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Autore: Cress Morlet    26/12/2020    11 recensioni
[Ben/Rey] AU Modern
Gli parve di vedere Rey avvicinarsi e un gorgoglio caldo si diffuse nella sua pancia. Ancora non coordinava i suoi movimenti. Le sue domande si formavano stiracchiandosi nella sua mente obnubilata da un dolore acuto mischiato a desideri contrastanti. Una sensazione di nausea e di eccitazione che incendiava le sue arterie e gli sconquassava ogni muscolo senza permettergli di compiere un respiro completo. Panico tra i suoi pensieri attorcigliati e delusione nascosta tra le pieghe degli angoli bui della sua coscienza. Riusciva a rendersi conto di poche cose. Come che lei era bella.
Bella. Sei sempre tanto bella.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Kylo Ren, Rey
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note di introduzione.
Questa storia si colloca due anni dopo gli eventi di "Just us together". Un giorno scriverò anche le mille vicende accadute tra questi due anni. Buona lettura!






L’acqua fredda lo stava aiutando a calmarsi. 
L’aria nella stanza era diventata catrame liquido nella sua gola e sulle ossa del suo sterno. Nel suo corpo troppe emozioni avevano cominciato a vibrare in maniera frenetica e a strappargli il respiro. La testa ovattata tra pensieri incoerenti. Le labbra asciutte e senza parole da articolare. Un attacco di panico.
Di scatto si era alzato dalla sedia e si era rinchiuso in cucina con la scusa di voler sistemare cibo e decorazioni. Era la Vigilia di Natale. 
Cosa avrebbe dovuto fare? Certamente non avrebbe dovuto essere lì.
Si era aggrappato alla manopola del lavabo e aveva posizionato le braccia sotto il getto dell'acqua. Dopo aver posato la fronte contro l’anta di legno aveva serrato le palpebre con talmente tanta ansia da avere degli spasmi ai muscoli del viso. Respirare gli faceva ancora male e non sapeva come comportarsi.
Che stupido. Avrei dovuto immaginarlo.
Inarcò i polsi nel tentativo di placare il battere furioso delle sue vene ingrossate e di placare il dolore alle ossa delle sue dita. Ruotò altre due volte la manopola del rubinetto e l’acqua corse giù come una cascata. Gli bagnò la pelle e i polsini e la camicia e la cintura.
Le sue tempie erano dei carboni ardenti che pulsavano e che strisciavano verso la sua fronte e l’attaccatura dei capelli.
Dilaniavano e stringevano e sgretolavano.
Avrei dovuto prevederlo. Hux mi ha trascinato a questa stupida festa non senza un motivo. 
Non dovevano festeggiare il patetico Natale. Non dovevano festeggiare il fidanzamento ufficiale di Poe e Finn. E Rey non era in un’altra città. Rey era...
Si piegò - quasi un’involontaria contrazione alla base della schiena - e senza pensarci mise la testa sotto l’acqua e poi la nuca, i capelli, il collo.
Il suono della sua risata ancora nelle sue orecchie e nella sua testa e nel suo sangue. Poi il suo sguardo risentito. La sua schiena ritta e rigida con il suo corpo nascosto da un immenso maglione.
Rey. Lei era sempre stata a pochi passi. Pochi passi lontana da lui.
Strinse il lavabo con delle nocche troppo bianche e respirò con affanno. L’acqua continuava ad insinuarsi nella sua gola e nelle sue narici costringendolo a tossire e a sbattere la fronte contro alcuni piatti sporchi. Le sue ciglia erano attaccate da sottili fili d’acqua che gli impedivano di osservare cosa esistesse ancora.
Di scatto girò tre volte la manopola dalla parte opposta e la cascata smise di inzuppargli i vestiti e di gocciolare sul pavimento della cucina.
Cosa ho sbagliato?
La sua testa era una cacofonia di domande spezzate e di urla angosciate.
Cosa? Cosa? Mi hai lasciato senza neanche una spiegazione. Dovevamo essere io e te.
Le vertigini capovolsero il suo mondo mentre le sue mani era diventate cadaveriche nello sforzo di non lasciarlo cadere.
Soltanto io e te per sempre.
“Possiamo parlare?”
Con dolore intravide la sua figura confusa e tremolante. Lei era sulla porta della cucina. C’era rabbia nella sua postura e nel modo in cui si proteggeva il ventre e negli angoli delle labbra abbassati. E a lui non era concesso sapere come si erano trasformati in due estranei.
Sembra la maledizione del Natale.
Sei tu ad essere arrabbiata con me? Tu? Io sono stato lasciato con una lettera. Sono tornato in una casa vuota. Senza i tuoi vestiti nell’armadio. La tua valigia scomparsa. Fermo ad osservare una camera da letto svuotata. Come se tu non fossi mai esistita. Eri stata soltanto un sogno. Un’illusione. Una follia.

