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Autore: _Lady di inchiostro_    09/11/2020    1 recensioni
Oikawa neanche realizzò di aver aperto la porta della stanza di Iwa-chan, camminando lentamente e distendendosi nuovamente accanto al suo ragazzo, che non mancò di passargli una mano sul fianco, facendolo tremare appena. Mugugnò qualcosa che Oikawa non capì, troppo impegnato a leggere tutto quello che la gente aveva scritto su di lui e Iwaizumi. E se prima non avevano fatto altro che insultarlo, adesso gli haters sembravano essersi volatilizzati, sostituiti da commenti positivi, frasi piene di significato, e Oikawa sentì lo stomaco sottosopra, gli occhi che pizzicavano e le guance leggermente arrossate. Tantissime persone, nel giro di poche ore, avevano espresso tutto il loro sostegno, avevano spazzato tutte le malelingue e la negatività che gli avevano gettato addosso persone ignoranti, che non sapevano andare oltre le apparenze. In tanti, non facevano che postare le foto e dire, a gran voce, che se questo non era amore allora non sapevano che cosa fosse.
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[Questa OS fa riferimento alla storia a capitoli "Il filo rosso"] [Fluff (anche troppo) e un pizzico di angst]
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve! 
Ritorno su questi lidi da tanto, troppo tempo. Devo dire che mi manca. E devo dire che non mi aspettavo che la trama di Haikyuu si evolvesse così tanto negli ultimi anni. Oramai, la storia a cui questa OS si ispira, probabilmente è un po' datata. Ma l'ho riscoperta giusto ieri e mi piaceva com'è scritta, nonostante il mio stile sia cambiato, forse maturato, con il tempo. Lo faccio anche perché oggi è il compleanno della mia beta storica, nonché la mia soulmate, a cui non smetterò mai di essere grata per la sua esistenza.
Anyway, se avete aperto questo link, ignari di tutto, e volete comunque leggere la storia, potete farlo, ma vi avviso che vi sentirete un po' persi. Perché i riferimenti alla mia precedente storia a capitoli - la prima, ora che ci penso - "Il filo rosso", sono tanti. Tantissimi! 
Quindi non mi aspetto grandi recensioni. Ma se volete lasciarmi qualche critica costruttiva, allora sarò felice di accettarla!
I social sul mio profilo sono ancora attivi, ma vi consiglio di seguirmi più su Tamblah. Su Twitter ho finito per rantare sui BTS. Ops!
Alla prossima. Spero davvero di tornare! 




 
Buon compleanno Laura! 


 
#WeWantTheKiss
 


 
 [New York City; 5 settembre 2017, ore 11:00]
 
 
 
Aveva avuto la fortuna, come pochi al mondo, di poter visitare posti meravigliosi per via del lavoro.
Una partita si svolgeva dall’altra parte del pianeta? Nessun problema, ecco pronto un areo privato disposto a trasportare lui e l’intera squadra di qua e di là, al loro completo servizio.
Eppure, in quella mattina uggiosa di settembre, dove nuvoloni grigio fumo si sollevavano dai tombini, Oikawa non riusciva ad essere entusiasta di trovarsi a New York City. Ci era stato diverse volte e ogni volta faceva il giro dei negozi più conosciuti, uscendo sempre con qualche sacchettino contenente qualcosa di molto, molto costoso. Sembrava una di quelle donne di fama e sposate con un miliardario mentre camminava per le strade, osservando gli enormi grattacieli, le insegne colorate, i taxi gialli che gli sfrecciavano accanto. Era come se fosse la sua prima esperienza, ogni dannata volta. Adorava quella città.
Continuò a tenere lo sguardo fisso sul fumo che usciva dal tombino, succhiando il frappuccino al caramello che aveva ordinato con espressione annoiata, prima che una voce molto colorita lo riscuotesse. Si girò, incontrando la faccia sconvolta e arrabbiata dell’asso della squadra, Bokuto Koutarou.
«Che rabbia! Se me li trovassi davanti…» e mimò il gesto di due mani che andavano a strangolare il collo di qualcuno.
«Sono solo persone dietro a uno schermo, Bokuto» rispose Ushijima, con la sua solita compostezza. «Non ne varrebbe la pena.»
«Io, però, una bella rispostaccia gliela darei!» si aggiunse Kuroo, che teneva gli occhi fissi sul cellulare di Oikawa, continuando a scorrere verso il basso. «Soprattutto al tizio che dice che sei una sporca checca a cui piace prenderla in cu…»
«Ricordo perfettamente quel tweet, grazie Ku-chan!» sbottò poi il setter, tornando a gustarsi la sua bevanda.
I suoi compagni di squadra avevano capito subito che qualcosa non andava, poiché Oikawa non ci metteva il solito entusiasmo mentre osservava le vetrine dei negozi. E, inoltre, non aveva ancora acquistato niente e la sua carta di credito stava probabilmente piangendo dalla gioia. Per questa ragione, arrivati davanti a una gioielleria Tiffany, gli avevano chiesto che cosa lo turbasse e lui aveva risposto che gli andava un frappuccino al caramello da Starbucks. Seduti al tavolo, gli aveva raccontato tutto per filo e per segno, mostrando i tweet incriminati. Anche se, bisognava dirlo, i tre ragazzi avevano subito individuato la fonte del problema. Avevano assistito anche loro all’intervista di Oikawa.
La Nazionale giapponese era stata invitata a giocare con quella statunitense un mese prima e il coach aveva accettato ben volentieri, dicendo che sarebbe stato un ottimo incentivo per la squadra. Avrebbero avuto modo di vedere in cosa sbagliavano e quali erano i loro punti di forza. E, in effetti, era stato proprio così, fu una delle partite più coinvolgenti degli ultimi anni. Il Giappone aveva dato filo da torcere a una delle squadre più forti, sebbene non fosse riuscito ad ottenere tre set completi. Non erano mancati di certo gli errori o le distrazioni, come quella in cui Oikawa stava per prendere in piena faccia il capitano della squadra con una sua schiacciata. Si era prontamente scusato, e il ragazzo gli aveva stretto la mano, dicendogli che era tutto okay.
Fu lo stesso capitano a invitarlo all’intervista che, quella sera, si sarebbe tenuta su una delle reti sportive più seguite dall’intera popolazione mondiale. Si trattò di una proposta dell’ultimo minuto, eppure la voce si diffuse immediatamente. Ovviamente la rete televisiva in questione accettò, non si sarebbe mai lasciata sfuggire un’occasione del genere. Solo che la povera presentatrice, probabilmente, dovette preparare alcune domande nell’ultima mezz’ora di tempo che aveva a disposizione. Forse è per questo che, proprio quando i due intervistati stavano cominciando a sciogliersi, scherzando tra di loro, la donna fece una domanda un po’ scomoda. Chiese, a entrambi, della loro vita sentimentale. E se il capitano statunitense disse che non aveva ancora trovato nessuno, Oikawa – sulle prime – non seppe che cosa dire. Indugiò un paio di minuti, mentre la giornalista lo esortava a parlare, finché non prese un bel respiro e… disse la verità.
Parlò in un inglese al dir poco perfetto, raccontando di Eiko e della loro amicizia, raccontando di Iwa-chan. Proprio in quel momento, in mondovisione, aveva deciso di fare coming out, ammettendo davanti a tutti di stare con un uomo. Un uomo che l’amava per quello che era e che gli faceva provare sentimenti che non credeva di poter provare per nessun altro.
Lo giudò un istinto che non conosceva, un istinto che gli diceva che quello era il momento giusto per dirlo, ora o mai più. Il pubblico attorno a lui, compresa la giornalista e il giocatore della squadra avversaria, erano rimasti sorpresi, ma non c’era segno di disgusto nei loro sguardi. Anzi, quando il ragazzo finì il discorso sembravano persino felici per lui, facendo un piccolo applauso per il coraggio che ci aveva messo a confessare una cosa del genere.
Tornato in albergo, i suoi compagni di squadra gli fecero persino la festa, perché l’aveva finalmente ammesso e adesso non avrebbe più dovuto nascondersi. Ma finì tutto lì. Tutto si dissolse in una nuvola di fumo, lo stesso fumo che usciva dai tombini newyorkesi.
La mattina si era alzato dal letto, aveva aperto Twitter e si era ritrovato a leggere una serie di commenti che riguardavano la sua persona, la sua sessualità e il suo essere fidanzato con Iwa-chan. Tutti commenti negativi, ovviamente. Solo il capitano degli Stati Uniti l’aveva difeso, assieme alla giornalista, tuttavia l cinquanta persone che c’erano in quello studio erano svanite nel nulla.
E questo era solo il male minore.
