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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    22/12/2020    1 recensioni
[Spin-off di "Nei giardini che nessuno sa"]
Poteva quasi sentire le sue parole non dette.
È il tuo allievo, è di te che ha bisogno ora, non di me.
Poteva crederci o avrebbe rischiato di fargli ancora più male?
Genere: Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Gold Saints, Scorpion Milo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Nei Giardini Che Nessuno Sa'
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FandomSaint Seiya
RatingVerde
Personaggi/PairingGold Saint, Camus, Milo, Hyoga.
TipologiaOne-shot
Genere: Sentimentale, Hurt/Comfort
NoteOne-shot spin-off della mia “Nei Giardini che Nessuno Sa”
DisclaimerPersonaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono.

Auguri a  Jinny di buone feste, buon Jule e tutto il corollario. Hyoga paperottolo tutto per te. Ti dedico questo parto e spero che questa dedica sia una sorpresa gradita. Ti voglio bene.

§§§§

'CAUSE I'M GOING TO MAKE THIS PLACE YOUR HOME

La notte si protraeva, la fiamma azzurra del Toro si stava lentamente spegnendo sulla Meridiana dello Zodiaco mentre il Santuario intero, silenzioso e pacifico, veniva pattugliato da poche manciate di soldati semplici, la maggior parte dei quali posizionati intorno alla Tredicesima Casa a protezione della Dea, appena tornata nella Terra Santa dopo mesi di attesa spasmodica successiva alla fine della Guerra contro l’esercito di Hades. 

Atena era tornata nella sua Terra e le voci successive al suo ritorno erano corse veloci di bocca in bocca: Atena era tornata, con lei c’era uno dei Bronze Saint e anche gli altri Bronze erano ancora vivi e sulla via della guarigione in Giappone.

Il Nobile Shion, che aveva ripreso il proprio ruolo di Gran Sacerdote, aveva parlato brevemente con il facente funzione comandante dei soldati semplici e lui non aveva perso tempo: voci basse ma agitate discutevano tra le colonne di marmo nella fredda oscurità appena appena ingentilita dalla luce della Luna e la speranza e l’ottimismo avevano ricominciato a circolare.

Dopo il colloquio con i Gold Saint e accompagnata da Nachi, la stessa Atena si era ritirata insieme a Shion in una delle stanze che erano rimaste per anni vuote: esausta per il viaggio e per le energie che ancora non le erano tornate del tutto dopo aver riportato in vita i suoi guerrieri, la Dea aveva fatto cercare Marin con la richiesta di farsi trovare ai piedi del Santuario all’alba e aveva salutato i convalescenti, promettendo loro che presto sarebbero tornati con gli altri Bronze Saint.

Fu dopo una mezz’ora circa dal congedo di Atena che Milo tentò di alzarsi dal proprio letto; il greco sentiva il viso avvampare per la febbre ancora alta e, per qualche istante, la testa gli girò a tal punto che quasi ricadde sul materasso umido; ma riuscì all’ultimo a riprendere controllo del proprio corpo e, dopo qualche istante, decise che poteva tentare di nuovo di muoversi nella Prima Infermeria appena illuminata dalle lanterne a olio - attenuate al massimo per non recare disturbo ai Gold Saint che lì erano ricoverati -.

Seppur affaticato, Scorpio mosse qualche passo incerto verso il giaciglio a meno di due metri dal suo e, toccando Camus sulla spalla, ne attirò l’attenzione.

Milo era sicuro che non si fosse nuovamente addormentato – da quando la Dea aveva preso congedo nessuno dei compagni aveva ripreso sonno e ognuno di loro era immerso nei propri pensieri – e difatti, quando questi si fu voltato, ne vide gli occhi rossi splendere per le lacrime che tuttavia non riuscivano a cadere lungo le guance, tanto era il controllo che Aquarius riusciva a esercitare sulle proprie emozioni, anche quelle più devastanti e – normalmente - incontrollabili.

Senza dire nulla, Scorpio sollevò la coperta di lana ruvida e si sdraiò sul basso materasso di paglia asciutta prima di cingergli il corpo magro con le braccia; nascose quindi il proprio viso tra i capelli di Camus, lasciando quest’ultimo a rannicchiarsi contro di lui.

