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Autore: Gaia Bessie    29/11/2020    2 recensioni
What if?:Asahi non è mai tornato in squadra.
[Epilogo: Quando si smussano gli scogli]
Io ti aspetto, te lo prometto.
[Long-fic di 15 capitoli | AsaNoya, Suga/Shimizu, accenni di KageHina | Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Seconda classificata al contest "Canon compliant? I think not!" indetto da Maiko_chan sul forum di EFP | Partecipa al "Gioco di scrittura" del Gruppo FB Caffé e Calderotti]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Slash | Personaggi: Asahi Azumane, Daichi Sawamura, Kiyoko Shimizu, Koushi Sugawara, Yuu Nishinoya
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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12. Bucare la neve 

 
Troverai un po' di neve
Nel giardino del tuo amore
Verrò a raccogliere il bucaneve.
(Fabrizio De André)

 
Il bucaneve è un fiore bello quanto raro e forte. Nessun fiore osa sfidare la neve, eccetto questo.
Il bucaneve è straordinariamente coraggioso, e fa del freddo la sua forza. Ma non dimenticare che, anche se forte, il bucaneve è pur sempre un fiore; basta davvero poco perché si appassisca.
Tutti hanno le proprie debolezze.
(Yharu Hasaiko)
 
 
Si chiedono così tanto cosa fare con Nishinoya che, alla fine, rimangono con in mano un pugno di neve ghiacciata e null’altro. Perché Daichi si domanda che provvedimenti prendere per così tanto tempo da farsi venire mal di testa quando, in verità, Noya ha già deciso per lui senza dirgli una singola parola.
Perché è Hinata a dirlo, poco prima di un allenamento, che Nishinoya è perduto, se non sparito o dimenticato: lo si può facilmente trovare in classe, seduto al proprio posto, ma ha ricevuto dal vicepreside il divieto assoluto di frequentare le attività del club per un mese.
«E chi è andato a dire al vicepreside del pugno?» domanda Daichi, scrutando con aria di rimprovero tutti i membri della squadra. «Avevamo detto di aspettare, di prendere una decisione insieme. Io non posso credere che qualcuno di voi…».
Tanaka muove un passo avanti, ha un’ombra di delusione sul volto. «Nishinoya» risponde, con una sicurezza che non prova. «Lui… è andato questa mattina. Mi dispiace, Daichi, non sono riuscito a fermarlo».
Il capitano della Karasuno sospira, stremato: anche oggi non cresceranno fiori, nella sua squadra, non in mezzo a tutta quella neve.
 
