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Autore: Tame_san_03    10/12/2020    2 recensioni
O sono io sfigata oppure è destino che mi innamoro sempre di personaggi secondari, quindi oggi vi porto una one-shot su Renji Yomo, ambientata proprio all’inizio di tutto, poco dopo l’”appuntamento” di Rize e Kaneki.
Spero vi piaccia
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Itori, Nuovo personaggio, Uta, Yomo Renji
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Akemi, lo sai che a Ren-chan non piace quel nomigliolo”

“Beh, non credo gli piaccia nemmeno ‘Ren-chan’, non trovi?”

Accanto alle due ragazze, seduto su un vecchio sgabello di legno e con i gomiti appoggiati al bancone del bar, Uta trattenne una risata, provocando uno strano verso con la bocca e attirando così l’attenzione di Itori e Akemi.

“U, che hai da ridere?”

L’uomo sorrise, facendo risaltare il piercing argento al labbro. Tra le dita della mano sinistra stringeva distrattamente un bicchiere trasparente e con un movimento circolare del polso faceva volteggiare, tra le pareti di vetro, un liquido rossastro e brillante.

“Hey, che c’è non rispondi?” insistette Itori, sporgendosi sul bancone per avvicinare il suo viso a quello del giovane. Gli occhi di Uta, che di solito erano concentrati su qualche disegno o divertiti di fronte a qualche nemico troppo facile da batter, sembravano allegri e spensierati. L’inchiostro che ci aveva iniettavo qualche tempo prima era un po’ sbiadito e anziché neri come la pece sembravano più di un grigio profondo, antico, quasi dolce. La pupilla rossa sgargiante brillava in mezzo a tutti quei colori scuri, oltre che abbinarsi alla perfezione con il colore del sangue nel bicchiere.

Itori fece una smorfia insoddisfatta e si voltò con diffidenza dall’altra parte, tornando a concentrarsi sulla loro nuova amica.

“Hai sentito di quell’incidente nella ventesima circoscrizione?” chiese, ormai rassegnata a non poter ricevere una risposta decenta da Uta.

Akemi le rispose subito, con voce squillante “Sì, povero ragazzo. Fortuna che i dottori l’hanno salvato con quel trapianto di organi, chissà che operazione difficile sarà stata...”

“Hai ragione, gli umani sono pieni di risorse... non finiscono mai di stupirmi”

“Puoi dirlo forte!” esclamò Akemi.

Itori sorrise di fronte a tanta allegria. Anche quella ragazza non finiva mai di stupirla.

Era piombata nel suo bar di getto, senza un motivo, un paio di settimane prima. Avendo subito capito che era un ghoul, l’aveva aiutata, dato da mangiare e offerto un posto dove dormire per la prima notte, e poi per la seconda, nonché la terza, la quarta e così via. Non sapeva da dove veniva e nemmeno come mai si fosse trovata da sola all’improvviso. Sapeva solo che le piaceva: era sempre attiva, giocosa, frizzante, un po’ maligna, infantile ma sopratutto felice, cosa più unica che rara per quelli come loro.

E alla fine, conoscendola meglio e facendoci amicizia, si era accorta di aver proprio bisogno di un’amica come lei, di cui poter parlare di uomini, vestiti, trucchi e qualsiasi altra cosa le adolescenti normali facessero nel mondo umano.

“Ake-chan, domani ti vorrei portare in un posto. Si chiama Anteiku, ti andrebbe?”

“Aspetta l’ho già sentito, è quel bar nelle ventesima... certo che mi andrebbe, il caffè di quel locale è così buono”

Itori sorrise, e dietro di lei anche Uta fece lo stesso “Sì, il caffè del signor Yoshimura è davvero ineguagliabile” rispose la ragazza. Si sistemò qualche ciuffo di capelli rossi dal viso, sotto lo sguardo attento di Akemi.

“Hai davvero dei capelli stupendi, Itori-san”

“Sono contenta che ti piacciano, è forse la cosa a cui tengo di più dopo l’alcol” scherzò, facendo ridere Uta.

