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Autore: StargazingMomo    24/11/2020    2 recensioni
Sono trascorsi due anni dalla sconfitta degli androidi nella dimensione mirai. Un nuovo nemico, con legami col passato, si profila all'orizzonte con l'intenzione di sfruttare il potere delle Sfere del Drago, scomparse da tempo. Ce la farà? Quale sarà il destino del futuro? [Mirai!Trunks/Nuovo Personaggio]
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mirai!Bulma, Mirai!Trunks, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Una folata di vento improvvisa aprì un'anta della porta finestra socchiusa, facendo gonfiare anche le tende bianche, tirate, che scoprirono così in parte la visione della luna piena. Yume si passò entrambe le mani sulle braccia scoperte, constatando infastidita che per essere metà settembre l'aria era già piuttosto fresca. Allontanò, sbuffando, le lenzuola pastello e scese dal letto, dirigendosi verso l'infisso con l'intenzione di assicurarne la chiusura con la maniglia. Il tepore della moquette accolse i suoi piedi scalzi, accompagnandola fino a destinazione. Compiuto il suo intento, la ragazza si fermò un attimo ad osservare lo scenario sottostante, oltre il terrazzino, pensierosa.
Il riverbero degli alti lampioni si rifletteva sulla vetrata davanti a lei, squarciando l'oscurità che avvolgeva le nuovamente percorribili strade di Città dell'Ovest; unito a quello delle ipnotiche insegne intermittenti delineava un'atmosfera drastricamente differente da quella di paura e devastazione in cui era cresciuta. I fanali di aircar di passaggio illuminavano brevemente i lineamenti del suo viso, in direzione di nuove eccitanti avventure, pensò lei con un una punta di amarezza. Sì, se doveva essere sincera con sé stessa, doveva ammettere che provava una sorta di avvilimento rispetto all'idea che qualcuno stesse continuando a vivere la miglior vita possibile, supportato dalla nuova condizione di benessere in continua espansione.
Yume, quindi, tirò nuovamente le tende e si appoggiò di schiena alla porta finestra avvolgendo le braccia intorno al petto. Quelle aircar erano prodotte dalla Capsule Corporation, tra l'altro. Un profondo sospiro sfuggì dalle sue labbra. Ripensò al momento in cui anche lei aveva creduto fosse diventato tutto molto più facile, quasi automatico nel realizzare i suoi progetti di vita. Il suo sguardo malinconico cadde sulla t-shirt che indossava, decisamente troppo larga, su cui era stampato proprio il logo della Capsule Corporation.
Erano passati due anni da che Trunks aveva sconfitto gli androidi e poco dopo quell'evento lei il ragazzo avevano deciso di fare un passo avanti nella loro relazione, nel modo che si era rivelato loro più naturale, finalmente liberi e felici di potersi permettere una prospettiva. Avrebbe veramente voluto che quell'entusiasmo e quell'ingenuità, frutto di una visione un po' semplicistica, fossero durati di più, tendendoli avvolti in quel piacevole abbraccio inconsapevole ancora per un po'. Un sorriso triste si dipinse sul suo volto.