***
 
Con che coraggio ha potuto privarsi della cosa che più ama al mondo, Noya, non lo sa né vorrebbe mai riuscire a immaginarlo. Si è mosso, scendendo dal letto quella mattina, e i suoi passi hanno compiuto il resto, la bocca l’ha suggellato e il cervello è rimasto spento e silenzioso.
Fuori nevica, candidi bioccoli cotonosi che sfregiano la città al pari di lacrime, colando dagli alberi lungo l’asfalto e fino ai tombini, come normalissima acqua di scolo. Ma Nishinoya non sente l’ombra pressante del freddo, sebbene sia uscito quella mattina senza cappotto, mentre torna da scuola a casa sua, affidandosi ai piedi e non alla mente. Come potrebbe, d’altronde, se quella sua mente è occupata nella mancanza – della squadra, della pallavolo e persino di Asahi – e non vuole vedere, sentire o toccare alcunché.
Nemmeno la neve. Eppure, l’ha sempre amata come si ama un’amante, come ha creduto di amare Shimizu e come ora è convinto di amare Asahi, l’ha sfiorata in carezze insondabili e l’ha cullata nei sogni e nella veglia.
Noya ama la neve, e si fida di lei. Perché sa che coprirà ogni suo passo, celandolo a chiunque lo stia cercando – a Daichi, a Suga, ma soprattutto ad Asahi – per tutta la città. È una musa dolcissima, il gelo, una mancanza che consuma dall’interno e, soprattutto, l’ennesima Dea incapace di perdonare.
D’altronde, nemmeno lui sa perdonare, quindi come potrebbe venerare qualcuno che è potere, questo sì, ma anche assoluto perdono?
Il telefono che squilla è solamente l’ennesima incrinatura in un paesaggio – un muro di ghiaccio – bianchissimo, dolce come zucchero a velo, che vorrebbe inglobarlo e farlo divenire l’ennesima nuvola in un mare di spumosi cirri.
«Nishinoya» Daichi è di fronte a casa sua, con le braccia incrociate sul petto. «Finalmente. Ti stavo aspettando».
Noya non gli domanda perché lo stesse aspettando lì, perché vive nella tiepida consapevolezza che, se avesse provato a fermarlo in qualunque altro luogo impossibile, sarebbe riuscito a sfuggire da quella conversazione. Ma sono soli, nella neve, e Daichi lo guarda con una durezza così gelida da frantumargli l’anima come ghiaccio secco.
«E perché?» domanda, con fare litigioso. «Vuoi rimproverarmi ancora, Daichi?».
Ma il capitano lo guarda, ed è così calmo e drammaticamente deluso da togliergli dalla bocca anche le parole.
«Non serve, ormai» risponde Sawamura, calmo. «Vorrei solamente che tu potessi riflettere, prima di buttarti a capofitto in qualcosa».
Yū non gliel’ha mai detto, ma Daichi è la cosa più simile a un fratello maggiore che abbia mai sperimentato e, per questo, brama silenziosamente la sua approvazione quasi quanto abbia mai bramato quella di Asahi. Né potrebbe dirglielo adesso.
Perché Daichi lo osserva con uno sguardo talmente deluso che Yū non ce la fa più, a ricambiarlo, né a pensare che d’ora in poi potrebbe guardarlo sempre in quel modo.
«Ho riflettuto» bofonchia, guardandosi i piedi. «E, comunque, se non l’avessi fatto io ci avreste pensato tu o Suga. Così, il vicepreside ha detto di aver apprezzato la mia onestà e me la sono cavata con poco».
«Ma a te non basta, no?» risponde Sawamura, atono. «Non ti basta aver dato un pugno ad Asahi, aver perso la possibilità di allenarti con noi. Adesso, cosa intendi fare, per peggiorare ulteriormente la situazione?».
«Niente!» esclama Noya, contrariato. «Io… non posso dire di aver sbagliato, perché io lo so che ho solamente fatto un favore ad Asahi. Ma… non avrei mai voluto fare un torto alla squadra, per questo».
Daichi sorride, con fare paterno. «Conta davvero?» chiede. «L’intenzione conta qualcosa, se poi dovremo giocare per un mese senza il libero migliore che potremmo desiderare?».
La neve scende velocemente come lacrime e, d’altronde, Yū vorrebbe solamente accasciarsi ai piedi di Daichi e scoppiare in un pianto disperato – ma il suo orgoglio non glielo permetterà mai. Così lo guarda, con gli occhi fieramente asciutti, senza muovere un muscolo.
Ma il capitano sorride e sembra pronto a spaccare qualunque lastra di ghiaccio, forse persino a bucare la neve, per portarlo via di lì, da dove ha perso il respiro e le speranze.
 