“A proposito di alcol” cominciò il giovane, appoggiando il bicchiere ormai vuoto sul ripiano davanti a lui “Il vino ti è venuto davvero bene questa volta, sei stata brava”

Itori si alzò dallo sgabello e andò dietro al bancone per prendere il contenitore di vetro e appoggiarlo nel lavandino “Wow, U-chan che mi fa un complimento, domani ci sarà l’apocalisse ghoul”

Akemi ridacchiò, facendo dondolare la sedia sotto di lei “Senti, non potrei provare anche il vino? Quello degli umani fa schifo e vorrei assaggiare il tuo”

Itori e Uta si scambiarono uno sguardo complice, a meta tra l’imbarazzato e il divertito. La rossa ci pensò due o tre volte prima di prendere la bottiglia dallo scaffale dietro di lei. Il vero problema non era che Akemi fosse minorenne -a Itori non ne poteva importare di meno- bensì il fatto che nonostante usassero chiamarlo ‘vino’, la bevanda che aveva servito poco prima a Uta non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello del mondo umano.

“Ake-chan, ascolta” ne versò un goccio in un calice pulito e lo appoggiò sul bancone, davanti alla ragazza “Questo non è affatto vino. Possiamo berlo solo noi ghoul... riflettici, non ti viene in mente niente di rosso e liquido che gli umani non oserebbero mai bere?”

Akemi ci pensò su “Ehm... sangue?”

“Bingo” rispose Uta, giocando distrattamente con una ciocca di capelli mori.

“Aspetta quindi quello che voi chiamate vino non è altro che semplice sangue... in bottiglia?” chiese la ragazza, afferrando il calice e portandolo all’altezza degli occhi per guardarlo anche in controluce.

“No, affatto. Altrimenti lo chiameremmo solamente sangue, non credi?” fece la donna, appoggiandosi con la schiena a degli armadietti dietro di sè “Esattamente come i cocktail nel mondo degli umani, anche le bevande dei ghoul possono essere alcoliche. Semplicemente derivano dal sangue fermentato”

“In poche parole, lo chiamiamo vino solo per rendere più figo” aggiunse Uta, facendo sorridere le ragazze.

Akemi avvicinò il bordo del bicchiere al suo naso e piano piano ci fece arrivare le labbra. Chiuse gli occhi, toccò con la punta della lingua il liquido, ne prese in piccolo sorso, facendolo rimanere in bocca per qualche secondo prima di mandarlo giù. Quando riaprí gli occhi, rivelò una cornea nera come la pece e delle pupille rosso acceso.

Itori scoppiò a ridere, mettendo un po’ in agitazione la piccola amica. Essendo ancora giovane e inesperta, controllare gli occhi da ghoul non rientrava ancora nelle sue capacità.

“Itori-san! Ti prego falli andare via” esclamò Akemi, stropicciandoseli animatamente.

“Stai tranquilla, è tutto ok. Ci siamo solo noi qui”

“Ma perché?”

“Anche a me venivano sempre gli occhi rossi le prime volte che sentivo il sangue o la carne. Imparerai, ci vuole tempo” spiegò Itori, finendo il goccio di vino che era rimasto nel bicchiere “Ora calmati, altrimenti non andranno via in fretta” 

Uta guardava il volto di Akemi interessato, come se volesse imprimere nella mente ogni sua fattezza o angolo “Tutto ciò mi ha fatto venire in mente un disegno per la tua maschera”

“Davvero?”

“Sì, anzi... se non me lo segno subito finirà che me lo dimentico” rispose calmo. Estrasse dalla tasca della giacca una matita nera e un piccolo blocchetto degli schizzi.

Cominciò a scarabocchiare qualche bozza alla velocità della luce, scartandone alcuna e sovrapponendone altre, mescolando dettagli, misure e modelli.

Akemi lo osservava, interessata alla creazione della sua futura maschera “Disegni davvero bene,   U-san”

“Ti ringrazio” rispose lui, continuando a muovere la matita sul foglio, calmo e pacato come di consueto.

Nel locale calò un attimo di silenzio. Il ticchettio delle gocce della pioggia contro le finestre creava un’atmosfera rilassante, unito al suono della grafite che si consumava sul foglio di carta ruvida di U.