La sua mente balzò, allora, al loro primo incontro. Una tredicenne sola da poco, stupidamente sicura delle sue capacità e impaziente di mettere a frutto gli insegnamenti di suo padre maestro di karate, aveva cercato di sottrargli la spada con la sciagurata idea di trovare in qualche modo gli androidi e vendicare così la morte dei suoi genitori. Il ragazzo aveva evitato il suo attacco senza problemi e le aveva domandato che razza di problemi avesse; al che lei aveva risposto, offesa dal modo in cui l'aveva neutralizzata e per il naufragio del suo ingegnosissimo piano, che poteva andare all'inferno. Ne era passata così tanta di acqua sotto i ponti da allora.  
Grazie a lui aveva potuto contaminare il suo bagaglio di conoscenze basato sul karate più puro con tipi di tecniche differenti e lei non si era risparmiata mai negli allenamenti, voleva che Trunks non ci andasse leggero solo perché era una ragazza; voleva migliorare, voleva imparare, sapeva di poterci riuscire, voleva resistere agli androidi.
Comunque non era stato affatto facile essere all'altezza del giovane, anzi aveva dovuto accettare di avere parecchi limiti, visto aveva scoperto poi essere era mezzo saiyan, una razza aliena di guerrieri dalla forza portentosa di cui suo padre era il principe.
Trunks aveva cominciato a diventare una persona sempre più importante per lei, senza che nemmeno se ne rendesse conto.
Era l'unico che gli fosse rimasto, oltre a sua madre che l'aveva accudita come una figlia, ma non era certamente solo per questo. Con lui poteva parlare di tutto, cercare di metterlo di buon umore prendendolo anche un po' in giro, farsi forza l'uno con l'altra. Quindi, tra i suoi desideri si era fatto spazio quello di potergli essere sempre più vicina e il solo pensiero di un'altra ragazza che potesse stare al suo fianco le faceva venire un nodo allo stomaco.

Per questo non avrebbe immaginato sarebbe stato così diverso tra loro una volta dichiarati. Dopo l'euforia iniziale aveva veramente cominciato a fare fatica nel capire cosa Trunks si aspettasse da lei a un certo punto e che cosa fosse giusto che lei si aspettasse a sua volta. Aveva la costante paura di sbagliare, di rovinare tutto ed era come se non riuscisse più a dimostrargli quanto tenesse a lui. Il pensiero della ventunenne corse istintivamente al giovane guerriero, a come potesse stare, se stesse dormendo in quel momento...
Strinse ancor di più le braccia attorno sé cosicché il tessuto della maglietta aderisse ancora di più alla sua pelle; Trunks le aveva permesso di rubargliela dopo la prima volta che avevano fatto l'amore. Era un modo per sentirlo ancora vicino a sé, anche se riconosceva che, forse, era un po' egoista da parte sua. Era stata lei a prendere la decisione di lasciare l'edificio giallo che aveva considerato casa per quasi otto anni perché era giunta alla conclusione che, anche se questo le aveva spezzato il cuore e non avrebbe mai creduto di doversi trovare in una posizione simile, era l'unica cosa che le restava da fare, tutto era diventato così forzato. Per questo si rendeva conto che non aveva più il diritto di sentirsi così legata a qualcosa che gli era appartenuto o a preoccuparsi per lui, ma, d'altra parte, non riusciva a impedirlo. Continuava ad essere una parte importante di lei e quello che avevano condiviso, il loro legame, aveva lasciato un'impronta nella sua vita ben prima di diventare una coppia.
Gli occhi nocciola di Yume si spostarono indolentemente dalla t-shirt sui suoi piedi, sempre nudi sul pavimento ricoperto di moquette, e fece una smorfia constatando in quel momento che non si era ricordata di pulire le unghie dallo smalto sbeccato. Non poteva presentarsi così al dojo l'indomani mattina. Scosse la testa e si allontanò dalla porta finestra. Si avvicinò, quindi, al letto e si infilò le pantofole per dirigersi in bagno a prendere il solvente per unghie; un'occhiata furtiva all'orologio digitale la informò che erano le 3:32.
Bah. Aveva fatto proprio tardi. Si passò una mano sul viso e si riavviò i capelli biondo miele che ricaddero scomposti sulle sue spalle. Il suo sguardo indugiò su una foto incorniciata accanto all'orologio: vi era ritratta lei, in fasce, in braccio a sua madre sorridente mentre suo padre, che scattava la foto, con un mano stringeva la moglie e con l'altra teneva la macchina fotografica. Non era stata riservata loro una sorte molto clemente, dopotutto. Erano stati uccisi entrambi da C17 e lei era stata risparmiata solo perché creduta morta a sua volta. Nonostante questo, niente di quello che le avevano insegnato era stato disperso o sprecato; lo sperava perlomeno. Aveva resistito anche per loro.
Yume d'istinto prese la cornice in mano e si sedette sul letto, nella penombra della stanza, mentre osservava le sagome dei due genitori impressi sulla carta fotografica, accarezzandole con il pollice. Avvertì il pungere delle lacrime nel loro tentativo di affacciarsi ai suoi occhi, ma la ragazza le ricacciò indietro. Doveva ringraziare, appunto, suo padre per averle insegnato le basi del karate, lui che era sensei in un dojo e lo praticava sin da giovane. La sua filosofia , comune a tutte le arti marziali, era sempre stata molto importante per lui, la disciplina e il rispetto che instillavano nella persona che lo praticava, a trovare la propria fermezza nello spirito. Era convinto, insieme a sua madre, che avere un impriting di quel tipo potesse rivelarsi molto utile per lei, sopratutto nel periodo storico in cui era dovuta venire al mondo.
Erano due persone con la testa sulle spalle che avevano avuto la fortuna d'incontrarsi e non avrebbero certo voluto che la loro bambina nascesse in un mondo del genere, per questo avevano fatto di tutto per darle gli strumenti per affrontarl. L'unica costante per Yume, quindi, era sempre stata l'esercizio delle arti marziali e avrebbe provato a fare quello che suo padre aveva portato avanti con molta dignità e avrebbe trasmesso i suoi valori insegnando anche lei karate in un dojo, provando a scoprire le sue potenzialità da sola.
Esitò nell'afferrare una polaroid incastrata nell'angolo destro della cornice ma poi, lasciando quest'ultima nella mano sinistra,