***
 
Suga è ubriaco.
Di felicità e buone intenzioni, mentre sfiora Shimizu come fosse in grado di coglierne i pensieri, e pronuncia quelle parole indicibili.
«Potresti parlare tu, con Noya» mormora, sfiorandole dolcemente la mascella con le labbra. «Ti ascolterebbe, lui… si fida della tua opinion».
Lei si lascia sfuggire un sospiro – forse di piacere, ma più probabilmente di esasperazione – mentre punta il suo sguardo glaciale su Sugawara, come per domandargli se reputi quello il miglior momento per cominciare quella conversazione. Ma, di fronte allo sguardo ansioso del ragazzo, Kiyoko deduce che la risposta sarebbe un perplesso sì, perché?
«Non credo» risponde, lapidaria. «Asahi lo ha fatto impazzire, lui… non penso ragionerebbe lucidamente».
Come, d’altro canto, nemmeno lui vi riesce più quando è in compagnia di Shimizu: perché lui può baciarla, fare scorrere le mani sul suo corpo facendola sospirare, ma lei riuscirà sempre a toccarlo con molta più profondità di quanto Suga non riuscirà mai a fare. A lei basterà sempre un’occhiata e un pensiero, per mettergli a nudo il cuore: Shimizu tace e l’osserva, mentre cerca le parole o le azioni per convincerla a parlare con Noya.
«Io so che tu ci puoi riuscire» mormora, giocherellando con l’elastico rosato dei suoi slip. «Non… noi abbiamo bisogno che tu faccia un tentativo».
Shimizu gli sfiora il viso con il dorso della mano, maledicendosi silenziosamente per la sua incapacità di negargli il proprio aiuto.
«Va bene» consente. «Io… gli parlerò».
Suga sorride, coprendo le labbra di lei con le proprie, sovrastandola. Shimizu gli sfiora le spalle, avvicinandolo maggiormente a sé: è caldo, il busto di Sugawara, in un contrasto pieno e brillo, ubriaco di quella neve che fuori dalla finestra cade costantemente illuminandoli del suo cieco biancore. Kiyoko ricorda a malapena com’era, nei tempi in cui ancora non s’appartenevano e lei, nello sfiorargli casualmente un braccio o una mano, veniva invasa da un pensiero insensato e persistente – se non mi bacia adesso, non lo farà mai più.
E ce ne erano stati talmente tanti, di mai più, da risultare incalcolabili, finché il mai più non era divenuto un adesso e adesso lui l’ama, lui la cerca, lui la sfiora come un pensiero sfuggente o una parola non detta.
Perché è calda, la pelle di Suga, come fosse costellata da piccole scintille che le pizzicano i polpastrelli quando con la sua pelle bacia quella di lui, in contatti casuali o premeditati.
E lui ha la gola tormentata dai baci e dai morsi di Kiyoko, in posti insospettabili, dove basterebbe accostare l’orecchio per sentire il cuore che prende il volo. È in caduta libera, il cuore di Sugawara, ogni volta che la scopre a guardarlo pensierosa.
Non si tratta del liberarsi dei vestiti – d’altronde, nudi lo sono sempre stati di fronte ai rispettivi sguardi – ma è il liberarsi dei pensieri e delle parole, che diviene il vero atto dello spogliarsi. Non basta lasciare scivolar via i pantaloni, la gonna, le magliette, persino la biancheria: sono le parole, ad essere state scolate da una grata di silenzio, insieme alla neve sciolta e grumosa.
Perché Suga può afferrarle il cuore a mani nude, semplicemente posandole una mano sul petto, dove batte furiosamente.
Shimizu sospira: solamente lui è in grado di entrarle dentro in quel modo, sciogliendola come un fiocco di neve al sole, solamente lui è in grado di farle ripartire il cuore.
«Io…» sussurra Suga, accasciandosi sopra di lei, col fiatone. «Credo di amarti».
A lei tremano le gambe, non solamente per la forza con cui l’orgasmo l’ha colta, come un bucaneve che emerge dal gelo. L’ha sentito, mentre d’addentrava dentro di lei con una lentezza quasi dolorosa.
Suga ha respirato un ti amo dolcissimo, confondendola, lasciandola priva di parole: e, nell’aria gelida che vorrebbe inglobarli, lei ricomincia a respirare.
«Lo so» sussurra, carezzandogli la schiena. «Anch’io credo la stessa cosa».
 
***
 
«Suga, per carità divina» lo apostrofa Daichi, vedendolo arrivare in palestra. «Comprati una sciarpa».
Il palleggiatore istintivamente si copre il collo, cercando di dar la colpa al freddo per il proprio viso arrossato. «Sì, fa freschetto» borbotta, senza togliere la mano. «Non trovi? La temperatura s’è abbassata, da stanotte».
Daichi ride. «Guardati allo specchio: hai il collo deturpato» risponde. «Freschetto-kun20».
 
