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Autore: Lady A    22/01/2021    2 recensioni
| 13th Doctor |
Dal testo:
"Le mani incontrarono il passato tra la consistenza della carta; piccoli fogli ripiegati con cura, imprigionati nel tempo, tra le fessure del ripiano comandi del TARDIS […] «Clara» il Dottore si impose un sorriso, i battiti accecanti sfuggiti dalle macerie di un’esistenza che aveva lasciato indietro. Socchiuse gli occhi con forza, la carta strette tra le dita sottili. Si costrinse ad aprire lo sguardo, cieca e sorda nel dolore; unico, deforme e ostile compagno che mai l’avrebbe abbandonata. […] Gli occhi esitarono distrattamente su Yaz, i folti capelli scuri stretti in un’elaborata treccia laterale. Per un battito di ciglia, la delicatezza di un viso tondo e di un naso all’insù emersero dalla mente allo sguardo; sospesa in quell’istante, Clara Oswald con i suoi occhi, il suo accanimento, la sua rabbia e la sua gentilezza, voltò le spalle e svanì. […]
«Dottore, perché stai piangendo?»."
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Companion - Altro, Doctor - Altro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vedo il fuoco nel cielo
lo vedo tutto intorno a me.
 Ho detto che il passato è morto
la vita che avevo, è finita
ho detto che non mi arrenderò
finché non vedrò il Sole […]  
 
Ho detto che non sono spaventato
che sono abbastanza coraggioso. […]
 
Stringimi adesso,
finché la paura non se ne andrà.
Sto respirando appena.

Hold me now – Red


 
 
«[…] Un giorno il dolore sarà così forte che non riuscirò a respirare e farò quello che faccio sempre, entrerò nella mia cabina e scapperò e scapperò per non soffrire più, ma tanto in ogni luogo in cui andrò sarà sempre insieme a me »

 
Il giorno strisciò tra le imposte delle finestre, barcollando come un ubriaco, emergendo da un pallido cielo tinto di neve e ferro. Calò tra i mattoni e i platani spogli, stagliati contro l’orizzonte come fragili ossa. Il bianco fitto disceso quella notte, s’infrangeva in penombre di chiaroscuri lungo le strade brulicanti di vita e suoni; un mosaico umano in un’intermittenza di voci e colori. Il TARDIS si materializzò d’improvviso, sferragliando inosservato nell’eco crescente del traffico. Una piccola cabina blu della polizia, su uno spicchio di terra toccato dal gelo, ai piedi nodosi di un Tasso, folto e imbiancato, dagli arilli rossi disseminati tra gli aghi.   
«Sheffield. Yorkshire» il Dottore sorrise, tirando con forza la leva della console, lo sguardo fisso sulle coordinate riportate sullo schermo. Girò attorno al pannello di controllo della sala comandi, spingendo tasti, immersa in un sonoro brusio. «Conosco un posto fantastico! Gente con i colli lunghi che festeggia il Capodanno da due secoli. Vi divertirete, soprattutto tu, Graham!» s’interruppe, realizzando in un groviglio di delusione, di essere sola. Sbuffò sarcastica, allungando occhiate impazienti alla porta della nave, tamburellando distrattamente con le dita sulla superficie della console. L’avido, intimo sentore della solitudine riprese silenziosamente vita. «Potrei fare manutenzione» azzardò con poca convinzione, scrollando le spalle annoiata. «… o potrei mettere un po’ in ordine». Tornò con lo sguardo alla console, sommersa di mappe e oggetti di varie origini. Arrotolò le maniche del cappotto, infilando il cacciavite sonico in una tasca laterale. Le mani incontrarono il passato tra la consistenza della carta; piccoli fogli ripiegati con cura, imprigionati nel tempo, tra le fessure del ripiano comandi del TARDIS, tra provette di vetro, un microscopio e gli occhiali da sole di Audrey Hepburn. Li dispiegò uno ad uno, le dita incerte come fumo, i cuori tesi come le corde di un arco prossime allo strappo, irreparabili. “Mi dispiace per la vostra perdita. Farò tutto quello che potrò per spiegare la morte del vostro amico/famigliare/animale domestico”.   
I ricordi spezzarono il respiro e il presente, vivi e feroci.                                                   
«Clara» il Dottore si impose un sorriso, i battiti accecanti sfuggiti dalle macerie di un’esistenza che aveva lasciato indietro. Socchiuse gli occhi con forza, la carta strette tra le dita sottili. Si costrinse ad aprire lo sguardo, cieca e sorda nel dolore; unico, deforme e ostile compagno che mai l’avrebbe abbandonata.   
«La mia Clara» drizzò le spalle, lasciando che le ombre scivolassero lontane, tra le stelle, pronte a fuggire e a ridestarsi affamate, per braccarla.
 