istintivamente l'afferrò e si focalizzò sui due protagonisti di quell'istantanea. Erano lei e Trunks stavolta. Non era riuscita a separarsene. Chissà cosa avrebbero pensato sua mamma e suo papà di lui, di quello che avevano vissuto insieme... Il momento in cui avevano scattato quella foto si riaffacciò prepotentemente tra i ricordi di Yume.

«Trunks, dai, te lo chiedo per favore...! E' una giornata importante, questa vecchia macchinetta dovrebbe ancora funzionare e dovrebbe esserci ancora la pellicola, quale occasione migliore per sfruttarla?! Stai per concretizzare tutti gli sforzi fatti da tua mamma per costruire questa macchina del tempo...!»
Dicendo così la sedicenne si avvicinò al ragazzo dai capelli color lavanda, che stava ricapitolando mentalmente gli eventi che lo avrebbero atteso all'arrivo nel passato, mettendo su un broncio deluso e cercando, così, di attirare la sua attenzione.
«Yume, non ho tempo per questo adesso, lo sai.» rispose lui, un po' seccato dalla sua insistenza.
«Ironico detto da uno che ha una macchina del tempo a sua disposizione.»
Bulma si fece scappare una risata, per poi aggiungere:
«Non ha tutti i torti.»
«Visto?!» e così dicendo la giovane incrociò la braccia con aria soddisfatta.
«E va bene, mi avete messo all'angolo...!»
Con queste parole Trunks si avvicinò a lei e, mentre le posava la mano sinistra sulla rispettiva spalla, Yume domandò:
«Bulma non vuoi unirti alla foto? »
«No, mi basta vedere le vostre espressioni felici per una volta.»
La ragazza annuì in risposta e facendo una V, in segno di vittoria, con le dita, assicurandosi di inquadrare la parola 'hope!!' scritta sulla macchina del tempo alle loro spalle, scattò l'istantanea mentre un timido sorriso si affacciava sulle labbra del diciassettenne.

I contorni della polaroid si fecero sempre più sfocati, non riusciva più a trattenere le lacrime. La foto ancora salda nella mano destra. La strinse al petto per poi, d'un tratto, sentire l'istinto di raccogliervi anche le gambe e, premendo quindi la cornice tra le cosce e il petto, la posò contro le ginocchia mentre abbracciava queste ultime in silenzio.

