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Autore: hapworth    18/01/2021    2 recensioni
Qualcun altro lo avrebbe reputato noioso, ma Izuku si divertiva ad ascoltarlo, specie quando gli raccontava come si fosse appassionato improvvisamente a qualcosa che, altri, neppure avrebbero notato. Aveva sempre così tanto da dire, che Izuku trovava raramente spazio per inserirsi, ma gli piaceva comunque, perché poi Shouto lo guardava con i suoi occhi brillanti ed era come se sorridesse, anche se non lo faceva come gli altri.
[Shouto/Izuku]
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Shouto Todoroki
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sono passati quasi due anni da quando ho messo la parola “fine” a questa storia per la prima volta. Da allora ho dedicato a questa creatura due revisioni complete e varie aggiunte per renderla più omogenea, cercando di non perdere comunque di vista il fatto che fosse nata come slice of life e che, quindi, dovesse mantenere quel tono.
Ho attraversato diversi momenti in cui non desideravo davvero postarla, perché malgrado tutto era da diverso tempo che non creavo una storia a più capitoli e che arrivasse alla doppia cifra – non scrivendo da sola almeno; niente di troppo ansiogeno, ma comunque è stato per me terapeutico e, anche se nutro ancora molte riserve su ciò che ho scritto e come l'ho scritto, amo questa storia e amo il rapporto che ho finito per creare tra i due. Ne sono pienamente soddisfatta insomma e spero che chi vorrà accompagnarmi (?) possa in qualche modo affezionarsi almeno un po'.
Detto questo, vi auguro una buona lettura.

hapworth

Ringraziamenti: Prima di tutto ringrazio tantissimo Ortensia_, che sebbene fosse impegnatissima è riuscita a ritagliarsi un po' di tempo per i primi capitoli della mia creatura e a darmi consigli utili e correggermi degli strafalcioni che mi erano – ovviamente – sfuggiti. Grazie, sei stata un tesoro!
E poi un grazie speciale a laNill, mia perenne partner in crime da anni che, volente o nolente, finisce per sorbirsi in modo diretto o indiretto - anche quando non ama particolarmente le ship o quando non ha per niente voglia di sentirmi blaterare - i miei dubbi e le mie insicurezze. E tutto senza strozzarmi, seppure attraverso lo schermo di un computer o di un cellulare. Sai che ti adoro.

Dedicato a: La dedico a F., perché anche se non la leggerà mai e non è stata scritta pensando a lui, la verità è che la voglia di trattare su questo tema mi è venuta proprio dopo averlo conosciuto – anche se sono passati anni da allora e io ero solo una ragazzina e lui un bambino.
In seconda battuta, la dedico a tutti quei bambini e ragazzi che sono definiti “problematici” e che per questo sono scacciati da quelle aggregazioni sociali, ricche di benpensanti, che nel momento in cui serve davvero un sostegno a qualcuno, se ne lavano le mani. Questa è anche per te A., perché non hai mai meritato il modo in cui ti hanno descritto e trattato. Ancora mi pento di non essere stata abbastanza adulta e coraggiosa per oppormi con maggior forza. Spero che un giorno capirai.
In ultimo la dedico a L., che ho conosciuto solo quando questa storia era già finita e che mi ha aiutato, seppure inconsapevolmente, nel rendere il piccolo Shouto ancora più credibile durante la revisione. Meriti il meglio e spero che la vita non ti porti via anche l'amore incondizionato che tutti meritiamo.
E ricordate sempre che nessuno ha il diritto di cacciare, evitare o sminuire ciò che siamo e le nostre infinite possibilità. Nessuno.