Due anni prima si erano lasciati poco prima di Natale. Rey era stata ferita a causa sua - della sua vigliaccheria.
Aveva implorato il suo perdono. Anche dentro di lei aveva continuato a chiederle scusa e senza mai fermarsi. Le aveva stretto i fianchi e si era mosso male e con una strana frenesia. Perdonami. Lo aveva ripetuto fino a quando non aveva perso la voce. Perdonami. Ti amo. Perdonami.
Come era possibile? 
Perché sei fuggita? Perché in questo modo? Ho cercato una spiegazione. E ho ottenuto poche parole su un foglietto spiegazzato.
Ho bisogno di tempo. Ecco cosa aveva trovato. Ho bisogno di tempo. Tornerò.
Ecco cosa mi sono meritato. Poche parole senza un senso. Poche parole e nessuna comprensione.
Con le dita si mosse alla cieca vicino al bordo del tavolo e prese uno strofinaccio con cui tamponarsi gli occhi.
Gli parve di vedere Rey avvicinarsi e un gorgoglio caldo si diffuse nella sua pancia. Ancora non coordinava i suoi movimenti. Le sue domande si formavano stiracchiandosi nella sua mente obnubilata da un dolore acuto mischiato a desideri contrastanti. Una sensazione di nausea e di eccitazione che incendiava le sue arterie e gli sconquassava ogni muscolo senza permettergli di compiere un respiro completo. Panico tra i suoi pensieri attorcigliati e delusione nascosta tra le pieghe degli angoli bui della sua coscienza. Riusciva a rendersi conto di poche cose. Come che lei era bella.
Bella. Sei sempre tanto bella.
E che delle stelle nere erano in grado di trafiggerlo al centro del petto. Delle schegge rosse gli dividevano il viso in una maschera di mille crepe. Distrutto tra grida disperate e agghiaccianti. Da solo.
Lui era solo. Loro due insieme non esistevano. Non più. Mai più.
Ho bisogno di aria. Ho bisogno di calmarmi. Io non riesco a vivere.
Desiderava cacciare via il suo torpore e baciarla fino ad avere sangue sul mento e sulla clavicola. Poi no. Forse desiderava urlare con la bocca premuta contro lo strofinaccio e con le unghie conficcate nel cranio. Inginocchiarsi e chiederle perdono di ogni suo peccato. Anche se non sapeva quale fosse l’ennesimo errore che aveva compiuto. La sua vita era stata un incessante scorrere di decenni in cui aveva implorato aiuto senza mai ottenere nulla. Soltanto persone che non gli avevano creduto. Soltanto porte chiuse.
Forse era meglio distruggere la stanza e con ogni colpo eliminare la nausea che gli impastava il palato. Domandarle perdono. Alzarle il maglione e sbottonarle quei jeans e prenderla sulla porta con delle spinte forti e scoordinate che lo avrebbero riportato a casa. Lei lo avrebbe stretto e stretto e stretto e gli avrebbe chiesto di non allontanarsi mai più.
Forse se rimango sepolto dentro di te potremmo smetterla di vivere lontani - di essere lontani anche se siamo nella stessa stanza.
Forse se ti ricordo cosa eravamo potresti voler tornare. Forse potresti volermi ancora. Forse smetteresti di guardarmi con tanto odio anche se sono un mostro. Forse dimenticheresti che sono un mostro. Forse mi accetteresti di nuovo. Forse.

