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Autore: Enchalott    25/01/2021    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il concetto di errore
 
Varsya si asciugò gli occhi con le dita, stringendo al petto il sigillo appartenuto al suo primogenito come se fosse la cosa più preziosa che avesse mai posseduto.
Dare Yoon, inginocchiato difronte a lui, chinò il capo parimenti commosso. Quando si era presentato al bailye degli Aethalas, l’uomo gli era apparso il capotribù capace e autorevole che gli era stato descritto: lo stesso che aveva percorso un sentiero pericoloso pur di assolvere al proprio ruolo di Guardiano del Mare, sfidando addirittura le intenzioni del suo reggente. Ora, con lo sguardo offuscato dalle lacrime, gli sembrava un padre disperato, impossibilitato a sostenere il peso di un lutto tanto ingiusto e innaturale.
Si mosse a disagio. Il suo compito era concluso: gli aveva restituito il pendente con incisa la cifra di Narsas e le esatte parole dell’arciere, vergate su una missiva che aveva avuto il privilegio di leggere.
 
«Ti chiedo di non addolorarti, padre. In questa vita ho percorso la mia strada, ho scelto la mia missione, ho amato una donna, ho appreso il valore dell’amicizia, ho combattuto me stesso e ho provato rispetto per un nemico. Non mi occorre altro. Abbi cura di mia sorella e di te. Sono fiero di essere parte di voi, la fine della mia esistenza mortale non mi impedirà di continuare ad amarvi.»
 
Quei termini semplici e sinceri continuavano a toccare nell’intimo il soldato, facendolo esitare come se avesse qualcosa in sospeso con la famiglia di Narsas e congedarsi fosse un atto irriverente.
«Alzatevi, Dare Yoon» lo esortò Varsya «Non rimanete inchinato davanti a me, non lo permetto. Siete un amico di mio figlio, vi siete meritato la sua stima e il suo affetto. Per me è come se una parte di Narsas riposasse in voi e ciò vi rende inestimabile.»
L’ufficiale si raddrizzò commosso, incontrando lo sguardo addolorato del portavoce.
«Mi rendereste felice, se accettaste di tenerlo» continuò questi, porgendogli il sigillo di metallo che aveva indossato fino a poco prima «Come segno di riconoscenza e come ricordo. Sarete sempre il benvenuto presso le tende degli Aethalas, nella speranza che vogliate onorarmi con la vostra visita.»
Dare Yoon ebbe un tuffo al cuore: lasciò che Varsya gli rinfilasse al collo il pendente.
«L’onore sarà mio. Non mancherò, se i daimar o Irkalla mi risparmieranno.»
Il più anziano annuì, afferrandogli la mano e stringendogliela con forza, in un gesto inconsueto e informale. Prima che potessero dirsi altro, un guerriero armato d’arco si precipitò nel padiglione, scusandosi per non essersi annunciato con i modi dovuti.
«Perdonate, bailye, siamo sotto attacco. Il reggente richiede la vostra presenza!»
 
Dare Yoon schizzò fuori con la spada in pugno, cercando di comprendere alla luce incerta del crepuscolo da dove provenisse l’offensiva e se gli aggressori fossero Anskelisia o avversari di altro calibro. Provò a individuare la posizione degli Iohro, ma i guerrieri di Eisen erano molto avanti nelle linee di difesa. Imprecò, desideroso di contribuire alla salvaguardia dei compagni e seguitò a correre per raggiungerli, evitando di intralciare le concitate operazioni in atto.
Attraversò uno degli spiazzi dell’accampamento, illuminato a giorno dalle fiaccole: l’odore di resina che emanavano era molto intenso e le fiamme che guizzavano dalle torce avevano una sfumatura verdastra. Gli uomini e le donne che si dirigevano alla sua stessa meta portavano l’eftaster agganciato alla cintola e ne stavano liberando le lame letali.
Haltaki.
Si arrestò per evitare di essere travolto dalla cavalleria della tribù, che procedeva al passo veloce, in diagonale attraverso l’area libera per accelerare le procedure e congiungersi agli altri guerrieri.
L’ufficiale sollevò lo sguardo e inevitabilmente incrociò quello di colei che, fasciata in un abito da sella scarlatto, ne guidava la testa.
