Mio padre conosce bene la strada,
mi precede. La porta la apre una
donna anziana.
"Buongiorno Miss Hudson. Le ho
portato un nuovo
inquilino." Si scosta e la signora mi sorride, mi abbraccia piena di
entusiasmo. Non me lo aspetto e sono rigido, sembro scortese.
"Così tu sei
Sherrinford! Figliolo ti troverai bene qui.
Salite vi aspettano."
Salgo una stretta scala interna, mi
ritrovo con mio padre in una stanza
piena di oggetti. Ingombra, di qualsiasi cosa, che però
è pulita. Intravedo un
caminetto con due poltrone. Si alza un uomo magro vestito di nero con
una
candida camicia bianca senza cravatta.
Assomiglia
a mio padre, anche
un po' a me.
"Bene, quindi tu sei mio nipote
Sherrinford. Sono lieto di
conoscerti." Ha il volto simpatico,
un sorriso aperto, mi
tende la mano,
mentre tremo quando
la allungo, ma lui
fa finta di niente e già mi piace il suo modo di fare.
Mio padre va verso un tipo con i
capelli castani, dentro la
cucina. Deve essere il dottore che si occuperà di me,
perché gli consegna la
lettera del suo amico medico, quello della clinica costosa. Lo
fissò
preoccupato. Spero non sarà il solito tizio saccente e
irritante.
"Tranquillo Sherrinford, il dott.
Watson è una persona
comprensiva, devi avere fiducia." Lo zio sembra leggermi dentro, mi
sorride bonario poi mi trascina sulla poltrona e mi ci spinge dentro.
"Lascia che tuo padre parli con
John. E tu rilassati
figliolo. Capisco che ci vedi per la prima volta, ma andrà
tutto bene finchè
non arriverà Rosie." Lui ride vedendo la mia faccia
incredula.
"Rosie, la figlia del dottore? Ma
perché? E' così
vivace? Quanti anni ha?"
"Quattro intensi anni figliolo, e
vivace non esiste per
definire Rosie. Lo vedrai." Lui ridacchia e io mi preoccupo un
pò, perché
i bambini mi piacciono, ma molte volte non so come comportarmi. Anche
se
all'istituto ne avevo visti tanti, abbandonati e soli.
Mi giro e guardo mio padre
parlottare con John, vorrei sentire
quello che dicono , ma sembrano complici.
"Sherrinford, per Dio stai sereno!"
Sherlock mi appoggia
una mano sul ginocchio. Ha visto il mio disagio. Tento di nascondere le
mani
tremanti in tasca.
"Ne hai abusato parecchio di quella
roba, vero ragazzo?
Dovevi controllarti, non lasciarti andare. L'ho usata anch'io, ma nel
modo
giusto, ero la disperazione di tuo padre."
"Mycroft ti controllava? E
perché?" Sono curioso,
Mycroft è un tipo freddo.
"Diciamo che tuo padre ha una certa
attitudine a protegge la
sua famiglia. Non credo te ne libererai facilmente."
Sorride mentre mi stringe il ginocchio, poi
si porta le mani giunte sotto al mento.
Mi sento in
pericolo, in
vicolo cieco. Non mi piace parlare di quanto e di come mi "facevo".
Il guaio è che ho scoperto di aver compromesso il mio cuore.
Un vero colpo di
fortuna, adesso che ho una famiglia.
"Comunque zio, non credo che ci sia
un modo giusto per
usarla. Io stavo male e mi serviva."
Lo zio mi fissa strano. Lui
è bravo a capire deduce, a volte lo
faccio anch'io
"Starai bene Sherrinford, se ci
ascolterai ne uscirai. Ora
metti tranquillo. Non voglio sapere altro, me lo dirai tu quando sarai
pronto."
Annuisco, tolgo le mani dalle
tasche e sorrido debolmente. Intanto
osservo la stanza ingombra di carte e piccolo giochi da bambina. Alcune
bambole
sono finite vicino ad un teschio che fa bella mostra sul camino.
"Sherrinford vieni a conoscere il
dott. Watson. E' lui che si
prenderà l'incarico di seguirti."
Mycroft mi chiama dalla cucina,
stanno ancora guardando la
lettera. Guardo due
secondi lo zio, che
scuote il capo approvando.
Mi alzo e li raggiungo titubante.
Il compagno di mio zio mi
allunga la mano, sembra gentile.
"Quindi Sherrinford, sei il figlio
di Mycroft e nipote di
Sherlock. Ci voleva un altro Holmes in giro per Londra." John ride
vedendo
la mia faccia scura. Così aggiunge calmo.