Succhiò l’ultimo rimasuglio di frappuccino, producendo un rumore sordo. Aveva cercato di coprire, alla bell’e meglio, le borse violacee che aveva sotto gli occhi. Era rimasto sveglio tutta la notte, rannicchiato sotto le coperte, la testa affondata sul cuscino. Dopo aver festeggiato con i suoi compagni di squadra, il coach gli aveva intimato di andare a dormire, perché l’indomani avrebbero comunque affrontato un bel viaggio. Oikawa già sapeva che, al contrario dei suoi compagni, sarebbe uscito la mattina presto per fare un giro della città, e aveva già in mente di acquistare qualcosa per quel musone del suo fidanzato.
Fu proprio Iwaizumi l’ultima persona che sentì prima di andare a letto. Non aveva avuto modo di assistere all’intervista di Oikawa, ma non ci volle molto prima che la notizia si diffondesse a macchia d’olio, specie in un paese quale il Giappone, dove l’omosessualità veniva ancora considerata uno scandalo.
Aveva dato di matto. Si era comportato esattamente come l’Iwaizumi Hajime che, mesi fa, aveva calpestato i suoi sentimenti, riducendogli il cuore in briciole. E lo aveva fatto anche quella sera, anche se li separavano chissà quanti chilometri. Oikawa gli aveva mandato dei messaggi, le mani tremanti, chiedendogli – e chiedendosi – che cosa ci fosse di sbagliato in quello che aveva fatto. Il ragazzo aveva continuato a ribadire che no, non era quello il modo giusto di fare le cose: voleva essere informato, non poteva andare a sbandierare la loro relazione ai quattro venti, mettendolo in difficoltà, dato che i suoi pochi parenti ancora non sapevano della relazione con il setter.
Nonostante convivessero oramai da cinque mesi, Iwaizumi non era affatto cambiato. Quello che provava gli faceva ancora ribrezzo.
La discussione troncò improvvisamente, Iwaizumi non si fece più sentire, e Oikawa passò la notte a piangere. I messaggi che aveva ricevuto quella mattina sui social non erano altro che una conferma di quanto gli aveva detto Iwaizumi la sera prima.
Sbatté con forza il bicchierone oramai vuoto sul tavolino, lasciandosi sfuggire un singhiozzo, mentre sei paia di occhi lo fissavano. Fu Ushijima, stranamente, a rompere il silenzio: «Non dovresti avercela con Iwaizumi.»
Oikawa spostò la testa di lato, lentamente, incarnando un sopracciglio. «Non dovrei?»
«Già, non dovrebbe?» si aggiunse Kuroo. «Io, invece, penso che una bella testata non gliela toglie nessuno!»
«Ben detto!» gli fece eco Bokuto, facendo poi combaciare il suo gomito con quello del compagno ed ex rivale.
Ushijima rimase zitto per ben dieci secondi, continuando però a fissare Oikawa. «Mettiti un attimo nei suoi panni.»
«L’ho già fatto, dannazione, ti sembra che sia stato facile per me ammetterlo davanti al mondo intero?» Alcune persone, all’interno del locale, si voltarono, bisbigliando tra di loro. «Sono stanco di assecondare questo suo comportamento! Sono un essere umano, cazzo, non un pupazzo!»
«E quindi cosa vuoi fare, lasciarlo?»
Oikawa spalancò gli occhi, sorpreso, mentre Ushijima continuava a tenere lo sguardo su di lui, serio. Il setter infossò la testa tra le spalle. «Io… cioè… no.» Si prese un attimo per riflettere. «No! Certo che no! Sono innamorato di lui, ma Hajime…»
«Iwaizumi non ha accettato facilmente quello che prova per te, giusto?» Oikawa tentennò, poi annuì. «Non pensi che, forse, non è ancora riuscito a superare del tutto la cosa?»
«Che intendi dire?» chiese Bokuto.
«Che è innamorato di Oikawa, ma che fa ancora fatica ad ammetterlo davanti a tutti.» Kuroo incrociò le braccia, abbandonandosi allo schienale della sedia, mentre parlava. «E il fatto che Oikawa l’abbia detto in mondovisione, l’ha mandato nel panico.»
L’asso della squadra si prese un attimo per riflettere. «Quindi, secondo voi, Iwaizumi non ce l’ha con Oikawa?»
«Forse provava un po’ di rabbia nei suoi confronti, ma ce l’ha più che altro con se stesso» rispose il centrale.
Gli sguardi dei tre ragazzi tornarono sul castano, che intanto aveva cominciato a respirare a fatica, come se quella consapevolezza gli stesse schiacciando la cassa toracica e impedisse all’ossigeno di passare nella dovuta maniera. Stava ripensando a quel ragazzo che, dopo la prima notte passata assieme, gli aveva confessato di aver tenuto tutto dentro per paura di coinvolgerlo in faccende troppo grandi per lui. Per paura di rovinargli la vita.
Stava ripensando a quel ragazzo che si era presentato davanti alla porta di casa sua, bagnato fradicio, dicendogli che l’amava. Stava ripensando a quello stesso ragazzo che, la sera prima della sua partenza, l’aveva stretto contro il suo petto, le mani intrecciate l’una all’altra, e gli aveva dato un bacio tra i capelli mentre guardavano un film.
Forse avevano ragione. Forse Iwaizumi ce l’aveva con se stesso e con il suo costante terrore di perdere Oikawa se dovesse fare una mossa troppo azzardata. Ce l’aveva con se stesso perché aveva paura della reazione che potrebbero avere i suoi conoscenti, la sua famiglia, il mondo intero, a quella scoperta. Ce l’aveva con se stesso perché sapeva che non avrebbe dovuto avere paura: Oikawa lo ama, sua figlia lo ama, questo è quello che conta.
Tooru provò a dire qualcosa, la lingua che schioccò contro il palato, ma fu interrotto dal rumore di un telefono che vibrava contro il tavolino. Era il cellulare di Ushijima che, in un attimo, l’afferrò e lesse il messaggio. «Il coach vuole che torniamo in albergo.»
Il setter si schiarì la voce, annuendo e seguendo tristemente il gruppo di ragazzi che già si era diretto verso l’uscita. Bokuto gli diede una lieve pacca sulla spalla e gli sorrise, e Oikawa non poté che ricambiare. Poi, si infilò la giacca ed uscì.

 
 
[Tokyo; 6 settembre 2017, ore 05:20]
 
 
Il viaggio era stato un po’ turbolento e Oikawa non era riuscito a riposare come avrebbe voluto. Si svegliava a scatti, spesso per via di qualche crampo alla gamba, e cercava di riaddormentarsi mentre osservava le sfumature del cielo che cambiavano colore nel giro di qualche minuto. Il momento prima dell’atterraggio lo passò ad ascoltare la musica, gli occhi chiusi. Era combattuto tra la voglia matta di correre tra le braccia di Iwaizumi e l’idea di sparire per sempre dalla faccia della terra.
I ragazzi avevano ragione. Era stato troppo precipitoso, aveva fatto tutto di testa sua e non aveva minimamente pensato alle conseguenze. Non aveva minimamente pensato ai sentimenti di Iwaizumi.
Era stato un sciocco.
Fu Kuroo a risvegliarlo dalle sue divagazioni mentali, scuotendogli una spalla e dicendogli che erano arrivati. Il tragitto dall’areo alla zona del ritiro bagagli fu breve e, inoltre, a quell’ora non c’era quasi nessuno. O almeno, così credeva Oikawa: in un attimo, non appena si ritrovò nello spiazzo dedicato agli arrivi, una mandria impazzita di fotografi non faceva che smaniare per fotografarlo e ritrarlo insieme ai suoi compagni. E, proprio per evitare una cosa del genere, alcuni di loro si erano posti di fronte ad Oikawa, facendogli da scudo.
«Sarà meglio sbrigarci» disse il coach e tutti quanti annuirono.
Tooru avrebbe voluto chiedere scusa, ma finì solo per arricciare le labbra e starsene zitto.
«Oikawa.» Alzò la tesa, riconoscendo la voce di Ushijima che lo chiamava, incontrando il suo sguardo.
Fece un cenno con il capo, diretto oltre le sue spalle, e il castano si girò, sgranando gli occhi nel riconoscere la figura che, piano piano, si stava avvicinando al loro gruppo. Aveva le mani infilate nella tasche della sua amata giacca a vento e stava mordicchiando la zip per il nervosismo, come al solito.
Quello era Iwa-chan. Era venuto, era venuto a prenderlo in aeroporto. Si era alzato a quell’ora per venirlo a prendere, aveva fatto tutta quella strada solo per lui, pur sapendo che avrebbe dovuto aspettare, che sarebbe stato circondato dai paparazzi.
