante ma poi il clacson di un auto lo risvegliò dal torpore in cui era precipitato. Corse nella sua stanza e si assicurò di chiuderla a chiave.

Si coricò nel suo letto e si nascose ancora una volta sotto le lenzuala in attesa che la madre tornasse dal lavoro.

Fuori continuava a nevicare. Adesso un filo di neve si era posato sui tetti delle case.

Nascosto sotto le lenzuola, attese che il tempo passasse ma le lancette si spostavano lentamente. E gli sembrava di essere sospeso nella sua stanza.

A un tratto le ante dell'armadio si aprirono mentre la finestra si spalancò all'improvviso: l'aria gelida pervase le sue narici procurandogli un brivido sulla pelle.

Sobbalzò dal letto e si diresse verso la finestra per chiuderla. Poi si accorse che la cassa di legno era aperta. Si avvicinò pian piano all'armadio con il terrore che lo percuoteva lungo tutto il corpo. Quando era a un tiro di schioppo dalla cassa di legno, guardò dentro: i giocattoli erano scomparsi e notò che sul fondo si nascondeva una porticina di metallo. Con il cuore che gli esplodeva nel suo petto, l'aprì. Dietro la porticina di metallo si celava una botola segreta.

"Prima non c'era!" pensò in cuor suo in preda allo stupore.

Decise di esplorarla e si calò giù per la scala che conduceva in un luogo oscuro.

La stanza segreta

La scala era costruita nella roccia ed era priva di corrimano: Erin si guardò intorno ma si accorse che non c'era nulla a cui aggrapparsi.

I gradini della scala erano scivolosi. Erin pensò che doveva prestare molta attenzione a dove metteva i piedi, se non voleva cadere giù e farsi del male.

Man mano che si addentrava nell'oscurità, un odore nauseabondo pervadeva le sue narici come se volesse invitarlo a tornare indietro. In cuor suo, sapeva che, ormai, era troppo tardi per rinunciare.

Dopo aver percorso l'intera scala di pietra, si ritrovò catapultato in un breve corridoio, buio e stretto, che conduceva, a sua volta, in un'altra stanza illuminata da una flebile fiamma che, disegnava figure danzanti sulle pareti. La vista di quelle figure impresse sulla parete, stimolò, ancor di più, la sua immaginazione e curiosità, invitandolo a proseguire il suo cammino. Le sue labbra si curvarono in un lieve sorriso: fino a quel momento, era stato un bambino pauroso e rinunciatario. Scoperchiando la botola, aveva dimostrato a se stesso che si sbagliava: il coraggio non gli mancava ma era nascosto da qualche parte della sua memoria: doveva solo trovare il modo per farlo uscire.

Erin percorse il corridonio muovendosi con cautela. Come la scala, anche il corridoio era scavato nella roccia: era umido e consentiva il passaggio di una persona minuta. "Un bambino o un folletto", pensò ridacchiando.

Giunto alla fine del corridoio, Erin entrò nella stanza illuminata da una candela a olio, posta al centro di un tavolo di pietra di forma rettangolare. Disposte attorno al tavolo, c'erano quattro sedie, anch'esse di pietra. La stanza era vuota e fredda. Sul tavolo di pietra era appoggiato un foglio di pergamena, una penna e un calamaio.

Come un giovane esploratore, Erin perlustrò la stanza cercando di trovare un altro passaggio segreto ma non vi trovò nulla di simile. Era in trappola, pensò dentro di sé. Un brivido lo scosse per un attimo. Poi si avvicinò al tavolo di pietra e posò lo sguardo sul foglio di pergamena: sgranò gli occhi. Qualcuno lo aveva preceduto in passato e aveva scritto qualcosa sul foglio:

C'era una volta...

di nuovo, un brivido lo scosse. Indietreggiò e pensò di tornare indietro ma prima che potesse voltarsi verso il corridoio, un soffio di aria gelida pervase la stanza. Una nube polverosa si sollevò da terra mentre la paura si impossessava del suo corpo, paralizzandolo. Immobile assisteva all'inverosimile: un uomo sorridente, sbucato dal nulla, dall'aspetto bizzarro, gli si manifestò davanti. Aveva due occhi grandi in cui era possibile specchiarsi. Indossava un cappello nero a forma di cono e un abito sgualcito e impolverato. Per qualche minuto, Erin e lo sconosciuto, si guardarono negli occhi, scrutandosi, senza proferire alcuna parola. Un alone di mistero aleggiva nella stanza, lasciando Erin basito. Poi l'uomo misterioso prese la parola e lo invitò a sedersi.

"Mio piccolo amico, accomodati!", tuonò l'uomo. L'eco della sua voce risuonò nella stanza, assordando il giovane esploratore.

Senza indugiare un secondo, Erin ascoltò il consiglio dell'uomo, e si sedette al tavolo di pietra, continuando a rimanere in silenzio e immobile come una statua di pietra.

"Benvenuto in questa umile dimora, mio piccolo amico", disse l'uomo, "Come ti chiami?".

Dopo lo stupore iniziale, il giovane prese la parola: "Erin..." rispose con voce flebile.

"Chi sono io? Perchè vivo in questa casa di pietra? Ti capisco piccolo amico mio! Mille domande ti affliggono in questo momento ma non temere, Erin, presto conoscerai la verità". Poi l'uomo incominciò a camminare avanti e indietro, con il capo chino, pesieroso, mentre i suoi passi risuonavano nella stazza. Erin si ricordò della sera prima, quando aveva udito dei passi nel corridoio di casa, e rabbrividì. All'improvviso, l'uomo misterioso, scuro in volto, si voltò verso Erin e indicò il foglio di pergamena: "Leggi, figliolo! Cosa c'è scritto?".

