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Autore: JoSeBach    05/01/2021    1 recensioni
(incompiuta)
I suoi figli morirono. Sua moglie lo lasciò. La sua gente tirò avanti a stento. Ottenuta la sesta ANIMA, un lungo silenzio si dilagò nel castello. Finché un giorno due luci portatrici di speranze e sogni arrivarono. E il re le accolse.
[2141+2238 parole] {in inglese su AO3}
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Alphys, Asgore Dreemurr, Undyne
Note: Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
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Salve. Lo so, è passata una settimana dalla pubblicazione di questo capitolo, ma ci tenevo a darvi i miei saluti e i miei auguri per un anno nuovo che si spera migliore di quello appena trascorso.
Questo testo proviene da un vecchio lavoro incompiuto di 4 capitoli scritto nell'aprile del 2020 in inglese e ho deciso di recente di rivederlo, oltre che tradurlo. Come sempre consiglio la consultazione dell'originale. A ogni modo, buona lettura! Critiche e commenti sono ben accetti.
Come sempre, ringrazio Lady K per le critiche. Tradurre è davvero una gatta da pelare.

Ne era passato di tempo. Asgore non sapeva quanto, però, i giorni sempre più distanti e vuoti dopo quel crepuscolo e quel giovane cadavere, affiancato dalla polvere che disperdeva copiosamente semi ignoti per il giardino. In seguito venne scoperto che si trattavano di semi della stessa specie di fiori che l’umano aveva chiesto di rivedere al suo ultimo respiro, una specie completamente ignota al Sottosuolo.

Però, come il primo fiore sbocciò fiero verso la luce esterna, Asgore si accorse che del corpo umano e della moglie non vi era rimasta alcuna traccia, la bara del primo lasciata scoperta. «Quindi siamo rimasti solo tu e io, figliolo,» pensò lui, prendendosi cura delle piante come se i suoi occhi non stessero lacrimando o le sue mani tremando. Col tempo il giardino sarebbe diventato la sua unica fonte di felicità: vedere i petali diffondersi per tutto il verde era uno spettacolo mozzafiato, come se quel piccolo angolo del Sottosuolo fosse uno spicchio di Sole.
Per forza Chara se ne affezionò così tanto.
Per forza Asriel li portò lì sotto.
Per forza quegli umani li calpestavano: loro volevano soltanto distruggere le sue speranze, i loRO SOGNI―

Si irrigidì al pensiero che faceva eco tra le sue corna, le piastre del guanto ancora più aderenti al tridente scarlatto, pronto per essere scagliato al nemico. Ritornato il senno, smaterializzò l’arma e costrinse i suoi occhi impauriti a fissare gli accecanti raggi, sperando che avessero potuto in qualche modo estinguere tutto quell’odio. Ma non ebbe mai funzionato prima, e neanche questa volta era un’eccezione: l’oscurità iniziava a inghiottire il cielo, l’aria a farsi sempre più gelida, i fiori a chiudersi in loro stessi, pronti per tornare a respirare dopo il digiuno diurno. Anche i suoi muscoli gli imploravano un po’ di riposo. Sì, era ora di andare a dormire. Lasciò la sala del trono, il suo volto sempre silenzioso per tutto il tragitto.

Mentre saliva gli scalini, i suoi occhi incrociarono il calendario, ancora appeso al muro. Quant’è passato da quando è stato abbandonato a sè stesso? Quant’è passato da quando ha ucciso quei sei bambini per la libertà, per la sua gente? Anni, alcuni decenni o persino secoli?
Lui era certo di alcune cose, e una di queste era che i numeri non combaciavano i molti mesi passati nella più completa solitudine. Gli mancava tutto e tutti terribilmente, e non era raro che si chiedesse il perché fosse dovuta accadere a lui la disgrazia, che cosa avesse fatto per meritare tanto dolore, o se forse ci fossero davvero delle soluzioni nascoste da qualche parte, pronte per essere trovate.
Sapeva soltanto che non poteva più sopportare questa solitudine. Eppure è riuscito a restare in vita per tutto questo tempo, ridendo e singhiozzando mentre il pensiero di cadere e non rialzarsi più dilaniava nella sua mente stanca. Ahahah. Non fa ridere.

