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Autore: Gaia Bessie    07/12/2020    2 recensioni
What if?:Asahi non è mai tornato in squadra.
[Epilogo: Quando si smussano gli scogli]
Io ti aspetto, te lo prometto.
[Long-fic di 15 capitoli | AsaNoya, Suga/Shimizu, accenni di KageHina | Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Seconda classificata al contest "Canon compliant? I think not!" indetto da Maiko_chan sul forum di EFP | Partecipa al "Gioco di scrittura" del Gruppo FB Caffé e Calderotti]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Slash | Personaggi: Asahi Azumane, Daichi Sawamura, Kiyoko Shimizu, Koushi Sugawara, Yuu Nishinoya
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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14. Sott’acqua e altri luoghi possibili24

 
Gli pareva che il fiume avesse qualcosa di speciale da dirgli, qualcosa ch’egli non sapeva ancora, qualcosa che aspettava proprio lui.
(Hermann Hesse)
 
Che cosa sogna l’acqua che dorme?
(Sylvain Tesson)
 
 
«Non ti senti mai come se facessi fatica a respirare?» domanda Suga, camminando allegramente. «Come fossi perennemente sott’acqua?».
Kageyama sbuffa, esasperato: Sugawara non molla l’osso e, ogni giorno, lo accompagna fino a casa. Come dovrebbe fare con Shimizu, se lei non lo avesse esonerato dal farlo – e non per Kageyama, ma per la preoccupazione che a Suga deriva dal sapere che è ferito anche lui. Che anche lui la notte fatica a trovare un motivo per addormentarsi, e la mattina uno per destarsi. Che pensa di essere l’unico a esserlo, ferito, quando tutti loro lo sono – e lo ha detto lui.
«No, direi di no» mente Tobio, guardando il cielo con aria fintamente interessata. «Ma tu non hai una casa tua, una ragazza, una sciarpa da metterti?».
Suga si copre il collo con la mano, ridendo. «Direi di sì, ad entrambe le cose» ammette, allegro. «Ma sono preoccupato e vorrei gareggiare con qualcuno che stia bene e che non sia così tanto…».
Ferito. Ma, questo, Tobio non lo ammetterà mai nemmeno con sé stesso.
«Tu non vuoi gareggiare con me e basta» commenta, acido. «Mi sembra tutta una scusa, Suga».
Ma il ragazzo dai capelli argentei alza lo sguardo al cielo, ignorandolo, e sorride preda di chissà quel pensiero. Forse, si dice Kageyama distrattamente, pensa alla ragazza che ama e, allora, il dolore per l’insulto è solamente un lieve pizzicore in una mielosa valle d’oblio.
«A me sembra che tu nasconda qualcosa» risponde Sugawara, scrollando le spalle. «E, stanne certo, scoprirò cosa… a meno che io non lo sappia già, ovviamente».
Ma Kageyama è fiero dei suoi segreti come lo è del proprio talento, così come è sicuro di saperli mantenere. Quelli degli altri, sì, ma soprattutto i suoi – eppure, Suga lo guarda come se comprendesse, e lui continua a ripetersi silenziosamente che non può essere.
Che non può avergli scavato dentro in quel modo, non senza il suo permesso e, allora, Tobio respira profondamente e riesce a ricontattare la propria calma.
«Dici?» domanda, ironicamente. «Non puoi sapere sempre tutto di tutti».
«Hai detto bene» commenta Sugawara, lanciandogli l’ennesima occhiata indecifrabile. «Ma io non posso sapere, io so già tutto di tutti».
Un brivido di timore gl’increspa la schiena, insieme alla certezza ferrosa e inossidabile che Suga possa aver compreso qualcosa.
«Tutto, di tutti» ripete Suga. «Ma vorrei che fossi tu a dirmelo».
«Che è l’ennesima stupida tattica per non farti gli affari tuoi?» domanda Kageyama, esasperato. «Io sto bene, davvero».
«Certo» conviene il suo compagno di squadra. «Immagino che dovrò farlo sapere ad Hinata, allora, sono giorni che mi chiede cosa c’è che non va in te».
Tobio stringe i pugni, fermandosi di scatto: è una certezza, adesso, che lo piega in due come un conato e gli ustiona la gola nella medesima maniera. Così che non gli rimane nient’altro da fare che guardare Sugawara, con gli occhi spalancati e pieni di timore.
Ma lui scuote la testa e prosegue a camminare, allegro, perso in chissà quali pensieri – nella testa di Kageyama ve ne è solo uno, che tuona e gli piove addosso continuamente.
Suga lo sa.
 
