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Autore: Los Cattaneos    09/12/2020    0 recensioni
[Il Paradiso delle Signore Daily +1x140; Personaggi: Clelia Calligaris]
Dopo l'uscita di Luciano e prima dell'arrivo di Silvia, Clelia rimane da sola in camera coi suoi pensieri. In bilico tra i ricordi e l'idea di ciò che l'aspetta, tra l'aver appena lasciato Milano, il Paradiso e Luciano e il non essere ancora andata via definitivamente, si ritrova a vivere un momento di squilibrio. Ma, più di tutto, si ritrova in bilico tra la tentazione di cedere, lasciarsi andare, arrendersi e il bisogno di farsi forza per lottare e andare avanti. Per lei, per Carlo e anche per Luciano.
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Luciano chiude la porta dietro di sé, dopo averle lanciato un ultimo sguardo malinconico.
Clelia resta seduta, stringendo un lembo del copriletto tra le dita.
Il momento di allonatanrsi definitivamente da lui era sempre più vicino e il nodo alla gola si fa più consistente man mano che questo pensiero sfiora la sua mente. Tiene lo sguardo basso, come se cercasse sul pavimento opaco della pensione delle vie di fuga. Dei modi per non fuggire. Eppure la fuga era l'unica soluzione possibile e questa, purtroppo, era la sua unica certezza. La loro, unica certezza.
Fa un respiro profondo e si fa forza con le braccia per sollevarsi dal letto, ripetendo fra se e sé le parole che lui le aveva detto poco prima: mi raccomando, cerca di mangiare qualcosa, domani sarà una giornata molto pesante.
A passi lenti si avvicina al tavolino su cui il concierge aveva posato il vassoio con la cena. Una minestra calda e una mela. Scosta la sedia e prende posto, contemplando il piatto per qualche secondo prima di trovare la forza di prendere le posate.
Immerge il cucchiaio nella minestra e si sofferma ad osservare la misera quantità che quella posata può contenere. Come se fosse una barchetta, la fa ondeggiare un paio di volte scorgendone - parzialmente - il proprio riflesso. In quella macchia verdognola scopre i suoi occhi, sussultando quasi d'istinto nel scovarli pieni di lacrime a cui non permette di solcare le sue guance ancora arrossare. Domani, lo vedrà per l'ultima volta e qualche minuto fa è ricorsa a tutta la forza - a tutta la lucidità - che il suo esile corpo - che la grande mente - possiede, per evitare che Luciano potesse compromettersi più di quanto già non fosse.
Fa un sospiro profondo ed ingerisce il quantitativo di minestra contenuto in quel cucchiaio. Lo fa per lui, perché glielo aveva promesso.
Fa un piccolo sforzo dopo l'altro.
Si immagina seduta al tavolo della caffetteria, con lui al suo fianco, in procinto di condividere uno dei loro pranzi, com'è ormai consuetudine. Prova a farsi cullare da questa dolce immagine di vita quotidiana, quella vita che aveva sempre desiderato e che aveva finalmente ottenuto. Ma che ormai doveva lasciare. Il solo pensiero che quella piccola, vitale consuetudine, sarebbe ormai svanita con la sua partenza le stringe lo stomaco, ancora più forte di prima. Posa il cucchiaio con uno scatto e congiunge le mani intrecciate sotto il mento, fissando il vuoto. Una lacrima inizia a inumidirle la guancia e allora disgiunge le dita per asciugarsi e ricomporsi sulla sedia. Prende la mela e il coltello, contemplando i riflessi della luce sul metallo mentre lo muove delicatamente, nell'atto di sbucciare il frutto che faceva quasi fatica a tenere con le sue mani fragili.