“Perché non mi hai aspettato?”
La sua domanda ebbe il potere di fargli sentire il pavimento sotto i piedi e l’aria nella stanza. Strofinò via le lacrime dalle guance e con immenso stupore si rese conto che stava ancora respirando.
Non sto morendo.
Prima lo spazio aveva assunto delle sembianze sfocate e quasi impalpabili - come un caos aggrappato con le punte delle dita dei piedi ad un’asse storto.
Mise a fuoco l’ambiente che lo circondava e distinse i suoni della casa. Il ronzio nelle sue orecchie se ne era andato e gli aveva lasciato la testa scombussolata.
Lui era insieme a Rey in una camera messa a soqquadro dal suo attacco di panico. La nebbia stava cominciando a diradarsi e ad abbandonarlo gocciolante in una cucina che non era neanche la sua.
Da due mesi aspettava il suo ritorno.
E lei si era nascosta a casa di Finn.
L’aveva creduta distante un oceano e invece erano stati soltanto pochi isolati.
“Non ti ho aspettato?”
Gettò lo straccio sul tavolo e prese a massaggiarsi la fronte con l’intento di calmarsi. Non riusciva a placare la sensazione di essere stato preso in giro - da chiunque.
La disperazione di averla lì e di non poterla toccare. Uno strazio.
Che scopo aveva avuto tutta la sua sofferenza? Quale atto mostruoso aveva compiuto?
Due mesi prima ero l’uomo più felice e fortunato del mondo. Avevo te. Tu eri accanto a me in ogni momento della mia vita. La tua essenza era costante. Mi svegliavo e c’era il tuo viso vicino al mio. Potevo sporgermi e baciarti e abbracciarti. Mi sentivo bene. Stavo bene. Ti sentivo ovunque. Sul mio petto e tra le mie gambe. Sulla mia bocca e tra i miei pensieri. Invece adesso sei lontana e all’improvviso ti sei trasformata un’altra volta in un miraggio. Non posso più stringerti a me e dirti quanto ti amo. Non ha senso. Anche se io ti ho aspettato. Io ti ho sempre aspettato.
“Io non ti ho aspettato?”
Lei strinse le labbra e scosse la testa in maniera seccata. Perché mi odi tanto?
“So ogni cosa quindi smettila di usare questo tono con me.”
Tentando di non scivolare si avvicinò di due passi a Rey e alle sue braccia ostinatamente conserte. I capelli erano raccolti in tre crocchie e il suo volto struccato gli mostrava profonde occhiaie viola terribilmente simili alle sue.
Ma perché? Cosa sapeva? O cosa credeva di sapere? Lo stava giudicando senza chiedergli neanche un confronto e aveva deciso ogni cosa senza di lui?
Era forse diventata come i suoi genitori?
O come Luke?
La rabbia che aveva inutilmente cercato di sbriciolare si rinvigorì ancora una volta e gli oscurò la vista.
“E che cosa sai? Dimmelo. Dimmi cosa pensi di sapere e spiegami il motivo di tutto questo. Mi hai costretto a vivere dentro un incubo atroce. Sono due mesi che ti aspetto. Dimmi che cosa ho fatto di talmente tanto sbagliato da aver meritato di essere lasciato con un biglietto sul cuscino. Dimmelo.”
Stava ancora pronunciando l’ultima parola quando venne spintonato. Rey aveva scontrato le sue nocche contro il suo petto e non era riuscito a smuoverlo. Si spinse un’altra volta contro il suo corpo e lo colpì con le mani strette a pugno - e gli nascondeva uno sguardo colmo di acredine e di risentimento.
Quei pugni erano niente.
Erano le sue espressioni disgustate a pugnalargli l’addome e a colpirlo con una ferocia crudele. Il suo odio tanto evidente dagli occhi e dal modo in cui le spalle erano incassate. Il suo labbro inferiore tremolante e i suoi occhi arrossati da un groppo di lacrime che saliva ad ingrossarle la gola. Insopportabile. Non poteva restare immobile e guardarla soffrire. Avrebbe voluto avvicinarsi a lei. Tentare di aiutarla e di consolarla in qualche modo.
Ma non ebbe la possibilità di avvicinarsi. Le sue parole ebbero il potere di ancorarlo al suo posto. Di colpirlo a morte.
“Sei un mostro. Tu sai benissimo cosa hai fatto. E non mentirmi. Io non ti avevo lasciato. Ho scritto che sarei ritornata e che avevo bisogno di trascorrere del tempo da sola e che dovevo capire una cosa. Tu sai benissimo che cosa hai scelto. Tu hai distrutto ogni cosa. Hai deciso di distruggere tutto e sei un mostro.”
Gli incideva il petto. Continuava a parlare e lo lasciava sanguinare senza alcuna pace. Riusciva soltanto a vedere le sue labbra arricciate da una smorfia di disgusto - sempre quando pronunciava la stessa parola.
Mostro.
Tu sei un mostro.
Mostro.

Gli sembrava di essere imprigionato in un mondo senza luce. Aveva la testa abbassata e guardava Rey dall’alto verso il basso mentre lei gli riversava contro tutta la sua rabbia e il suo dolore. Sentiva delle lacrime e del muco tra le pause delle sue frasi e nei momenti in cui respirava in maniera agitata e si portava il polso vicino al naso. Le rispose con la sua stessa voce spezzata.
“Sì. Sono un mostro. Sì, lo sono. Sei contenta o hai bisogno che lo urli? Sono un mostro. Sono uno schifo d’uomo e non te l’ho mai nascosto. Vuoi che lo ripeta ancora? Sono un mostro e tu lo sapevi e hai detto di amarmi comunque. Sono un mostro e sono tutto il male del mondo. Ma tu avevi detto che non ti interessava e che mi amavi e che avresti amato soltanto me. E io ti ho creduto anche se non avrei dovuto farlo. Come avresti mai potuto amare me?”
Lei nascose i suoi occhi con i dorsi delle mani e schiuse la bocca con un sorriso amaro che non gli piaceva e che odiava e che avrebbe voluto dimenticare. Una tensione malsana lo spingeva ad allungare le dita verso le sue spalle o verso la sua guancia. Non riusciva a raggiungerla mai. Non era in grado di sentirla e di capirla. Era troppo.
E non conoscere il motivo rendeva ogni cosa peggiore. Lo privava di una base solida da cui cominciare a ritrovare la strada che lo avrebbe condotto da lei. Era perso. Perso in un labirinto di macerie.
“Io amavo soltanto te. Io sono un’idiota che continua ad amare soltanto te. Anche se tu hai dimostrato di non amarmi e che non sono niente e non sono mai stata importante. Sono il nulla.”
Ma non per me.