***
 
«Torna» Asahi lo guarda e ha gli occhi asciutti, ma gli trema il cuore. «Io non ci posso stare, in un luogo in cui non ci sei anche tu».
Yū lo guarda e sa di dover trovare le parole, perché Asahi interpreterebbe il suo silenzio come l’ennesimo rifiuto. Ma gliele ha strappate via dalla gola, insieme alle corde vocali, e adesso può solamente sputare sangue e filamenti di parole.
«Io…» sussurra, domandandosi come si faccia a rimparare a parlare. «Sì».
Non gli permette di dire altro, il suo corpo, perché si catapulta addosso ad Asahi – come ha sempre fatto dopo ogni partita, come forse un giorno farà nuovamente a un’altra partita – stringendosi al suo petto. Ha il cuore che batte e sembra quasi possa prendere il volo, rompendogli a forza di battiti la cassa toracica e planando all’aria aperta.
Lui gli accarezza i capelli, resi secchi e immobili dal gel, finalmente in pace. Perché forse non era vero, che Asahi era rinato dopo il pugno di Noya o dopo che questi era sparito in una nuvola di polvere e insoddisfazione. Perché Asahi rinasce in quel preciso momento.
Quando si rende conto di avere le braccia di Nishinoya attorno alla vita e che la sua testa è poggiata contro il suo cuore, in quel minuscolo istante torna a sentirsi vivo per davvero.
«Non sarà facile» mormora, scusandosi implicitamente. «Io… non sono guarito, Noya. Però, potresti…».
«Starti vicino» completa lui, guardandolo in volto. «Certo che lo farò. Non pensare di cavartela senza di me, non di nuovo!».
Asahi sorride: non si sente più sott’acqua da tempo ma, adesso, è come se quell’acqua residua avesse finalmente abbandonato i suoi polmoni, permettendogli di assaporare nuovamente l’aria fresca. Istintivamente si china, mentre una vocina nella sua testa gli urla di non farlo – potrebbe non volere, non essere pronto, no – e accarezza le labbra di Yū con le proprie.
Ma il libero ride, sulla sua bocca, cingendogli la nuca con le mani e approfondendo il bacio, mordicchiandogli il labbro inferiore con i denti appuntiti. Non mi scappi, vorrebbe dirgli ma, qualche parte di lui, ha la certezza che Asahi abbia capito – e, se solamente avesse il tempo di ragionare, si renderebbe conto che è per davvero martedì.
Non sentono nemmeno lo sguardo esasperato di Daichi, mentre chiude la porta della palestra alle loro spalle.
«Oh, bene» borbotta il capitano, con un’occhiata complice a Sugawara. «Ho la sensazione che ci toccherà comprare altre sciarpe».
Suga ride, coprendosi istintivamente il collo con una mano con aria colpevole.
 
***
 
«Buongiorno, Kageyama» lo saluta Sugawara, affiancandolo sulla strada verso casa. «Oggi ti senti in vena di parlare, sulla scia di romanticismo che ci ha investito?».
Tobio fa una smorfia, ma tace. Dentro di lui s’agita un mare improvviso, che gli sommerge la coscienza, annegandola: Suga sa. E lo sa come Tobio potrebbe sapere di avere due braccia, come sa di avere e come sa di essere inn… – no, quello mai.
«Non capisco perché continui a domandarmelo» sibila, fulminando Sugawara con lo sguardo. «Se lo sai già. Io lo so, che tu sai».
«Spero sempre che tu decida di dirmelo» commenta Suga, alzando le spalle. «Ma, sì, io so di Hinata».
Suga lo sa. Forse ha visto uno sguardo di troppo, un respiro troppo pronunciato. Forse. O forse l’ha capito come coglie i pensieri della ragazza che ama, in uno schiocco di dita.
Tobio non si rende conto di essersi fermato, finché non sente i passi di Sugawara cessare, a pochi metri da lui. Il ragazzo lo guarda, con curiosità, quasi come si aspettasse una qualunque reazione – quando lui è semplicemente paralizzato, di fronte a quella verità che s’è trovato davanti.
Ti sembra mai di essere come sott’acqua?
«Non lo dirò a nessuno» promette Suga, alzando una mano. «Ma speravo volessi il mio aiuto».
Kegayama vorrebbe dirgli che no, certo che non lo vuole, vuole continuare a far finta di niente finché non sparirà tutto in un oblio acquoso e soffocante.
«Sì» dice, in fine. «Sì, io… ».
 