Aylike.
La donna lo riconobbe al bagliore altalenante che illuminava l’avanzata dei suoi guerrieri e trasalì: strattonò le redini, trattenendo il corsiero e facendolo spostare dalla colonna con una mossa di talloni.
«Dare Yoon…»
Si scrutarono per un lungo attimo, durante il quale persino il clamore della battaglia appena ingaggiata parve tramutarsi in un complicato silenzio.
«Stai… bene?» si informò la bailye con una nota d’esitazione nella voce.
Le sue iridi scure scintillavano al lucore delle torce, segno che l’incontro inaspettato non la stava lasciando indifferente. Il soldato si ritrovò a pensare che non avrebbe mai ritenuto possibile da parte sua una reazione tanto emotiva. E che quella che gli aveva rivolto era la domanda più stupida che potesse tirare fuori.
«Sì, bene» replicò con una freddezza che non gli costò sforzo alcuno.
«Io… ti ho cercato, ieri. Avrei desiderato parlare con te.»
Lui inarcò un sopracciglio: nessuno gli aveva riferito di una sua visita.
«Non abbiamo nulla da dirci.»
Aylike incassò con dignità la risposta volutamente brusca, ma avanzò verso di lui senza smontare di sella.
«Vorrei solo che tu mi ascoltassi.»
«Non è il momento. E qualunque argomento tu aspiri a trattare, non mi interessa.»
Lei fece per ribattere, ma fu interrotta dal sopraggiungere di un altro combattente.
«Madre! Madre, perché ti sei fermata?»
Madre…?
Dare Yoon si girò d’istinto per individuare la persona che aveva pronunciato quel richiamo tanto insolito. Fissò l’adolescente che aveva affiancato la capotribù e che la stava esortando a non indugiare. Impietrì.
Fu come guardarsi in uno specchio che aveva conservato la sua immagine di una quindicina di anni prima: tale appariva l’età del giovanissimo nomade in abiti da guerra, che lo squadrava con palese curiosità.
L’ufficiale rimase congelato nella contemplazione attonita e decisamente fuori luogo, cercando di focalizzare i pensieri, che convogliarono tutti in un solo, consapevole verso. Il suo sguardo, carico di incertezza e di sgomento, tornò a puntare stravolto su Aylike.
«Madre! Gli Haltaki attendono i tuoi ordini per coprire le posizioni! Presto!»
La donna lanciò a Dare Yoon un’ultima occhiata intrisa di rammarico e di malessere.
«Lui è…» balbettò il soldato «Lui è mio…?»
«Eccomi, Yazad» rispose la bailye, ignorando l’espressione esterrefatta dell’uomo «Perdonami…» mormorò poi, spronando la cavalcatura e scomparendo nel buio.
Il rumore dello scontro in atto riprese a martellare i timpani dell’ufficiale, meno invadente delle pulsazioni che avvertiva alle tempie.
Dei! Dei misericordiosi!
Strinse l’elsa dell’arma per evitare che gli scivolasse di mano. Avrebbe voluto lanciarsi nella mischia, smettere di rimuginare sul trascorso e sulle assurde ipotesi che ne emergevano, ma non riuscì a muovere un muscolo.
Non poteva essere altrimenti. Era identico a lui, una copia quasi perfetta. Quel ragazzino, che gli assomigliava in maniera impressionante, doveva essere suo figlio.
Aylike si era eclissata dopo aver trascorso quell’ultima, maledetta notte con lui e non gli aveva mai rivelato nulla. Nessuna parola, nessun messaggio. Forse era il motivo per cui lo aveva lasciato senza una ragione plausibile… era incinta di lui! Ma perché? Perché aveva scelto di far crescere il suo discendente senza un padre? Perché non gli aveva dato la possibilità di scegliere se impegnarsi in quel ruolo? La tribù cui lei apparteneva aveva regole ferree sul privato, ma secondo gli Haltaki era disdicevole allevare un bambino senza un compagno accanto. Era stato ciò che la donna aveva letto nelle fiamme a proposito del suo destino a condurla all’iniqua risoluzione? E in tal caso, sarebbe stato opportuno per lui iniziare a prestarvi fede? Esisteva qualcosa che Aylike non gli aveva rivelato?