“Io non ti amo? Mi sono rinchiuso dentro casa ad aspettare tue notizie. La nostra casa, l’appartamento in cui abbiamo deciso di abitare insieme da due anni. Te lo ricordi? O hai dimenticato la strada ed era impossibile tornare anche soltanto una volta e spiegarmi che cosa stesse succedendo? Seduto sul divano ad aspettare una tua chiamata o almeno un altro messaggio. Ho trascorso ogni giorno piangendo e sperando di vederti aprire quella maledetta porta e tornare da me! Ma sono stato uno stupido ad aspettarti. Fin dal primo momento in cui ti ho vista sapevo che te ne saresti andata. I primi mesi insieme ho vissuto con il costante timore che il tempo stesse finendo. La mattina mi svegliavo e mi domandavo se l'attesa fosse finita e se era arrivato il giorno in cui mi avresti lasciato. Felice e lontana da me per sempre. Ci sono state delle volte in cui sono morto nell’attesa e ho sperato che accadesse subito. E ci sono state altre volte in cui ho pregato che tu non vedessi mai come chiunque altro avrebbe potuto offrirti una vita più bella di quella che potevo offrirti io. Ma tu restavi con me. Abbiamo vissuto delle difficoltà e tu sei rimasta con me. Hai conosciuto mio padre e sei rimasta con me. Ti ho raccontato tutto del mio passato e sei rimasta con me. Allora ho davvero pensato che saremmo rimasti insieme. Ho creduto che tu mi amassi. E nello stesso istante in cui ho smesso di avere paura tu te ne sei andata.”
Svelarle tutte le sensazioni che non era mai riuscito a sussurrare neanche a se stesso o che non aveva mai compreso ed analizzato gli sradicò qualcosa dal petto. 
Respirava a fatica - come se gli avessero squarciato l’addome e strappato bruscamente ogni costola e stretto il cuore in una morsa di lame ghiacciate.
Con le dita si aggrappò alla sua stessa camicia nel tentativo di trovare un appiglio al centro del suo sterno. La sua mano si chiuse vicino alla sua clavicola mentre la sua bocca era avvolta da abrasioni dell’aria. Cosa doveva fare?
Poteva uscire dalla stanza. Non ascoltarla. Allontanarsi da lei senza chiedere perdono. Non voltarsi indietro.
Ma non lo fece. Non avrebbe mai scelto di andarsene e di abbandonarla. Non era possibile.
Io ti prometto.
Lui aspettava lei.
Io ti prometto ora e sempre.
Lui avrebbe mantenuto la sua promessa.
Tu non sarai mai più sola.
“Per questo motivo hai deciso di non aspettarmi più e di farmi del male?”
La sua voce agguantò le ossa della sua schiena e lo costrinse ad aprire le spalle incurvate. Si morse un labbro e rimase fermo al suo posto. Perché non poteva neanche abbracciarla?
“Che cosa ho fatto?”
Le braccia di Rey si sciolsero da sotto il suo seno e scivolarono lente lungo i suoi fianchi. Dovette inspirare diverse volte prima di riuscire a rispondergli. Quando gli rispose gli distrusse il mondo in milioni di miliardi di buchi neri.
“Tu mi hai tradita.”

                                                                                                                                             *****

In alcuni momenti Rey non ricordava il modo giusto in cui si impugnavano le posate. Le afferrava con un pugno e le dita non riuscivano a spostarsi o ad articolarsi tra gli spazi. Scuoteva la testa e faceva finta di nulla. Aspettava che il suo meschino attacco scomparisse e che i muscoli delle mani ricordassero che da sette anni avevano imparato ad utilizzare quegli utensili. Era paziente. Sapeva tutto riguardo all’aspettare.
Invece Ben era diverso. Lui soffriva in silenzio.
Da tre anni l’espressione persa di Rey gli mordeva sempre il cuore fino a recidere ogni singola coronaria. Gli colpiva il petto che sanguinava copioso e che gocciolava tra le sue costole e le ossa del suo sterno.
Si sporse verso di lei senza riuscire a fermarsi 
- inaccettabile vederla soffrire.
Le spostò il pugno chiuso intorno alla forchetta, lo mosse dal centro verso l’alto.
“Non c’è bisogno, adesso passa. Sono capace di farcela.”
Le sue parole erano state bofonchiate con sottile ansia e frustrazione e lui le aveva baciato le nocche, scusandosi di essere intervenuto e di averla offesa. Lei lo aveva osservato di sottecchi e aveva accennato un debole sorriso mentre aveva continuato a giocare con il cibo cinese che avevano comprato. Aveva fatto rotolare ogni raviolo da un lato all’altro del suo piatto e aveva stretto le labbra in una linea dura.
L’aveva baciata.