Si avviò verso la sua camera, il corridoio impregnato da un torbido e soffocante silenzio. Almeno i fiori dorati davano un po’ di colore all’ambiente, no? Non come le tife delle Rovine.
Finalmente raggiunse il materasso, le coperte fredde, nude e inutili. Si distese completamente sul letto matrimoniale, il riposo ancora più gelido e breve a causa dell’assenza della sposa. Alzò gli occhi al soffitto, sperando quasi che alcune stelle potessero manifestarsi e rivelargli cosa gli riserbava il futuro, ma non venne nessuna. Lui allungò il braccio alla sua sinistra. Piagnucola sommessamente il suo nome, come se lei stesse per apparire lì per perdonarlo e confortarlo e abbracciarlo― Qualche singhiozzo ilarato gli sfuggì dalle labbra mentre l’immagine veniva dissolta dalla luce che indiscreta filtrava nelle palpebre. Quel tanto agognato soffice e caldo mantello era sparito, senza traccia. Sapeva di essere un idiota ad anche solo pensare che lei avesse potuto andare contro i suoi principi. A differenza sua, lei aveva sempre seguito fedelmente la propria morale.
Forse era meglio così: lui non avrebbe mai voluto coinvolgerla in una missione così sanguinaria ma, cribbio, non riusciva più a nascondere tutto questo dolore. Dopo tutto… da chi doveva nasconderlo?
Oh, lei gli mancava. Gli mancava così tanto la sua integrità, la sua giustizia, la sua fermezza. Tutti nel Sottosuolo erano ormai consci che, nonostante la stazza di lui, era lei il supporto del re, la mente dietro il trono, essendo la più vicina confidente e consigliera nei riguardi della gestione del regno; qualunque fosse il problema lei era sempre lì, pronta ad ascoltare e comprendere e dire la sua. Non era il genere di persona che edulcorava la questione: se una punizione era necessaria, lei si rassicurava di essere sufficientemente chiara.
Eppure, nonostante tutto, lei era pur sempre la sua appassionata moglie, la sua famiglia. Così amabile da non avere problemi a baciarlo o stuzzicarlo con nomi buffi in pubblico, tantomeno nella riservatezza della loro camera da letto, i suoi sorrisi i più brillanti, le sue carezze le più delicate, i suoi baci i più dolci.
Lei era così appassionata in ciò che trovava anche il più piccolo interesse che la sua conoscenza non conosceva limiti, permettendole così di insegnare ai suoi stessi figli le meraviglie del mondo, approfondendo gli argomenti ma senza dimenticarsi di alcune pause per giochi di parole e battute. Santo Angelo, le battute… è vero, le sue non erano le migliori, alcune di quelle erano pure squallide, ma non riuscì mai a trattenersi dal sorridere e ridere. Non era per pena. Non era neanche per prenderla in giro. Cribbio, non era per soddisfare il disperato desiderio di lei di sentire divertimento alle sue parole. Era solo grazie alla sua voce perfetta, perfettamente adatta per ogni parola, dorandole con la sua bocca.

La stessa bocca che si rifiutò di sorridergli quella volta, la stessa voce che si rifiutò di ragionare con lui quella volta, abbinandosi con lo sguardo completamente disgustato che gli lanciò prima di andarsene per sempre. Era ovvio che lei si fosse sentita tradita: lui stesso sapeva di non essere stato lucido e, a causa di ciò, il dado è tratto. Peccato che fosse solo uno: anche con la fortuna più sfacciata, il risultato li avrebbe solo illuso tutti con vane speranze di una libertà inesistente. E ha già raggiunto il numero maledetto, il sei, solo l’Angelo sa da quanto. Lui ridacchia singhiozzando al ricordo di quel discorso pieno di lutto, tormento e rabbia, così tanta effimera, codarda rabbia, pura rabbia che morì appena le conseguenze dei suoi piani gli calpestarono i fiori. Ma in che altri modi poteva altrimenti placare il dolore diffusosi tra tutte le deboli ANIME?! Non era stata la morte di una persona qualunque: loro erano il futuro degli umani e dei mostri, loro erano i piccoli monarchi del regno, loro erano i loro bambini.

… Loro erano solo dei bambini. Dei gioiosi, innocenti e gentili bambini, sempre pronti a sollevare il fardello anche dello spirito più misero, qualunque fosse il loro stesso umore. Amavano semplicemente tutti con così tanta genuinità e la loro amicizia era una delle più rare e preziose. Non avrebbe dovuto stupirsi quando, al termine della malattia di Chara, la fedele ANIMA di Asriel si fuse con la sua. Solo per poter soddisfare la sua ultima volontà. Solo per poter fargli vedere i fiori. E per questo lui doveva morire! Perché voleva portare il fratello sotto la luce del sole e onorarlo e farlo riposare in pace―
Una pace che presto si dissolse in polvere sul prato. Quando trovarono il loro figlio giacente sul giardino che a fatica manteneva la sua forma con un debole sorriso, l’ANIMA di Asgore sprofondò negli abissi più remoti, anche sotto lo stesso Sottosuolo, lì dove il sogno da lungo atteso da tutti i mostri dimorava morente. Chara se n’era andato. Asriel se n’è andato. E anche Toriel lo lasciò con le sue gambe disgustata― Ma come poteva reagire altrimenti?! Dopo tutto quello che gli umani hanno fatto ai mostri e a Chara, dopo aver portato via il piacere di poter vedere il cielo, le stelle, la pace di vivere in libertà, questo non lo poteva accettare, non più. La crescente disperazione non poteva essere placata se non con una promessa di libertà, per quanto assurda o impossibile sarebbe potuta sembrare. E comunque… gli umani non se l’erano forse cercata?