Spostò lo sguardo di lato, verso il gruppo di fotografi appostati fuori, le facce praticamente appiccicate al vetro, abbassando poi il capo e concentrandosi sulla maniglia della sua valigia.
Capì che Iwaizumi era davanti a lui solo quando intravide la punta delle sue scarpe e sentì la sua voce che si rivolgeva ai suoi compagni di squadra. «Salve…!» Non poteva vederlo, ma sapeva che aveva fatto un piccolo inchino di cortesia, mentre gli altri gli risposero con un cenno della mano. «Ciao…» disse poi, rivolgendosi a lui.
«Ciao…» mormorò Oikawa, tenendo sempre la testa bassa.
«Sono venuto a prenderti…»
Il castano mugugnò qualcosa di incomprensibile. «Grazie…»
«Staremo da mia zia per un po’» continuò Iwaizumi. «Almeno fino a quando i paparazzi non decideranno di levare le tende da casa nostra!»
Oikawa sentì un tremito lungo tutta la schiena, la mano che andò a stringere con forza il manico nero della valigia. Da quando stavano assieme, Hajime non aveva mai detto “nostra”. Quella casa, per lui, era sempre stata solo di Oikawa, come se lui adesso non vivesse lì, come se si sentisse ancora inopportuno, come se non convivesse con lui. Come se non fossero fidanzati. Per un attimo, credette di aver sentito male, gli occhi che pizzicavano e le orecchie che andarono improvvisamente in fiamme. Sentiva gli sguardi di tutti addosso, ma quello di Iwa-chan era l’unico che lo metteva seriamente a disagio. Temeva di rivedere lo stesso sguardo di quando aveva urlato, in mezzo alla strada, che non voleva avere più a che fare con lui.
Era il suo peggior incubo. Non voleva tornare a quel periodo di vuoto e solitudine. Lui… amava Hajime con tutto se stesso.
«Scusami…» biascicò, la bocca impastata di saliva. Tirò su col naso. «Mi dispiace per quello che ho fatto…»
Iwaizumi non disse niente per un po’, ripensando all’ultima volta che loro due erano stati lì, a quando Oikawa stava per baciarlo un’altra volta, a come avesse finalmente compreso che provava ben altro nei suoi confronti. E come allora, non c’era nessun altro attorno a loro: niente paparazzi invadenti, niente compagni di squadra, niente scalpitii, niente rumori provenienti dal bar lì vicino. Niente. C’erano solo loro due. Sentivano solo il respiro dell’altro.
«Sei stato avventato…» disse il giornalista, non prima di aver prodotto un verso di frustrazione. «E avresti potuto avvisarmi, invece di farmi prendere un colpo!»
Tooru strinse gli occhi, le prime lacrime che gli bagnavano le ciglia, mordendosi poi il labbro inferiore. «Scusami…» ripeté.
Altro verso frustato. «E la vuoi sapere la cosa peggiore? Che mi ero ripromesso di non parlarti, quando saresti tornato, e invece…» S’interruppe, e fu allora che il castano osò alzare appena lo sguardo, restando a bocca aperta. Le sfumature degli occhi di Iwa-chan si erano fatte più intense. Sembravano due foglie d’edera, due foglie bagnate dalla rugiada mattutina. Aveva gli zigomi rossi, e si accorse solo allora delle macchie di terra sui pantaloni, all’altezza delle ginocchia. «E invece ho quasi rischiato di rompermi l’osso sacro per venire qui da te senza farmi vedere dai fotografi. E non ho mai smesso di pensarti, nemmeno una volta.»
Sollevò l’indice, puntandoglielo contro, il setter che fece un passo indietro. Hajime chiuse la mano a pugno, gli occhi color cioccolato di Oikawa colmi di stupore. «Avresti potuto dirlo in duecento modi diversi che noi stiamo assieme, ma non mi sarebbe mai andato bene! Perché sono un cretino…» Il castano spalancò le palpebre, incredulo. «Sto rifacendo lo stesso dannatissimo errore di qualche mese fa e… E mentre venivo qui, mi sono reso conto di essere davvero stanco di nascondermi.»
Lo osservò mentre riprendeva fiato, due lacrime silenziose che solcarono il viso gioviale di Tooru, il labbro inferiore che tremolava. Non sarebbe mai riuscito a decifrare quello sguardo: c’era amore, frustrazione, confusione, esasperazione, una serie di sentimenti che rendevano quel verde opaco più brillante, più intenso. Come le foglie degli alberi in primavera.
«Che vadano al diavolo tutti, dannazione, non m’interessa che cosa pensano i media, o i tuoi fan, o la tua squadra… senza offesa» urlò, rivolgendosi poi ai ragazzi alle spalle di Tooru, che si limitarono solo a fargli un cenno, come a dirgli che non doveva preoccuparsi. Rimase un attimo in silenzio, fissando con intensità gli occhi di Oikawa, altre lacrime che gli solcarono il viso, e sapeva che probabilmente lo stavano immortalando in quelle condizioni, ma non aveva importanza. C’era solo Iwaizumi, per lui, in quel momento. C’erano i suoi occhi, il suo respiro pesante, i due centimetri che li separavano. «Io voglio sapere che cosa ne pensi tu…»
Lo disse in un sussurro, e a Oikawa sfuggì un singhiozzo un po’ troppo forte, sembrò quasi risuonare per tutta la zona arrivi. Si asciugò il viso con il braccio, senza alcun risultato, continuando a piangere sulla felpa rossa che indossava.
«Tooru…» Sentì le dita di Iwaizumi che stringevano il suo polso e – cavolo – le gambe iniziarono a tremare non appena le sue orecchie captarono la voce del giornalista che lo chiamava per nome. Non si sarebbe mai abituato a quel suono. Avrebbe potuto udirlo per giornate intere.
Il ragazzo tentò di scostare il braccio dal viso dell’altro, ma fu inutile, poiché sentì una stretta fortissima all’altezza del collo. Solo dopo capì che Oikawa lo stava abbracciando, singhiozzando contro la sua spalla. «Lo sai che cosa ne penso, idiota!» urlò. «Non mi vergogno di dire che ti amo, e potrei dirlo sempre, in continuazione, e… e non importa neanche a me, Iwa-chan, io ti amo… ti amo davvero tanto…»
Tirò ancora su col naso, non avendo il coraggio di spostarsi da quella posizione, sussultando appena quando sentì la mano di Iwaizumi che percorreva la sua schiena, fino a posarsi sulla nuca, le dita che districavano i nodi sui suoi capelli. Non poteva vederlo, ma Hajime stava sorridendo, un piccolo sorriso che gli increspava le labbra. «Sei sicuro che non ti importi…? Nemmeno un po’?»
Il castano annuì, prima di affermare con convinzione. «Sì, Iwa-chan… Sei troppo importante per me…»
Avvertì il naso di Iwaizumi che gli sfiorò lo zigomo bagnato, inspirando profondamente e lasciandosi andare ad una piccola risata. «Anche per me lo sei, Shittykawa… Scusami se sono così…»
«Non cambiare mai. Sei perfetto così» disse, e Iwaizumi si mise a ridere.
Oikawa si spostò dalla sua posizione e adesso aveva le mani del suo ragazzo sulle sue guance, i pollici che passavano velocemente sulle lacrime che ancora scendevano copiose sul suo viso arrossato, le labbra incurvate in un tremulo sorriso. Probabilmente, i paparazzi avevano già scattato un intero set, ma a loro non importava. Continuavano ad esserci loro due e loro due soltanto.
Piombarono nella realtà solo quando Kuroo a parlò, facendo ridere e sorridere tutti quanti. «Ragazzi, vi prego, prendetevi una stanza se dovete fare certe cose!»
Il setter sorrise, osservando i suoi compagni che, in quel momento, non lo stavano guardando con nessun cenno di disgusto; persino i ragazzi con cui aveva meno confidenza sembravano approvare al cento per cento la sua relazione con Iwa-chan, come se non ci vedessero nulla di anomalo. Si era sempre sbagliato sul loro conto.
«Coach, io andrei…» disse poi, rivolgendosi all’anziano uomo, che gli fece un lieve sorriso.
«Andate, ci pensiamo noi a fermare i paparazzi!» esclamò poi, e i due giovani sorrisero, prendendosi per mano e dirigendosi di gran carriera verso un’altra uscita, non prima di aver salutato l’intero gruppo.
 

 
Arrivarono a casa degli zii di Iwaizumi mezz’ora dopo. Del resto, erano quasi le sei del mattino, chi doveva esserci a quest’ora per le strade?