***
 
Spogliarsi è solamente un luogo possibile, un luogo comune, un luogo che si è spesso disposti a visitare. Forse Asahi non sarà mai in grado di spogliare Noya come si spoglia un pensiero, né riuscirà mai a toccarlo con una parola, ma adesso le sue mani così grandi tornano ad avere un senso e uno scopo.
Perché Noya lo guarda, ed è così entusiasta e attivo da togliergli le parole, mentre si ritrova quelle mani minuscole sotto il maglione, a sbottonare la camicia. Casa sua suonava di vuoto, fino alla sera precedente, e adesso ha la cadenza dei loro respiri affannati.
«Non…» si ritrova a sussurrare Asahi, mentre il libero lo fa abbassare per un bacio dolcissimo, che ruba il respiro per farlo proprio. «Non… non so come fare».
Noya gli sfiora un fianco, in una carezza simile a un battito del loro cuore: soffice, ma agitata. Asahi si domanda che rassicurazione si aspetti, da lui, dato che è sicuro che anche Noya non abbia mai avuto esperienze con altri ragazzi – e, questo pensiero, un po’ lo conforta.
«Impareremo» sussurra, dolcemente. «Hinata sta imparando a ricevere, quindi non è niente di meno improbabile».
Asahi soffoca una risata sulle labbra di lui, sfiorandogli la lingua con la propria: Noya inclina la testa, stringendolo per la camicia mezza abbottonata e mezza no.
Asahi è un luogo finalmente possibile, ma non comune e, soprattutto, è l’unico luogo che lui vorrebbe mai dover visitare.
Gli tira i capelli, cercando di sentirlo di più, anche attraverso i vestiti, l’ultima barriera che riesce a tenerli separati.
Nishinoya scivola con una mano lungo il bordo dei pantaloni di Asahi, come per tirargli via quel consenso che fatica anche solamente a pensare. Indugia sulla zip, sfiorandolo a malapena, finché lui non gli mormora un a fior di labbra.
Noya sorride, soddisfatto, mentre si affretta a tirar giù i pantaloni, permettendo ad Asahi di calciarli via.
«Non…» sussurra lo schiacciatore, vedendo Noya mettersi in ginocchio sul pavimento, uno sguardo furbo che gli illumina lo sguardo. «Non devi… cioè non per forza…».
Ma Yū sorride e Asahi non riesce a dire altro – l’ha spogliato, più in senso metaforico che in senso letterale. «Voglio» risponde lui, sorridendo.
Asahi gli sfiora il collo, incerto, ma non riesce a dire niente, perché Yū lo ingloba, come ha fatto con la sua anima, il giorno in cui l’ha chiamato per nome per la prima volta. Può sfiorarlo, accarezzarlo, persino racchiuderlo tra le labbra. Ma non riuscirà mai a farlo entrare dentro di sé come quel giorno.
Può gemere, Asahi, può gridare il suo nome, afferrargli i capelli e imbarazzarsi per quelle goccioline biancastre che colano sul petto di Noya. Può fare tutto questo, o forse potrebbe anche tacere e godersi il momento, ma nulla comunque riuscirebbe ad eguagliare lo scossone all’anima che gli ha provocato quell’Asahi-san.
Forse, nemmeno un orgasmo.
 
***
 
«Daichi, scusami la domanda» commenta Suga, cercando di usare un minimo di tatto. «Ma hai trovato un nuovo hobby?».
Cerca di non ridere – anche se l’idea che Daichi possa essersi messo a far la maglia è a dir poco esilarante – mentre il capitano continua a distribuire sciarpe a ogni membro della squadra.
«Sto preservando il nostro buon nome» sibila Sawamura, gettandogli addosso una sciarpa verde bottiglia. «Prima che Nishinoya o chi per lui possa prendere esempio da te».
Suga ride, mentre tutti li guardano con aria perplessa e una sciarpa in mano.
 