“Hyoga…” mormorò Aquarius con un filo di voce.

Per tutta risposta, Milo lo strinse più forte: “Sta bene, Camus. Quel pulcino ha la pelle dura, e anche gli altri marmocchi.”

“Non sono più bambini da tempo, Milo.” sussurrò il compagno: Ci hanno visti morire, hanno affrontato la Morte più volte di quante noi potremmo dire di aver fatto… Sono fin troppo adulti.” gli fece notare lui con una nota di amarezza e dolore nella voce.

“Forse.” concesse Scorpio: “Ma ricordo un bambino correre incontro al proprio Maestro con la gioia di un figlio che rivede il padre… Ricordo un ragazzo piangerlo tante volte… Mentalmente saranno adulti, ma emotivamente sono ragazzi che non hanno radici e che si sono aggrappati agli adulti attorno a loro con la forza della disperazione dei naufraghi in mezzo al mare. Hanno bisogno di noi più di quanto vogliano ammettere. E io voglio esserci.”

“Milo ha ragione.”

Dal letto accanto, spuntò la chioma bionda e spettinata di Kanon, il quale si puntellò sul gomito per stare dritto. Nonostante il dolore alle costole, il secondo Gemini concentrò l’attenzione sui due compagni più anziani; aveva gli occhi arrossati e il pallore del suo viso faceva a pugni con i pesanti segni neri attorno alle orbite ma si sforzò di restare lucido: “Li ho visti, i marmocchi… Non erano per niente in forma mentre li vedevo scappare intanto che affrontavo Rhadamantis.”

A Kanon sfuggì un sibilo di dolore per un movimento brusco ma si affrettò a rassicurarli con un gesto della mano prima di proseguire a parlare: “Era una guerra, è vero, ma quei ragazzi erano conciati molto male, erano a pezzi – emotivamente e fisicamente -.”

“Atena ha scelto di non dirci nulla, ma chissà quanto deve esserle costato…” intervenne Camus mentre si sforzava di tenere gli occhi aperti.

Dohko alzò la testa da un punto a pochi passi dal letto di Kanon e guardò i compagni senza però aggiungere nulla.

“Tra poche ore partirete, comunque.” il secondo Gemini si spostò un po’ di più verso Scorpio e Aquarius: “A quei marmocchi farà piacere vedervi.”

“Però poi portateli qui.” si udì dire da Aldebaran, la cui voce bassa proveniva dall’altra parte della stanza: “Voglio vedere coi miei occhi quel moccioso di Seiya e tirargli le orecchie.”

“Probabilmente finiresti per strappargliele.” puntualizzò Kanon con aria torva: “Però sì, vederli non sarebbe una brutta idea.”

“Atena ha detto che li porterà qui non appena saranno nelle condizioni per viaggiare perciò presto potremmo rivedere quelle facce da schiaffi.”

“Che modi sono, Death Mask?”

Cancer rispose al rimprovero di Capricorn con uno sbuffo irritato ma nella stanza si diffuse un mormorio di assenso generale, decisamente nessuno aveva ripreso sonno; e tuttavia, l’atmosfera era molto più leggera di quanto non lo fosse stata nell’ultimo mese, più rilassata, come se fosse caduto uno spesso velo che copriva la luce.

“Adelfos, che succede?”

Aiolia, con voce roca, si rivolse al fratello maggiore, corrucciato intanto che stava sdraiato sul giaciglio accanto al suo; Aiolos non rispose subito ma si limitò a fissare per qualche minuto il soffitto in pietra; quando finalmente la sua voce, seppur bassa ma autorevole – nessuno, neppure Saga, era capace di ignorarla -, si fece udire nella sala, fu per dire tre semplici parole: “Li porteremo qui.”

Tutti si ammutolirono ma anche senza esplicarlo a voce erano concordi con Sagittarius.

“È davvero tempo che questa storia finisca e che fratelli e amici si riuniscano. Che la Grecia riaccolga i suoi figli esiliati da lotte… da lotte intestine… da lotte fratricide.”