Cercarono di non fare fin troppo rumore, mentre si dirigevano verso un corridoio stretto e lungo, entrando poi in una delle porte schierate sulla parete alla sinistra dei due giovani.
La camera di Hajime. La stanza dove la persona che amava aveva passato la sua infanzia e la sua adolescenza. Oikawa osservò ogni minimo particolare quasi come se fosse in estasi: le pareti color verde mela, il tavolino basso, la serie di fotografie appese su dei fili con delle molette colorate. Rappresentavano l’alba ed erano state scattate tutte quante nello stesso posto.
«Ti piacciono…?» chiese Iwaizumi, facendolo sobbalzare appena quando posò il mento sulla sua spalla.
Si erano scambiati una serie di baci prima di partire dal parcheggio dell’aeroporto, e ci mancava poco che Iwaizumi gli lasciasse un bel segno sul collo. L’aveva dovuto fermare, ricordandogli che sarebbero stati ospiti in casa di persone che, molto probabilmente, non si aspettavano di ricevere la notizia dell’omosessualità del loro nipote. Il giornalista aveva replicato, dicendogli che sua zia lo sapeva, ma si rimise comunque in moto.
Gli diede un bacio sulla tempia. «Molto.»
Rimasero un attimo in silenzio, poi Iwaizumi si diresse verso l’armadio costellato da adesivi di Godzilla e tirò fuori una scatola. Al suo interno si trovava una macchina fotografica un po’ datata, ma ancora funzionante. Sorrise. «Hai mai visto l’alba di persona?»
Certo che l’aveva vista, tuttavia sapeva che quei momenti passati in solitudine, una tazza di tè in mano, non sarebbero mai stati la stessa cosa. Ora era con Iwa-chan.
Sorrise a sua volta, scuotendo poi la testa, e in un attimo si ritrovarono a correre come ragazzini verso il salone, aprendo l’ampia finestra a vetri e ritrovandosi sul balcone. Era molto grande, pieno zeppo di piante e con un divanetto di vimini a dieci metri di distanza dal cornicione.
«L’ha messo mia zia per me» disse, battendo una mano sui cuscini a tema floreale un po’ impolverati. «Siediti.»
Oikawa obbedì, cercando di scaldarsi le braccia, sospirando appena dinanzi a quello spettacolo. Una scia rossa si stava innalzando oltre l’orizzonte, mischiata al debole giallo dei primi raggi mattutini e all’oscurità del cielo.
«È bellissimo.» Non ricevette alcuna replica, solo il click di un obiettivo che stava fotografando e, in un attimo, si ritrovò la macchina puntata su di lui. Iwaizumi, intanto, sorrideva divertito. «Che fai?»
«Ti molesto… Come fai sempre tu con me.» Cercò di evitare la manata che il ragazzo gli riservò alla spalla, invano, e continuò imperterrito a scattare.
«Finiscila!» gli intimò Oikawa, ridendo e facendogli qualche linguaccia.
«Okay, la smetto. Credo di avere abbastanza foto da poter usare come minaccia» disse e posò l’aggeggio nello spazio che li separava.
Tooru gonfiò le guance, facendo dondolare un ciuffo castano davanti al suo viso. Si accorse della macchina fotografica abbandonata solo qualche minuto dopo e, reprimendo un versetto di vittoria, l’afferrò tra le mani. 
Puntò l’obiettivo verso Iwaizumi, un sorriso beffardo e la punta della lingua che faceva capolino sulle labbra, pronto a vendicarsi per le fotografie che l’altro gli aveva scattato poco prima, fermandosi immediatamente e spalancando gli occhi. Abbassò la macchina fotografica, il respiro che quasi gli morì in gola.
«Iwa-chan…?» mormorò, toccando leggermente la spalla del ragazzo, temendo che andasse in frantumi improvvisamente.
Si riscosse dal suo stato di torpore, prendendo una boccata d’aria, come se si fosse improvvisamente ricordato di respirare, senza mai staccare lo sguardo dalle prime luci del mattino. «Sto piangendo… vero?» disse poi, piano, e non ebbe bisogno di una risposta per capire che sì, delle piccole lacrime erano scese sul suo viso, percorrendo la linea della sua mascella.
Se le asciugò con i palmi delle mani, tirando poi su col naso, mentre Oikawa non sapeva davvero che cosa dire o che cosa fare. Iwaizumi era una persona che, all’apparenza, poteva sembrare forte, coraggiosa e impavida, proprio come uno di quei cavalieri che salvano le donzelle in difficoltà nelle favole per bambini. Non possono essere deboli, loro devono sconfiggere il malvagio di turno. Non possono permettersi di piangere.
Eppure, Iwaizumi non era solo forte e impavido. Iwaizumi era anche quel bambino fragile che aveva perso i suoi genitori. Iwaizumi era quel padre che avrebbe rinunciato volentieri alla sua felicità per il bene di sua figlia. Iwaizumi era l’uomo che, in una sera di pioggia, aveva bussato alla sua porta e gli aveva detto che l’amava. Quindi sì, Iwaizumi poteva permettersi di piangere.
Tooru decise esplicitamente di non dire nulla, perché Hajime non sapeva che farsene delle sue parole. Non voleva essere trattato con pietà. Se c’era una cosa che gli aveva insegnato il funerale di sua madre era che il silenzio dice molto più di quanto si possa immaginare.
«Scusami… Ora mi prenderai per un rammollito!» Fece una risata amara, gli occhi che continuavano a fissare i pallidi raggi che, piano piano, comparivano all’orizzonte.
Oikawa non era male a disegnare, quando era più giovane, anche se non prendeva una matita in mano da secoli; eppure, in quel momento, mentre la luce illuminava il viso di Iwa-chan, lasciando alcune zone in ombra, avvertì il profondo desiderio di mettere quell’immagine su carta.
Le sue labbra erano diventate una linea dura, gli occhi fissi sulla figura del giovane che, invece, sembrava totalmente ammaliato da quello spettacolo, sebbene la luce cominciasse a dargli fastidio.
«La prima volta che ho visto l’alba… ero con mia madre…» confessò alla fine e Oikawa sentì il venticello mattutino che lo fece rabbrividire. «È successo poco prima che i miei genitori…»
S’interruppe, mordendo con forza il labbro inferiore e prendendo un bel respiro. Il desiderio di voler raccontare quell’episodio a Oikawa, al suo fidanzato, iniziò a formarsi in lui, anche se sentiva il cuore stretto in una morsa, e cavolo se faceva male. Le ferite, si rese dolorosamente conto, si erano riaperte, tuttavia… Era da anni che desiderava parlarne con qualcuno. Da quando sua zia gli chiedeva perché si ostinasse a svegliarsi così presto per guardare l’alba.
Quando era andato a convivere con Minori non l’aveva più fatto, e solo dopo anni quello spettacolo si era palesato nuovamente davanti ai suoi occhi, proprio quando aveva smesso di cercarlo. E lo stesso valeva per quel momento: il cielo si era nuovamente tinto di rosso, proprio quando si trovava con la persona che amava.
Hajime non credeva di poterlo dire a qualcuno. Eppure, Oikawa era lì, c’era stato nel momento in cui gli aveva raccontato della morte dei suoi genitori, della famiglia di Minori che l’odiava, e non si era mai tirato indietro. Il più delle volte era Oikawa a dire che aveva bisogno di lui… senza rendersi conto, che era esattamente il contrario.
«Eravamo in campeggio» continuò. «Mia madre aveva l’abitudine di svegliarsi presto, e io ho il sonno leggero, quindi l’ho sentita… “Guarda, il cielo è diventato rosso! Sembra brillare come un rubino!”» Fece una piccola risata, imitando la voce della donna e passandosi una mano tra i capelli. «Mia madre si entusiasmava per qualsiasi cosa e, di conseguenza, mi entusiasmavo anch’io. Abbiamo detto a mio padre di aver visto il cielo rosso brillante, o qualcosa del genere…»
Tooru fece un piccolo sorriso, guardando per un attimo il cielo rossastro, le nuvole rosa, le prime luci color oro che si mostravano all’orizzonte. «Rosso brillante…» mormorò, gli occhi sottili, prima di spalancarli di scatto, l’iride che quasi tremava. Il suono di quelle parole… sapeva di averlo già sentito da qualche parte.
Iwaizumi non aspettò che Oikawa gli desse il consenso per continuare a parlare, le parole che sgorgarono fuori come un fiume in piena, l’immagine di suo padre che tentò – invano – di insegnargli a pescare che gli balenò in mente. Conservava ancora le fotografie di quel momento. Non avrebbe mai dimenticato dello scarabeo che aveva catturato, o della lucertola che aveva rincorso per mezzo bosco, o della risata di sua madre e suo padre. E del profumo di foglie e di terra.