                                                                                   ****

La luce, ancora accesa a quell'ora tarda, si proiettava fuori dalla finestra stretta e rettangolare dell'ufficio al primo piano del tondo edificio giallo che era la Capsule Corporation e la illuminava quasi come fosse un faro a confronto con le altre immerse nel buio.
Trunks passò una mano sugli occhi stanchi, sospirando. Era tutta la serata che stava lavorando su quei contratti, valutando le condizioni che quei nuovi fornitori gli stavano proponendo per fornire loro i materiali per assemblare una nuova linea di apparecchiature mediche e gli effetti dello schermo del computer cominciavano a farsi sentire. Si allentò la cravatta e si appoggiò all'alto schienale della sua sedia girevole da ufficio. La scadenza per concludere le pratiche non era così alle porte, in realtà, quindi avrebbe potuto evitare di fare le ore piccole per questo ma concentrarsi sul lavoro teneva la sua mente occupata ed era quello che voleva.
Ad ogni modo, non era solo con questo genere di motivazione che interpretava il suo lavoro alla presidenza dell'azienda fondata da suo nonno, ma anche, e soprattutto, perché non poteva permettere che quel retaggio andasse disperso. Quindi, da due anni a quella parte, si stava veramente impegnando per riportare la Capsule Corporation agli antichi splendori dell'era pre-androidi. Si guardò intorno, seduto in maniche di camicia alla scrivania, e considerò quanto quell'edificio avesse sempre rappresentato una certezza e anche in un periodo di disperazione come quello dell'assedio si fosse rivelato un rifugio sicuro, grazie alla presenza del livello seminterrato. Infatti non era solo l'epicentro delle decisioni che riguardavano la Capsule Corp. come compagnia, ma anche la loro residenza principale. Dopo la ristrutturazione, per l'appunto, il secondo piano era tornato al suo status originario, ovvero la loro casa.

Le iridi azzurre di Trunks si spostarono quindi su una foto, in una cornice a giorno, ancora presente sulla sua scrivania. Sullo sfondo la tonda costruzione gialla, appena ristrutturata, su cui troneggiava la rinnovata scritta blu e lui che stringeva sorridente due donne: una era sua madre Bulma e l'altra era... Yume. La sua espressione si rabbuiò di colpo. Con un gesto secco capovolse la cornice a faccia in giù; ne aveva abbastanza dell'espressione da ebete che aveva in quella foto. Non riusciva ancora a capacitarsi di essere stato così stupido a credere che sarebbe durata tra loro due. Eppure, una parte di lui sapeva di dover essere onesto con sé stesso ammettendo che non c'era proprio niente di insensato nell'aver desiderato che le cose andassero meglio.
Quello che avevano lui e Yume non era qualcosa che si prestava a meschinità o frivolezza. Gli tornò alla mente il modo in cui aveva genuinamente cominciato a tenere a lei, i suoi lucidi occhi nocciola nel momento in cui le aveva detto di aver sconfitto gli androidi, di aver così vendicato anche i suoi genitori, che quell'incubo era finito... Come la ragazza l'aveva abbracciato, tra le lacrime, mentre lui la stringeva forte accarezzandole delicatamente i capelli. La sua determinazione e la sua abilità nel riuscire a prenderlo in contropiede erano altrettando scolpite nella sua memoria, come il farlo sorridere quando meno se lo aspettava o prenderlo bonariamente in giro, qualcosa che aveva permesso solo a lei.
Trunks, allora, scosse la testa pensando che doveva tornare con i piedi per terra. Non era più qualcosa che avevano, ma che avevano avuto, ormai, e doveva ficcarselo bene in testa. Anche se non riusciva ancora a spiegarsi come tutto si fosse rivelato così fragile.
Era passato un mese dall'ultima volta che si erano visti e non aveva sue notizie da allora. Aveva rispettato la sua scelta di lasciare la Capsule Corp., non l'avrebbe mai obbligata a rimanere se non era più quello che sentiva di fare. Ultimamente era stato come se non avessero più niente da dirsi o non trovassero più il modo di sentirsi vicini; questo fatto era stato un peso non indifferente per il ragazzo che si sentiva come impotente rispetto a quel solco che si era delineato tra loro. Trunks portò all'indietro con entrambe le mani le ciocche glicine rimaste fuori dal codino in cui aveva legato i capelli, lunghi fino alle spalle, mentre chiudeva gli occhi. Trasse un profondo sospiro.