"Non ti farò nulla
giovane Holmes, non avrai paura di me?
Sono un medico, ma soprattutto un amico."
Anche mio padre sorride, poi ripone
la lettera su tavolo. "Fa
quello che ti dice Watson, figliolo
e presto starai meglio."
Il dottore mi prende per il braccio
e mi fa sedere al tavolo della
cucina. Mi legge la lettera, mi dice quello che dovrò fare.
Ascolto, mentre guardo
mio padre allontanarsi e sedersi
dal
fratello. John Watson se ne accorge.
"Non ci conosciamo ragazzo, ma devi
solo avere fiducia. Tu fa
quello che ti dico e andremo d'accordo. Non sgarrare Sherrinford, hai
tirato la
corda fino al limite." Abbasso la testa, non so cosa dire e cerco con
gli
occhi mio padre. Lui
mi prede la mano. "Non
pretendere troppo da Mycroft, non è
mai stato una persona piena di slanci di affetto. Ma è leale
e ti seguirà da
oggi e per sempre. Come ha sempre fatto con suo fratello. Ha un modo
tutto suo
di voler bene. Che non ammetterà mai."
Lo capisco, l'ho già
percepito, guardo dritto negli occhi John,
non posso chiedere altro per adesso.
"Bene figliolo, per la tua cura ci
penserò io. Tu prendi le
medicine che devi. Tre volte al giorno delle compresse prima di
mangiare. E una
iniezione un po' più impegnativa una volta la settimana. Se
ti fanno stare male
devi dirmelo. Qualsiasi cosa ti succeda devi parlarne."
Io sono già teso, nascondo
le mani che tremano di nuovo.
"Vedo che ti spaventi parecchio
Sherrinford, ti fai prendere
dall'ansia. Vedremo di mitigare i tuoi attacchi di panico."
"Non vado in panico, sono solo
nervoso!" Gli rispondo
irritato, non voglio che mi prendano per un debole ragazzino stupido. Qui
"Bene, allora devi cercare di stare
sereno. Vado a prendere
mia figlia a scuola. Dovrai convivere con Rosie
non ti risparmierà nulla Sherrinford.
Preparati." Ride e
mi dà una pacca
sulla spalla. Io lo guardo torvo.
John si alza e mi lascia
lì con la testa confusa. Mi alzo e
metto la lettera sopra alla credenza. C'è di
tutto in quella casa. Dio, sembra la casa di mio padre a Pall Mall.
Dove regna
l'ordine assoluto.
Giro un po' per la stanza, con le
mani in tasca, ho una gran
voglia di andarmene, non riesco a prendere le misure a questa nuova
situazione.
Ero sempre solo, ora tutta quella confusione mi turba. Ho quasi voglia
di
"farmi". Ma mi ucciderebbe, devo calmarmi. Così gironzolo
senza meta..
Raccolgo dei libri di favole da terra.
John
mi passa davanti ed
esce salutando tutti. Io
non so cosa
fare. Poi mi avvicino ai due nuovi parenti. Che mi intimano di fare
qualcosa.
"Sherrinford libera quella poltrona
piena di libri e mettila
qua." La vedo è in un angolo, la svuoto e la trascino vicino
a loro.
"Fratellino ora sono tre le
poltrone, come gli Holmes di
questa casa."
"E’ anche di Watson, non
scordartelo che fa parte della
famiglia." Mio padre abbozza un mezzo sorriso.
Sono sorpreso, si stuzzicano. Non
capisco sono fratelli, lo trovo
un comportamento bizzarro.
Li osservo, mio padre che tormenta
l’ombrello e Sherlock sprofondato nella
poltrona con le
mani giunte sotto il mento. Mi stringo le spalle,
temo di essere capitato in una famiglia
difficile.
"Sherrinford non farti troppe
domande per adesso, non fare
quella faccia sconvolta. Capirai col tempo, sappi che ora il nostro
rapporto è
molto migliorato." Mio padre ha parlato in modo glaciale, ma Sherlock
si
gira e mi fissa divertito.
Io balbetto.
"Mi
immagino come poteva essere prima. " Lo dico serio, ma poi mi rassereno
vedendo mio padre ridere. "
Ti deve
sembrare tutto così strano figliolo, non stupirei se volessi
andartene a gambe
levate." Smette di
accanirsi
sull’impugnatura.
Sono perplesso, però
accetto la nuova situazione, meglio che essere soli e al freddo.