La raffica di domande mulinanti continuò a sconvolgergli la mente, portando in secondo piano l’imminenza dello scontro e il rischio fatale che avrebbe corso se i demoni avessero fiutato le sue insicurezze. Lo avrebbero individuato e ne avrebbero fatto carne da macello. Inalò l’aria, provando a scacciare quella che gli risultava un’apparizione irreale, tanto improvvisa quanto insensata. Un fantasma del passato, sorto per indicargli un fallo irrimediabile. Rimase bloccato nell’impasse di sensazioni contrastanti. Fu il peso lieve del sigillo Aethalas sul petto a strapparlo dall’accidentato sentiero dell’autocondanna.
Narsas…
Il paragone tra ciò che l’arciere era riuscito a sostenere e la propria attuale situazione contribuì a ridimensionare il grado del senso di colpa e dello scoramento che lo stavano attanagliando. Si riscosse. Se non fosse sopravvissuto, non avrebbe sciolto i dilemmi e neppure ottenuto la possibilità di prendersi le proprie responsabilità, di conoscere… Yazad… e di chiedere ad Aylike conto dei fatti.
Dare Yoon riacquistò il controllo di sé, impedendosi di scivolare lungo una china che ben conosceva e che già una volta aveva rischiato di distruggerlo. Non in quel momento. Non era lui il centro, il problema. I daimar non avrebbero trovato appigli tra i suoi sentimenti. Avrebbero dovuto ricorrere alle loro dannate spade nere per ucciderlo, non agli irrisolti vecchi e nuovi!
Seguì l’onda degli uomini che sciamavano verso il nemico senza più esitare.
 
Tsambika comprese dall’agitazione proveniente dall’esterno che era avvenuto qualcosa di serio: per esempio, un attacco di quei maledetti Angeli del deserto o, peggio, da parte delle creature dell’oscurità. Non aveva mai avuto l’infausto privilegio di incontrarne una e, a essere sincera, non ci teneva affatto. Ma non aveva intenzione di starsene nascosta come una codarda ad attendere l’esito dello scontro. Non lei. Aveva attraversato il deserto per uno scopo e lo avrebbe perseguito ad ogni costo.
Estrasse la corta scimitarra dalla custodia celata nella seta lilla e impugnò la fiaccola posta all’ingresso del padiglione, decisa a dare man forte all’armata del Sud.
No, a Dare Yoon.
Lo avrebbe trovato in quel pandemonio e gli avrebbe guardato le spalle, impedendo a chiunque di nuocergli. E, se gli dei lo avessero concesso, quando tutto avrebbe avuto termine, avrebbe portato a compimento il proprio percorso di redenzione.
Attraversò il campo, orientandosi a stento e seguendo il flusso monodirezionale dei combattenti. Qualcuno le gridò di rientrare all’interno, ma lei non lo ascoltò. Si limitò ad aggirare il perimetro delle tende e a muoversi a proprio piacimento, priva di timore, com’era abituata a fare durante gli arrembaggi sul mare.
Un’ombra impalpabile attraversò la sua visuale, parandosi difronte a lei con l’evidente intenzione di non lasciarla procedere oltre.
«Via dalla mia strada!» intimò la ex piratessa, sollevando la lama.
La stoffa bruna che occultava creatura si gonfiò come scossa dal vento, scoprendo un paio di occhi rossi e crudeli. Sotto la smorfia, che era un sogghigno di scherno o di compiacimento, era tatuato un triangolo rovesciato, simile a una bocca famelica.
«Un’arma degna di un capitano della filibusta» considerò, fissando incantato l’acciaio lavorato posto sotto il suo naso «Kitra sa distinguere un alleato da un avversario, donna.»
«Davvero?» lo irrise lei, spingendo la scimitarra tra le pieghe nere della sua tunica sfilacciata «Forse hai tratto le conclusioni sbagliate!»
Il daimar non si spostò, lasciandosi attraversare dall’affondo.
»Sai bene che le tattiche migliori non sono quelle fisiche. È meglio piegare una volontà, non l’hai sempre attuato?»