Dovunque io andrò tu non sarai con me.   
Ispirò, sfregandosi le palpebre; i ricordi riaccesi come un Sole dalla Testimonianza, sul ciglio dell’ultimo saluto, strappando dalla mente il vuoto inquieto che aveva rincorso ogni suo passo, da Darillium a Bristol, fino allo Spazio più remoto.                             
C’è una cosa che so per certo. Solo una cosa. Se la incontrerò di nuovo saprò che è lei.                
Stupido, sciocco, vecchio Dottore! Le labbra contratte in un’espressione amara, sottile e affilata come una lama conficcata tra il petto e le viscere. 
«Oggi è stata una giornataccia! Solite liti condominiali e faide tra vicini per un posto auto».       
Voci in sottofondo. Il sussulto dei due cuori; roventi e scattanti come un martello sull’incudine. La porta del TARDIS si spalancò di colpo, il suono dei loro passi come tamburi di guerra. Tum-tum-tum-tum. 
Il Dottore distolse rapidamente lo sguardo, i fogli stretti in pungo. Li ripose frettolosamente. Accennò un sorriso, le mani lungo le leve della console e la postura insolitamente rigida. Gli occhi esitarono distrattamente su Yaz, i folti capelli scuri stretti in un’elaborata treccia laterale. Per un battito di ciglia, la delicatezza di un viso tondo e di un naso all’insù emersero dalla mente allo sguardo; sospesa in quell’istante, Clara Oswald con i suoi occhi, il suo accanimento, la sua rabbia e la sua gentilezza, voltò le spalle e svanì.                     
Non andare… stai con me.                                                                                
«Dottore?», si scoprì a fissare un punto indefinito davanti a sé, sottratta d’un tratto, da un intreccio di voci che le affiorarono nella testa: vive, umane ed effimere. Ritrovò Yaz al proprio fianco, il suo sguardo fermo su di lei, come in attesa. Cercò i volti di Ryan e Graham, sorridendo istintivamente.                     
«Allora? Dove andiamo? Abbiamo tutto il Tempo e lo Spazio a nostra disposizione» le dita corsero sui tasti, frenetiche. «Cosa ne direste di visitare Mendorax Dellora? Simile alla Terra, ricca di ossigeno con due grandi lune blu». Inserì le coordinate, gli occhi sfuggenti, fissi sullo schermo e un entusiasmo irreale nella voce. 

«Spero solo che non ci siano dei Sontaran ad attenderci come su Terra Alpha» fu la risposta di Graham, scuotendo le spalle. Il Dottore incrociò brevemente il suo sguardo, sulle labbra il cenno debole di un sorriso.
«Dottore, perché stai piangendo?».      
Vide la faccia di Yaz, vaga e indistinta tra le ciglia, tesa verso di lei. Sbatté le palpebre; con mani e lacrime percorse il proprio viso, nudo, liquido e salato.                                                                           
Io mi ricordo, Clara, tu non riesci a capire, io mi ricordo di tutto, in continuazione, e tu sei sempre morta.  
                                                                                                                                  
«Doc, così ci fai preoccupare, è successo qualcosa?».                                                                  
Il Dottore scosse il capo. Trovò Graham, accanto a lei, tra Yaz e Ryan, la preoccupazione sui loro volti.                                                                             
«Starò bene. Forse. Probabilmente» disse solo, tirando impercettibilmente su con il naso, le dita scomposte tra i capelli e le tempie e, le sopracciglia contratte. 
«Ehi! Ha nascosto qualcosa quando siamo entrati!».   
Trattenne il respiro. Di fianco a lei, Ryan indicò con il mento un cassetto della console. Si affrettò ad aprirlo, senza esitazione, ignorando le proteste di Yaz. Colse l’unico contenuto. Brevi frasi scritte su piccoli fogli, corsero di mano in mano davanti agli occhi del Dottore.                                               
«Sembra la grafia di una donna, è tua Doc?».
Esitò alla domanda di Graham; la lingua di pietra, il respiro lento e i battiti franare.

«Per chi sono?».           
Riafferrò le carte strette da Yaz, infilandole seccamente all’interno del cappotto. Sospirò, dando loro le spalle, vagando tra i dorati profili esagonali del TARDIS.                                              
«Erano per me, quando ero un signore scozzese» parlò dopo interminabili secondi; la voce seria, trascinando lo sguardo sui loro visi confusi. «… allora, faticavo a comprendere i sentimenti e le emozioni degli altri. Anche di me stesso. Molto più di adesso» concluse, lanciando occhiate impazienti dalla porta della nave e allo schermo della console.             
«Quindi, lei viaggiava con te, come noi?» domandò Graham. Il Dottore annuì, senza respiro, forzando un sorriso.
«E’ stato molto tempo fa. Ve lo racconterò un’altra volta». Tagliò corto. Per un breve istante, le dita scivolarono sui fogli, nella tasca interna. Cercò Clara; con le mani e la mente e gli occhi e i cuori, inconsciamente. Ancora e ancora.
Quanti secondi ha l’eternità?

           

  

 

 
 
 
Le frasi in corsivo, sono tratte dalla nona stagione, con il Dodicesimo Dottore. 
  
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