Saga era stato sdraiato accanto a Kanon su esplicita richiesta di Atena quando erano stati riportati in vita e in quei mesi di convalescenza aveva tratto conforto dalla sua vicinanza mentre erano ancora incoscienti e potevano soltanto sfiorarsi e toccarsi con i Cosmi. In quelle settimane da quando si erano risvegliati, sempre più spesso si erano ritrovati a sussurrarsi vicendevolmente richieste di perdono tra le lacrime, avvolti dalle ombre della notte e con le mani strette; e anche in quel momento, la sua presenza era ciò che lo teneva ancorato alla realtà, che gli permetteva di riflettere e andare oltre il rammarico e il disgusto per se stesso.

Ed era pensando a lui… pensando ad Aiolos, ad Aiolia… A tutti quelli che avevano sofferto per causa sua che aveva pronunciato quelle parole con un filo di voce; era pensando ai corpi martoriati dei Bronze bambini che aveva pronunciato quelle parole come se fossero state una supplica, una preghiera.

Aiolos girò la testa verso l’amico più caro della sua vita, verso quel compagno che aveva amato con fierezza e tenerezza fin dal primo giorno - e per il quale aveva pianto sia in vita che nella morte per l’oscurità che l’aveva ghermito -, e gli rivolse il sorriso più caldo che poteva, un sorriso che voleva essere assoluzione e conforto, amicizia e amore; poi, seppur a fatica, si puntellò con il gomito per mettersi dritto e lo guardò negli occhi, come se volesse scrutargli l’anima.

“Siamo guerrieri, Saga.” Aiolos esitò per un attimo, come se faticasse a trovare le parole giuste per affrontare quel discorso, ma poi si riprese e nei suoi occhi riapparve una scintilla di luce che Saga disperava di vedere ancora: “Ma siamo anche esseri umani… E vederli soffrire così è stato difficile per tutti. Per alcuni sono nostri fratelli, per altri nostri figli… In una maniera o nell’altra, siamo una famiglia; magari non legata dal sangue, ma non sempre è il sangue a fare una famiglia. E questa è casa loro.”

Un mormorio di assenso percorse la sala.

“Ci siamo puntati i coltelli alla gola.” il tono di Gemini era basso e colmo di rammarico ma si sforzò di continuare: “Non c’è giustificazione a ciò, e non cerco… redenzione. Tuttavia, non voglio sprecare questa seconda possibilità. Riportiamo i ragazzi in Grecia, ricostruiamo ciò che la scelleratezza e la violenza hanno distrutto… Ciò che la mia scelleratezza ha distrutto…”

“Fratello, se c’è qualcuno di colpevole, questo-”

“Non è nessuno di noi.”

A sorpresa, la voce calma di Shaka, seppur lievemente tremolante, si fece udire al di sopra dei sussurri nervosi dei compagni, i quali lo videro mettersi seduto a gambe incrociate nonostante il dolore dei muscoli ancora atrofizzati dalla lunga immobilità.

Mu guardò l’amico con preoccupazione ma non disse nulla.

“Nessuno di noi è colpevole.” ripetè Virgo con decisione: “Sono state fatte scelte sbagliate, dettate dai sentimenti, dall’avidità, dal dissapore… Anche da una fedeltà distorta, se vogliamo. Ma ognuno di noi ha riparato ai propri sbagli mettendo in gioco senza alcuna esitazione la propria anima… Il proprio corpo… Il proprio essere davanti al Muro del Pianto. Nessuno ha esitato, nessuno si è tirato indietro. E ciò è stato sufficiente ad Atena. Ci ha riportati indietro e non l’ha certo fatto perché ci crogiolassimo nei sensi di colpa. L’ha fatto perché potessimo vivere ancora.”

Saga e Kanon abbassarono gli sguardi ma annuirono.

“Perciò, domani mattina i maestri partiranno per il Giappone e faranno in modo di riportare tutti qui. A quel punto, il futuro potrà essere scritto di nuovo. E questa volta, sarà scritto da noi. Riportiamoli a casa.” concluse Virgo prima di ricoricarsi con il respiro corto, perfino quel piccolo movimento era stato uno sforzo immane per il suo fisico.

Aries, disteso sul letto accanto a quello di Virgo, allungò la mano per stringere quella dell’amico, senza dire nulla.

Non ce n’era bisogno.

E l’alba li avrebbe trovati ancora lì, silenziosi ma uniti in quella comunione di spiriti e Cosmi che avevano imparato ad abbracciare senza riserve.