«Sì e ne sono ancora convinta» ribatté Sharen «Vogliamo provarne un’altra?»
Abbassò la fiaccola e appiccò il fuoco alla veste fluttuante del nemico, tenendolo indietro con una serie di movimenti mirati al volto. Le fiamme arancio si affievolirono, divennero bluastre e poi nere, spegnendosi con un crepitio sottile. L’essere oscuro iniziò a ridacchiare freddo.
«Posso toccare con i miei artigli il fondo buio della tua anima. Il delizioso gelo del tuo intimo ha la stessa familiare temperatura di Yfrenn-ammri, che per Kitra è casa.»
«Quale anima? Chiedi ai tuoi amici chi di essi si è occupato di possederla già in passato e là la troverai, se ci tieni tanto!»
Lui scosse il capo con approvazione.
«Se non nomini il tuo cuore abietto è perché supponi che appartenga a qualcuno. Ma questi lo rifiuterà, lo calpesterà e ti destinerà a un baratro di sofferenza. Se segui me invece, otterrai ciò che cerchi con facilità estrema.»
«Ma guarda, le stesse frasi che usavo io con i miei prigionieri. Sei sicuro di non essere un mio discepolo anziché un mio alleato?»
Kitra si limitò a rivolgerle un sorriso affilato, scoprendo i denti giallastri.
«Questo deamhan avverte i tuoi desideri, donna. Identici a quelli del nostro signore e frenati da una falsa, effimera sensazione di ravvedimento. Non puoi nasconderli. L’uomo chiamato Dare Yoon… tu lo vuoi sostenere e appoggiare, ma il fato ha deciso altrimenti. Egli perirà nella battaglia di stanotte, non lo rivedrai mai più. Senza di lui tornerai padrona della sostanza di cui sei fatta. A meno che non rinunci a opporti a noi, a quanto già sei, e non pieghi le ginocchia davanti alle tenebre che ti sono sorelle. Allora, colui che tiene in pugno il tuo cuore malato ti apparterrà, alle tue condizioni.»
Tsambika faticò a non cedere quando le parole acuminate giunsero a meta. Non capitolò.
«La mia unica condizione è che tu sparisca!»
Riabbatté l’arma sull’avversario, che si limitò a ondeggiare come fumo grigio.
«Sei debole, come tutte le donne che cedono ai sentimenti. Cancella il futuro puerile che immagini e precipita nel dolore che temi!»
Tsambika gridò, ma non indietreggiò, fissando il volto deformato dell’essere oscuro.
«Futuro!? Non sceglierai per me, bastardo incappucciato! Amo Dare Yoon! Lo vorrei tra le mie braccia in questo istante, non per egoismo o piacere, ma per farti imparare qualcosa! Sei finto e mendace, io sputo sulla realtà fasulla che cerchi di proiettare nella mia mente e non ho problemi a distinguerla, poiché è identica a quella che ho a lungo bramato! Ma ora non voglio nulla di forzato, di indotto! Sono disposta a sopportare il rifiuto dell’uomo di cui sono innamorata, a rispettarlo, a continuare a trasformare me stessa persino dopo il suo no! Non lo costringerò a ricambiare ciò che provo, piuttosto che vederlo piegato lo preferirei morto! Lo lascerò libero di spezzarmi il cuore e da me non uscirà un lamento! Ne ha il diritto! E tu non puoi promettermi qualcosa che già posseggo! Il futuro è mio, è adesso!»
Il daimar stridette rabbioso, schizzando all’indietro, urticato dalla sincerità disarmante di quelle parole. Ringhiò di furia impotente, impossibilitato a esercitare la propria coercizione su uno spirito tanto forte e impugnò la spada nera, deciso a carpire quell’anima in un modo o nell’altro.
Sharen si rimise in guardia, indomita.
 
Dare Yoon si lasciò cadere su una sedia, cedendo alla stanchezza. La battaglia era stata devastante, ma non si era aspettato nulla di diverso. Conosceva la ferocia degli Anskelisia e l’atteggiamento mellifluo dei mostri inumani al servizio di Ishkur: non soccombere alla debolezza faceva parte del suo bagaglio personale, tanto quanto non provare timore e non indietreggiare difronte a un avversario pur invincibile.