Era - sempre - una necessità impossibile da fermare.
Ogni volta che scorgeva quella espressione sul suo viso era in grado di vedere i dieci anni che Rey aveva vissuto all’orfanotrofio e le barbarie a cui era stata sottoposta. Vedeva il modo in cui era stata costretta a mangiare ogni cibo soltanto con le mani, come se fosse un animale. Vedeva lo sguardo perso di una ragazzina quindicenne che - per la prima volta - utilizza forchetta e coltello.
Cosa sono? Come si chiamano? A che cosa servono?
Sapeva che ogni tanto la sua mente si perdeva nei ricordi e che le sue dita si bloccavano in un fermo immagine di anni che non avrebbe mai voluto vivere.
A me sembra di affogare insieme a te.
Rey lo aveva baciato stringendo forte le posate e lui si era spostato a baciarle l’angolo della bocca e la guancia e la punta del naso.
Quando l’aveva sentita ridere era riuscito a rilassarsi.
Rey gli aveva cercato di nuovo la bocca e lo aveva baciato a stampo in mezzo alle labbra. Gli aveva sussurrato un grazie.
E lui aveva pensato una cosa soltanto.

Domani. Domani te lo chiederò.
Aveva continuato ad osservarla mentre lei aveva ricominciato a mangiare riuscendo a non perdersi nel dedalo dei suoi incubi.
Domani ti chiederò di sposarmi.
Come avrebbe potuto immaginare che il giorno dopo si sarebbero lasciati?

                                                                                                                                                    *****

Tu mi hai tradita.
Riuscire a ripeterlo nella sua mente gli era costato una parte di se stesso. Non poteva pensare al suo reale significato. Immaginarsi in una tale intimità con un’altra donna gli corrodeva l’anima fino a ridurla a brandelli. E poi si rese conto che Rey credeva realmente nella sua accusa e questa consapevolezza gli inflisse un dolore inumano. Gli sradicava la ragione dalla testa e il cuore dal petto.
Per un momento ebbe la certezza che le lacrime non sarebbero mai state abbastanza e che non sarebbe riuscito a parlare mai più.
Rey riprese a spiegarsi con un tono di voce diverso. Non era agitato e rancoroso. Era mortalmente calmo e atono - come una ferita che sanguina incessantemente colorando di rosso delle bende fresche e candide.
“Ero tornata a casa. Per due anni abbiamo dormito insieme ogni notte e dopo soltanto un giorno senza di te mi sembrava di impazzire. Riuscivo a chiudere gli occhi soltanto poche ore e mangiavo pochissimo. C’erano incubi ad aspettarmi e tanta stanchezza. Rivivevo una sensazione di vuoto che ormai avevo dimenticato. Mi mancavi troppo e non ho resistito lontana da te. Dentro di me c’era ancora tanta paura ma non era giusto continuare a nascondermi. Cinque giorni dopo la mia stupida fuga sono tornata a casa e sulla soglia della tua porta ho visto te. E poi lei. Zorii. Tu l’hai lasciata entrare e non mi hai visto. Ti ho guardato e ho detto il tuo nome e tu non mi hai neanche sentito. Ho aspettato un’ora seduta sulle scale. Niente.”
Tu mi hai tradita.
Così hai pensato che sia successo qualcosa tra me e Zorii?

