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Autore: Fuuma    10/12/2020    8 recensioni
Picchietta una mano sulla testa di Poe, ad assicurarsi che sia ancora lì con lui, tutto intero – cuore e cervello compresi. Ma entrambi mancano all’appello: Poe ha disattivato l’uno e regalato l’altro e ora non ha idea di come fare per riprenderselo.
Vorrebbe non essere costretto a farlo.
Potrebbe.
Infrangere le regole, dopotutto, è un dono che possiede fin da piccolo, quando ancor prima di camminare ha imparato a correre su pista, seduto sulle ginocchia di sua madre, con un casco troppo largo sulla testa, mani troppo piccole al volante. Solo lui, sua madre e un’auto da Formula Uno, alla conquista del mondo.
Ma questa è diversa.
{ darkpilot ; vaghi accenni Reylo e Rey/Finn — dedicata a Violet Sparks }
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Finn, Poe Dameron, Rey
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Pairing: Ben x Poe {darkpilot}; BenxRey (accennata); FinnxRey

Warning: au, ooc (?)

____________________________

 

Rules, what rules?

____________________________

 

 

Finn accarezza la condensa di un bicchiere di coca-cola ghiacciato e ne segue il bordo rotondo con il polpastrello. Lentamente. In silenzio. Intorno a loro, gli addobbi natalizi colorano festosi il piccolo bar londinese, ma gli occhi di Finn rimangono fissi in quelli di Poe, le labbra serrate in un’espressione che l’uomo non riesce a decifrare – e tanto basta per fargli capire quanto la situazione sia grave. Finn è un libro aperto, è un’enciclopedia di emozioni traboccanti; ora, invece, Poe lo guarda e trova pagine bianche, e sente che sta per avere un attacco di cuore, e vorrebbe solo che Finn mettesse fine alla sua miseria una volta per tutte.

Eppure, quando accade, quello che dice serve solo a farlo sentire peggio:

«L’hai infranta.» Sintetico e lapidario. E se qualche mese fa Rey non gli avesse spiegato che la campana del Big Ben tace dal 2017[1], Poe sarebbe stato pronto a giurare di averla appena sentita rintoccare la sua condanna.

Prende fiato, anche se ha solo due parole da pronunciare: «Lo so.»

«Avevamo una regola Poe, tu eri quello che ci teneva di più e l’hai infranta. Ai danni di Rey!»

«Lo so. È per questo che sono corso da te: devi aiutarmi!»

«Certo, aiutarti a decidere il legno per la tua bara e quali fiori ordinare per il tuo funerale.»

«Non quel tipo di aiuto. Quello per evitare che io muoia.»

«E diventare tuo complice? Non lo so, amico, a me piace vivere.» Finn scuote il capo e si stringe nella giacca di pelle – quella stessa giacca di pelle che Poe gli ha regalato quando sono diventati coinquilini, quando hanno sigillato la loro amicizia, quando ancora credeva che, qualsiasi cosa fosse accaduto, Finn gli avrebbe coperto le spalle.

Traditore.

E ok, forse, in questo caso, chiedergli di parargli il culo è davvero troppo, oltre che ingiusto – stanno pur sempre parlando della sua ragazza, ma anche a Poe piace vivere. Sul serio. Tanto.

Tira indietro le spalle e le scrolla, cercando di togliersi di dosso la tensione accumulata negli ultimi giorni. Vorrebbe avere il potere di afferrarsi e scrollarsi finché non gli cadrà la testa (no, finché non gli cadrà qualcosa di molto più in basso!) perché sul serio, Poe? Possibile non sappia tenerti l’uccello nei pantaloni per più di quarant’otto ore?

Si incurva sul tavolo, poggiando la fronte al bordo; non ha toccato una goccia della birra che ha ordinato.

Sospira abbattuto. «Ok, alternative?»

Anche Finn sospira. «Messico?»

«Alternative che non prevedano il mio espatrio?»

«Devi dirglielo.» l’inevitabile risposta di Finn.

Poe ruota il capo, spinge con la tempia contro il bordo e sente il sangue fermarsi in quel punto preciso, dove la vena si chiude e, per un attimo, ogni attività cerebrale rimane sospesa.

«Oppure potrei fare finta di niente e dimenticarmi della sua esistenza.» non si permette di pensare quando lo dice, ma anche così sente sulla lingua il peso di ogni parola, che gli lascia sul palato un retrogusto amaro. Sa di perdita e non gli piace.