 
Tell me how you feel
Well I feel like they're talking in a language I don't speak
And they're talking it to me

(“Talk”, Coldplay)


And everywhere I'd look, your eyes I'd find
Capitolo 1 - Mi piacciono i treni

«Non ti allontanare troppo dal giardino, Izuku!» Inko osservò il figlio di cinque anni annuire; aveva un sorriso ampio sul visetto tondo e paffuto – le assomigliava così tanto! - mentre apriva la porta di casa e usciva in giardino per giocare. Izuku aveva i capelli ricci, di un particolare color verde scuro e due occhi grandi di una tonalità di un verde molto più brillante rispetto a quella dei capelli.
Una volta fuori, il bambino si guardò intorno con curiosità: si erano trasferiti solo quel giorno dalla città in cui era nato e non aveva ancora avuto modo di esplorare i dintorni. La sua idea, in realtà, era stata quella di giocare un po' nel loro bel giardino, ma era anche molto emozionato all'idea di scoprire qualcosa del nuovo quartiere.
La piccola villetta monofamiliare dei Midoriya si trovava in una zona residenziale molto carina, dove altre piccole ville creavano un'ambientazione simile a quella dei libri che Izuku si faceva leggere dalla mamma. C'era tanto verde e ognuna di esse aveva un piccolo giardino sul davanti, recintato.
Izuku osservò la staccionata ricoperta dalle piante rampicanti che separava casa Midoriya da quella di fianco a loro che, a giudicare dal primo sguardo, era decisamente molto più grande. Incuriosito, si avvicinò al confine, cercando di sbirciare oltre la lunga e alta – almeno per la sua statura minuta – siepe che faceva da barriera tra le due proprietà.
Non era un tipo sportivo, ma gli piaceva arrampicarsi, così riuscì a risalire la siepe e a sbirciare oltre: un giardino grande, molto diverso dal loro; non c'erano fiori, solo un enorme prato verde con diversi attrezzi e quello che, presumibilmente, assomigliava a un orto proprio oltre la staccionata dove si era arrampicato.
In mezzo a quella massa di oggetti, principalmente metallici, stava un bambino.
Izuku inclinò leggermente la testa, osservando il colore inusuale dei suoi capelli: ne aveva una parte rossa, sulla sinistra, e come se fosse stato tagliato a metà, una parte completamente bianca sulla destra. Non lo vedeva bene, ma era indaffarato a fare qualcosa con le mani.
Era ancora indeciso sul da farsi, quando all'improvviso nel suo campo visivo entrò qualcuno. Fece appena in tempo a vedere la frangia di colore diverso, prima di perdere l'equilibrio – già precario – sulla staccionata e cadere all'indietro. «Ah!» esclamò, mentre atterrava sull'erba, portandosi la mano a massaggiarsi la testa e il collo.
«Tu chi sei?» la voce sconosciuta gli fece sollevare la testa verso la siepe.
Il bambino che aveva guardato poco prima era lì e lo osservava; aveva gli occhi di colore diverso, uno grigio e uno azzurro, rispettivamente alla destra e alla sinistra e lo fissava, apparentemente incuriosito anche se non avrebbe saputo dirlo con certezza.
Izuku, imbarazzato, si alzò in piedi. Non arrivava alla siepe, quindi l'altro bambino era più in alto, ma non sembrava molto importante. «Io sono Izuku.»
«Io mi chiamo Shouto. Vuoi giocare con i trenini?» gli domandò. Izuku sorrise, mentre l'altro bambino sembrava non guardarlo direttamente. Eppure era chiaro che stesse parlando con lui – controllò anche se ci fosse qualcuno dietro di sé, ma non c'era nessuno, quindi... Probabilmente era solo timido.
«Mi piacerebbe-»
«Ai miei fratelli non piacciono, quindi se vuoi possiamo giocare insieme.» continuò quello, mentre spariva al di sotto della siepe e poi faceva capolino – il tutto continuando a parlare – davanti al cancello di casa sua.
Izuku annuì. «Lo dico alla mamma.»
Shouto non disse niente, rimanendo fermo sul posto, davanti al cancelletto, mentre Izuku apriva la porta di casa e infilava la testa all'interno. Cercò con lo sguardo la madre, sentendo dei rumori provienienti – come sempre – dalla cucina.
«Mamma, posso andare a giocare con Shouto?» Inko apparve proprio dalla soglia della cucina e lo guardò sorpresa. «Chi è Shouto...?»
«Abita di fianco a noi. Posso?» spiegò, dandosi mentalmente dello stupido: come faceva sua madre a conoscerlo, se lui stesso lo aveva appena incontrato? Inko gli sorrise, annuendo bonariamente mentre si asciugava le mani con un panno. «A patto che quando è ora torni a casa.»
Izuku annuì energicamente, i capelli crespi che si muovevano con lui in un assurdo effetto di gravità. Sapeva che sua madre non gli avrebbe mai vietato di farsi un nuovo amico, ma allo stesso tempo sapeva di doverlo comunque chiedere. Era contento che sua madre fosse sempre così buona. «Grazie mamma!»
Izuku uscì di corsa e trovò Shouto dove lo aveva lasciato, che si guardava intorno e muoveva i piedi, in un modo un po' strano prima sulla punta e poi dietro. Avanti e indietro, in una ripetizione continua, mentre teneva la testa bassa e le mani incrociate dietro la schiena.
«Ha detto di sì!» annunciò Izuku. Shouto si riscosse, ma lo guardò solo un attimo, prima di muovere appena la testa e fargli strada, fino ad arrivare nel giardino di casa sua.