Appoggiò i gomiti sul tavolo e si prese la testa tra le mani. La sua ombra si allungò, proiettata sul legno levigato dalla lampada a olio a quattro becchi.
Eppure si sentiva svuotato. Come se la sua vita, condotta con onestà e rettitudine, non fosse stata che un lungo miraggio, un’illusione. Come se avesse commesso un peccato imperdonabile, a riguardo del quale non conoscerne l’esistenza o la portata non diveniva scusante. A turbarlo nel profondo era ciò che non si sarebbe mai atteso.
Avrebbe dovuto cercare Aylike e pretendere la verità, ma quando i daimar si erano ritirati sul fare dell’alba e gli Haltaki avevano lanciato il loro grido vittorioso al cielo che schiariva, non aveva trovato il coraggio di affrontarla a tu per tu.
Sospirò, vergognandosi di se stesso. Non sapeva da dove iniziare, come domandarle ragione di ciò che gli appariva palese, se adirarsi con lei o scegliere un atteggiamento più rispettoso. Non certo per quella donna, ma per suo figlio.
Si sganciò il mantello dalle spalle indolenzite: avrebbe voluto infilarsi nell’acqua bollente e meditare per qualche decennio, il lasso giusto per imparare a gestire una realtà che lo faceva sentire scomodo e svigorito. Per raggiungere la consapevolezza e l’accettazione del fatto che lei avrebbe potuto impedirgli di parlare con il ragazzo, su cui aveva mantenuto il segreto per tutto quel tempo. Avrebbe potuto rispondergli di non aver bisogno di lui, come era sempre stato, sin da quando aveva diciassette anni e l’aveva incontrata.
Non sai quanto avrei necessità del tuo consiglio, Rei…
Il pensiero dell’amico assente si fuse con le altre preoccupazioni. Erinna era vicina, il principe Stelio aveva ordinato la partenza immediata, concedendo poche ore di riposo ai suoi guerrieri, sfiniti dallo scontro notturno. Sarebbe stata una marcia decisiva e priva di soste.
«Dare Yoon.»
Il soldato sollevò lo sguardo e la luce quadripartita della lucerna di coccio gli incendiò le iridi blu mezzanotte. Mise a fuoco la figura ammantata che era entrata nella tenda.
«Sharen! Perdonatemi, avrei  dovuto accertarmi che non vi fosse accaduto nulla, invece ho indugiato qui. Sono ingiustificabile!»
«Non sono facile da uccidere, pensavo lo aveste imparato» rise lei.
Avanzò nell’area illuminata dal riverbero modesto della luce e lui notò le macchie nerastre sulla sua veste chiara.
«Che diamine, quello è…?»
«Sangue. Di lurido demone o qualcosa di simile.»
«Siete ferita!? Vi hanno… sedotta?»
«Ci hanno provato con scarso successo.»
L’elestoryano tirò il fiato, sostenendosi al bordo del mobile. Si passò una mano sugli occhi, come se la lieta novella non avesse contribuito a risollevargli il morale.
«Non vorrei apparirvi scortese» continuò la straniera «Ma tra noi due pare siate voi quello messo peggio. Non vi ho mai visto tanto scosso.»
«Non è nulla di importante.»
«Al solito!» borbottò Sharen, piantando i pugni sui fianchi «Non accettate la vicinanza di nessuno, come se fosse un’onta squalificante!»
Dare Yoon si chiuse in un silenzio ancora più tenace, ma la sua espressione non era quella dura e decisa di sempre: in lui riposava un’afflizione nuova e palpabile.
«Ditemi solo che non sono stati i daimar a ridurvi così» mormorò la donna.
«No, non angustiatevi. Sono solo pensieri.»
Tsambika lo fissò con ostinazione e con invisibile, crescente angoscia.
«Anche quelli possono uccidere.»
L’ufficiale sollevò la testa e si soffermò su di lei: inaccessibile in tutta la sua persona, eccezion fatta per quegli occhi scuri, privi di discrezione. Si scoprì a provare qualcosa di molto simile alla fiducia, come se lei fosse in grado di capire e di accogliere le sue inquietudini. Come se, avendo provato per prima incertezza e smarrimento, potesse ospitare quelli che gli stavano deflagrando nel petto in quel frangente.