Prese un altro bel respiro. «Non ho più rivisto un’alba del genere. Ho fatto milioni di foto diverse, ma quella… aveva qualcosa di speciale, non so spiegarlo…» Si fermò un attimo, sentendo un sapore amaro e ferroso sulla lingua, Oikawa che lo guardava con tanto d’occhi. «L’ho rivista dopo tantissimi anni, la mattina in cui Akane è nata…»
Ci furono diversi minuti di silenzio, in cui Hajime alzò un attimo gli occhi al cielo, poiché le lacrime stavano facendo di nuovo capolino e lui non voleva che gli bagnassero il viso; ma oramai era troppo tardi, e morse ancora il labbro inferiore con forza. Odiava essere visto così, tuttavia Oikawa non lo stava giudicando. Era quasi certo che stesse piangendo anche lui.
«Akane stava morendo…» disse con voce roca, e il castano fece un sussulto più simile a un singhiozzo. «C’era poco liquido e dovettero operare Minori d’urgenza e i medici dicevano che non ce l’avrebbe fatta…» Era inutile fermare quelle lacrime, la sola idea di perdere l’unica cosa che – per anni – gli aveva dato la forza di andare avanti, lo faceva impazzire. «Sono rimasto nella camera di Minori per tutto il tempo, durante l’operazione… C’era una piccola finestra e l’ho vista da lì. L’alba rosso brillante.»
Fece un piccolo sorriso, poi continuò. «Un tempo avrei detto che era stato un caso, ma dopo averti conosciuto… sai, ho ripensato molto a quel momento, al fatto che un’infermiera mi avesse chiamato proprio quando ho visto il cielo colorarsi di rosso, dicendomi che era nata e che stava bene. Continuo a pensare che mia madre…» Chiuse la mano a pugno, appoggiando appena la fronte sulle ginocchia. «Avevamo già deciso il nome, ma io ho implorato Minori perché la chiamassimo Akane. E così è stato. Non ha mai capito il perché.»
Spostò finalmente lo sguardo su Oikawa: aveva gli zigomi arrossati e umidi, uno sguardo d’incredulità sul volto. Iwa-chan si era definitivamente aperto con lui. Gli aveva mostrato la parte più intima e sensibile del suo essere. «Tu sei il primo a cui lo racconto…» disse, facendogli tremare le spalle.
Il castano guardò ancora una volta il cielo. Adesso, il rosso stava per scomparire, sostituito da un colore violaceo e più simile al lilla, sentendo la gola ostruita da una serie di emozioni che neanche lui riusciva a spiegare. Respirare era diventato troppo faticoso.
Erano insieme e stavano osservando l’alba che Hajime sosteneva di aver visto, per la prima volta nella sua vita, con sua madre. E il ragazzo aveva condiviso quel momento sacro con lui.
Si asciugò gli occhi con le maniche della felpa. «Secondo te, che cosa direbbe…?»
«Eh…?»
«Tua madre. Che cosa direbbe, adesso, se ti vedesse con me?»
Non ci aveva pensato. Hajime sosteneva che sua madre gli avesse mandato un messaggio attraverso l’alba, attraverso quel cielo rossastro, dicendogli che tutto sarebbe andato bene, che sua figlia ce l’avrebbe fatta, che sarebbe diventato padre. Che non avrebbe permesso che rimanesse da solo. Ma adesso? Se era vero che, per lui, quel gioco di luci era un modo per avvicinarsi a sua madre, che cosa avrebbe detto vedendolo con Oikawa?
Tornò a guardare il cielo, la luce del sole che gli feriva gli occhi, due lacrime cristalline che stavano ancora scivolando sul suo volto. Prese un bel respiro, prima di sorridere. «Beh… Probabilmente direbbe qualcosa del tipo: “Te l’avevo detto di farti amico il ragazzino della palla!”»
Il castano scoppiò a ridere e fu così bello sentire il suono della sua risata, che Iwaizumi si rilassò, come se i muscoli fossero stati rigenerati da un olio caldo e piacevole. Adorava la risata di Oikawa. Adorava quello scintillio che gli si accendeva nello sguardo, il naso che si arricciava appena; in quel momento, la punta era persino rossa, perché il setter non aveva mai smesso di strofinarla con la manica della felpa. Fece un sorriso un po’ malinconico non appena si accorse che Iwa-chan lo stava guardando con i suoi occhi verdi penetranti.
Il ragazzo aprì la bocca, mettendoci un po’ a pronunciare la successiva frase. «E… forse vuole dirmi che va bene. Che è contenta per me. Sai… lo spero davvero.»
La mano di Tooru si posò sulla sua spalla, prima che ambedue le braccia lo cingessero con forza, e lui ricambiò la presa. Il tessuto rosso della felpa era tra le sue dita, strette a pugno, e Iwaizumi sentiva quelle del ragazzo sulla sua schiena, quasi come se fossero a contatto con la sua pelle. Erano bollenti. Tremavano.
«Sono convinto che sia così… Iwa-chan.»
Quanto può far male perdere un genitore? Troppo.
Oikawa e Iwaizumi lo sapevo. Avrebbero conservato e condiviso quei momenti per il resto della loro vita, come se fossero il tesoro di Eldorado. Iwaizumi ne avrebbe parlato ad Akane, perché lei doveva sapere dell’esistenza dei suoi nonni, dei loro sbagli e delle loro magnifiche gesta, e desiderava con tutto se stesso che potessero vederla e stringerla come solo loro sapevano fare. E forse anche Oikawa le avrebbe parlato della sua mamma, chissà, ed era quasi certo che anche lei stesse sorridendo, ovunque fosse.
Rimasero così, stretti l’uno all’altro, senza dire più una parola. Perché, ancora, non sapevano che farsene delle parole.
 
 
 
A risvegliarlo dal suo sonno, fu la suoneria che, solitamente, il suo smarthphone produceva nel momento in cui arrivava un messaggio su Line. Mugugnò qualcosa, aggrottando la fronte e aprendo appena gli occhi, la vista inizialmente appannata.
Anche Iwaizumi doveva aver sentito quel rumore, poiché si era spostato leggermente, in modo da mettersi più comodo. Oikawa aveva il viso appiccicato alla sua spalla, lasciata completamente scoperta, visto che il ragazzo gli aveva detto che sentiva davvero troppo caldo, decidendo di dormire in mutande. Le sue labbra sfioravano quella pelle tesa, calda e che aveva un buon profumo. Ci strofinò il naso sopra, avvertendo il braccio del suo ragazzo che si spostava appena dalla sua posizione.
Dopo aver visto l’alba, i due avevano deciso di andar a dormire e avevano condiviso il letto che – a suo tempo – era stato di Iwaizumi. Il letto era a una piazza, di conseguenza avevano dovuto dormire abbracciati, e Hajime aveva sudato lo stesso perché non solo emanava calore come uno scaldino, ma perché Oikawa si era ostinato a dormire con una delle sue magliette di Godzilla, grigia e usurata dalle troppe centrifughe che aveva subito.
Il castano fece un piccolo sorriso, osservando la bocca leggermente spalancata dell’altro, ed era quasi tentato di svegliarlo di soprassalto, magari insinuando la lingua dentro la sua bocca, in un bacio passionale.
Prima, però, decise di vedere chi l’avesse disturbato a quell’ora, anche se si rese conto che era già l’una e che loro due avevano dormito più del previsto. Alzò un sopracciglio nel leggere il mittente del messaggio: era Eiko, e gli chiedeva di chiamarla non appena si sarebbe svegliato.
La ragazza – e adesso sua migliore amica – sapeva benissimo che sarebbe atterrato la mattina presto, e gli aveva detto che si sarebbero sentiti non appena avrebbe avuto cinque minuti liberi. Per mandargli un messaggio significava che gli doveva dire qualcosa d’urgente.
Sbloccò il telefono, guardando per un attimo Iwa-chan, prima di spostare con tutta la delicatezza di cui disponeva il braccio del fidanzato, in modo che lui da potersi alzare. Il suo tentativo fu comunque inutile: Tooru si era messo appena in punta di piedi, quando si sentì tirare da un lembo della maglietta.
«Dove vai…?» biascicò Hajime, gli occhi chiusi e una smorfia che Oikawa trovò assolutamente adorabile.
Gli prese la mano, baciando le dita e riponendo il braccio sul materasso. «Eiko mi ha chiesto di chiamarla… Sto tornando» disse, con una dolcezza che sembrava innaturale persino a lui.