A spezzarlo fu un rumore da dietro la porta d’ingresso, che fece voltare sia Itori che Akemi. Quest’ultima, dopo aver distolto lo sguardo dal foglio di Uta -che non si era mosso minimamente-, sorrise all’amica “Eccolo, il bel-“

“Non dirlo, Ake-chan” la fermò Itori, andando di fronte all’ingresso “Non provare a chiamarlo in quel modo in sua presenza se non vuoi che quello ti sbrani”

“Uffa, ok”

La rossa aprí la porta “Rienti sempre piu tardi, Ren-chan...” commentò ancora prima di vedere di chi si trattasse.

Il giovane che le comparve davanti avrebbe fatto spaventare chiunque, pensò Akemi tra sè e sè.

L’uomo davanti a Itori era alto, magro, dalle spalle larghe e forti e dai lunghi capelli grigio platino. Sul mento aveva un filo di barba scura e i begl’occhi verde cristallino erano camuffati in uno sguardo cupo, freddo. La rossa sapeva che in realtà, nonostante sembrasse perennemente arrabbiato, quell’espressione era semplicmente la sua solita faccia di ogni giorno.

Avrebbe voluto farlo accomodare, offrirgli come di consueto qualcosa da bere e magari canzonarlo un po’ come sempre, ma alla vista delle sue condizioni cambiò immediatamente programma.

“Ren-chan! Ma come diavolo sei conciato?” esclamò, afferrandolo per un braccio e tirandolo un po’ dentro il locale. Chiuse la porta dietro di lui e subito gli prese il colletto della giacca, cominciando a sbottonargliela dall’alto. Lui si ritrasse, scacciando la sua mano e spogliandosi il cappotto per conto proprio.

“Hai tutti i capelli bagnati” commentò la donna, rubandogli l’indumento per appoggiarlo sull’appendiabiti dietro la porta.

“Piove” rispose semplicemente lui, con tono duro.

“Sì, questo l’ho visto anche io ma... insomma, dove sei stato?”

La rossa gli sistemò alcuni capelli dalla fronte, ma si rese conto che era stata una mossa troppo azzardata, infatti Renji non sembrò gradirla per niente.

“All’Anteiku servivano viveri” fece, senza aggiungere altro.

Si avvicinò al bancone del bar con l’intenzione di sedersi accanto a Uta, ma Itori gli si parò davanti prima che potesse afferrare lo sgabello.

“Non provarci tu... non vorrai inzupparmi di acqua il locale, spero. Vai ad asciugarti” fece la donna con fare deciso.

Yomo poteva essere freddo, duro, introverso e per nulla socievole, ma non era mai stato nè cocciuto nè sconsiderato. Ascoltò le parole della donna, cambiò direzione e scomparve dietro la porta a scorrimento accanto al bancone. Akemi ci era stata poche volte, nel retro del locale. C’era un piccolo bagno, uno sgabuzzino in cui Itori teneva le scorte per il bar e della carne per se stessa, e un salotto accogliente con una piccola cucina open-space. Qui aveva portato, con l’aiuto di Yomo, un divano letto e un grande armadio, che conteneva qualche indumento di ricambio sia della taglia della rossa che dei due uomini, i quali, nonostante non abitassero nelle vicinanze, venivano spesso all’Helter Skelter per dare una mano o per fare compagnia all’amica.

“C’è una tua maglietta nell’ultimo cassetto, quella bagnata appoggiala sul calorifero!” gridò lei per farsi sentire dal compagno “E asciugati quei capelli!” aggiunse, ricevendo come risposta un grugnito seccato dall’alta parte del locale.

Akemi tornò a guardare Uta all’opera, che ormai aveva disegnato una gran bella maschera e che stava aggiungendo addirittura del chiaroscuro e delle ombre con la matita.

“Wow U-san! Ma è bellissima! Davvero è la mia?”

“Certo, ma non guardarla ora altrimenti non c’è più sorpesa. Domani dovrei avere il tempo di preparartela” disse dolcemente. Raccolse le sue cose, riponendo blocchetto e matita in tasca, e si alzò dallo sgabello.

“Te ne vai già, U-chan?”

“Sì, i pierrot hanno bisogno di me. Grazie del bicchiere di vino, Itori. Salutatemi Yomo”

“Lo sai che tanto non risponderebbe” commentò la donna facendolo sorridere.