Solo con un amore talmente forte e senza confini che neppure la Morte aveva scalfito.

Quell’amore che li avrebbe portati a percorrere strade vecchie con occhi nuovi.

Quell’amore impossibile da affogare nel sangue, quell’amore che si era nutrito di odio e ne era uscito più forte che mai.

Quell’amore che li avrebbe sostenuti nella prova più difficile della loro vita: quella di ritrovarsi.

§§§

Dohko e Shiryu erano usciti dalla biblioteca da pochi minuti con le braccia intrecciate e gli occhi umidi quando Camus si chinò sulle fiamme indebolite del caminetto per ravvivarle con l’attizzatoio; nel silenzio rotto dal crepitare delle fiamme che divoravano i ceppi di legno sull’alare, Camus restava in ginocchio, il cuore a mille nel petto e le orecchie che fischiavano mentre l’emozione minacciava di soffocarlo, intanto che Milo – seduto sul divano con Hyoga – massaggiava la schiena di Cygnus che sussultava per i singhiozzi incrontrollabili del giovanissimo guerriero.

“Respira, ragazzo.” Cercò di calmarlo Scorpio senza interrompere il contatto: “Va tutto bene, è solo accaduto tutto insieme. Respira… Inspira… e poi espira… Bravo, così…”

Quando il fuoco fu di nuovo vivo nel caminetto, Camus si alzò in piedi e, seppur titubante, si avvicinò ai due prima di inginocchiarsi nuovamente, ma    questa volta davanti al suo allievo; pur se tremando, posò le proprie mani sulle sue ginocchia con fare rassicurante e paterno.

Al contatto, il quattordicenne sussultò.

“Hyoga… Mon petit... Guardami.” gli mormorò Aquarius con un filo di voce.

Cygnus alzò una mano tremante, come a voler dire che stava bene, e sollevò lo sguardo per incrociare quello del Maestro.

Quest’ultimo, pur sorridendogli, si sentì mancare il respiro nel vederne gli occhi segnati da pianto e stanchezza, il viso arrossato e bagnato di lacrime che ancora non ne volevano sapere di fermarsi e i lineamenti deformati dagli spasmi.

“Va tutto bene, ragazzo.” Gli ripetè lui: “Riesci a respirare?” gli domandò poi.

Hyoga non rispose ma annuì mentre Milo continuava a massaggiargli la schiena.

Dopo qualche minuto, tuttavia, Cygnus si scostò dal tocco di Scorpio e si spinse verso l’angolo più estremo del divano: “S-Sto bene. Non preoccupatevi.” rantolò lui, “Non c’è bisogno…”.

I due Gold Saint si scambiarono un’occhiata poi Milo si alzò in piedi e lasciò il posto a Camus; Aquarius si affrettò a occupare il sedile per poi tendere la mano verso il proprio allievo mentre lo guardava con espressione seria: “Hyoga. Né tu né i tuoi fratelli state bene e lo sai. Sai che siete a pezzi e che avete bisogno di aiuto… Che avete bisogno di noi. Per una volta, per una volta soltanto, lasciate che prendiamo in mano la situazione.” disse con tono severo ma sfumato di supplica.

“Non… Non voglio che mi vediate…”

“Così?” completò per lui Milo.

Hyoga annuì e nascose il viso tra le braccia; le sue spalle sussultarono per i singhiozzi che avevano ripreso a uscire.

“Di cosa hai paura, Hyoga?” chiese Camus: “Cosa ti spaventa a tal punto da spingerti a reprimere le tue emozioni?” Aquarius fissò Cygnus con aria preoccupata mentre il giovane Bronze Saint si ostinava a restare con il viso nascosto; Scorpio, di lato, restò pensieroso per qualche minuto mentre il compagno cercava di abbattere la barriera eretta da Hyoga poi, come se fosse stato colto da una folgorazione improvvisa, alzò lo sguardo verso il compagno, la cui espressione preoccupata e ansiosa era ancora rivolta verso il russo inconsolabile.

Dopo aver attirato l’attenzione del francese, Milo gli fece cenno di lasciar fare a lui.