La luce della pensione era fin troppo calda per una notte gelida come quella. Ma forse non erano le intemperie a tenderla così fredda. Era la stanchezza, l'ansia per la partenza, la paura, quel nodo in gola che non scompariva. La partenza. Ormai doveva pensare solo a questo. Rimettersi in forza per la partenza, o almeno provarci. Finisce a fatica di mangiare il frutto, ripetendosi le parole di Luciano ad ogni morso, poi si alza e si dirige verso il letto. È ora di riposarsi ma è talmente agitata che ha perfino paura di chiudere gli occhi.
Sul comodino accanto al letto c'è una rivista. La sfiora con le dita mentre si appoggia sul cuscino e poi la prende in mano. Magari la aiuterà a distrarsi.
Fingendo un impegno che in questo momento non le appartiene, finge d'interessarsi ai contenuti che quel periodico ha da offrirle.
L'unico dettaglio che desta la sua attenzione è l'eleganza dell'impaginazione: vista da fuori potrebbe sembrare una rivista come tante, ma una volta superata la copertina - quei colori ben distribuiti, il carattere adoperato, la furbizia con cui sono state distribuite le foto in bianco e nero - chiunque potrebbe accorgersi della cura a cui viene costantemente sottoposta.
Questa piccola riflessione le fa piegare parzialmente le labbra in un sorriso. Un sorriso che muore quasi sul nascere: nella sua mente riaffiora così, come un getto d'acqua fredda, l'immagine del Paradiso Market. Gabriella Rossi. La sua Venere ingenua e romantica.
Tina Amato. La sua Venere impulsiva e piena di sogni.
Nicoletta Cattaneo. La sua Venere fragile ma forte, tanto forte.
Dora Vianello e Paola Galletti. La sua Venere impacciata e la sua futura Venere sposa.
E Roberta Pellegrino. Già, Roberta. La sua Roberta. Era cresciuta così tanto da quando si sono conosciute. Una ragazza così goffa da far concorrenza a Nicoletta ma pronta a tutto pur di aiutare un'amica, pur di fare la cosa giusta. Un po' come lei, in fondo, e come Luciano. Si sentiva immensamente fortunata vper averla incontrata: l'amica che aveva sempre desiderato. Una donna giovane ma forte, brillante, generosa. Una donna che stimava ogni giorno di più e la cui presenza nella sua vita era stata più che preziosa. La sua amica, la sua confidente, la sua aiutante. Senza dubbio anche la sostituta perfetta. L'unica che avrebbe potuto occuparsi del paradiso e delle veneri con la stessa passione che ci metteva lei e che, forse, proprio da lei aveva imparato. Luciano era proprio fortunato, era così contento di poter avere una ragazza così speciale al fianco di suo figlio. Un sorriso sfiora lievemente le labbra di Clelia. Pensa a roberta e federico, a quanto sia bello essere giovani e spensierati, liberi di poter vivere il loro amore alla luce del sole. Pensa a Luciano, il suo amore, al suo orgoglio di padre e a tutto ciò che è e che fa per i suoi figli. La malinconia sfiora di nuovo la sua mente. Se solo Luciano... no, non vuole pensarci. Luciano ha la sua famiglia, di cui deve prendersi cura esattamente come aveva fatto con lei e avrebbe fatto con Carlo. E pensa, ancora una volta, a quanto sarebbe stato bello se lui fosse stato davvero il padre di Carlo. Carlo. L'unico pensiero che le dà la forza di andare avanti. Pensa che deve essere forte, che tra poco potrà riabbracciarlo, iniziare una nuova vita insieme a lui e potrà, finalmente, prendersi cura di lui attimo dopo attimo, recuperando il tempo perduto. Chissà cosa stava facendo. Probabilmente suor Angela lo aveva già messo a letto. Pensa a quando potrà riabbracciarlo. Ci sarà anche Luciano con lui. Sarà lui a portarlo da lei. Sorride, immaginando quei due passare del tempo insieme, nella milleccento fiammante, trepidanti in attesa di arrivare da lei e congiungersi tutti in un abbraccio. Il suo volto si illumina di un sorriso immenso, pieno d'amore, che finisce mordendosi le labbra. Quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto Luciano.