***
 
«Nishinoya-san?» Shimizu non deve cercarlo a lungo: Noya non si muove dal suo banco fino alla fine della scuola e appena dopo, come vi si fosse congelato sopra e faticasse a staccarsi da lì. «Ti andrebbe di parlare con me?».
Il ragazzo alza lo sguardo, arrossendo leggermente e torcendosi le mani. «Suga è caduto proprio in basso» commenta, ridendo a gran voce. «Se pensa di risolvere tutto mandando te a parlarmi».
Lei sorride leggermente, senza dargli esplicitamente ragione. «Possiamo fare una passeggiata» propone. «I ragazzi hanno già cominciato ad allenarsi, non ci disturberanno».
Lui si trattiene dal dirle che Suga l’ha fatta diventare più subdola e diretta, ma Shimizu l’acceca con uno sguardo freddo e caldo insieme, e così Yū può solamente chinare il capo e seguirla in silenzio.
È chiaro, che Kiyoko cerchi di far leva sul fatto che a lui manchi, la squadra, che gli manchi il rumore della palla che impatta il terreno o le sue mani. Ma, questo, Noya non lo ammetterà mai ad alta voce.
La squadra sembra stranamente silenziosa, forse concentrata, vista da fuori: sicuramente sono meno rumorosi, senza Nishinoya e le sue mosse gridate ad assordante volume.
«Mancate tu e Azumane-san» commenta Kiyoko, dolcemente. «Se ne accorgono tutti, anche se voi credete di no».
Ma Yū la guarda con una serietà che terrorizza. «Io me ne accorgo» risponde, atono. «Certo che lo faccio».
Perché è solamente l’ennesima mancanza, un bocciolo che tenta di bucare la neve per vedere qualche tiepido raggio di sole – ma non ci riesce mai. Nella medesima maniera, Yū tende al resto della squadra come si fa con un’aspirazione o una brutta abitudine, senza riuscire ad esimersi dal desiderare di tornare in campo.
«Torna» prosegue la ragazza, distogliendo lo sguardo da un Sugawara impegnato al servizio, imbarazzata. «Almeno a guardare gli allenamenti, finché non potrai riprendere a giocare».
«Asahi non è tornato» risponde Noya, atono. «Ho infranto quella promessa una volta ed è andato tutto a rotoli, io… non lo farò di nuovo».
Kiyoko lo guarda – ha gli occhi fatti di neve ancora ghiacciata – e annuisce, comprensiva.
«Non mi sembra ci siano molte altre opzioni, allora» sussurra, mentre Yū annuisce vigorosamente. «Devi solamente tornare da Azumane e convincerlo a tornare indietro».
«Giusto!» esclama Noya, sovrappensiero. «Aspetta, no… io intendevo… no, intendevo di no».
Ma lei sorride, ed è un cubetto di ghiaccio che lentamente s’abbraccia da solo in una tazza di tè ustionante. «Siamo fatti per sbagliare e poi tornare indietro21» commenta. «Prova a vederla da questo punto di vista».
 
***
 
Asahi non lo ha detto a nessuno, ma si è riscoperto vivo in una mattina di gennaio, quando la neve soffocava già ogni fiore e ogni filo d’erba. E, adesso, quando cammina per i corridoi o per le strade, riesce finalmente a respirare.
L’aria fluisce – gelida, calda – fluisce senza sforzo nei polmoni, che si gonfiano senza ostruzioni. Asahi è tornato a vivere, da qualche giorno a questa parte, in maniera timida e silenziosa. È dura ancora, il più delle volte, ma si sente insolitamente leggero.
Non sa cosa è stato: se le pillole, le sedute dallo psicologo o il pugno di Noya. Oppure le pillole, le sedute dallo psicologo e il pugno di Noya.
Sa solamente, ed è la consapevolezza che illumina le sue giornate, che dentro di lui la neve si sta sciogliendo.
Telefona a Nishinoya tre volte al giorno: dopo gli allenamenti, dopo cena e prima di andare a dormire – sperando che il suono del telefono ne culli i sogni e mandi via gli incubi, come uno scacciapensieri un po’ inusuale. Lui non risponde mai, e come potrebbe?
Noya è ancora congelato, nemmeno i bucaneve riescono ad infrangere quella crosta di ghiaccio che gli è fiorita attorno. Deve fare attenzione, se non la lascerà sciogliere persino i fiori saranno costretti a sfiorire.
«Oh, Suga, Daichi» lo incontra fuori dalla palestra, sembra quasi che stia aspettando qualcuno. «Non entrate?».
Il palleggiatore scuote il capo, stringendosi in una sciarpa celeste, decorata a fiocchi di neve. «Aspettiamo Shimizu» confessa. «L’ho convinta a parlare con Nishinoya».
«Convinta» gli fa il verso Daichi. «Grazie per il dettaglio, Suga, ma dubito che ad Asahi interessasse».
Lo schiacciatore alza le mani, a disagio, gesticolando freneticamente al suon di ma certo, dimmi tutto.
«Fidati, Asahi» continua il capitano dei corvi, cupo. «Non vuoi sapere, quindi adesso aspetteremo Shimizu in rigoroso silenzio. E tu non toglierti la sciarpa per nessun motivo al mondo».
 