«Ah, fate come vi pare!» sbottò l’isolana, stanca di attendere la sua replica.
Gli girò le spalle e fece per andarsene. La sua voce la bloccò.
«Sharen, avete mai commesso una mancanza?»
«Almeno una volta al giorno» ribatté lei, tornando sui propri passi «Perché?»
Dare Yoon tornò a fissarsi le mani appoggiate alla superficie lignea, esitante.
«Pensate che sia possibile recuperare senza farsi detestare?»
La straniera si approssimò, decisamente incuriosita e altrettanto in ansia per lui.
«Lo vorrei sperare. Ma talora dipende da chi trovate dall’altro lato dell’errore che ritenete di aver commesso.»
Il soldato prese un lungo respiro e appoggiò la fronte al pugno chiuso.
«Non conosco quella persona e, per quanto mi stia sforzando, non riesco a trovare una soluzione decente. Rischio solo di peggiorare la situazione.»
Sharen scosse la testa, poco indulgente.
«Mi lasciate intendere che avete operato un torto nei riguardi di qualcuno che non avete mai visto, che vi sentite in colpa per questo e che per giunta vi state arrovellando sul comportamento da tenere? Voi? Non siate ridicolo!»
L’ufficiale piantò la mano sul tavolo, risentito per risposta tranciante.
«Non sapete di cosa sto parlando! Il vostro sunto è di una superficialità estrema! Se credete che non sia necessario rimediare ai propri errori per quanto possibile, forse vi ho giudicata male! Lasciatemi in pace allora!»
«Piantatela! Non avete capito niente! Com’è possibile sbagliare nei confronti di qualcuno che non avete mai incontrato? Non si tratta certo di dolo, bensì di una casualità, di una situazione involontaria! Non è così?»
«Che però si è verificata a causa mia! La non intenzionalità non cambia il risultato!»
«A meno che non abbiate a che vedere con un imbecille, la persona in questione ne sarà consapevole! Non vi odierà, statene certo!»
«Voi la fate semplice! È passato troppo tempo e il mio sbaglio può aver causato una sofferenza cui non è possibile porre rimedio! Non so cosa fare e mi chiedo perché… ah, dannazione!»
La straniera trasse un sospiro, ammorbidendosi a fronte della sua disperazione.
«Vorreste dirmi cosa ritenete di aver combinato? Mi risulta difficile pensarvi in torto.»
Dare Yoon distolse lo sguardo e si appoggiò allo schienale della sedia, ostile. Il silenzio che seguì valse più di una risposta negativa.
«Ve lo dico io il motivo per cui non sapete che pesci prendere!» rincarò lei, seccata dalla sua caparbietà «Perché non avete sbagliato! Lo so per certo! Voi non sbagliate mai, Dare Yoon, non fa parte della vostra personalità! La vostra è una convinzione, qualunque sia l’atto che giudicate scorretto!»
«Cosa!? Che ne sapete voi!?»
«So come agite! Come vi ponete nei riguardi del prossimo! Siete puro altruismo e immacolata lealtà! Nessun errore, nessun torto! Piuttosto vi preoccupereste di fare un passo indietro. Se vi sentite così è perché qualcosa è sfuggito al vostro controllo, non perché avete operato un fallo!»
«State affermando delle immani sciocchezze!»
«Per niente! Non sbagliereste neppure se vi costringessero! Se doveste prendere un’altra botta in testa! Neanche se…»
«Come avete detto? Voi come fate a saperlo?»
Sharen esitò per un centesimo di secondo, poi si portò il dito alla tempia.
«Avete un segno, qui» si giustificò frettolosa «L’ho notato mentre mi prendevo cura di voi… non cambiate argomento perché vi fa comodo!»
«Mi state dando del manipolatore? Non permettetevi neppure di insinuarlo!»
«Bene! Perché non ci provate allora!? E poi mi raccontate che effetto fa mancare sul serio! Fatelo un errore nella vita, Dare Yoon! Rispondete con grossolanità a un vostro superiore, mandate al diavolo chi vi chiede un favore o no, meglio, rifiutatevi di combattere per la vostra terra! Abbandonate i vostri compagni ai demoni!»