Lui rabbrividì, realizzando che delle lacrime gli segnavano le guance. Si sedette sull’angolino dell’intero letto, dell’intera stanza, dove tutta la speranza che era rimasta si era accumulata. Singhiozzò, coprendosi gli occhi con le stesse mani che una volta ebbero abbracciato i figli. Le stesse mani che avrebbero brandito il tridente scarlatto e reclamato l'ultima ANIMA che li teneva lontani dalla libertà.

Gli occhi di quei innocenti giovani lo tormentavano… «So chi sei tu! Io ti ho visto nella piazza, ricordo bene quelle corna―» Bambini… Ignari bambini…
Non c’è una guerra senza vittime.

Si alzò, provando a concentrarsi al corridoio buio avviandosi verso la cucina, passando per il salotto, la poltrona un ristoro per le ombre proiettate dalle finestre. Il camino era spento, un vortice di cenere danzava col vento. I suoi piedi percorsero tranquillamente per il pavimento oscuro, non era che avrebbe potuto calpestare qualche giocattolo lasciato indietro dai bambini…

Le ombre formarono una sagoma ignota. Un intruso.
Lui agì, voltandosi e richiamando delle fiamme nelle sue mani, pronte a estinguere il nemico, gli occhi rivolti verso il nulla. Non c’era più nessuno dietro di lui, o fin dall’inizio. Va bene, non importa.

Finalmente accedette alla cucina, accecato per un istante dalla loquace lampadina. Un sopraffacente e pungente fetore raggiunse il suo naso. Oh, giusto, le torte.
Lui ricordava ogni singolo tentativo, anche quelli di praticamente una vita fa, accompagnati dalle vigorose risate dei bambini, divertiti dal suo volto dispiaciuto per la pasta rovinata, e quasi lo facevano sorridere.
Nonostante tutta la sua attenzione e dedizione posta nel seguire i tutorial di Toriel sull’arte culinaria, non aveva ancora trovato il segreto delle sue paste.
Lui aveva già provato a usare gli stessi e identici ingredienti: quella torta di ranuncoli lo scombussolò e trattenne a letto per diversi giorni, ma comunque sarebbe potuta venir bene, no? Be’, preparare una torta al butterscotch e cannella era forse troppo presto, ma provare un’altra delizia come la torta alle lumache? Lui aveva provato a seguire la ricetta alla lettera, andando fino alle Cascate a cercare quella fattoria che Toriel aveva sempre frequentato. Il risultato fu una mistura impossibile da descrivere e analizzare. Il suo stomaco lo aveva rigettato al primo assaggio. No, non c’era traccia di ranuncoli… E sarebbe dovuta essere una torta di lumache, eheh, ironico, non è vero?
Ma… ma certo, il fuoco! Lei era solita usare la fiamma magica per preriscaldare il forno. Tutte le interiora rimasero carbonizzate.
E per quanto riguardava la teglia? Non era la stessa! Lui aveva persino provato a usare la stessa e identica pirofila che lei preferiva, la sua forma perfettamente tonda. Eppure nulla. Non importavano tutti gli sforzi e i tentativi e le speranze, la pasta risultava sempre troppo cruda o bruciata, amara o nauseantemente sdolcinato.
E se… E se ci fosse un ingrediente di cui lui non sapeva nulla?
Ma il fetore proveniente dal cestino ricordò al suo stomaco che non quella era una buona idea.
Cacciò via dalla mente la sua apprensione, troppo esausto per preparare altri rifiuti organici. Doveva farla finita.

Prese il bollitore e lo riempì con acqua corrente e gelida. I movimenti improvvisi fecero traboccare qualche goccia, bagnando il pelo esposto, ma non pulendolo dalla terra e dai petali. Posizionò la pentola sul fuoco, preparandosi all’assordante ma familiare grido dell’acqua bollente.
Si avvicinò alla credenza, numerose forme e colori di ceramica dimoravano sullo scaffale, un memento mori di chi se ne andò. Gli piaceva guardare le singolari tazze, ricordando come quella stellata fosse sempre stata riempita con acqua bollente, il bordo sempre più luccicante a ogni sorso, o come quella gialla fiorita evitava il tè e preferiva invece un liquido più scuro, denso e dolce, oppure come invece quella bianca e tonda optava caffè.

Le strilla non si fecero attendere, rapide ad aumentare di volume. Si affrettò a togliere il bollitore dal calore, attento a non bruciare l'inutile mantello. Si servì prendendo una busta fatta da lui di tè di fiori dorati, voltandosi poi verso la credenza per scegliere la tazza da utilizzare. I suoi occhi caddero su una ceramica in particolare, deformata e pallida, la superficie recitante un infantile buon-cmplnn-sign-re.
Era una tradizione della sua famiglia quella di scambiarsi tazze artigianali per regalo, e perciò era lui a preparare la tazza più adatta, mettendoci tutta la sua ANIMA per crearla. Eppure quella, nonostante la forma imperfetta e le lettere mancanti, aveva ancora rinchiusi i loro sorrisi fatti apposta per lui soltanto.

Si riempì una tazza qualunque. Fece un paio di sorsi, sorpreso poi dal liquido bollente che gli bruciò lungo la lingua, ma era un sollecito alle conseguenze che doveva affrontare.
  
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