Sul volto di Finn torna ogni espressione: i suoi occhi sono neri pozzi d’incertezza. Picchietta una mano sulla testa di Poe, ad assicurarsi che sia ancora lì con lui, tutto intero – cuore e cervello compresi. Ma entrambi mancano all’appello: Poe ha disattivato l’uno e regalato l’altro e ora non ha idea di come fare per riprenderselo.

Vorrebbe non essere costretto a farlo.

Potrebbe.

Infrangere le regole, dopotutto, è un dono che possiede fin da piccolo, quando ancor prima di camminare ha imparato a correre su pista, seduto sulle ginocchia di sua madre, con un casco troppo largo sulla testa e mani troppo piccole al volante. Solo lui, sua madre e un’auto da Formula Uno, alla conquista del mondo.

Ma questa è diversa.

Esiste un’unica regola non scritta tra amici:

Mai – mai! – provarci con l’ex del tuo migliore amico.

E per Poe, che ha avuto troppe storie finite male, è la regola più importante.

Lo era.

Prima di conoscere Ben Solo.

Allora non si era ancora perso tra le venature nocciola del suo sguardo profondo, alla ricerca dei suoi pensieri più intimi, delle sue paure più nascoste. Non aveva ancora indugiato tra capelli lunghi e corvini, che tra le dita lasciano il profumo di legno e agrumi del suo shampoo preferito. Non aveva ancora assaporato i suoi silenzi, direttamente dalla sua bocca, riempiendoli del suono di gemiti umidi e baci schioccanti.

Mai provarci con l’ex del tuo migliore amico.

E lui è cascato col cuore e con l’anima proprio ai piedi dell’ex di Rey Skywalker! Il destino non è stato abbastanza beffardo quando ha rivelato alla ragazza fossero cugini, ci si doveva mettere anche Poe “se fai una cazzata, falla in grande stile” Dameron.

«Credevo fosse una cosa seria tra te e… L’oscuro figuro.» Finn lo ritrascina nel loro bar preferito, di nuovo seduto al solito tavolino d’angolo.

Poe rialza la testa, lo guarda e sorride. «L’oscuro figuro? È il meglio che ti sia venuto in mente?»

Finn non si lascia distrarre: «Non cambiare discorso.»

Ci ha provato.

Afferra la birra e ingolla un lungo sorso, sperando di sciogliere il nodo che gli si è appena formato in gola.

«Gli amici vengono prima di tutto.»

 

Il nodo si fa più stretto.

 

– ♦

 

A quell’ora, Brands Hatch[2] è un serpente nero che si srotola tra le due colline a nord di West Kingsdown.

Poe preme sull’acceleratore – un tocco gentile, un battito dolce della palma del piede, che fa rombare il motore contro la sua schiena come fusa di una bestia bianco-arancio.

Guidare gli fa bene, gli schiarisce le idee, pompa adrenalina e gli dà l’illusione di essere invincibile. Lo è, anche se soltanto sulla pista.

Quando ruota il volante, è la curva a piegarsi al suo volere; la imbocca a trecento chilometri all’ora e il muso dell’auto taglia il vento come un coltello piantato nel burro. Lo sente soffiare di lato, aprirsi per lui per lasciarlo passare, e sarebbe tutto più facile se anche la vita fosse un infinito circuito di Formula Uno, dove conta solo chi arriva primo al traguardo.

Invece il cellulare nella tasca squilla, riempiendo l’abitacolo delle note imperiali[3] di una suoneria dedicata, e quell’invisibile traguardo a cui puntava sparisce all’istante.

«Merda… Ben…»

Preme più forte sull’acceleratore.

L’auto acquista velocità; attorno a lui tutto trema e le ruote quasi si sollevano dall’asfalto. Fugge su una pista da corsa, una mossa idiota che non risolve un bel niente: il cellulare è con lui nell’auto e il circuito è circolare, tornerà sempre al punto di partenza.

«Come la mia vita…» si sente mormorare, una volta rallentato, col tono melodrammatico che Finn e Rey hanno battezzato col soprannome di “afflizioni da soap opera”. Come se non ne avesse diritto – non è che si sia svegliato dal nulla, una mattina, e abbia deciso che aveva voglia di incasinare i suoi rapporti d’amicizia e iniziare una relazione a distanza con l’unico uomo sulla faccia della terra che avrebbe dovuto evitare.

È successo!

