Serie TV > Vikings
Ricorda la storia  |      
Autore: Abby_da_Edoras    21/12/2020    12 recensioni
Eccoci arrivati all'undicesima OS che la quinta stagione di Vikings mi ha ispirato... ma presto inizieranno quelle ispirate alla sesta per cui poveri voi! XD XD XD Il mio pairing, come già sa chi mi segue, è Hvitserk/Aethelred, una OTP inventata da me ma a cui tengo con tutto il mio cuore. I vichinghi si stanno preparando per tornare a Kattegat, il momento è giunto e Aethelred... beh, prima di lasciare per sempre la sua terra fa una passeggiata nei luoghi in cui è cresciuto e si rende conto del fatto che in realtà non ha gran bei ricordi del luogo che sta lasciando e che spera di costruire davvero una vita più felice a Kattegat con Hvitserk!
Grazie a tutti coloro che seguono queste storie, che amano i miei personaggi, che commentano o anche solo leggono.
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, autori e produttori della serie TV "Vikings".
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Hvitserk
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'L'amore non ha fine '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

The undiscovered land

 

Now my hand have been chained to the wheel for so long
I have seen all my fellows drown
But I cannot forget what they have done to me
I am breaking my cage and run

To the sun, to the oceans
To a land I have never discovered
There I will go, there is my hope
To find some peace someday…

(“The Undiscovered Land” – Xandria)

 

Ubbe si era finalmente ripreso quel tanto che bastava per alzarsi dal letto e così, un bel giorno, Alfred decise di accompagnare i suoi amici vichinghi a visitare la colonia che stava nascendo nelle terre dell’Anglia Orientale, nella quale adesso si sarebbero stabiliti anche i Danesi che avevano stretto l’accordo. Quella sarebbe stata una terra pacifica, in cui i vichinghi avrebbero convissuto tra loro e con i Sassoni, senza più bisogno di razziare, combattere e depredare.

Il sogno di Ragnar si era finalmente realizzato e una grande soddisfazione risplendeva sui volti di tutti i presenti.

“Ecco” disse Alfred, rivolgendosi ai Re Danesi e anche agli altri amici vichinghi, “in questa terra voi potrete vivere in pace con le vostre famiglie. I vostri dei e il mio Dio benedicano questa colonia e tutti coloro che vi abiteranno!”

“Saremo felici di stabilirci qui” replicò sorridendo uno dei due sovrani. “In realtà noi siamo un popolo pacifico e laborioso, abbiamo iniziato a razziare solo per poter avere più terra per la nostra gente, e adesso ce l’abbiamo. Insomma, non siamo i selvaggi che pensate!”

Molti risero alla battuta, altri erano così felici e commossi per ciò che stava accadendo in quel momento che sarebbe passato alla storia da non riuscire a dire niente.

Ubbe e Torvi si presero per mano e si scambiarono uno sguardo d’intesa. Erano contenti che Alfred avesse nominato sia il suo Dio che i loro dei, perché Ubbe aveva capito di non poter più fingere di essere un cristiano: aveva rivelato alla moglie che, durante il duello contro il re danese ribelle, aveva invocato Odino e Thor e tutti i suoi dei e che erano stati loro a farlo vincere. Non era giusto né per lui né per Alfred che continuasse a portare la croce al collo, lui era un vichingo e credeva negli dei del suo popolo.

Ma Alfred sembrava averlo accettato e non aveva chiesto ai nuovi coloni di convertirsi.

“Mio fratello sta dimostrando sempre di più di essere il Re migliore per il Wessex” disse Aethelred a Hvitserk. “Mi dispiace doverlo ammettere, ma la Regina Judith aveva scelto bene. Sassoni e vichinghi vivranno in pace, lavorando insieme, collaborando e ognuno potrà seguire Dio o gli dei norreni, come desidererà. Penso che questo luogo diverrà il primo di molti, ma sarà stato tutto merito di Alfred se questo processo è potuto iniziare.”