“Beh, ci vediamo domani. Akemi, passerò anche all’Anteiku... se ti fai trovare là, ti potrò dare la maschera”

“Contaci, grazie”

Uta fece un ultimo cenno di saluto con la mano, poi uscí dal locale dopo aver afferrato il proprio ombrello accanto all’appendiabiti.

“Fortuna che i ghoul non si beccano quegli stupidi malanni umani” commentò Itori, con lo sguardo fisso sulle finestre. Il tempo era davvero terribile da quella mattina, e con il freddo tremendo e la pioggia agghiacciante, gli umani erano impossibilitati a popolare le strade come ogni normale giorno.

“Puoi dirlo. Altrimenti Yomo-san sarebbe già schiattato da un pezzo” rispose l’altra.

“Hey, non dirlo così con leggerezza”

“O questo oppure lo chiamo ‘il bel-” la mano della rossa davanti alla sua bocca non le permise di continuare la frase.

“Sh, potrebbe sentirti”

“Ma che male c’è? Ti sembra uno a cui importi qualcosa?” ribattè la più piccola, guardando la porta che dava sul retro per assicurarsi che l’uomo non fosse ancora tornato.

“No, ma... è una storia lunga, tu non dirlo e basta”

Non passò nemmeno un secondo da quell’ultimo commento della donna che la grande figura di Renji fece capolino dietro di loro. Itori si appoggiò con i gomiti al ripiano del bar, guardando l’amico con un sorrisetto malcelato. Aveva indossato una maglietta verde scuro, con le maniche corte. Il colore non gli si addiceva molto ma l’importante era che fosse asciutta. I capelli erano ancora leggermente umidi ma almeno non gocciolavano dappertutto.

“Non vuoi legarli?” chiese Akemi, indicando con il dito i ciuffi ribelli che minacciavano di finirgli presto davanti agli occhi. Allungò una mano verso di lui, porgendogli un elastico che teneva sempre al polso.

Yomo non guardò nemmeno cosa gli stesse offrendo “Va bene così”

Si sedette sulla prima sedia libera, davanti a Itori. Quest’ultima prese un bicchiere pulito dalla mensola accanto ai liquori e ci versò un po’ di sangue fermentato.

Akemi non distolse lo sguardo dall’uomo mentre lui beveva un sorso di quel poco vino nel bicchiere. Anche lei voleva riuscire a controllare gli occhi da ghoul in quel modo, anzi probabilmente sia Yomo-san che Itori-san non doveva nemmeno pensare a problemi del genere.

La piccola capiva che quei tre che frequentava erano tipi forti: si erano integrati nel mondo umano come se niente fosse, Itori gestiva addirittura un bar in centro alla quattordicesima circoscrizione e Uta possedeva un personale studio artistico. Invece Yomo... beh, a pensarci bene Akemi non sapeva cosa faceva di preciso. U le aveva detto che svolgeva principalmente il “lavoro sporco” per il signor Yoshimura, ma non era riuscita a capire a che cosa si riferisse.

Renji aveva detto che era andato a recimolare viveri... in quel caso, considerando che l’Anteiku era un bar frequentato sia da umani che da moltissimi ghoul della zona, il termine “viveri” doveva per forza signicare “carne umana”.

“Yomo-san... posso farti una domanda?” azzardò la ragazza. Non aveva ancora capito come conversare con un tipo come lui, ma la sua esperienza le aveva insegnato che non c’era maniera migliore per imparare che sbagliare con le proprie mani. Alla peggio, avrebbe ricevuto uno freddo e seccato “no”.

Renji appoggiò il bicchiere di vino tra lui e Itori e alzò lo sguardo sulla ragazza “Dimmi”

Dopo aver sentito i suoi occhi puntati addosso, Akemi non era più tanto sicura di voler parlare, ma si fece forza internamente “Ecco, che hai fatto per ridurti così? Intendo... dove sei andato?”

“All’Anteiku è arrivato un nuovo ragazzo, Kaneki. Visto che Touka era impegnata, Yoshimura mi ha chiesto di portarlo con me al dirupo”

Itori sembrò farsi più interessata al discorso. Sempre con i gomiti appoggiati al bancone, si sporse un po’ in avanti, fino a che il suo viso non fu a un ventina ci centimetri da quello dell’uomo “E avete trovato qualcosa?”