Non riesce ancora a crederci. Non riesce a concepirlo. In questo modo ogni sua parola e ogni suo gesto non avevano mai avuto alcun reale significato. Gli stava svuotando il corpo e strappando i ricordi. Non aveva senso. Il bruciore all’addome non aveva motivo di esistere. Non esisteva nulla. Erano niente.
Avrebbe voluto ridere in maniera isterica e svegliarsi dal nuovo incubo in cui era stato scaraventato. Era necessariamente un incubo. La sua unica speranza era che una tale follia non fosse reale. Svegliarsi e sentire le dita della mano di Rey ancora intrecciate alle sue.
Noi non siamo questo e tu non puoi pensare che io sia un mostro del genere. Non puoi. No. Ti prego. No.
Delle vertigini ricominciarono ad appannargli la vista e ad ovattargli l’udito. Stava perdendo il controllo su se stesso.
“Sono tornata a casa di Finn e mi sono stesa sul letto con ancora il cappotto addosso a guardare il soffitto. Volevo chiamarti. Era la cosa giusta da fare, no? Essere matura. Confrontarmi con te. Ma avevo paura. Non so a che ora mi sono avvicinata al cellulare e ho visto che c’era un messaggio di Zorii. È stata molto gentile ad avvisarmi di aver fatto sesso con te e a rassicurarmi che non sarebbe successo un’altra volta. L’ha definita la follia di una sola notte. Ha voluto dirmi tanti dettagli. Mi ha anche scritto che ha trovato molto interessante la cicatrice che ti attraversa il petto e che non era riuscita a resistere dall’assaggiarla. Una donna con una grande classe. Ha concluso dicendo che sono una ragazzina con una grande fortuna e mi ha inviato anche la foto della nostra camera da letto. Le lenzuola ancora disordinate.”
Ben non si mosse dal suo posto e non comprese subito la trasformazione del suo viso. Gli era sembrata incredula e spaesata un momento prima - una bambina senza una certezza a cui potersi aggrappare nell’istante più buio - e poi all’improvviso il volto era stato deformato dalla rabbia e dalla sofferenza.
“Tra tutte le donne con cui avresti potuto tradirmi hai scelto Zorii. Lei. E non mentirmi mai più dicendomi che mi hai aspettata.”
La osservava. Non sentiva il borbottio del suo cuore. Non si rendeva conto di respirare male. Ascoltava soltanto il cicalio delle sue accuse e si confondeva tra le immagini dei suoi ricordi.
Ricordava il modo spontaneo in cui le sue dita erano solite intrecciarsi alle mani di Rey. La sensazione di tranquillità quando erano sdraiati sul divano e decidevano di guardare la televisione. Il modo in cui si muovevano insieme. Lei che stendeva le gambe sulle sue ginocchia e gli tracciava linee immaginarie sulle ossa dell’avambraccio. Lui che le toccava i capelli o il viso. I momenti in cui Rey si stancava del film e iniziava a stuzzicarlo mordendogli le orecchie. Si era sempre vergognato delle sue orecchie.
A me piacciono. Glielo aveva sussurrato tra i baci sul collo e sulla nuca. A me piace tutto di te.
Le aveva creduto e si era sentito sereno. Felice di piacerle e di essere apprezzato. Gli era sempre importato di piacere soltanto a Rey. Non aveva mai desiderato nessun’altra. Glielo aveva detto. Glielo aveva dimostrato.
Una voce ricominciò a tormentarlo nel profondo. Non vali nulla.
“Cosa dovrei dirti adesso? Cosa ti aspetti?”
La sua voce era fioca. Non gli sembrava fosse sua. Ma non desiderava riflettere. Qualcosa di cattivo gli bruciava le vene e gli inondava l’addome con una tale costanza da occludergli la gola da impastargli la lingua. Un fuoco caldo colava tra ogni spazio delle sue costole costringendolo a piegarsi in avanti. Era tutto troppo sfocato.
Si concentrava sulla sagoma delle venature di legno della porta oltre il capo e le alte crocchie di Rey. Tentava di arginare ogni suo scatto e di calmarsi. Era un’azione complessa. Davvero inutile.
Che senso aveva continuare a trattenersi?
“Il motivo.”
Lei aveva sussurrato con voce incredula e spaesata. Forse si stava tormentando le nocche. Si scorticava le mani con le unghie nei momenti in cui era nervosa. Un ennesimo colpo al cuore lo costrinse a boccheggiare quando comprese che non avrebbe abbassato le ciglia con l’intento di accertarsene e di bloccare il suo gesto.
La sua risposta era stata aria in grado di scuotere e contorcere del fuoco spento. Lingue biforcute che assumevano le sembianze di una treccia e che sfumavano tra il viola e l’arancio. Un caos che gli scardinava ogni certezza e che sbriciolava ogni ricordo.
Tu pensi questo di me?
Dopo tre anni. Dopo avermi conosciuto in ogni modo - e aver conosciuto che persona io sia senza dare importanza ad un nome legato ad un’eredità scomoda.
Dopo tutte le mie dimostrazioni e l’amore che ho tentato di darti in ogni forma possibile. Tu pensi questo di me. Tu pensi che io sia capace di tradire te e le nostre promesse. Le nostre speranze. Sei la donna che io desideravo sposare e tu neanche lo sai. Ma dovresti saperlo. Anche se non mi ha permesso di chiedertelo e te ne sei andata prima. Dovresti saperlo.
Quando ho letto il tuo biglietto d’addio avevo tra le dita la scatola dell’anello che avevo scelto pensando a te. L’ho stretta talmente tanto forte da averla distrutta. Non pensavo che tu potessi ferirmi.