Una volta che il cancelletto fu aperto, Shouto si diresse a passo spedito – ma apparentemente incerto – verso quella che appariva proprio come la postazione di un bambino. Izuku riconobbe che tutto era sistemato in modo che ci potesse arrivare con le mani senza spostarsi troppo in giro.
Shouto si lasciò ricadere a terra con un tonfo, mentre Izuku si sistemava al suo fianco, osservando i binari impilati uno sopra l'altro e i vagoni poggiati sull'erba. «Sono bellissimi! Posso prenderli?» domandò, lanciando uno sguardo nella direzione del nuovo amico che, voltandosi nella sua direzione, arrossì appena. «S-sì.» mormorò.
Izuku non se lo fece ripetere due volte e cominciò a osservare con attenzione i dettagli dei modellini; erano fatti benissimo, lui non ne aveva mai avuti, anche perché preferiva le automobiline o i pupazzi, però erano bellissimi.
«Sai che i vagoni sono lunghi sei metri per quattro? La sbarra di ferro è larga circa due metri e otto.» gli rese noto l'altro bambino mentre, con la lingua che spuntava a lato della bocca, cominciava a sistemare i binari uno vicino all'altro.
Izuku lo osservò in silenzio, cercando di capire come unire i diversi vagoni insieme.
«Fantastico!» esclamò Izuku una volta che ebbero finito di montare la pista. Si estendeva intorno a loro, racchiudendoli all'interno; non c'erano ostacoli, ma Shouto aveva sistemato una scatola tagliata come se fosse stata una galleria.
Il treno era stato montato e la locomotiva sistemata davanti ai vagoni. Izuku batté le mani tra loro, in segno di eccitazione, mentre Shouto osservava in modo fisso e apparentemente scettico il loro operato, come se mancasse qualcosa.
«Ci vuole un ponte.» annunciò infine, mentre si alzava e quasi inciampava sui binari mentre cadeva per terra e si rialzava mettendo prima i gomiti, facendo leva su di essi e poi sulle ginocchia.
«Ti aiuto!» Izuku si rialzò, affiancandosi a Shouto, che però si era già rialzato. Erano quasi alti uguali, la loro corporatura era anche molto simile; unica differenza era la loro carnagione: Shouto aveva una tonalità molto chiara, mentre Izuku più rosea e sulle guance aveva qualche lentiggine.
Alla fine trovarono un coccio rotto e lo misero sotto ai binari, in modo da simulare un piccolo rialzo – non eccessivo, per evitare di rovinare la pista – e si rimisero seduti uno vicino all'altro, prima di far partire il treno.
«Tutti in carrozza.» annunciò Shouto, mentre Izuku imitava il ciuff ciuff della locomotiva; il meccanismo fu azionato dal pulsante sul pannello davanti a loro e il treno cominciò a muoversi, tra le loro esclamazioni eccitate.
Il percorso dei binari venne attraversato senza problemi dal modellino, mentre Izuku e Shouto ne osservavano incantati il suo proseguire in modo costante; era fantastico, o almeno per loro sembrava la cosa più bella del mondo. Izuku indicò emozionato la galleria e poi il piccolo rialzo che simulava il ponte, preoccupato che il trenino non riuscisse a farcela, ma contrariamente alla sua convinzione, il piccolo mezzo riuscì ad attraversare il tutto facilmente.
Rimasero probabilmente diverse ore a osservare l'andatura del trenino, cambiandone la velocità con il pannello e inserendo gallerie e rialzi, cambiando anche il percorso dei binari.
«Izuku! È ora di mangiare!» la voce di sua madre riscosse Izuku molto tempo dopo, facendolo inevitabilmente intristire per un attimo al pensiero che il pomeriggio fosse già finito. «Sì!» esclamò, vedendo la capigliatura verde scuro di Inko apparire dal portone di casa, intravedendola solo di poco da sopra la siepe.
Il bambino si voltò verso Shouto, che continuava a osservare con attenzione il trenino.
«Sho-chan, io devo andare.» annunciò. Quello non reagì immediatamente, ci volle un secondo richiamo da parte di Izuku, per fargli volgere lo sguardo nella sua direzione. Lo guardò solo un attimo, come aveva già fatto in precedenza e annuì, l'espressione indecifrabile; Izuku non vi diede peso e cominciò ad alzarsi da terra.
«Ci vediamo domani.» mormorò Shouto; non era una proposta, sembrava più un dato di fatto, mentre si alzava facendo leva nuovamente sui gomiti e poi sui piedi. Izuku lo osservò in silenzio per qualche istante, prima di sorridere entusiasta. «Sì!»
Il pensiero di essersi fatto un amico così velocemente lo rendeva davvero felice. Il giorno dopo avrebbero giocato ancora. Izuku non si trattenne e abbracciò Sho-chan, in una presa stretta, ma non troppo.
«Ciao, ciao Sho-chan!» lo salutò dopo averlo lasciato, sempre col sorriso, mentre Shouto lo guardava in tralice, con l'occhio azzurro e schiudeva le labbra per un attimo, senza tuttavia dire niente se non un semplice «Ciao.» mormorato in un tono stranito.
Izuku non ci prestò attenzione, anche perché per lui abbracciarsi era un saluto sufficiente e zompettò contento verso la casa a fianco.
Shouto rimase fermo sul posto ancora a lungo, prima che la voce di sua madre lo inducesse – dopo diversi richiami – a rientrare e rimettere a posto i suoi giocattoli. Ciao, ciao Sho-chan!
Qualcosa dentro di lui parve fare rumore, ma Shouto non sapeva che cosa fosse né, probabilmente, era ancora in grado di capirlo.