“Sì, uno”

“Buon per noi”

Akemi voleva chiedere una spiegazione, ma Itori si accorse della sua confusione e fu più svelta di lei nel parlare “Yomo si occupa di portare cadaveri a sufficienza per tutti i ghoul che vengono ospitati all’Anteiku. Sai, il signor Yoshimura, l’uomo che fa quel buon caffè che ti piace, ha davvero un animo gentile. Quelli come noi che hanno bisogno di una mano possono sempre contare su di lui. E su Yomo, ovviamente, che fornisce la carne a tutti quelli che lavorano in quel bar”

La ragazza, nonostante il discorso dell’amica avesse chiarito buona parte dei suoi dubbi, non poté che chiedersi come faceva Renji a non farsi pesare tutte quelle morti sulla coscienza.

“Ma... non ti dispiace?” gli chiese, attirando la sua attenzione.

Lui non disse nulla, ma il suo volto era un po’ confuso, come se le parole di Akemi non avesse nulla a che vedere con l’argomento.

Anche quella volta, la rossa sembrò leggere nella mente dell’amica “Oh, aspetta. Non è affatto come pensi. Ren-chan non è mica un assassino” spiegò “Anche se ammetto che potrebbe sembrarlo...” aggiunse con un sorrisetto, mentre con due dita dava un pizzicotto sulla guancia dell’amico.

“Itori! Smettila”

“Uhh, l’omaccione si è arrabbiato, che paura”

“Lasciami in pace” fece, afferrando con decisione il braccio della donna e allontanandolo dal suo volto.

Akemi non se la sentiva di domandare altro, a maggior ragione dopo che Itori aveva fatto innervosire quel tizio grande e grosso con cui aveva timore di parlare. Ma la sua dannata curiosità, come ogni volta, ebbe la meglio su qualsiasi altra emozione.

“Yomo-kun, ma come fai a ottenere della carne senza uccidere gli umani?”

“Quel burrone è la salvezza di metà dei ghoul della ventesima” rispose Itori al suo posto.

“Burrone?”

Renji prese un altro sorso dal bicchiere “È un posto dove vanno coloro che voglionoo suicidarsi. Loro si buttano, muoiono e noi li troviamo”

Ci fu un momento di silenzio.

“Gli umani sono strani” commentò la donna, prendendo il bicchiere ormai vuoto di Yomo e appoggiandolo insieme agli altri sporchi nel lavandino.

“Già”

Akemi puntò lo sguardo sulle proprio mani, appoggiate al bancone. Il fatto che i suoi amici non fossero degli assassini la rincuorava, ma non riusciva a smettere di chiedersi se comunque mangiare degli umani morti in quel modo fosse corretto o meno.

Era da pazzi approfittare così sconsideratamente di uomini che avevano scelto personalmente di morire, al freddo e in solitudine, lontano da cari e dalla propria casa.

Un gesto così folle meritava un minimo di rispetto, si disse.

“Akemi, lo so cosa stai pensando”

La voce di Renji fermò di getto le considerazioni della ragazze, forse un po’ irragionevoli e affrettate.

“Non credere che mi piaccia farlo” disse, freddo come di routine “Ma è la soluzione migliore. In questo modo gli umani non si accorgono di nulla e noi abbiamo qualche morto in meno sulla coscienza”

Era la prima volta che sentiva Yomo-kun parlare così tanto, ma sulle prime non ci fece caso. La sua attenzione si era fermata a “qualche morto in meno”.

“Ehm... scusa, un’ultima domanda” fece Akemi, un po’ timorosa dalla possibile reazione dell’uomo.

“Sì?”

“Hai mai ucciso qualcuno?”

La ragazza non si aspettava che quella domanda creasse tanto disagio. Pensava che Itori sarebbe intervenuta, magari con una piccola battuta di spirito per alleggerire l’acidità di Yomo o per canzonarlo con qualche considerazione maligna nei suoi confronti. Ma nulla di tutto ciò avvenne. La rossa non fiatava, intenta a fissare un punto impreciso oltre le grandi spalle di Renji.