“Hai deciso tu ogni cosa. Scegli tu anche il motivo.”
Devo andarmene via da qui.
“Non dici nulla?”
La voce di Rey si era spezzata ancora quando aveva pronunciato questa domanda e qualcosa gli disse che avrebbe dovuto pensarci e preoccuparsi. Non si mosse.
Rey mi abbraccia quando io sono agitato. Mi bacia il collo e mi stringe forte.
Concentrato a non cadere in una diga di errori e di autocommiserazione.
Dovrei spiegarle la situazione e dirle che Zorii ha cercato di ingannare entrambi. Che non l’ho mai tradita. Mai potrei.
Troppo concentrato a respirare senza urlare.
Non ci riesco.
L’anno scorso Rey si era seduta sotto l’albero di Natale e gli aveva detto di essere lei il suo regalo. Lui aveva riso e aveva provato a toglierle il pigiama dicendo che doveva assolutamente scartare il suo regalo. Subito. Ma Rey aveva detto che bisognava aspettare mezzanotte. E poi sarò tua. Sempre.
Non voglio riuscirci.
“Cosa devo dire? Cosa vuoi che dica?”
Fece un passo avanti e si morse il labbro superiore. Volse la testa verso il basso e la osservò.
Che senso ha provarci?
Dopo un secondo distolse lo sguardo e si resse allo schienale di una sedia pur di costringersi a provare dolore e a sentire le ossa spezzarsi e trapassargli la carne. Necessitava di qualche colpo al costato e di costole rotte. Aveva bisogno di un mondo oscuro e di tenebre che lo inghiottissero.
“Tu pensi che io sia colpevole. E quindi? Vuoi che lo ammetta ad alta voce? Devo dire che ti ho tradito e che sono andato a letto con Zorii? Che ho scopato con lei nel nostro letto? Vuoi che ti confermi che non ti ho aspettato e che non ci sono altre spiegazioni per le cose che hai visto e che ti hanno detto? Tanto hai deciso di condannarmi. Non valgo nulla. Le mie parole e le mie promesse cosa sono? Niente. Tutte le cose che ho fatto pur di essere degno di te? Sono niente. Che senso ha parlarti? Sono stato soltanto un idiota a illudermi di avere un valore per te quando io sono niente. Lo devo ripetere? Sarà sempre così. Sono io il niente. Io a pregare di essere degno di te e sperare di esserlo e crederlo per un secondo e poi ritrovarmi come sono sempre stato. Solo.
Forse aveva urlato. Forse aveva gettato la sedia a terra e si era coperto il viso tra le mani e tra i capelli. Forse aveva colpito il tavolo e aveva iniziato a piangere tra i conati di vomito. Non era sicuro di nulla. Cercava un senso soltanto con i forse.
“L’unica persona che ho mai desiderato in tutta la mia esistenza sei tu. Non ho mai voluto altro se non essere con te. Niente altro. Anche solo guardarti e sapere che tu sei felice e al sicuro. Sentirti ridere. Come puoi pensare che io possa ferirti tanto profondamente? Tradire tutto di me e te. Essere un’altra persona. Sono questo? Anche tu mi vedi in questo modo?”
Con il polso pressato sulle labbra assaporava un gusto acido di bile.
Immaginarsi ancora con un’altra donna gli strinse lo stomaco con foga. Rendersi conto di quanto fosse un mostro agli occhi di Rey ebbe il potere di piegarlo in due e di fermarlo.
Prese un respiro dal naso. E poi un altro. Un altro. Un altro ancora. Ancora.
Un sapore amaro continuava ad impastargli la bocca e dei pugni allo stomaco lo costrinsero a muoversi con cautela. Con l’interno del suo polso - con le sue vene pulsanti ad un ritmo ingestibile - pulì la cortina dinanzi ai suoi occhi e intravide la sedia aperta in due ai suoi piedi e le scarpe di Rey e come le sue braccia erano strette intorno al suo ventre. Il suo collo arrossato e le sue lacrime e il suo sguardo - troppo sbagliato e troppo doloroso.
Rimase immobile ad osservare il suo viso e si costrinse a cercare un equilibrio tra le pieghe di una tempesta senza salvezza.
Rey odiava le urla.
Rey odiava la violenza.
Rey aveva paura.
Doveva interessarsi soltanto a questo. Ripeterselo in mente come una cantilena e comprendere cosa significava. Non importava quanto lui potesse essere straziato e dilaniato.
Lei era - e lo sarebbe sempre stata - la persona più importante della sua esistenza.
E se Rey soffriva allora nulla aveva un senso. E niente era importante.
Un altro respiro. Un altro. Un altro ancora.
Lui doveva soltanto fermarsi e provare ad aiutarla in qualsiasi modo possibile.
“Mi dispiace.”
Scavalcò la sedia e mise avanti le mani con i palmi aperti. Lei sciolse le braccia ma non si mosse dal suo posto.
Tese le dita verso le sue e Rey assunse una strana smorfia. Dovette contare ancora i respiri prima di riuscire a parlare.
“Mi dispiace. Sono... sono imperdonabile. Voglio solo sapere se stai bene prima di andarmene. Mi stai spaventando.”
Lei gli strinse l’indice e lui mosse un mezzo passo nella sua direzione. Comprese a mala pena la sua domanda sussurrata. Dovette inclinare il capo e avvicinare l’orecchio sinistro alle sue labbra.
“Vuoi andartene?”
Rey non gli lasciava la mano ma non lo guardava. E non poteva biasimarla.
“Penso che adesso tu non voglia vedermi.”
Lei fece un passo verso di lui e con l’altra mano gli sfiorò il mento e il collo. Fu naturale seguire il tocco dei suoi polpastrelli. Aveva bisogno del suo calore.