Hvitserk gli circondò le spalle con un braccio e lo strinse a sé.

“Sono sicuro che avresti saputo fare lo stesso, ma sono contento che non sia tu il Re del Wessex, perché adesso, finalmente, posso portarti con me a Kattegat!” disse con un sorriso. Si sentiva molto, molto felice. Sarebbero partiti per Kattegat a giorni e avrebbero lasciato un Wessex molto diverso da quello che avevano trovato: una terra di pace, in cui Sassoni e vichinghi sarebbero pian piano diventati un unico popolo.

Quello era stato il sogno di suo padre Ragnar e adesso anche lui lo comprendeva. Anche quello era uno dei motivi per cui si rimproverava di aver seguito Ivar, Ivar che non aveva mai voluto la pace e che, anzi, voleva tornare in Inghilterra per razziare ancora e conquistare York. E lui era stato tanto sciocco da ascoltarlo… ma ora avrebbe rimediato.

Pochi giorni dopo tutto era pronto per la partenza, i vichinghi stavano caricando le navi, i soldati si addestravano, c’era un clima di grande fermento e aspettativa. Del resto, Bjorn e i suoi avevano tutte le ragioni per essere ottimisti: la primavera si avvicinava e, quindi, la traversata non sarebbe stata ostacolata da tempeste e uragani; il loro esercito era forte e ben armato e, in aggiunta, potevano contare sugli uomini di Re Harald, sulle truppe Sassoni concesse da Re Alfred e addirittura anche su un contingente di Danesi che avevano deciso di combattere al loro fianco per ricambiare così il dono fatto alla loro gente da Ubbe, la possibilità di convivere pacificamente nelle terre dell’Anglia Orientale. Insomma, pareva proprio che Ivar si sarebbe trovato ad affrontare un’armata senza precedenti e la sua sconfitta era certa… nonostante lui fosse convinto di essere un dio!

La partenza era stata fissata per il mattino successivo e quell’ultimo giorno Aethelred lo trascorse andando a salutare il fratello e la sua sposa e camminando senza una meta per le vie della città e i boschi e i campi circostanti. Non riusciva a capire esattamente come si sentisse. Sapeva che non avrebbe avuto nostalgia del Wessex, in fondo non era mai stato veramente felice in quei luoghi e in quella reggia. Avrebbe sentito la mancanza di Alfred, certo, così come ogni giorno la sentiva di suo padre… ma non aveva nessun ricordo davvero positivo della sua infanzia o della sua adolescenza. In quel momento più che in qualsiasi altro si rese conto di non aver costruito niente in tutta la sua vita, forse per colpa sua, della sua inettitudine, o forse perché nessuno gli aveva mai dato veramente fiducia e, anzi, era stato ostacolato in ogni modo da una madre fredda e anaffettiva. In realtà si era sempre sentito fuori posto, come se la sua presenza fosse tollerata a stento soltanto perché era il figlio e il nipote del Re.

Era quasi buffo… ripensandoci adesso, a mente fredda e dopo tutto ciò che era accaduto, capiva che la sua vita non era stata normale nel senso più comune del termine, ma lui non lo comprendeva e, anzi, pensava che fosse giusto così, che lui meritava di subire quelle che, solo adesso lo riconosceva, erano mortificazioni e umiliazioni che di certo un Principe non avrebbe mai dovuto accettare. Era ancora un bambino quando si era accorto che sua madre Judith non lo amava. Non lo stringeva mai tra le braccia, non lo baciava, non era mai affettuosa con lui, mentre il piccolo Alfred aveva tutte le sue attenzioni e le sue coccole. Aethelred credeva che fosse normale, in fondo Alfred era più piccino, era fragile e spesso malato ed era giusto che la madre si dedicasse a lui e a lui soltanto. Suo padre Aethelwulf gli voleva bene, certo, ma non c’era quasi mai, era sempre impegnato in qualche battaglia e Aethelred ricordava giorni tristi che non passavano mai, lunghi pomeriggi in cui rimaneva solo, in cui si sentiva vuoto e allora trascorreva ore ad addestrarsi con la spada e la lancia per mostrare al padre, quando fosse finalmente tornato, che il suo piccolo guerriero aveva imparato qualcosa di nuovo.