***
 
«Ho visto Asahi qui fuori» Tanaka accoglie così Suga e Daichi, all’entrata della palestra. «Si unisce a noi?».
Noya, seduto accanto all’allenatore Ukai, non riesce a impedirsi di sollevare il capo con dolorosa speranza. Ma, quando i suoi compagni di squadra entrano in campo, Asahi non è con loro.
«Potresti andare a parlargli» propone Tanaka, guardandolo con durezza. «Lui ti ascolterebbe, se tu gli dicessi che è pronto».
Ma Yū scuote il capo, e alcuni capelli si liberano dalla prigionia del gel per cadergli scompostamente sulla fronte, con aria triste. «Ma io non posso» risponde, atono. «Ormai non abbiamo più niente da dirci, io e lui».
«Tanaka» prova ad intervenire Daichi, odorando l’aria che profuma di tempesta. «Non mi sembra il caso: calmati».
Ma il ragazzo dalla testa rasata è così furioso che, l’avvertimento del capitano, lo sente a malapena.
«Si può sapere cos’hai che non va?» domanda, aggressivo. «Gli hai dato un pugno e lui non ha fatto una piega! Si può sapere che altro ti serve, per farti capire che devi andare da lui?».
Noya non risponde: si guarda le mani, che non riescono a rimanere ferme lungo le ginocchia, senza alcuna espressione.
«Non posso farlo» risponde, però, con un sorriso tagliente come una lama. O come la neve. «E, anche se lo facessi, non sarebbero affari tuoi».
«Il bene della squadra è un affare mio» risponde Tanaka, stringendo i pugni. «Tu cosa stai facendo, per riportarlo qui e tornare a giocare?».
Noya tace. Un pezzo di ghiaccio gli ha trafitto il cuore e ha il sapore del suo sorriso.
 
***
 
Asahi è rinato e vorrebbe dirlo a Noya, ogni secondo della giornata, ogni minuto in cui il cuore compie i propri battiti senza accelerare né rallentare. Perché, dentro di lui – nel cuore, nei polmoni, nello stomaco – è tutto meravigliosamente normale.
Ma Nishinoya è scomparso come i suoi incubi e Asahi, per quanto lo cerchi in ogni angolo o ripiegatura dell’esistenza, non lo trova mai.
Gli ha lasciato infiniti messaggi, ha accarezzato e abbandonato dopo tre sillabe l’infausta idea di dedicargli un haiku o di regalargli un mazzo di soffioni o scrivergli una lunga lettera strappalacrime. A Noya non interesserebbe nulla di tutto ciò: a Noya interesserebbe semplicemente vederlo tornare nel club e schiacciare ogni palla alzata e recuperata per lui. Ma Asahi non può farlo e ne è sicuro come è certo del ghiaccio che congela le strade, come è certo che Yū congelerà tra la neve se continuerà a dimenticare a casa il cappotto, come è certo che la mancanza lo divora.
È un tormento insopportabile, una pietrolina nelle vie respiratorie finalmente libere, l’assenza di Noya dalla sua vita. Ed è solamente l’ennesimo tormento a cui non sa come porre rimedio – forse, dovrebbe farsi prendere a pugni ancora una volta.
Perché ha il gelo attorno, Asahi, e non cresce più nemmeno un petalo o un brandello di fiore, nemmeno un bucaneve abbastanza coraggioso per sfidare quel fitto strato di neve. Ma non è solamente fuori, che nevica, il gelo lo ha anche dentro, da quando Noya è sparito dalla sua vita. E lui vorrebbe solamente fargli sapere che, adesso, è pronto a ricominciare.
Lo è per davvero. Ma conta qualcosa, quando il mondo s’ipnotizza davanti i fiocchi di neve, ignorando il freddo e la mancanza?
Perché Nishinoya non lo vede da nessuna parte, è sfiorito come l’ennesimo bucaneve di fronte a una tempesta, e Asahi potrebbe rinascere altre cento volte e comunque il libero non ne verrebbe mai a conoscenza.


 
Buongiorno a tutti!
Come prima cosa mi scuso se oggi non sono riuscita a postare di mattina, come sempre, ma ho avuto una nottataccia e sono veramente stanchissima. Ringrazio comunque tutti per il supporto che mi state dando, specialmente ora che la storia si avvia alla propria conclusione. A tal proposito, noi ci rivediamo giorno: 3 dicembre, con il capitolo 13.
Le note a questo capitolo sono le seguenti:

20 Io mi scuso per tutto ciò, è ovviamente riferito al fatto che Oikawa definisca Suga “freschezza-kun” e niente, scusatemi davvero
21 Frase ripresa dalla canzone di Fabrizio Moro, Parole, rumori e giorni (Perché avevi più capelli e più coraggio da investire / Siamo fatti per sbagliare, e poi tornare indietro)

E niente, spero vi sia piaciuto. 
A presto e grazie per avermi letta!
Gaia

 
   
 
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