«Sei ancora sveglio?! Mi avevi promesso che non avresti più lavorato fino a quest'ora...!» La voce di Bulma, sua madre, lo fece trasalire.
«Dovevo assolutamente finire di controllare le condizioni di questi contratti con i nuovi fornitori, quindi...Piuttosto che cosa ci fai da questa parti tu, mamma?»
«Certamente non potevano aspettare domattina, vero? Hanno una scadenza così stringente, devono essere inviati alle prime luci dell'alba?!» lo incalzò.
Trunks imprecò mentalmente contro sé stesso, il suo tentativo di sviarla non era servito. D'altra parte doveva aspettarsi che sua madre non avrebbe mollato la presa. Era solo che non aveva nessuna intenzione di tornare sull'argomento con lei.

«Mamma, dai...»
«Tesoro, non voglio che ti strapazzi. Mi si stringe il cuore a vederti così, sapendo di non poter fare niente per aiutarti... »
Il ventitreenne si alzò, allora, dalla scrivania a cui era seduto per andare incontro alla donna dai corti capelli turchini; le posò entrambe le mani sulle spalle, che sembravano così minute rispetto a quelle del figlio, ed esclamò:
«Non devi stare così in pena per me. Ho affrontato di peggio e ho superato tutto, no?» un accenno di sorriso increspò le sue labbra nel tentativo di rassicurarla.
«E' solo che...» si interruppe, come ripensando alla risposta che voleva dare, per poi proseguire. « Sai che io non voglio essere invadente, vero? A volte l'insonnia colpisce ancora e quindi sono scesa per controllare i progetti per la nuova aicar, ho visto la luce dell'ufficio accesa e mi sono preoccupata... Non voglio certo dirti come affrontare questa situazione. A volte, però, non posso fare a meno di chiedermi come stai. E, forse non dovrei dirtelo, ma penso anche a Yume...»
A sentire nuovamente il suo nome Trunks sentì un nodo allo stomaco e, infatti, i suoi occhi azzurri tradirono questa sensazione, ma solo per un attimo.
«Starò bene, non devi stare in pensiero per me.»  dicendo così il ragazzo le stampò un leggero bacio sulla fronte.
Bulma sospirò e il figlio aggiunse:

«Dai, andiamo a dormire
Spense la luce e si avviò con la madre lungo l'ampio corridoio.