Ricordava che suo nonno, Re Ecbert, gli rivolgeva a malapena la parola, mentre chiedeva sempre ad Alfred di seguirlo nella sua biblioteca e là gli mostrava i manoscritti più preziosi che possedeva e gli raccontava tantissime cose, gli parlava come se, fin da allora, avesse già deciso che il futuro Re sarebbe stato lui. Rammentò la delusione fortissima provata il giorno in cui Re Ecbert mandò Alfred a Roma a conoscere il Papa. Non riusciva a capire perché non potesse andare anche lui con Alfred, in fondo era lui il primogenito e Alfred era debole e avrebbe potuto ammalarsi durante il viaggio e… ma il nonno era stato irremovibile e, anzi, aveva detto qualcosa a proposito del fatto che Sua Santità avrebbe benedetto Alfred perché era speciale e destinato a grandi cose.

Sì, probabilmente fin da allora suo nonno e sua madre avevano deciso che Alfred sarebbe stato Re. Chissà, forse avevano addirittura sperato che suo padre perdesse la vita in qualcuna delle sue innumerevoli battaglie! Già, perché Aethelred aveva capito ben presto che, così come Judith e Ecbert non amavano lui, non amavano nemmeno suo padre Aethelwulf. Ecbert non perdeva occasione per rimproverarlo o per sminuire ciò che diceva e faceva; Judith, poi, gli era apertamente ostile e cercava di evitarlo il più possibile. Solo quando era già adolescente Aethelred aveva scoperto la verità: Ecbert non aveva mai amato suo figlio e Judith nemmeno. Il Re aveva un giovane amico, un monaco di nome Athelstan, che ammirava moltissimo e che avrebbe voluto fosse il suo vero figlio; dal canto suo, Judith aveva avuto una storia con il monaco e Alfred era nato proprio da quell’adulterio. Ma, invece di condannare l’atto peccaminoso e ciò che ne era il frutto, sia Ecbert che Judith lo avevano visto come una risposta alle loro preghiere: Alfred rappresentava una parte di Athelstan e per questo era divenuto da subito il prediletto di entrambi. Tutto quello che era accaduto dopo era semplicemente una conseguenza di questa predilezione.

Ovviamente Alfred non aveva colpa alcuna, non aveva fatto niente per farsi amare di più e di certo non era stato lui a chiedere una nascita illegittima, per questo Aethelred non era mai stato geloso o invidioso di lui, aveva accettato di venire ignorato o umiliato pensando in fondo di meritarselo, perché non aveva saputo farsi amare nemmeno da chi lo aveva messo al mondo.

Le riflessioni malinconiche di Aethelred vennero interrotte da una voce allegra.

“Ehi, finalmente ti ho trovato, ho girato dappertutto!” fece Hvitserk, scherzoso. “Ti sei nascosto per non dover partecipare ai preparativi per la partenza?”

Aethelred si volse verso il giovane vichingo e sorrise. Ogni pensiero triste, come per magia, spariva quando Hvitserk era con lui, quel ragazzo gli illuminava veramente la vita.

“No, non mi stavo nascondendo, stavo dicendo addio ai luoghi della mia infanzia e adolescenza. In fondo io sono vissuto sempre qui, non ho mai viaggiato e per me sarà un grande cambiamento” spiegò il Principe.

Hvitserk si rabbuiò.