***
 
«Volevo ringraziarti per il tuo aiuto».
Shimizu sorride, di fronte a un gigantesco mazzo di denti di leone che Noya le agita vicino al volto. Il ragazzo sembra imbarazzato – forse più da lei che dal compiere un gesto del genere – mentre cerca di spiegarsi.
«Per avermi detto di riprendermelo» borbotta. «Cioè tu lo hai detto meglio di me, ma il senso era quello».
«Di niente» risponde lei, prendendo il mazzo di fiori tra le braccia. «Quindi adesso siete…a posto?».
Yū annuisce vistosamente, pensando che non è il termine più consono da usare: sono meravigliosamente bene, camminano sulla spiaggia e non sott’acqua.
«Non dirlo a Suga-san, però» bisbiglia, indicando il mazzo di fiori. «Non vorrei si arrabbiasse, diventa terrificante quando lo fa».
Kiyoko ride, coprendosi la bocca con la mano. «Non penso lo farebbe» dice. «Sono fiori in amicizia, o no?».
In amicizia. Se glielo avesse detto uno o due mesi prima, Noya si sarebbe disperato per quella definizione così quadrata, così lontana dalla tiepida infatuazione che nutriva nei confronti di lei. Ma adesso, che sfiora l’acqua chiedendosi se essa ricordi com’era soffocarlo o abbia perso la memoria, quel pensiero produce solamente un piacevole brivido sulla schiena.
«Non ho mai avuto un’amica» ammette. «Credo che sia strano, ma non mi dispiace affatto come definizione».
Lei ride dolcemente, accarezzando il mazzo di fiori con aria pensierosa.
«Va bene» mormora, con convinzione. «Siamo amici».
Lui ride per tanta formalità, e sputa quel poco di acqua che gli era rimasto incastrato tra i polmoni, stagnando vicino al cuore.
 
***
 
«Ma cosa la porti a fare, la sciarpa di Daichi» Suga riprende Kageyama, sulla via di ritorno verso casa. «Se n’è reso conto anche Hinata, che è una sonora cazzata».
Kageyama si volta a guardare Sugawara, sorpreso del fatto che si sia abbassato a pronunciare una parolaccia, e si stringe nella propria sciarpa. «Fa freddo» si giustifica. «E non voglio ammalarmi adesso, al contrario di te».
Perché Suga gira a gola scoperta, lasciando che il vento gliela azzanni fino a farlo sanguinare: sembra non sentire dolore, né tantomeno freddo, mentre segue Kageyama da una strada all’altra. Di certo non trema, perché ha pensieri bollenti che lo riscaldano più della sciarpa di Daichi.
«Io non mi ammalo mai» risponde Suga, allegramente. «Ma mi farebbe comodo, se ti ammalassi tu».
Lo dice con un’innocenza tale da far sorridere anche Tobio, sebbene si affretti immediatamente a reprimere quell’involontaria contrazione di muscoli. Ma, ne è certo in maniera incontrovertibile, Suga lo ha visto.
«Non ci contare» risponde, con un piccolo ghigno. «Pensavo volessi battermi in maniera onesta».
«Sfruttare un raffreddore è sicuramente un metodo onesto» commenta Suga, alzando le spalle. «Quindi vedi di impegnarti per ammalarti».
Tobio alza gli occhi al cielo e fa per replicare, ma… – «Così posso chiedere a Hinata di portarti le medicine» ride, con fare confidenziale. «Posso sacrificare il mio essere un bravo senpai».
«Non dirlo mai più» tossisce Kageyama, a disagio. «Non la voglio nemmeno immaginare, una cosa del genere».
Perché, a quel punto, si ammalerebbe per davvero: sentirebbe anche lui il desiderio di spogliarsi – no, di farsi spogliare anche solamente con uno sguardo o una parola – e allora sarebbe costretto a togliersi la sciarpa rossa che Daichi gli ha letteralmente tirato addosso.
«Non ti chiederò il perché» risponde Suga, con un sorriso furbo. «Immagino siano cose private».
«No» risponde Tobio, lapidario. «Sono cose a cui non voglio nemmeno pensare, io… semplicemente non posso pensarci».
Stringe la sciarpa con così tanta forza che gli sbiancano le nocche.
 