Continua...



Note finali.
Il titolo della storia è ripreso dal testo di Catch the Wind di Donovan.
Le informazioni circa i treni sono basate sulle normative europee, non ho assolutamente idea di come siano le regole in Giappone, ma Shouto si basa sul fatto che il suo è un modellino importato dall'Europa, quindi di per sé l'informazione è “importante” per quello dal suo punto di vista.
Le informazioni circa i numeri romani sono prese da Wikipedia.
Le età dei fratelli di Shouto sono falsate per mia volontà, in modo da poter sviluppare meglio la sua condizione ed evitare possibili – e ovvie – ripercussioni su di loro e sul loro comportamento, rendendoli abbastanza maturi da capire la situazione del fratello e le sue necessità.
I coniugi Todoroki qui sono sì sposati grazie a un matrimonio combinato, ma le motivazioni sono semplicemente economiche. La situazione non è rosea, ma non è nemmeno critica come quella della storia originale.
La madre di Izuku è rimasta vedova circa due anni dopo la nascita del figlio.
Nonostante la storia sia scritta in terza persona e da entrambi i punti di vista, come si può notare il titolo di ogni capitolo è in prima persona e dal punto di vista di Shouto, collegato a ciò che verrà trattato in modo più approfondito nel capitolo.
I modi di dire sono presi dalla mia esperienza personale, dunque non ho idea se siano usati in altre parti di Italia oltre che la mia. Perdonate questa leggerezza, ma non volevo cercare modi di dire di cui non conosco bene le sfumature, mi sembrava poco credibile.
Ultima nota, ma non ultima: ho raccolto un sacco di informazioni prima di imbarcarmi a caratterizzare Shouto, adattando il suo ic a quello che desideravo ottenere. Ho ancora un sacco di dubbi sul risultato finale, ma posso dire che ho fatto il meglio che potevo, cercando anche di non essere superficiale, che è una cosa che volevo in ogni modo evitare.
   
 
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