“Ti sei pentito della tua scelta? Guarda che lo capisco, questa è la tua terra e la tua gente e…”

“Nemmeno per sogno” replicò deciso Aethelred, interrompendo il vichingo. “Anzi, mi stavo rendendo conto del fatto che io non ho ricordi belli di questi luoghi, o perlomeno pochissimi: qualche addestramento con mio padre, la prima battaglia a York… tutto qui. Non sono stato un bambino felice, ero sempre da solo. Mia madre teneva sempre Alfred con sé e così io non potevo nemmeno giocare con lui. Se non era mia madre era mio nonno, entrambi tutti presi a vezzeggiare, coccolare e guidare Alfred… e io non esistevo. Mio padre era l’unico che si interessasse a me, ma non c’era mai, era sempre a combattere da qualche parte.”

Hvitserk si avvicinò al suo Principe. Adesso capiva perché, fin dal primo istante in cui l’aveva conosciuto, era rimasto colpito dal suo sguardo azzurro e profondamente triste. Riusciva a malapena ad immaginare cosa significasse crescere tutto solo in una reggia ostile. Era vero, anche sua madre Aslaug era totalmente assorbita da Ivar e aveva trascurato lui e i suoi fratelli, e il padre Ragnar era sempre via per qualche conquista o razzia… ma lui aveva avuto Ubbe e Sigurd e anche gli altri ragazzi del villaggio, era cresciuto giocando con i suoi fratelli e facendo a botte con i monelli di Kattegat. Tutto sommato la sua era stata comunque un’infanzia spensierata, mentre Aethelred…

“Quindi no, non ho nessun rimpianto e il Wessex non mi mancherà. Probabilmente ci saranno dei momenti in cui mi sentirò a disagio con le tradizioni di Kattegat, ma spero di potermi sentire, finalmente, parte di una vera famiglia” disse il Principe. “Non so se sarò in grado di farmi accettare, spesso ho pensato che fosse colpa mia se mia madre e mio nonno non mi volevano bene, ma…”

“Tu sei già parte della nostra famiglia e lo sarai sempre, e soprattutto farai parte della mia vita!” esclamò Hvitserk, abbracciandolo pieno di entusiasmo. “E non devi nemmeno pensare che possa essere colpa tua se quella Regina pazza e quel Re ipocrita non ti hanno amato! Tutti ti vorranno bene a Kattegat e ti rispetteranno perché sei un grande guerriero e io… beh, io ti amo e voglio stare sempre con te.”

La dichiarazione spontanea e semplice di Hvitserk fece arrossire Aethelred fino alla radice dei capelli, ma non ebbe tempo di dire niente perché il giovane vichingo lo strinse ancora di più a sé e lo baciò per un tempo infinito.

Quando si staccarono da quel bacio, i due amanti si misero seduti sul prato a guardare la città davanti a loro.

“Io riesco a capire i tuoi dubbi, sai?” ammise Hvitserk, anche lui diventato improvvisamente pensieroso. “Nemmeno io sono del tutto sicuro di essere accettato a Kattegat. Là mi ricordano come quello che ha tradito i suoi fratelli e si è schierato con Ivar, e che poi ha cambiato di nuovo idea. Probabilmente molti mi considerano un traditore e anch’io, per tanto tempo, mi sono sentito così. Non importa che Ubbe e Bjorn mi abbiano perdonato e accolto tra loro come se niente fosse, io non dimentico di averli abbandonati nel momento del bisogno…”

Anche Hvitserk, nonostante apparisse sempre allegro e schietto, aveva delle preoccupazioni e dei sensi di colpa che non lo lasciavano in pace. Aethelred si sentì molto triste per lui, ma pensò di lasciarlo parlare, che gli avrebbe fatto bene sfogarsi.