                                                                                      ****

«Yume...! Yume...! Cavolo... svegliati! L'appuntamento al dojo è alle nove!»
«Ev...Everett che succede?» chiese la ragazza con la voce ancora impastata dal sonno, gli occhi in due fessure.
«Devi essere al dojo tra mezz'ora! Ti sei dimenticata dell'appuntamento?!»
A quelle parole Yume spalancò le palpebre di colpo, sconvolta:
«Kami..! Perché non mi sono svegliata?! La sveglia è rotta...?» fece per alzarsi, di scatto, ma non si ricordò della cornice con cui si era addormentata che, di conseguenza, le cadde per terra. La ragazza, quindi, si precipitò a raccoglierla e la sistemò frettolosamente di nuovo suil comodino, risistemando anche la polaroid al suo posto.
«No, eri tu che dormivi come un sasso. Dovresti evitare di fare le ore piccole quando sai che non te lo puoi permettere.» il tono della voce di Everett tradiva decisamente la preoccupazione da "chioccia" che a volte aveva nei suoi confronti, pensò Yume. Ritrovarlo era stata davvero una bella sorpresa, dato che non aveva idea di che fine potesse aver fatto. Si erano conosciuti grazie, in un certo senso, alla condivisione di un bunker antiatomico, con altre tre famiglie, e all'epoca avevano entrambi all'incirca dieci anni. Questo prima che decidessero di spostarsi dopo una ricognizione di suo padre circa una nuova sistemazione più sostenibile.
La ragazza, quindi, gli aveva raccontato di Trunks, dei suoi genitori, e lui si era mostrato molto dispiaciuto, ma allo stesso tempo sollevato che avesse incontrato qualcuno come il giovane presidente della Capsule Corp., per questo, se fosse stato in lei, Everett non l'avrebbe lasciato andare in quel modo. Capì, però, che la cosa migliore per Yume fosse cambiare aria e quindi la invitò a stare a casa sua.
«Grazie mille del consiglio, apprezzo molto la tua premura, ma devo proprio scappare a farmi la doccia.»
Così dicendo lo oltrepassò velocemente mentre si spogliava della maglietta e, di schiena, la lanciò dritta sul viso del ragazzo, fiondandosi nel bagno attiguo alla camera.
«Questa t-shirt... Sei sicura che ti convenga indossarla ancora? Mi rendo conto perfettamente di che razza di bendidio debba aver ospitato, ma sarebbe il momento di riporla, non so. Io lo dico per te, altrimenti non chiuderai mai la storia.» esclamò il suo amico per poi aggiungere: «Ammesso che sia veramente questo quello che vuoi, Yume.»
La ragazza dopo poco fu nuovamente fuori dal bagno e concentrò la sua attenzione su cosa indossare, come se quelle parole non l'avessero toccata, completamente in pace con la sua coscienza. Anche se doveva ammettere che una parte di lei si era sentita punta nel vivo dalla sua osservazione, infatti non era facile constatare che qualcun'altro, oltre a sé stessa, avesse notato la discrepanza nel suo comportamento. Per questo, per quanto si sentisse vicina a Everett non era affatto facile gestire il fatto che i suoi lati più vulnerabili fossero allo scoperto, aveva sempre fatto decisamente fatica ad aprirsi in quel modo con una persona nuova. Cosa che, sostanzialmente, il suo amico era; erano due persone diverse da quei due ragazzini che si erano conosciuti dieci anni prima.
Si infilò in fretta una una felpa oversize verde acqua, l'abbinò a un paio treggings grigi che aveva trovato sulla poltrona accanto all'armadio e afferrò lo smartphone. Dopo essersi messa le scarpe, un paio di sneakers nere dalla suola alta, aver legato un foulard dello stesso colore a mò di fascia per tenere indietro i capelli biondo miele, la ragazza si avvicinò alla porta finestra ed esclamò, mandando un bacio al ragazzo:

«A dopo, Everett, fammi gli auguri.»
«Mi raccomando...!»
Yume, quindi, aprì l'infissò e uscì sul terrazzino per poi spiccare il volo verso il cielo terso di quella mattina.