Che colpa ne ha lui se Ben ha due spalle così e… No! Meglio non pensare a tutto il resto, l’abitacolo di un auto da corsa non è il miglior posto per farselo venire duro… Anche se a metterlo al tappeto, più che il corpo statuario di Ben (più del cazzo di Ben, gli precisa una coscienza sporca e invadente) è stato il passo militare con cui si è fatto strada in lui. Ben non possiede mezzi termini, è la punta di una spada che affonda dritta nel bersaglio, ignorando ogni difesa. È tutto bianco o nero per lui, con o contro di lui: nel mezzo c’è solo il vuoto – e Poe ne è stato irrimediabilmente risucchiato.

Ad auto ferma, reclina il capo, osservando il cielo da dietro il visore del casco. Lo trova tappezzato di puntini dorati, ma l’aria gelida è la promessa di una lunga nevicata.

Per un po’ non potrà entrare in pista, ma a Poe non dispiace, se non può avere Ben per Natale, che almeno ci sia la neve.

 

♦ –

 

Il viaggio in taxi è un incubo.

Le strade sono bloccate dal traffico di chi torna e chi parte per le ferie, la radio su cui si è sintonizzato il tassista continua a saltare e ogni canzone sembra la brutta imitazione di un rapper ubriaco, e Poe sta congelando, perché indossa ancora la tuta da corsa e la sciarpa che Finn gli ha prestato.

A Brands Hatch ha perso la cognizione del tempo. Solo quando è rientrato ai box si è accorto di essere in ritardo e il suo cambio è rimasto nel borsone in cui l’ha infilato.

«Potevo aspettarvi a casa» borbotta, allungando il collo per guardare il tachimetro che sale.

Finn gli tira una gomitata. «Abbiamo promesso che saremmo andati entrambi a prendere Rey all’aeroporto. Dopo quello che hai fatto, glielo devi.»

Poe geme sottovoce, ha la sensazione di essere appena stato colpito alle spalle.

Si tira indietro, la testa china. «C’è solo un problema: Ben è un pilota.»

«Wow, avete già così tante cose in comune…»

Si volta, lanciando un’occhiataccia a Finn.

Il ragazzo lo guarda con un sopracciglio sollevato, a dare più enfasi a un tono già fin troppo sarcastico per i gusti di Poe.

«Ah, ah, molto divertente. Ma Ben pilota gli aerei.» precisa, con una punta di stizza – e una, più nascosta, d’orgoglio.

Finn di tutta risposta scrolla le spalle. Potato – potato[4], sembra dirgli, a lui la differenza importa poco e, ovviamente, non capisce dove sia il problema.

«È partito ieri, ma mi ha scritto che sarebbe tornato a Londra oggi. Con uno dei voli serali dall’Irlanda[5]. Lo conosci, no? Il posto in cui la tua ragazza ha finito il suo stage.» Questa volta è la voce di Poe a grondare sarcasmo. Spera che l’amico si renda conto della posizione in cui si trova: sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare sia l’uno che l’altra, ma sperava sarebbe accaduto in privato, possibilmente il più in là possibile e, soprattutto, non in contemporanea.

Finn ridacchia. Ha avuto l’intero pomeriggio per assimilare la notizia; è più rilassato ora e quando batte una mano sulla spalla di Poe lo fa con un sorriso largo e divertito. «In bocca al lupo.»

Poe guarda con sospetto tra le pieghe di quel sorriso. Qualcosa che non quadra, è sicuro che sia lì davanti al suo naso, ma ha così tanti pensieri per la testa che il dettaglio gli sfugge e a rimanere è solo l’augurio di Finn.

 

 

♦ –

 

Finn ride.

Per la seconda volta in una giornata, Poe rischia l’infarto.

E Finn ride!

Rey, una mano alla valigia e un braccio sollevato, lo sventola in loro direzione.

Fin si tiene la pancia per il troppo ridere.

Accanto a Rey, stretto nell’uniforme da pilota che riuscirebbe a rendere irresistibile perfino uno scorfano, Ben Solo avanza con l’espressione impassibile di un generale d’armata: le spalle dritte, il petto ampio, le gambe lunghe e… E Finn ride!

A Poe deve essersi sciolta la faccia, perché non riesce più a sentire le guance – però ha caldo. Tanto caldo. Ed è sicuro che a breve stramazzerà a terra, agonizzante perché non riesce più a sentirsi il braccio sinistro. O i sintomi di un attacco di cuore prevedono il braccio destro? Poco male, tanto quando Ben si piazza di fronte a lui e con un gesto elegante si toglie il cappello, Poe non sente più nulla, nemmeno le gambe.