Superò il chabudai, aprendo la porta e richiudendosela alle spalle. Si appoggiò allo stipite, aspettando che l’amica agganciasse la chiamata. Sperava solo che nessuno lo vedesse in quelle condizioni, era pur sempre in mutande e con una maglietta raffigurante la locandina di un vecchio film di Godzilla, non gli andava proprio di far prendere un colpo agli zii di Iwa-chan.
«Pronto?» rispose alla fine Eiko.
«Ti sembra il modo di svegliarmi dal mio sonno ristoratore?» disse, canzonandola. «E si può sapere dove sei? Stai facendo shopping, per caso?»
«Sì, sono al centro commerciale con Akio…» S’interruppe un attimo. «E io non pensavo che il messaggio ti avrebbe svegliato!»
Tooru fece una mezza risata. «Guarda che ti sto prendendo in giro, Eiko-chan! Okay che sono bravo a portare rancore, ma per una sciocchezza del genere mi sembra esagerato, ti pare?»
La ragazza si mise a ridere a sua volta, e Oikawa non poté fare a meno di sorridere. Erano poche le occasioni in cui si svegliava con il pensiero che quella sarebbe stata una grande giornata. Raramente apprezzava le piccole cose, eppure non appena aveva aperto gli occhi, quella mattina, si era ritrovato con addosso il profumo di Iwa-chan, con quella sua espressione imbambolata, e non pensava che ci fosse cosa migliore di quella. Ogni volta che era a letto con lui sperava che il tempo si fermasse, così da poter passare il dito su quelle labbra ruvide, avanti e indietro, senza più fermarsi, fino a quando Hajime non avrebbe aperto gli occhi e gli avrebbe augurato il buongiorno.
Le sue guance si colorarono leggermente di porpora, prendendo un lembo della maglietta di Iwaizumi e annusandone il profumo, mentre l’amica gli faceva il resoconto di tutto quello che aveva acquistato, e lui di conseguenza le raccontava quello che era successo negli ultimi giorni nei minimi particolari.
«Comunque, perché mi hai chiesto di chiamarti?» chiese poi.
«Oh giusto! Ti ho chiamato per dirti che devi assolutamente aprire Twitter!»
Il castano alzò un sopracciglio. «Perché?»
Non gli andava proprio di leggere i commenti estremamente offensivi nei confronti suoi e di Iwa-chan, scritti da persone che non avevano alcuna idea di chi fosse la persona di cui era innamorato, né di che cosa avessero passato. Quella giornata era iniziata troppo bene, non voleva rovinarla per colpa di gente stupida e ottusa.
«Fallo! Non te ne pentirai, fidati!»
«Okay… Ma lo faccio solo perché mi fido di te e del tuo giudizio!»
Non poteva vederlo, ma era quasi certo che la ragazza stesse sorridendo. Lo salutò velocemente, dicendogli che doveva tornare al suo milkshake alla fragola, altrimenti si sarebbe scaldato troppo, e il ragazzo – dopo aver alzato gli occhi al cielo – chiuse la chiamata. Emise un sospiro basso e, fissando la schermata del telefono, si rese effettivamente conto che la barra delle informazioni era piena di notifiche provenienti proprio da Twitter. Produsse un altro sospiro, prima di digitare la password e sbloccare il telefono. Cliccò l’icona a forma di uccellino blu e in un attimo si ritrovò investito da almeno una cinquantina di notifiche, sbarrando immediatamente gli occhi. Okay che aveva dormito più del dovuto, ma la gente doveva anche darsi una calmata.
Scorse velocemente le notifiche, non guardandole per davvero, finché una in particolare non attirò la sua attenzione: proveniva dal suo fanclub ufficiale, nato quando lui era solo una stella emergente al liceo, e che negli anni si era sempre fatto più grande e pieno di ragazze provenienti dalle parti più disparate del Giappone. L’aprì, trovandosi davanti la schermata di un video.
Tooru si guardò intorno, assicurandosi che nessuno fosse nei paraggi, prima di farlo partire. Gli apparve davanti il viso di una della presidentesse, accompagnata dalle altre quattro, sul primo piano, e da un’altra miriade di ragazzine urlanti. Dopo un saluto generale – in cui tutte esclamarono in coro: “Ciao Oikawa-san!” –, a parlare fu soltanto la ragazza che stava riprendendo: “Scusaci se non ci siamo fatte sentire, ma dovevamo ancora elaborare la notizia! Insomma, tutte noi speravamo di poter diventare la tua prossima pretendente, un giorno!”
Ci furono diverse risatine e Oikawa alzò nuovamente un sopracciglio, lasciando comunque trapelare un mezzo sorriso. Se era diventato così famoso e importante, in parte, lo doveva a quel gruppo di scalmanate; sotto sotto le adorava. “Comunque, sappi che noi ti sosteniamo al cento per cento! Abbiamo visto le foto e siete assolutamente adorabili, non ti vedevamo così contento da… anni? Sì, da un sacco di anni! E siamo sinceramente felici per te!”
E il video si concluse con un loro ultimo saluto, prima che lo schermo diventasse nero, lasciando Oikawa frastornato e confuso.
Di che foto stavano parlando? Possibile che stessero già circolando le fotografie che avevano scattato alcuni paparazzi quella mattina?
Tornò indietro, sbiancando non appena si ritrovò la home di Twitter letteralmente invasa di fotografie ritraenti lui e Iwa-chan quella mattina in aeroporto, le mani del ragazzo sulle sue guance bagnate. E più scorreva verso il basso, più incontrava foto diverse, scattate da angolazioni diverse, assieme a un’altra marea di tweet che citavano il suo account e scritti dalle persone più disparate: semplici ragazzi, atleti come lui, persino gente di spettacolo.
Oikawa neanche realizzò di aver aperto la porta della stanza di Iwa-chan, camminando lentamente e distendendosi nuovamente accanto al suo ragazzo, che non mancò di passargli una mano sul fianco, facendolo tremare appena. Mugugnò qualcosa che Oikawa non capì, troppo impegnato a leggere tutto quello che la gente aveva scritto su di lui e Iwaizumi. E se prima non avevano fatto altro che insultarlo, adesso gli haters sembravano essersi volatilizzati, sostituiti da commenti positivi, frasi piene di significato, e Oikawa sentì lo stomaco sottosopra, gli occhi che pizzicavano e le guance leggermente arrossate. Tantissime persone, nel giro di poche ore, avevano espresso tutto il loro sostegno, avevano spazzato tutte le malelingue e la negatività che gli avevano gettato addosso persone ignoranti, che non sapevano andare oltre le apparenze. In tanti, non facevano che postare le foto e dire, a gran voce, che se questo non era amore allora non sapevano che cosa fosse.
Un post in particolare, però, catturò la sua attenzione: proveniva dall’account di Eiko, e si trattava di una foto che la ragazza gli aveva scattato di nascosto, loro due addormentati sul divano di casa, dopo che era tornato stremato dall’allenamento. Stavano insieme solo da una settimana. Ricordava ancora quel periodo, quando Iwaizumi si sentiva ancora in colpa per quello che gli aveva fatto, quando i loro baci erano ancora un’emozione tutta nuova e da scoprire poco per volta. In realtà, a dirla tutta, per lui erano ancora un’emozione troppo grande perché il suo cuore riuscisse a contenerla tutta.
Fece un piccolo sorriso. Eiko gli aveva mostrato quella fotografia, dicendogli che se mai avesse avuto dei dubbi su quello che Hajime provava nei suoi confronti, gli bastava vedere il mondo in cui lo stringeva in questa fotografia. Iwa-chan non aveva mai smesso di stringerlo in quel mondo, Oikawa avrebbe potuto perdersi tra le sue braccia, mentre annusava il suo profumo, mentre sentiva la sua pelle a contatto con la propria, calda, bollente.
Continuò a fissare quella fotografia, le linee sinuose dei loro corpi avvinghiati l’uno all’altro, le labbra di Iwaizumi che sfioravano la sua fronte, prima di accorgersi che, accanto alla frase che aveva scritto Eiko per scusarsi di aver postato la foto senza il suo permesso, c’era scritto un tag: #WeWantTheKiss
Aveva avuto modo di notarlo anche in altri post, ma non avrebbe mai pensato che l’intera popolazione mondiale avesse deciso, così esplicitamente, di creare un hashtag apposta per riempire la home di twitter solo di loro due, invadendo anche lo spazio di quei trogloditi che dicevano che dovevano sparire dalla faccia della terra.
Se non fosse che Iwaizumi aveva mezza faccia infossata nel cuscino, molto probabilmente Oikawa ci avrebbe già urlato sopra, per evitare di far prendere un colpo alla famiglia del ragazzo. Soppresse una risatina nervosa, tappandosi la bocca con una mano, un’idea che cominciò a balenargli in mente. Si girò dall’altro lato, il viso di Iwaizumi che comparve nel suo campo visivo, la fronte leggermente aggrottata, una mano posata sul cuscino.