                                                                                        ****

Forse quella era la volta buona, pensò Trunks mentre, guardandosi allo specchio, sistemava un'ennesima cravatta sotto il colletto della camicia bianca. Ne aveva cambiate almeno cinque, quella era la sesta; nessuna lo ispirava. Stava per lanciare una nuova campagna promozionale per la Capsule Corporation e quel giorno aveva una colazione di lavoro con il direttore di una delle più importanti agenzie di marketing di Città dell'Ovest e voleva decisamente dare l'impressione di essere perfettamente focalizzato sulla direzione che voleva avesse il progetto, nonché autorevole come presidente della compagnia. Non sarebbe mai dovuta trasparire una qualche vulnerabiltà di sorta, non poteva permetterselo.
Questa era una non facile verità che il ragazzo aveva imparato sul campo di battaglia, sia contro gli androidi nel suo tempo che grazie al suo viaggio nel suo passato, esperienza di cui aveva fatto particolarmente tesoro nella quale aveva anche conosciuto suo padre Vegeta, e si era rivelato altrettanto vero negli affari.
Trunks squadrò un'ultima volta la sua immagine riflessa nello specchio, si sistemò il nodo alla cravatta, alla fine avevo scelto la regimental, e riavviò i capelli stretti in un codino. Sospirò, corrugando le sopracciglia color lavanda. Chissà cosa avrebbe pensato Gohan, suo sensei e figlio di Goku, vedendolo tutto così azzimato, a parte, forse, per i capelli che aveva deciso di far crescere. Suo padre, poi...C'erano momenti in cui stentava a riconoscersi. Era proprio sicuro di sapere chi fosse l'uomo riflesso in quello specchio? Era lo stesso che aveva sconfitto gli androidi? Lo stesso di cui Yume si era innamorata?
Scosse la testa. Doveva smetterla di dubitare in quel modo di sé stesso. Sapeva che né Vegeta, né Gohan avrebbero mai pensato niente di male su di lui, era riuscito a rimettere in piedi l'azienda ed era sicuro che entrambi sarebbero stati fieri di lui. Solo il pensiero della ragazza l'aveva colpito come una stilettata allo stomaco. Forse lei pensava che fosse cambiato...
No. Era solo un pretesto per farsi del male.
Il ragazzo, quindi, uscì dalla camera da letto di fretta, diretto verso l'ascensore. Appena questo fu al piano entrò oltrepassando il varco delle porte automatiche e premette il tasto 0. Arrivato al piano terra stava per uscire dal tondo edificio giallo ma, d'un tratto, si ricordò di essersi dimenticato di passare dall'ufficio per recuperare il contratto per la collaborazione con l'agenzia di marketing. Questo lo riportò con la mente ad un altro periodo, non riuscì a sottrarsi stavolta.


«Aspetta, Trunks...! Ti sei dimenticato il fascicolo...!»  Yume cercò di richiamare la sua attenzione mentre correva più in fretta che potè cercando di raggiungere il ragazzo, che era già con un piede fuori dall'ingresso.
«Yume, che c'è?» domandò lui, un po' sorpreso.
«Hai dimenticato il fascicolo in camera, testa di cocco! Hai fatto le pulci a ogni riga della proposta di finanziamento fino a tardi e poi te la lasci qui.» rispose lei nel momento in cui fu davanti a lui, un po' a corto di fiato.
«Kami, grazie! Non so dove ho la testa...» ribattè allora il ragazzo, mentre afferrava la cartella con un espressione un po' delusa.
«Stai pensando a un sacco di cose, è comprensibile che qualcosa sfugga ogni tanto.»
Lo sguardo pieno d'amore che lei gli rivolse sembrò improssivamente placare i suoi dubbi e le sue preoccupazioni, ma ugualmente le chiese:
«Credi davvero che riuscirò a convincere gli investitori riguardo la solidità della Capsule Corporation come azienda?»
«Ma certo, tu puoi fare qualunque cosa Trunks. Hai sconfitto o no gli androidi?»  quindi le sue labbra si incresparono nel sorriso più caloroso che aveva.
«Grazie.»
Il ragazzo si fermò un attimo ad osservarla prima di uscire, con i capelli scompigliati e la lunga camicia da notte felpata ancora addosso. Per lui era bellissima. Istintivamente allungò la mano destra per afferrare quella della ragazza mentre indietreggiava,  lei strinse la sua con altrettanta intensità, e fu costretto a lasciarla solo quando dovette uscire dall'edificio.