“Per molto tempo ho pensato a cosa gli dei volessero da me. Questo non per sfuggire alle mie responsabilità, sarebbe troppo facile dire che ho tradito Ubbe perché lo volevano gli dei, ma io cercavo di capire, di scoprire il mio ruolo in tutta questa faccenda” riprese il vichingo. “Ivar mi ha maltrattato, mi ha umiliato, insultato e mortificato anche pubblicamente, eppure io non reagivo e credo che non avrei mai preso la decisione di voltargli le spalle se lui non avesse fatto uccidere Margrethe e non avesse minacciato di uccidere anche me. Sono scappato perché ero ormai disgustato da Ivar, ma non posso dimenticare che per tanto tempo gli sono stato accanto…”

Era doloroso, per Aethelred, vedere Hvitserk tanto tormentato. Istintivamente, il Principe si avvicinò a lui e gli circondò le spalle con un braccio per fargli sentire che lui era lì, che non lo giudicava, che gli sarebbe stato vicino qualsiasi cosa avesse scelto di fare.

“Adesso ho capito che posso rimediare al male che ho fatto seguendo Ivar e forse questo era il mio destino fin dal principio. So che dovrò essere io a uccidere Ivar, sarò io a farlo e sarà così che riparerò ai danni e agli sbagli che ho commesso” concluse Hvitserk, deciso.

Aethelred rimase sbigottito.

“Ma… ma come puoi dire questo? Perché devi prenderti tu una responsabilità così importante? Non è giusto, non devi esporti ad un pericolo simile” protestò. “Combatterai contro Ivar e i suoi uomini, certo, e magari potrai essere tu a dare il colpo di spada decisivo, ma non devi rischiare. Se è veramente destino che tu lo uccida te lo troverai davanti in battaglia, altrimenti sarà qualcun altro a eliminarlo.”

“No, dovrò essere io, comunque vada” ribadì Hvitserk, convinto. “Dovrò uccidere Ivar a qualsiasi costo, altrimenti non riuscirò mai a perdonare me stesso.”

“E allora tutto quello che mi dicevi, che avremmo vissuto in pace a Kattegat, che mi avresti portato a vedere il Mediterraneo? Tutti i progetti che avevi non contano più niente? Vuoi rischiare di lasciarmi da solo in una terra straniera?” Aethelred era invaso da un gelido terrore alla prospettiva di perdere Hvitserk.

“Non ho cambiato idea, faremo esattamente tutte le cose che ho detto” sorrise il giovane, “ma prima dovrò uccidere Ivar.”

Aethelred sapeva benissimo che la sua vita dipendeva da quella di Hvitserk, che ormai i loro destini erano legati per sempre e che non avrebbe avuto più alcuna ragione di andare avanti se lo avesse perduto. La disperazione del Principe si trasformò in determinazione, fissò lo sguardo in quello del vichingo e avvicinò il volto a quello di lui.

“Allora lo faremo insieme” dichiarò. “Tu mi sei stato vicino, mi hai aiutato e incoraggiato, sei stato la mia forza e mi hai salvato la vita. Adesso tocca a me. Non sarai solo in questa impresa. Se il tuo destino è uccidere Ivar, io sarò al tuo fianco. Lo faremo insieme.”

Hvitserk rimaneva sempre piacevolmente stupito quando Aethelred riusciva ad ammettere i suoi sentimenti e gli faceva sentire la sua vicinanza e il suo amore. Gli si illuminò lo sguardo e sorrise di nuovo.

“Va bene” disse, “lo faremo insieme. E poi potremo iniziare la nostra nuova vita uniti per sempre.”

Suggellando ancora una volta quell’unione, il giovane vichingo baciò Aethelred, stringendolo in un abbraccio caldo e affettuoso. Entrambi riversarono in quel bacio i dolori passati e le preoccupazioni e le speranze per il futuro, cercando l’uno nell’altro la forza per andare incontro a ciò che li attendeva. I loro destini erano intrecciati come i loro corpi e le loro anime e insieme avrebbero affrontato qualsiasi avversità.

 

FINE

 

 

 

   
 
Leggi le 12 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Vikings / Vai alla pagina dell'autore: Abby_da_Edoras