Era bellissimo. Non capitava mai che lo dicesse ad alta voce – e la cosa era reciproca –, ma da quando aveva capito di provare qualcosa per lui, non aveva mai smesso di pensarlo. Non aveva mai smesso di pensare a quanto fossero belli i suoi occhi, il suo viso, il mondo in cui imbronciava le labbra quando era in imbarazzo. Tamburellò le dita sulla superficie morbida, onde evitare di passarle sulle nervature della mano di Iwa-chan, sapendo benissimo che si sarebbe svegliato. Se voleva attuare la piccola e forse malsana idea che gli era venuta in mente, doveva evitare che Iwa-chan fosse sveglio, altrimenti non l’avrebbe permesso. Osservò ancora una volta quei lineamenti che si era addolciti per via del sonno, prima di afferrare il telefono e aprire la fotocamera anteriore. Selezionò la modalità video e allungò il braccio verso l’alto, in modo da avere una visuale perfetta di loro due.
Volevano il bacio? Glielo avrebbe dato.
Fece partire la registrazione, e ci mise una frazione di secondo – giusto il tempo di osservare le labbra di Iwaizumi e di sorridere – prima di cominciare a baciarlo. Fu un bacio leggero, durò pochi secondi, eppure a Oikawa sembrò durare il tempo di una vita.
«Buongiorno» soffiò poi, e vide l’espressione del ragazzo farsi più crucciata.
Si lasciò andare a un piccolo lamento prima di aprire appena le palpebre, e Oikawa sentì il cuore e le stomaco che rischiavano di uscire fuori dalla sua bocca, talmente erano schizzati verso l’alto. Avrebbe potuto sciogliersi come una statua di cioccolato al sole quando Iwaizumi lo guardava in quel modo. E sapeva già di avere il viso in fiamme.
«Giorno» replicò lui, sempre a bassa voce, e il castano fece un piccolo sorriso, prima di fermare il video e lasciare che il braccio cadesse pesantemente sul materasso. «Che stavi facendo…?» chiese poi, con circospezione, non ottenendo alcun risultato, poiché il ragazzo riprese a baciarlo subito dopo, labbra che si sfioravano tra di loro, si ritraevano appena, per poi cercarsi un’altra volta.
«Che ti ha detto Eiko?» chiese allora, dopo che i loro denti erano andati a cozzare perché Oikawa ci aveva messo un po’ troppo slancio in quell’ultimo bacio.
«Oh, una sciocchezza!» disse Tooru, posando le mani tra la sua guancia e il cuscino, mentre il ragazzo scostava un paio di ciocche ribelli che gli coprivano la visuale. Oikawa tolse una mano dalla sua posizione per premerla contro quella del suo fidanzato. Adesso, era come se Iwaizumi potesse sentire il caldo emanato dalla sua guancia e il freddo della sua mano.
Deglutì, costringendo i suoi globuli rossi a non affluire così velocemente, anche se sapeva che era inutile. «Che ore sono?»
«L’una passata.»
«Cazzo, è tardissimo!» esclamò, facendo per mettersi seduto, ma si sentì tirare per un braccio.
«No, rimaniamo un altro po’ a letto!» cinguettò Oikawa, stringendo il braccio del ragazzo, il labbro inferiore leggermente sporto infuori. Mise su la sua migliore espressione da cucciolo bisognoso di altro affetto, cosa che irritò particolarmente il caro Iwaizumi.
«Dai, Crappykawa, lasciami!» disse, spingendo con forza le braccia del ragazzo, in modo che allentasse la presa.
«Uffa, sei ingiusto con me, Iwa-chan! Ammettilo che anche a te piace rimanere a poltrire sul letto!»
A poltrire forse no, ma era consapevole che – se avesse potuto – avrebbe passato le restanti giornate della sua vita a fissare il volto sereno di Oikawa quando apriva gli occhi la mattina; eppure Iwaizumi non l’avrebbe mai ammesso, forse sotto tortura. «Non sono una scansafatiche come te!» disse invece, riuscendo a liberarsi.
Il castano incrociò le braccia, come se fosse un bambino cui avevano appena tolto il suo giocattolo preferito. «Posso almeno avere un altro bacio…?» chiese, e il giornalista si lasciò andare a un lungo sospiro prima di accontentarlo, le loro labbra che si sfiorarono un’altra volta ed era quasi tentato di cedere, di tornare tra le braccia di Tooru, di stare a fissarlo e a parlarsi. Perché era vero che il sesso con lui fosse estremamente appagante ma quei momenti era anche quelli che Iwaizumi conservava come un diamante prezioso.
Erano quei momenti pieni di melassa e zucchero a cui non si concedeva troppo spesso, eppure con Oikawa gli veniva così naturale, dannazione.
Un vocina fastidiosa, però, gli ricordò che erano a casa di sua zia, e a meno di non voler far prendere un colpo alla donna – o peggio, a suo zio –, era meglio per entrambi che si facessero trovare in condizioni quantomeno decenti. Si staccò, e Oikawa soffiò un lamento sulle sue labbra, mentre Iwaizumi apriva il piccolo borsone con quel poco occorrente che aveva portato da casa e andava alla ricerca dei suoi jeans.
«Non mi hai ancora detto che cosa stavi facendo con il telefono…» disse poi, infilando ambedue le gambe e richiudendo la cerniera, mentre l’altro stava smaniando con lo smartphone.
Inizialmente non rispose, troppo impegnato a digitare sulla tastiera virtuale, prima di dire con assoluta nonchalance: «Mah, niente di che! Ho solo ripreso il momento in cui ti ho baciato, poco fa…»
Iwaizumi si fermò di botto, in mezzo alla stanza, cercando di elaborare quello che Oikawa aveva appena detto. Lui… l’aveva ripreso mentre…
«CHE COSA?» sbraitò, il volto color amaranto, e non sapeva se era per via dell’imbarazzo o della rabbia che sentiva crescere dentro di lui. «Ti prego, dimmi che non lo stai postand…»
«Sono stati i fan a chiedermelo» sbottò Oikawa, senza minimamente scomporsi, troppo concentrato a trascrivere i duemila tag che, di solito, inseriva quando postava qualcosa su Instagram.
Se non fosse stato troppo preso dalla faccenda, probabilmente avrebbe potuto spiegare meglio come stavano le cose, raccontando a Iwaizumi quello che Eiko gli aveva detto quella mattina, del video del suo fanclub, dei milioni di tweet in loro onore. Ma oramai era troppo tardi e il giornalista si stava avvicinando a lui con l’intento di strappargli il telefono dalle mani; o di strangolarlo, dipende dai punti di vista.
La scena che seguì, ricordò molto quella che avviene tra due personaggi di un anime, se non fosse che quella era la vita vera e che Hajime si apprestava a saltargli addosso con uno sguardo poco rassicurante. Tooru sgusciò dal letto allo stesso modo di un’anguilla, il giornalista che finì sul materasso. «Vieni qui, bastando! Dammi quel telefono!» disse, e l’urletto che produsse l’altro non aveva nulla da invidiare a quello delle donzelle in pericolo nei cartoni animati per bambini.
E la situazione non poté che degenerare, visto che si stavano comportando come se avessero quindici anni e non ventiquattro, squadrandosi da capo a piedi – anche se Oikawa stava diventando strabico, perché guardava sia Iwa-chan, sia quello che scriveva nel telefono –, con solo un tavolino basso a separarli. Il castano lanciò un’occhiata verso la porta, con l’idea di fuggire a gambe levate, dimenticandosi per un attimo che non si trovava a casa sua, per poi guardare negli occhi Hajime, che ovviamente aveva capito quali fossero le sue intenzioni. Ecco perché, quando il ragazzo fece un scatto veloce verso l’unica fonte di salvezza, il giornalista riuscì a prenderlo, atterrandolo per terra.
Oikawa produsse un leggero lamento, sperando che non fosse successo nulla alla sua spalla, mentre Iwaizumi lo sovrastava. «Ho vinto» disse. Aveva il fiatone e un mezzo sorriso stampato in faccia.
Sorriso che Oikawa ricambiò immediatamente, cliccando un tasto sul telefono, sotto lo sguardo smarrito dell’altro. «Troppo tardi, sono riuscito a postarlo!»
Ci fu un attimo di assoluto silenzio, in cui i due stettero a fissarsi, interrotto in seguito dal moto di risa che fece tremare appena il corpo di Oikawa. L’espressione sconcertata di Iwa-chan era impagabile.