                                                                                          ****

Yume atterrò in un vicolo proprio accanto al dojo, stando ben attenta a non farsi vedere. Di solito, infatti, non usava il terrazzino come "punto di decollo" ma era già ritardo, quindi decise di fare uno strappo alla regola per quella volta, sperando che nessuno la notasse nel ritmo frenetico cittadino.
Sentì il suo stomaco richiamare la sua attenzione; cavolo, non aveva fatto colazione quella mattina. Proprio ora che doveva essere in forze per l'incontro. La ragazza estrasse il suo smartphone dal tascone della felpa e controllò l'ora sullo schermo, che aveva un'evidente crepa sull'angolo sinistro in alto. Aveva ancora cinque minuti.
I suoi occhi nocciola indugiarono sullo sfondo di blocco che ritraeva Trunks intento a baciarla sulla guancia mentre lei immortalava la scena, sorridente. La sua tendenza al masochismo cominciava a preoccuparla. Sistemò di nuovo l'apparecchio nella tasca e si incamminò per svoltare l'angolo, notando poi la presenza di un konbini poco distante. Era solo che non era riuscita a troncare di netto tutto quello che lo riguardava e con quelle piccole cose era come se cercasse di rendere un po' meno traumatica una situazione che già lo era di per sé. Anche se continuava a sentirsi in colpa perché non aveva avuto tutta questa cura nel preservare la loro storia nel momento in cui avrebbe dovuto e si era sentita, invece, smarrita proprio dove avrebbe dovuto sentirsi più a casa.
Uscita dal konbini, Yume stringeva in mano un dorayaki e, dopo aver dato il primo morso, alzò lo sguardò di fronte a sé con noncuranza, concentrata solo sul gusto del dolce, ma quello che vide lo fece cadere a terra per lo shock.
Trunks era lì, a pochi metri da lei, accanto alla sua aircar, ferma al bordo della carreggiata., mentre parlava al telefono. Era sempre affascinante vestito con il completo scuro. La ragazza sentì il suo battito accelerare e le sue mani raffreddarsi sempre più, cosa che le succedeva di solito quando era nervosa. I capelli legati in un codino, li aveva fatti crescere anche perché lei gli aveva detto che lo avrebbe trovato ancora più sexy con i capelli più lunghi... Chiuse la telefonata. Si voltò e la vide. Il suo istinto fu quello di indietraggiare per rientrare nel negozio, ma quasi inciampò nel piccolo gradino rischiando di cadere.

«Yume....»
Al suono della sua voce il cuore di lei perse quasi un battito e non riuscì a trattenersi oltre davanti al ragazzo, fecendo per scappare in direzione del direzione del dojo, ma lui riuscì a fermarla afferrando la sua mano destra.
«Trunks...»
esclamò con un filo di voce, mentre cercava di razionalizzare le sensazioni contrastanti che quel contatto suscitava in lei.

                                                              ****

La serratura dello sportello della cella d'ibernazione, d'un tratto, si aprì. La data impostata come termine della crioconservazione era scoccata e, quindi, quella misura di auto confinamento che aveva scelto era terminata. Due occhi scuri si spalancarono dietro l'oblo della cella. Era tornato.

                                                                                     
                                    End of Act I 


* Se siete arrivati fino a qua vi faccio i complimenti e vi comunico che avete vinto un buono per un ordine su una famosa app per cibo a domicilio...! (Anche se non vi posso dire quale per evitare pubblicità U.U anche se so che avete capito^^) Scherzo, purtroppo non avete vinto niente^^'' , però avete la mia incondizionata gratitudine per essere arrivati alla fine di questo esperimento, diciamo. Spero di non avervi tediato troppo, fatemi sapere le vostre impressioni, suggerimenti, commenti se vi va. Anche se forse non avrete più voglia dato che vi ho detto che avevate vinto, invece non era vero. >.>  Comunque, un bacio virtuale! 
*StargazingMomo
   
 
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