“Io penso che tu non possa sopportare di stare con me. Ho sbagliato tutto. Adesso me ne rendo conto. E mi vergogno.”
Smise di sfiorarlo e si perse ad osservare i suoi piedi. Gli stringeva ancora le dita ma singhiozzava in silenzio e serrava i denti.
“Posso spiegarti.”
Sono stato incastrato. Non ti ho tradita. Posso dimostrartelo.
“No. Non dirmi nulla. Ho sbagliato tutto. Tutto. Tutto.
Lui allargò le braccia nel gesto di stringerla e Rey scosse il capo. Sussurrava che non lo meritava. Che aveva distrutto ogni cosa. Che dentro se stessa lo sapeva. Lo aveva sempre saputo.
“Sapevo che non mi avresti mai tradita e che avrei dovuto parlartene subito. Ma era più semplice così, no? Non volevo fare i conti con i miei errori e ammettere di aver sbagliato tutto. Sono stata una codarda. Ho riversato ogni cosa su di te. Sono io a non meritarti. Non sono stata migliore dei tuoi genitori. Di Luke. Ti meriti di meglio.”
Non avrebbe nuovamente tollerato parole del genere. Rey piangeva e si ostinava ad avere il viso girato a destra.
Basta.
Lui immerse le dita tra i suoi capelli e le chiese di voltarsi. Le concesse pochi secondi e di rilassare i muscoli del collo. Con le sue mani accompagnò i movimenti del suo volto e poi abbassò le spalle e la baciò. Fu poco accorto. Baciò soltanto il suo labbro superiore e il naso mentre Rey tratteneva respiro e singhiozzi. Le chiese di non dirlo mai più. Di non pensarlo. Di non lasciarlo.
Lei si alzò sulle punte dei piedi e gli baciò il mento e tra le labbra e lì rimase. Trattenne un altro singhiozzo e lo baciò con dolcezza. Bocca contro bocca gli chiedeva scusa. 
Ti ho inflitto troppo male. Non perdonarmi. Io non mi perdonerò.
Rey continuava a piangere. E lui sapeva che era grave. Che era male.
Rey non piangeva mai.
“Dimmelo. Perché? Rey, perché?”
Io ti perdonerò sempre.
“Tu non li vuoi. Hai sempre detto di non volerne. Sempre.”
Con i pollici cercava di cacciare il pianto dal viso di Rey ma gli sembrava un’impresa impossibile. Erano grosse lacrime che continuavano a scivolare giù dagli angoli dei suoi occhi e a cadere dalle sue ciglia. Le sue guance gli bagnavano le mani. Non sapeva come calmarla e un peso enorme prese a tormentargli le vertebre e a sciogliergli ogni pensiero razionale.
“Cosa non ho mai voluto?”
Continuava ad accarezzarle il volto e in questo modo il suo polso rese ovattati i suoi singhiozzi e lamenti. Le labbra di Rey baciarono le sue vene mentre lacrime e muco imbrattavano i suoi polsini. A lui non importava - voleva soltanto capire.
Desiderava che Rey stesse bene. Non sopportava che fosse disperata e infelice. Era un dolore fisico che gli prosciugava il sangue e le ossa.
“Ti prego. Parlami. Spiegami. Ti prego.”
Lei scosse il capo e si morse le labbra. Lui baciava la sua fronte e la sua tempia sinistra senza mai smettere di sussurrarle ti prego e di racchiuderle il viso tra le dita.
“Non esiste nulla che non possiamo affrontare. Ti giuro che qualsiasi cosa sia saremo insieme e che non sarai sola. Io sono qui, sono qui. Parla con me. Rey, ti amo, non esiste nulla che tu non possa dirmi. Siamo solo io e te. Io e te insieme.”
Rey si sporse a baciargli le labbra un secondo e poi tese il collo all’indietro come per riuscire a guardarlo meglio. Il suo corpo tremava di meno e il suo sguardo era più fermo. Deglutiva facendo rumore ma c’era una forza dentro di lei che non si sarebbe mai spenta. Era stata una ragazzina coraggiosa ed era cresciuta diventando una donna con uno spirito implacabile. Creava punti di equilibrio anche nei suoi momenti più bui - come adesso tra le sue braccia e tra le carezze dei suoi polpastrelli.
Rey schiuse le labbra con un’espressione di stupore e di meraviglia capovolgendo un’altra volta ogni base della sua esistenza. Sentì il suo cuore battere impazzito al livello della sua pancia.
Poi soltanto silenzio.
“Sono incinta.”







Angolo autrice.

Ciao a tutti! Non completamente natalizio, vero? Vi prometto che ci sarà un lieto fine. Vi prometto anche che i due non hanno risolto così facilmente e che nel prossimo capitolo Rey spiegherà perfettamente le sue ragioni e cosa l'ha spinta a sbagliare tanto (dovrei scriverlo dal suo Pov, quindi Rey sarà molto più approfondita).  Ringrazio infinitamente Koa e Hanna per i tantissimi consigli e la pazienza. Hanno riletto questa storia davvero molte volte.
Il paragrafo centrale in corsivo è un flashback, spero sia comprensibile con questa formattazione. Il riferimento alla prima volta che Ben e Rey si sono lasciati è un collegamento a "Just us together". Questa storia rappresenta un pò la conclusione di questo ciclo di AU, ma vorrei in futuro scrivere dei racconti precedenti a questa fine. Ho in mente da tanto il primo incontro Ben-Han-Rey. Ci riuscirò? Non lo so, ma spero questa storia vi stia piacendo e che vorrete leggere il prossimo capitolo. A presto e buone feste :)

 

   
 
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