«Perché cazzo ridi, lurido pezzo di merda?» sbottò Hajime, iracondo. «Ti rendi conto di quello che hai fatto?»
Tooru non lo stava neanche ascoltando, troppo impegnato a ridere a crepapelle, tenendosi lo stomaco con le mani, il telefono abbandonato sul pavimento, i capelli che ricadevano in sinuose onde sul suo viso. Non seppe se fu quella visione a placare la sua rabbia, fatto sta che Hajime sentì qualcosa, simile a un soffio caldo, che gli trapassò il cuore. Non faceva male, era più simile al dolore che si prova quando si prende la scossa per la prima volta. Sentiva ogni cellula del suo corpo che vibrava, ogni fibra, ogni tessuto, ogni organo, ogni nervo.
L’espressione rabbiosa di prima fu sostituita da una più malinconica, dolce, gli occhi smeraldini ridotti a due fessure, e Oikawa si rese conto subito di questo suo repentino cambiamento, scemando la sua risata. «Qualcosa non va…?» chiese poi, senza smettere di sorridere.
Iwaizumi spostò la mano dalla spalla del suo ragazzo, al suo viso, causandogli un piccolo brivido che le sue dita colsero immediatamente, insieme alla consistenza morbida di quei ciuffi castani che brillavano alla luce dei raggi solari. «Mi piace quando ridi…» disse in un sospiro.
I suoi occhi color cioccolato si spalancarono, avvertendo un leggero pizzicore alla punta dell’orecchie: probabilmente, stava cominciando ad arrossire. Teneva lo sguardo fisso su quell’espressione, così diversa da quella di qualche secondo prima, e causata proprio dal fatto che lui gliela aveva fatta sotto il naso e si era messo a ridere.
Iwaizumi non era tipo da dire cose del genere con una tale leggerezza, a volte bisognava tirargliele fuori a forza; eppure, c’erano quei momenti in cui si lasciava andare, in cui scattava qualcosa in lui, un moto di dolcezza che gli diceva che, sì, doveva dire quello che pensava in quell’esatto momento, o se ne sarebbe pentito a vita. Per questo, ogni volta che gli diceva che l’amava, il cuore di Oikawa faceva venti salti all’indietro prima di placarsi. Non seppe cosa fosse successo in lui, forse era stato il suono della sua risata a riscuoterlo, tuttavia era l’ultimo del suoi pensieri. Il cuore del setter batteva all’impazzata ed era quasi sicuro di essere diventato dello stesso colore di un’arancia rossa, Iwazumi che non la smetteva di scostare i capelli dal suo volto.
Deglutì, mentre i suoi occhi erano fissi sulle sfumature degli occhi di Hajime, le stesse sfumature che, qualche mese prima, gli avevano fatto capire che era innamorato di lui, e la situazione non era tanto diversa da quella volta che si erano azzuffati al parco. Quelle sfumature erano sempre le stesse, solo… lo sguardo di Hajime era più dolce, meno triste, meno colpevole. Non provava più ribrezzo o senso di colpa per quello che sentiva.
Il castano fece un piccolo sorriso, schiarendosi la voce. «Beh… A me piace quando mi guardi così…»
Non ci volle molto prima che le labbra di Iwaizumi incontrassero le sue, rubandogli un piccolo sospiro di piacere. Erano calde e dannatamente morbide, come prima si cercavano, soffiavano il nome dell’altro, ed entrambi si trovavano combattuti tra la voglia di portare quella sessione di baci a un livello più estremo e il dovere di mettere fine a tutto questo.
Per fortuna fu un colpo di tosse a riportarli con i piedi per terra ed alzarono gli occhi verso la fonte. Iwaizumi si staccò immediatamente e ci mancò poco che facesse un capitombolo all’indietro per la sorpresa, mentre Tooru si nascondeva il viso – oramai in fiamme – con le mani.
«Non vi ho detto che dovevate smettere, siete adulti e vaccinati, potete fare quello che volete! Vi chiedo solo di usare il preservativo e di non fare troppo rumore… Sai, Hajime, tuo zio deve ancora metabolizzare l’idea…»
«HO CAPITO, ZIA! GRAZIE!»
La donna fece un mezzo sorriso, notando come le gote di suo nipote si fossero fatte più colorite, posando poi una mano lungo il fianco. Hajime, intanto, aiutava un Oikawa ancora in mutande a rimettersi in piedi: ottimo, come se la situazione non fosse già imbarazzante!
«Potevi bussare…» borbottò il ragazzo.
«L’ho fatto, ma voi eravate così impegnati a fare le vostre cose che non mi avete sentito!» si giustificò la donna. «E tu potevi chiudere la porta, comunque!»
Touché.
Prese un bel respiro, avvertendo la vena del collo e della fronte che pulsavano irrefrenabilmente. «Okay… zia. Ti prometto che non succederà più.»
La donna alzò un sopracciglio, non del tutto convinta, ma lasciò correre comunque, spostando invece la sua attenzione sul giovane affianco a suo nipote. «Tu sei Tooru-kun, giusto?» Il ragazzo in questione sobbalzò, annuendo appena, mentre la donna gli porgeva la mano. «Hana, molto piacere!»
«Il piacere è tutto mio!» disse, ricambiando la stretta, seppur con titubanza. «Sarebbe stato meglio se ci fossimo conosciuti in maniera diversa… mh?» aggiunse, con una risatina nervosa.
«Oh, io invece penso che sia l’occasione perfetta.» Lo squadrò da capo a piedi, rivolgendosi poi al nipote. «Complimenti, Hajime, devo dire che hai ottimi gusti in fatto di ragazzi! Non che Minori fosse brutta, ma…»
Se fosse stato possibile, i due divennero ancora più rossi di prima: Tooru perché quella donna sconosciuta – e parente di Iwa-chan per giunta – gli stava facendo dei complimenti; Hajime perché sua zia lo stava mettendo in imbarazzo. Fin troppo.
«Sei imbarazzante…» mormorò, passandosi una mano sul viso, mentre la risata nervosa di Oikawa non faceva che peggiorare. Se avessero avuto un pubblico, a quest’ora si sarebbe fatto delle grosse e grasse risate.
Come al solito, il destino non faceva che prendersi gioco di loro.
«Che c’è?» protestò Hana. «Non posso nemmeno dire che il tuo fidanzato è un gran bel ragazzo con un corpo da urlo?»
«Zia!»
«Beh, grazie mille per il complimento!»
«Ad ogni modo, era venuta per svegliarvi, non mi aspettavo di trovarvi avviluppati come delle piovre!» sbuffò. «Il pranzo è quasi pronto, spero che tu gradisca il salmone grigliato, Tooru-kun!»
«Oh, va benissimo, Hana-san.»
«Hana, please, so di avere una certa età, ma tu sei di famiglia puoi permetterti di chiamarmi senza alcun suffisso.» Gli fece l’occhiolino e Oikawa rispose con un piccolo sorriso.
«Non assicuro che smetterò di farlo subito… Ma ci proverò!»
La donna sorrise a sua volta, battendo poi le mani. «D’accord, allora ci vediamo tra poco!»
Hajime alzò gli occhi al cielo, le braccia incrociate. Sua zia aveva la bruttissima abitudine di osteggiare la sua conoscenza delle lingue ogni qual volta incontrasse gente nuova.
La donna fece per uscire, arrestandosi poi sulla soglia. «Oh, Hajime? Se vi dovessero servire dei preservativi, tuo zio li tiene sotto i calzini, nel secondo cassetto del suo comodino!»
«ESCI IMMEDIATAMENTE!» sbraitò, chiudendo la porta, Oikawa che intanto si era accasciato per terra poiché le risate si erano fatte troppo forti ed erano difficili da arrestare. «Come puoi ridere delle disgrazie altrui…?» disse poi, affranto.
Il castano si asciugò gli occhi. «Ma come? Poco fa non hai detto che la mia risata ti piace?»
Iwaizumi sussultò appena, scostando subito lo sguardo, un’espressione imbronciata sul volto oramai rosso come un pomodoro maturo. Oikawa sorrise sotto i baffi, rotolando di lato e rimettendosi in piedi. Si avvicinò al ragazzo, l’indice che passava sulle linee dei suoi muscoli, tracciava la via della vena sul collo, fino a posarsi sulle labbra; il tutto, sotto lo sguardo ipnotizzato di Iwaizumi.
«Dici che i tuoi zii se la prenderanno se aspettano… vediamo, cinque minuti in più?»
«Non lo farò con te sul mio vecchio materasso, Shittykawa!»
«Ma tuo zio ci offre persino i preservativi!»
Attimo di pausa. «Vai a fare in culo, Oikawa!»
Alla fine, però, risero entrambi.

 
  
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