Costretto a tenere la testa reclinata all’indietro, lo guarda a bocca aperta, come avesse appena assistito all’ascesa di un dio.

Nessuno dei due parla, il che è strano per Poe – di solito è lui a rompere il silenzio, ma tutto quello che aveva da dire si è perso da qualche parte nel suo stomaco.

Con la coda dell’occhio registra il colpetto che Rey tira al fianco di Ben (Finn, le ha preso la mano, ma anche se tiene la bocca chiusa, la sua risata non sparisce, si fa solo singhiozzante – e la cosa inizia a diventare imbarazzante).

Ben si schiarisce la voce, un colpo di gola che gli fa vibrare le corde vocali.

Poe lo osserva rapito.

L’uomo si china – quasi sedici centimetri di differenza – e gli respira in faccia, o su qualsiasi cosa gli sia rimasto.

«Quindi…» la voce di Ben è un sussurro basso e caldo, come fumo che sale dalla cappa di un camino «Chi parla per primo? Parli tu? Parli io?[6]»

Poe chiude la bocca all’istante. Non può averlo detto davvero!

Ma quando l’ombra di un sorriso minuscolo fa capolino sulle labbra di Ben, non ha più dubbi: «Eravate tutti d’accordo!»

Finn libera l’ennesima risata. «Oddio, non ce la facevo più a trattenermi!»

«Non ci hai nemmeno provato» gli fa notare Poe, ma lo sguardo torna presto sul volto di Ben e sul sorriso che, un poco alla volta, si è disteso su tutta la bocca dell’uomo. È sempre uno spettacolo vederlo sorridere, è come l’alba, ci vuole tempo perché l’intera larghezza delle labbra si modelli e il sorriso sorga, ma quando accade è impossibile non rimanerne incantati.

La risata di Rey è contenuta. Si è avvicinata a Finn e ha intrecciato le dita con le sue, ma rimangono entrambi accanto a Poe. «Ben mi ha chiamata. Mi ha raccontato tutto, compreso la vostra prima brillante conversazione.»

Ti pareva!

Poe riesce a immaginarla benissimo mentre, infilata nella cabina pilotaggio, consiglia a Ben di usare proprio quella conversazione contro di lui.

E pensare che ha passato un intero pomeriggio a tormentarsi e a darsi del coglione.

«E tu lo sapevi?» chiede a Finn, che ha perfino il coraggio di annuire.

«Rey me l’ha detto un’ora dopo che io e te ci siamo lasciati.»

«E per tutto il viaggio in taxi mi hai lasciato nella disperazione? Che ne è delle regole? Della nostra amicizia? Della mia sanità mentale? Cos’è successo al ragazzo impanicato di oggi pomeriggio che mi ha consigliato di scappare in Messico?»

Finn allarga le braccia, rifugge ogni responsabilità. «Io ero impanicato perché tu eri impanicato!»

Rey li guarda, con l’occhiata di pena della sorella maggiore che ha a che fare con i due fratellini pestiferi. «Gliel’ho chiesto io di non dirti niente. Manco da una settimana, mi siete mancati e volevo esserci per il tuo nuovo episodio di Beautiful

Poe ha molto da ridire: «Tu te la fai con tuo cugino e sono io la soap opera?»

«Ci siamo solo baciati. Una volta.» precisa Ben. Oh, certo, ora si inserisce.

Rey conferma con un cenno del capo e muove la mano in un gesto leggero, che scaccia una mosca invisibile davanti a sé. «Ed è successo prima che scoprissi che mio padre era suo zio. Non c’è stato assolutamente nient’altro, non ci è nemmeno piaciuto. E per quanto riguarda le regole che hai infranto…» se prende fiato non è per lasciare Poe sulle spine, ma per sorridergli con affetto. «Ben ti piace, tu gli piaci. Va bene così.»

Diretta. Ovvia.

Va bene così.

Nessun dramma, nessun litigio, nessuna rottura.

Solo Rey e il suo splendido modo di essere.

E Poe si sente uno stupido per aver avuto bisogno di sentirselo dire.

«Accidenti a voi!» Dovrebbe vendicarsi con lei e con Finn per averlo abbandonato nel suo mondo di paranoie, ma preferisce spintonarli via con un sorriso radioso, affinché possano finalmente scambiarsi le effusioni che hanno trattenuto fino a quel momento – e lui possa, ovviamente, fare lo stesso con Ben.