Seppur a malincuore, Camus obbedì e, in silenzio, si spostò mentre Scorpio si accomodava in ginocchio accanto al bracciolo; questi posò una mano sul polso di Cygnus e lo costrinse ad alzare lo sguardo: “Non avere paura, Hyoga. Piangi, sfogati, nessuno penserà che sia un segno di debolezza e nessuno ti negherà amore per questo. Lo giuro su Atena e sul Santuario.”

Quelle parole ebbero l’effetto di un pugno nello stomaco e se Camus impallidì come se tutto il sangue gli fosse stato succhiato via, Hyoga semplicemente crollò.

Crollò tra le braccia aperte e accoglienti di Scorpio urlando come un animale ferito mentre il più anziano stringeva a sé quel ragazzino, ferito non solo nel corpo ma soprattutto nello spirito, con l’amore che una vita di battaglie non gli aveva permesso di ricevere, affamato di contatto e calore com’era.

Intanto, nel cuore e nella mente di Aquarius, quel senso di colpa che l’aveva sempre pungolato nel profondo gli mozzava il respiro in gola.

Lui avrebbe voluto rendere Hyoga emotivamente forte, inattaccabile, un vero guerriero votato soltanto alla Dea…

Ma aveva sbagliato.

Oh, se aveva sbagliato.

L’aveva reso più forte ma l’aveva anche ferito nel modo peggiore.

Aveva ancora tempo per rimediare?

Camus alzò lo sguardo pieno di lacrime che non si curava più di nascondere e si focalizzò sulle due figure abbracciate davanti a lui, vide Hyoga tremare e singhiozzare tra le braccia di Scorpio e notò quest’ultimo rivolgergli un’espressione irritata, come a spingerlo ad avvicinarsi e a prendere il suo posto.

Poteva quasi sentire le sue parole non dette.

È il tuo allievo, è di te che ha bisogno ora, non di me.

Poteva crederci o avrebbe rischiato di fargli ancora più male?

Tuttavia, non ebbe tempo per continuare a rimuginare sui propri errori perché l’istinto prese il sopravvento sul raziocinio e si ritrovò con Hyoga aggrappato alle sue spalle, perso nelle lacrime e nel turbinio di sentimenti.

Per un attimo, l’immagine di un Hyoga bambino si sovrappose a quella del ragazzo che stava abbracciando e sentì il cuore fermarsi nel petto quando i lineamenti disperati di Cygnus sembrarono venire sostituiti dall’espressione gelidamente mortifera di un cadavere congelato.

“Sono qui, Hyoga…” si ritrovò a sussurrare Camus con voce rotta: “Respira, è tutto finito. Mi dispiace… Ma adesso… Adesso cambierà tutto. Abbiamo avuto un’altra possibilità e non la sprecherò. Te lo prometto.”

Hyoga singhiozzò più forte e Camus non potè che aumentare la stretta sul corpo del ragazzo.

Dèi, era praticamente suo figlio, l’aveva cresciuto lui, ne aveva visto i momenti più alti e i baratri più profondi. Forse non condividevano lo stesso sangue ma lui lo amava al di là di questo…

Come poteva restare indifferente?

“N-Non voglio perderti ancora… Maestro… папочка”

“Non mi perderai più, Hyoga… Hai capito?” Aquarius nascose il viso tra i capelli arruffati di Cygnus metnre l’emozione lo sopraffaceva senza che lui facesse niente per impedirlo: “Non perderai più nessuno, non verrai più lasciato solo. Per nessun motivo.”

Scorpio, con il groppo in gola, annuì prima di abbracciare entrambi, gettandoglisi addosso: “Nessuno di voi ragazzi verrà più lasciato da solo… Vi stanno aspettando tutti al Santuario, a casa. Perché con noi avrete sempre un posto dove tornare, una famiglia ad accogliervi a braccia aperte e una casa che non vi sarà mai più preclusa.” sussurrò lui prima di scostarsi leggermente per afferrare un plaid abbandonato lì accanto.

E mentre Hyoga, seppur ancora tra le lacrime, iniziava lentamente a calmarsi e a venir avvolto dal tepore che precede il sonno, Camus accettò la coperta e la drappeggiò addosso al ragazzino tra le sue braccia; poi, come se non avesse avuto peso, lo sollevò e ne posò la testa contro la propria spalla.

Спасибо, папочка, крёстный…”

“Repose-toi, mon petit.”

   
 
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