Erin guardò il foglio perplesso e lesse dentro di sé: "C'era una volta...".

"Ad alta voce, mio piccolo amico!" tuonò ancora una volta l'uomo misterioso e le pareti di roccia tremarono per pochi istanti.

Erin aveva un nodo alla gola e una lacrima rigava il suo viso, sporco di fuliggine.

"Leggi! Erin!" lo invitava ancora una volta l'uomo del mistero.

Solo allora, Erin, con voce tremante, incominciò a leggere ad alta voce e a scandire le parole: "C'era una volta...". Poi si fermò mentre le lacrime, come un fiume in piena, incominciavano a rigargli il volto.

Nonostante Erin piangesse, l 'uomo misterioso rimase indifferente, anzi continuava a interrogarlo: "Bravo, figliolo. Cosa significano per te, queste parole?" domandava con una certa curiosità, l'oscura presenza.

"Quando ero molto piccolo, mio nonno mi raccontava delle storie che incominciavano proprio così. Era da tanto tempo che non sentivo pronunciare queste parole...".

"Esatto, figliolo!" rispose entusiasta l'uomo misterioso. Al suono di quelle parole, quello strano essere sembrava riprendere fiato.

Erin notava un lieve sorriso comparire sulle labbra dell'uomo che gli faceva venire la pelle d'oca. Fu solo un attimo, poi la fiamma della candela a olio, divampava mentre le ombre danzavano sulle pareti, descrivendo cerchi di fuoco, da cui fuoriuscivano due sagome viventi: due bambini andarono a sedersi ai due lati del tavolo.

L'oscura presenza occupava l'unico posto, al tavolo di pietra, rimasto libero. Poi la fiamma si spense e i quantro rimasero al buio, in attesa di un segnale.

Il cerchio si era appena chiuso.

Uno, due, tre...

L'uomo misterioso contò fino a tre. Poi la candela si riaccesa senza che nessuno la toccasse, lasciando i tre bambini basiti.

L'uomo farfugliò parole incomprensibili mentre Erin si chiedeva chi fossero gli altri malcapitati. Ma aveva timore di chiederglielo.

Nel frattempo, uno dei due bambini incominciò a singhiozzare. L'uomo lo fulminò con lo sguardo. L'altro, in silenzio, lo fissava impietrito.

Erin, Oscar e Anita: una vocina pronunciò i loro nomi.

I tre malcapitati incominciarono a piangere.

Poi l'uomo schioccò le dita e tre botole comparvero alle loro spalle. Una botola per ogni bambino intrappolato nella stanza scavata nella roccia. Su ogni botola era impresso il nome di ciascun di loro. L'oscura presenza, rivolgendosi ai tre bambini, incominciò a raccontargli una storia:

"C'era una volta una stanza segreta di cui tutti ignoravano l'esistenza. Un giorno un bambino di nome Erin ne scoprì l'esistenza all'interno del suo armadio. Quando l'aprì si ritrovò catapultato in un luogo sconosciuto, freddo e immerso nell'oscurità.

Nella stanza segreta, Erin fece la conoscenza di altri due bambini intrappolati in un posto sconosciuto.

In quella stanza non erano soli, ad attenderli c'era una presenza misteriosa che si faceva chiamare Signor Vu.

Il signor Vu era tenebroso e bizarro e si manifestò all'improvviso a Erin, Oscar e Anita, invitandoli a sedersi al tavolo di pietra. I tre bambini si sedettero al tavolo e rimasero in silenzio ad ascoltarlo. Nessuno dei tre voleva interromperlo: avevano paura di quella strana creatura.

Poi, alle spalle del Signor Vu, comparvero tre botole: ciascuna per ogni bambino presente nella stanza segreta. Il Signor Vu invitò i tre bambini a chiudere gli occhi e a esprimere un desiderio. Poi gli chiese di avvicinarsi alla botola su cui era impresso il loro nome e di entrarvi.

Disorientati per la strana richiesta, i tre malcapitati erano incerti nel da farsi, poi Erin si alzò deciso dal tavolo, lasciando gli altri due bambini nello sgomento e si avvicinò alla botola su cui era impresso il suo nome. E così fecero anche Oscar e Anita, ancora increduli.

"Adesso apritela e lasciatevi cadere" disse il Signor Vu ai tre bambini, esortandoli a entrare nella propria botola.

Erin aprì la botola e fece come aveva detto il Signor Vu: senza pensarci un attimo, si lasciò cadere e, tornò a casa dai suoi genitori. Mentre Oscar e Anita aprirono la botola e guardarono in fondo a essa ma non videro nulla al suo interno. Richiusero la propria botola e tornarono a sedersi al tavolo di pietra, sconsolati.

Mentre Erin si risvegliava, felice e contento nel letto della sua camera, Oscar e Anita erano rimasti intrappolati nella stanza segreta per sempre perché avevano smesso di giocare con la fantasia.

Il Signor Vu trasformò Oscar in un orsetto di peluche e Anita in un gatto nero i cui occhi rossi brillavano nell'oscurità della notte.

Poi soffiò sulla candela, e mentre la fiamma si spegneva, scomparve nell'oscurità.

 

 

 

 

 

   
 
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