Quando gli si rivolge, lo trova però accigliato.

«A me non va bene così.» annuncia il comandante di volo, in quel modo brutale che ha di dare qualsiasi notizia – bella o brutta che sia, dentro o fuori da un aereo.

Poe butta fuori un respiro e con una mano stira le pieghe dei pantaloni della tuta. Non è in tiro e non avrà addosso una divisa da pilota sexy, ma anche lui è un bel figurino e se sorride, se ammicca appena un po’, se si sistema i capelli con una passata di mano e si passa la lingua sulle labbra, può ancora infrangere qualche cuore.

Ma a Ben importa poco della sua mise o dei suoi capelli.

A lui basta un passo per gettare la propria ombra sul corpo di Poe.

«Voglio sentirtelo dire. Amami.» il suo è un ordine. Una stilettata al cuore. Il capriccio di un bambino a cui nessuno ha mai insegnato a chiedere, ma che desidera con ardore, tanto da bruciare qualsiasi cosa, perfino se steso.

Ben è bisogno, supplica, e fame d’amore.

Poe si copre la bocca con una mano e ingoia la risata e un po’ anche l’imbarazzo di trovarsi in pieno aeroporto Londra-Heathrow, con un palo della luce in divisa da pilota e uno stuolo di steward e hostess che nota soltanto ora, dietro di lui, in attesa, come soldatini ai suoi ordini.

È tutto così surreale, che quasi si chiede se prima o poi entrerà in scena anche Hugh Grant o se avesse fatto meglio a portarsi dei cartelli bianchi su cui scrivere la propria risposta[7].

«La tua storia incestuosa ti ha privato di ogni tratto romantico» Poe sta scherzando, si dimentica quanto Ben sia diverso da Finn o da Rey o dai loro genitori. Lui non ama le battute e ha un pessimo senso dell’umorismo. Il suo sguardo si fa fosco, stringe i pugni e Poe segue la linea delle spalle che, al di sotto della giacca diligentemente abbottonata, si fanno rigide e i muscoli ne tirano la stoffa scura.

Lo vede tirarsi indietro, ma prima che il passo si compia, gli afferra un polso e lo ritrascina vicino a sé. È quello il suo posto, è assurdo che ancora lo dubiti.

«Hey, stavo scherzando.»

«Non mi piacciono questi scherzi.»

Poe ingoia un’altra risata. Non è il caso di sfidare la già poca pazienza di Ben Solo.

«Allora che ne dici di: ok?»

Un angolo alla volta, il sorriso torna sulle labbra di Ben. Il suo volto è una distesa di dolcezza e negli occhi c’è una commozione asciutta, pulita, sincera. È quello sguardo adorante che ha fatto innamorare Poe.

«Ok?» chiede conferma, teneramente titubante.

«A-ah. E tu ama me.»

«E sia.»

È la dichiarazione d’amore più brutta della storia delle dichiarazioni d’amore, ma è così adatta a loro che Poe si sente il petto esplodere di felicità. Abbandona la presa al polso di Ben, per catturare il retro del suo collo e obbligarlo ad abbassarsi, così che le loro bocche si facciano più vicine, solo a una sfiatata di distanza. «Sei il miglior regalo di Natale che potessi desiderare.»

«Sei la cosa migliore della mia vita.»

Come non detto. Basta una frase e Ben si guadagna il podio per la dichiarazione dell’anno.

«…merda, hai vinto tu.» bisbiglia Poe, anche se ha mentito: è lui a vincere. Ha due amici speciali, un natale innevato e l’uomo che ama si trova esattamente dove dovrebbe stare: tra le sue braccia. Nemmeno ricorda più perché fosse tanto preoccupato.

Poco distante da loro, Finn e Rey si aggiungono all’improvviso scrosciare degli applausi del pubblico di hostess e steward e passanti, ma Poe non è più nel Terminal, è in un’isola di braccia e labbra e respiri uniti, è su una zattera che cavalca il bacio di Ben, mentre gli abbraccia la vita e si stringono l’uno all’altro.