“Certo” disse lui ad un certo punto, spezzando finalmente il silenzio creatosi nella stanza.

“Quante volte l’hai fatto?”

Quella volta Itori si fece notare. Rizzò la schiena, sollevando così i gomiti dal ripiano, e fece il giro del bancone. Quando arrivò dietro Renji, gli appoggiò le mani sulle spalle. Lui non si ritrasse a quel contatto ravvicinato, cosa che sembrò stupire tanto Akemi quanto la stessa Itori.

“Non gli starai chiedendo di contarle tutte, spero” commentò, con un sorriso puro anche se forse un po’ forzato, dato l’argomento delicato.

“Beh, non pensavo fossero così tante”

L’orologio da muro accanto alla porta suonò qualche rintocco, facendo voltare velocemente le due ragazze.

“Sono già le dieci e mezza. Tra poco farà buio pesto, Ake-chan”

“Oh, si hai ragione. Scusate se ho fatto domande scomode”

“Non c’è problema” rispose la rossa, afferrando dall’appendiabiti il cappotto dell’amica. Lei lo prese, ringraziò e se lo mise, allacciando per bene i bottoni fino in cima per coprirsi dal freddo.

“Ti ringrazio della gentilezza. È bello avere un’amica ghoul come te”

Itori le scompigliò leggermente i capelli, in modo affettuoso “Anche per me. Ora però è meglio se vai. Non vorrei che ti capitasse qualcosa tornando a casa, e poi tutta questa dolcezza farà venire le carie a Ren-chan”

“Ah, sí...” rispose lei, con un mezzo sorrisetto.

La donna si chiese a cosa stesse pensando di tanto furbo, ma quando lo capì era già troppo tardi.

Akemi aprí bocca per parlare, e nonostante Itori cercò di fermarla le sue parole si sentirono fin troppo chiaramente “Renji Yomo, Il bello e impassibile”

Nella stanza calò di nuovo il silenzio. La rossa non si mosse, si limitò a guardare il compagno dietro le sue spalle con la coda dell’occhio.

Sapeva che l’aveva sentito. E non appena Akemi se ne fosse andata, lui le avrebbe staccato la testa a morsi.

“Che c’è?” chiese Akemi, come se non si fosse accorta di aver pronunciato quelle parole ad alta voce. Fu lo sguardo terrorizzato di Itori a chiarire tutto.

“Oh cavolacci! L’ho detto davvero” fece un passo verso l’uscita, già pronta per togliere il disturbo “Beh, ciao!” e chiuse la porta dietro di sè. I suoi passi che scendevano le scale erano così veloci e rimbombanti che anche i due rimasti nel locale li sentirono.

La rossa, che si era allontana dall’uomo per mantenere una certa distanza di sicurezza, si schiarì la gola. Renji sembrava sul punto di esplodere ma, dopotutto, con quell’espressione seccata e la mandibola contratta, lui dava sempre quell’idea.

Itori gli si sedette accanto, senza guardarlo “Ehm... giur-”

“Non dire una parola” fece lui, con tono ancora più duro.

“Ma te lo assicuro, non gliel’ho insegnato io”

“Itori!”

La sua voce fredda e pronfonda risuonò contro le pareti del locale.

“Ma-” gli occhi di Ren puntati sui suoi la fecero tacere all’istante.

In pochi secondi, milioni di ricordi le riaffiorarono alla mente: Yomo e Uta che lottavano nella quarta circoscrizione, una delle più pericolose e gremite di colombe anti-ghoul; la prima volta che aveva visto Ren e la sua lenta riconciliazione con i due membri dei Pierrot; tutte le volte che le aveva salvato la vita uccidendo gli investigatori che le davano la caccia.

E infine, il soprannome che gli aveva dato anni prima e che lui aveva sempre odiato a morte: Renji Yomo, il bello e impassibile.

“Ren-chan, devi credermi. Io non c’entro nul-”

“Itori. Zitta”

Nonostante l’amico avesse il capo chino sul bancone e nascosto in parte da alcuni ciuffi di capelli chiari, la rossa lo notò .

Ren-chan, il bello e impassibile, aveva davvero sorriso.

   
 
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