***
 
Daichi sa.
Lo ha capito principalmente per il sorriso irritante con cui Suga saluta Kageyama, ogni giorno, e per lo sguardo confuso e ferito di Hinata nel vederli tornare a casa insieme. Lo sa e sa con certezza assoluta, che la squadra sta cadendo a pezzi sotto il peso del fatto che, i suoi membri, non riescono a frenare gli ormoni.
Daichi sa e non ne può più, di vedere Sugawara e Nishinoya distratti, come si trovassero sott’acqua, e Kageyama che vaga per il campo con aria scontrosa. Ma non può nemmeno rimproverarli e, così, si limita a tacere e a osservarli mentre cercano di respirare nel proprio luogo possibile – Shimizu, Asahi.
«Capitano» Tsukishima lo raggiunge, camminando lentamente. «Mi servirebbe una mano per…».
«Ti prego» borbotta Daichi, passandosi una mano sul volto con aria esasperata. «Non dirmi che ti sei innamorato di Yamaguchi e ti serve un consiglio, non penso potrei reggere tutto ciò».
Il biondo lo guarda, sistemandosi gli occhiali a disagio. «Ehm, no?» domanda, perplesso. «Perché dovrei chiederti una cosa del genere?».
«Esatto!» esclama Daichi, con aria esausta. «Per nessun motivo al mondo. In cosa ti serviva una mano?».
«Per riavvolgere la rete» risponde Tsukishima, con ovvietà.
Daichi tira un sospiro di sollievo, mentre il centrale lo guarda con sempre maggiore perplessità.
«Fidati» borbotta il capitano dei corvi, occhieggiando agli altri membri della squadra con sospetto. «Capirai anche tu perché, prima o poi».
 
***
 
Sugawara gli ha detto che la soluzione è solo una.
E non è ammalarsi, scrivere una lettera e metterla in una bottiglia, comporre un haiku o raccogliere i soffioni. La soluzione è ritornare a respirare.
Abbandonare i luoghi subacquei e riemergere sulla battigia, cercando di non farsi frustare da vento e tempesta. Ma Kageyama non riesce a riemergere da quella marina perché, per quanto si sforzi di nuotare verso la riva, c’è qualcosa che lo continua a spingere indietro.
Il motivo è lui. Che lo spinge sott’acqua, dove non riesce a respirare, cercando di fare a gara anche a chi respira di meno, a chi chiama per primo l’altro per dirgli – «Vienimi a prendere».
Che qui non si respira.
«Ma cosa ci fai ancora qui?» Hinata ha il fiatone, in bicicletta, quando lo trova poco lontano dal negozio di Ukai, con la testa appesantita dai pensieri. «Non ti sei fermato dopo l’allenamento, pensavo fossi tornato a casa».
«No» sussurra Kageyama, incerto. «Io… ti stavo aspettando».
Ti capita mai di sentirti come sott’acqua. Tobio respira, ma gli sembra comunque sempre e solo di annegare.
Non ci sono onde, nella sua mente, è tutto un immenso tsunami che arriva e si ritira, mangiandosi ogni cosa, ogni conchiglia e ogni casa che riesca a costruirsi nell’intervallo tra un’ondata e la successiva. E lui sente di non sapere come si fa a restare a galla, perché l’acqua lo risucchia, facendolo sparire in un vortice, e non c’è nessuno disposto ad aiutarlo. Nemmeno lui.
«E perché mai?» domanda Hinata, inclinando il capo con fare comico. «Se dovevi dirmi qualcosa potevi rimanere e farmi fare qualche schiacciata in più».
Tobio sospira, ma esce solamente dell’acqua calda e qualche alga.
Vorrebbe dirgli che non capisce perché lo vuole come si desidera una stella cadente in una notte densa di nuvole, come si può volere il desiderio di compleanno di fronte a una torta priva di candeline. Vorrebbe dirglielo, ma ha la bocca piena di sabbia e frammenti di corallo.
«Sei strano» commenta Shōyō. «L’ho detto a Suga-san, ma ha continuato a dirmi che eri normalissimo».
Tobio gli mette le mani sulle spalle, per farlo tacere, e il centrale chiude gli occhi, preparandosi a essere scrollato o a ricevere un pugno sulla testa. Che non arriva.
È forse così che si ritorna a respirare?


 
Buongiorno a tutti, e scusatemi per il ritardo! 
Mi fa un sacco tristezza dovervi dire che questo è il nostro ultimo appuntamento, a venerdì 11 dicembre, con l'epilogo. Spero che questa storia vi sia piaciuta e che potrete continuare a leggermi con qualche novità futura.
La nota di questo capitolo:

24Riferimento al libro di Ayelet Waldma, L’amore e altri luoghi impossibili, da cui è stato tratto l’omonimo film con Natalie Portman.

Un bacio a tutti voi.
Gaia
   
 
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