Non è il loro primo bacio. È il centesimo, il millesimo, il milionesimo, è uno di tanti altri che verranno, e come la prima volta, nessuno dei due si trattiene – danno tutto, prendono tutto, si combattono per l’ultima stilla d’ossigeno nella bocca e l’ultima goccia di saliva sulla lingua. Ben lo stringe con forza, gli schiaccia i fianchi e le costole, lo intrappola a sé e poi allenta la presa, quasi a voler lasciare Poe libero di fuggire, se lo vorrà. Ma Poe non fugge, si aggrappa invece ai suoi capelli – odore di legno e di agrumi, unito ai troppi profumi del Terminal –, lo strattona in basso e se lo tiene il più vicino possibile. «Non ti libererai di me, comandante.» è il suo ultimo ansimo, prima che il grido di qualcuno – Finn? – faccia sfumare i contorni della sua isola: «Prendetevi una stanza, voi due!»

E sulle labbra di Ben, Poe ricama un sorriso.

 

Fanculo alle regole

 

[ 3.363w ]



 

[1] Dal 21 agosto 2017 il Big Ben ha smesso di suonare per permettere il restauro all’orologio della torre. Il silenzio dovrebbe durare fino al 2021.

[2] Brands Hatch: circuito di F1 – costruito in un anfiteatro naturale. Si trova nei pressi di West Kingsdown, non troppo distante da Londra.

[3] Oh yeha, you guest it, è un palese riferimento alla Marcia Imperiale

[4] Sono una persona orribile che usa modi di dire inglesi, perché non sa scrivere in italiano. È un modo per far notare di star dicendo la stessa cosa, ma con pronunce diverse

[5] Curiosità: l’isola in cui Luke Sywalker va a fare lo Jedi eremita si chiama Skellig Micheal (nota anche come Great Skellig), una delle Skellig Island, piccolo arcipelago oggi abbandonato all'estremo sudoccidentale dell'Irlanda.

[6] Citazioni rubate. Scusate, non ho potuto farne a meno. Per chi non lo ricorda: è una battuta di Poe, la prima frase, in effetti, che rivolge a Kylo Ren quando questi lo cattura [here]

[7] Se non avete visto Love Actually (non avete vissuto) non potete capire la reference

 


 

Ok, prima che partiate tutti col lancio del pomodoro, ci tengo a fare un paio di premesse fondamentali.
1. Si tratta di un regalo da parte mia alle fan della Darkpilot… e se parlo al plurale è solo per non fare sentire sola Violet Sparks, che tanto sappiamo tutti benissimo che parlo di lei. Quindi sì, l'ho scritta per lei e se non conoscete l'autrice, mi chiedo cosa ci facciate qui. Andate immediatamente sul suo profilo e leggete le sue di fic su questa ship, che questa non può manco reggere il confronto XD
2. Ho dovuto mettere l'OOC, anche se lo odio tanto. Ma temo fosse inevitabile: ho visto tutti i film di Star Wars, ne ho dimenticati la metà e dell'ultima trilogia mi è rimasto così poco che a malapena conosco il nome dei miei due pg preferiti. E quindi niente, ci ho provato a tenerli IC, ma non sono sicura del risultato.

3. Le ship. Non mi interessa la Reylo e spero nessuno si sia offeso a sapere Rey come ex di Ben, era necessario. E sì, l'ho voluta cugina perché mi faceva ridere e perchè è un po' anche un omaggio alla trilogia originale, mentre mi immagino Anakin che va da Rey a dirle "Rey, sono tuo nonno..." e Han, Leia e Luke che hanno un orribile deja-vu XD (in realtà non l'ho deciso come e perché, voi prendetelo per assodato e sì, tecnicamente nella fic si parla al passato di Luke, quindi dovrebbe essere morto.) Per la Finn/Rey... l'ultimo film mi ha confuso, non ho capito se Finn fosse innamorato o no di Rey, ma nel dubbio a me sta bene come ship (poi la mia OTP è ben altra, ma non è questa la sede per discuterne, coff)

 

Ok, le cose importanti le ho dette. Ora veniamo a noi: Buon Natale in anticipo, Violet. Grazie per l'entusiasmo che dimostri sempre nei miei confronti e nei confronti delle mie fanfic, grazie per attentare costantemente alla mia vita con le immagini di Oscar, grazie per avermi dato il permesso di sposare Poe. Eh? Cosa? Non me l'hai mai dato? Io credo di sì e ormai è pubblico, testimoni tutti!

 

Merry Christmas, dearie

 

scrittaper l'iniziativa "Un regalo tutto per te" indetta sul gruppo Caffè e Calderotti & dedicata a Violet Sparks
Partecipa alla Maritombola 11 @Lande di fandom - prompt: 57. “I, myself, am made entirely of flaws, stitched together with good intentions.” (Augusten Burroughs)

   
 
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