Il suo volto si contrae in un'espressione sofferente.
Non riesce a respirare.
Le labbra rimangono socchiuse in cerca d'ossigeno, la gola inizia a diventare pesante e istintivamente porta la mano destra sul collo: può avvertire la sua pelle bruciare invocando un aiuto che non arriverà. E improvvisamente, i suoi occhi si inumidiscono. Delle piccole onde cercano di far propria la pelle diafana di Clelia, bagnandola con la disperazione di chi trova la felicità ed è costretto a rinunciarci, lasciando un vuoto assordante e incolmabile.
Prova a deglutire. Ci riesce a fatica.
Quelle lacrime non possono uscire perché rappresentano la fine.
Gioca con le labbra, le inumidisce con la lingua.
Un altro getto d'acqua fredda.
«Mi scusi, voleva essere una battuta. Sono più nel mio con  i numeri», si affrettò ad indossare nuovamente gli occhiali neri dal vetro troppo spesso.
Notò quel sorriso imbarazzato appena accennato. Trovò il suo rifugio in mezzo a delle scartoffie, non appena si sedette. Ricordò il sorriso che nacque nel suo volto. Fu quella frase a farle pensare che forse, quel ragioniere che il giorno prima le aveva offerto una telefonata - chi mai lo avrebbe fatto? -, poteva essere veramente una brava persona. Fu quella frase. Quel scusarsi, quell'ammettere una colpa quasi (superflua?) a farle illuminare il verde dei suoi occhi.
Era la stessa frase che le aveva ripetuto oggi, in macchina, per alleviare il suo - il loro - tormento.
«Luciano...» sussurra, quasi involontariamente.
Si asciuga le lacrime strofinando vigorosamente i pugni contro gli occhi e le guance. Fa un respiro profondo. Poi un altro e una altro ancora. Trema, e il suo respiro, i suoi battiti, fanno fatica a riprendere un ritmo regolare. Guarda con difficoltà le ombre proiettate intorno a lei, con gli occhi ancora umidi che le impediscono di distinguere i contorni. Li chiude per qualche secondo, poi li riapre. Fa un ultimo respiro e si rigira nel letto, sollevando la testa e appoggiandola sul polso, mentre il suo gomito debole sprofonda nel cuscino. Riprende a sfogliare la rivista, incapace ancora una volta di leggere. Riaffiorano, ancora una volta, tutti i ricordi del paradiso, delle campagne pubblicitarie e dei volantini. Inizia a sfogliare la rivista con più vigore, quasi meccanicamente, soffermandosi ogni tanto su qualche pagina in cui le modelle portavano abiti simili a quelli con cui aveva lavorato fino ad allora. Magari a Butrio troverà lavoro in un altro atelier. Certo, non sarebbe come il paradiso, nulla sarebbe paragonabile al paradiso. Ma forse, continuare per quella strada, quella di un lavoro che conosceva molto bene, sarebbe stato un modo per sentirsi un po' a casa, per illudersi di essere ancora lì. Sebbene a Butrio, tra un merletto e l'altro, non ci sarebbero state le sue ragazze, non ci sarebbe stata roberta e, soprattutto, non ci sarebbe stato Luciano. Accarezza le pagine della rivista sforzandosi di non sprofondare di nuovo tra le lacrime, mentre questa folla di pensieri si accalcano nella sua mente, tutt'a un tratto riportata alla realtà da un rumore. Bussano alla porta. Si volta spaesata. Chi sarà mai a quest'ora? Forse Luciano, che aveva dimenticato qualcosa. O  il concierge. Sì sicuramente il concierge che era venuto a ritirare piatti della cena. Si avvicina alla porta, col cuore palpitante, speranzoso che alla porta fosse davvero Luciano, per quanto la sua mente, che faticava a mantenersi lucida, avesse ritenuto questa opzione improbabile. La mano sul pomello, lo gira, apre la porta. Non era Luciano. E nemmeno il concierge.
 
   
 
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