Il soldato scattò in piedi decisamente adirato.
«Lo vorreste davvero? Vi darebbe soddisfazione?»
«A me?» rise l’isolana «Vi farebbe comprendere la differenza che c’è tra pensare di essere in fallo ed esserlo sul serio. Voi non avete idea di ciò che si percepisce qui!»
Spostò la mano sul cuore. Lui seguì il movimento: lei sapeva, lei capiva.
Scattò in avanti e ripeté la stessa mossa con cui l’aveva costretta alla ragionevolezza quando le aveva medicato la caviglia nel mezzo del deserto. Sharen gli cadde tra le braccia con un’esclamazione di stupore, afferrandosi d’istinto alla casacca della sua uniforme. Prima che potesse reagire, Dare Yoon si abbassò e la baciò attraverso il velo di seta che le copriva il volto.
Tsambika sussultò, ma non si sottrasse al contatto indiretto. Lasciò che lui la sfiorasse, percepì le sue labbra calde oltre la stoffa sottile, la vicinanza del suo corpo, l’intensità del suo respiro. Chiuse gli occhi e non lo respinse come si era ripromessa, perse qualsiasi determinazione quando lo stomaco le si riempì di farfalle svolazzanti, come mai le era accaduto. L’odore maschile di lui le invase i sensi, la forza che percepiva nelle sue membra di guerriero annullò ogni desiderio di allontanarsene, pur volto al bene di entrambi. Perché sapeva quali sarebbero state le conseguenze se loro... se lei
Dare Yoon si scostò e la lasciò libera con lo stesso impeto con cui l’aveva catturata. La donna dovette appoggiarsi al tavolo per mantenere l’equilibrio dopo la sequenza fisica inattesa travolgente.
«Niente di diverso, invero» sancì lui, alzando le spalle con noncuranza «Avete vissuto in diretta lo sbaglio che desideravate commettessi. Non sento nulla di differente o indicativo rispetto a prima e ciò dimostra che avete torto.»
Sharen si girò frastornata, ferma a un passo da lui: quando sollevò con veemenza il braccio, l’ufficiale si preparò a ricevere il ceffone che sapeva di meritare, pensando che comunque ne era valsa la pena. Doppiamente.
L’impetuosità di lei si abbatté invece sulla lampada a olio, che cadde a terra e si infranse in mille pezzi, precipitando l’ambiente nel buio.
«Perché…» ansimò poi in preda a un’emozione che tentava inutilmente di soffocare nell’ira «Perché evidentemente non è stato uno sbaglio!»
Dare Yoon rimase immobile, incapace di intuire il senso di quel gesto e di quell’affermazione. Anzi, per la precisione preferiva non comprenderlo affatto.
Lei lo spinse all’indietro con un’energia insospettabile, mandandolo a piombare sulla sedia rimasta vuota alle sue spalle. Gli piantò una mano sugli occhi, impedendogli di adattare la vista alla penombra della tenda, e gli sedette in grembo.
L’ufficiale si irrigidì, le strinse le dita sulle spalle, ma non sfoderò il pugnale come avrebbe fatto in qualsiasi altra circostanza che suonava come un attacco. Prima che potesse riprendere con facilità il sopravvento, avvertì un fruscio serico a pochi centimetri dal viso. Non si liberò dalla costrizione e non la scostò, incerto.
Lo baciò. Niente velo. Le loro labbra si incontrarono senza l’interferenza del tessuto.
Chiuse gli occhi: non l’avrebbe guardata, neppure se avesse deciso di scostare la mano per consentirglielo. Non sarebbe stato motivo primario del suo infrangere un voto sacro agli dei. Tutto il resto, invece…
Rispose al bacio, lo approfondì, facendo scivolare le braccia intorno al suo corpo. Lei gli circondò il collo con le proprie, accarezzandogli i capelli. Schiuse le labbra e le loro lingue si cercarono, si incontrarono con affamato e vicendevole desiderio. Smisero quasi di respirare e dovettero separarsi per un istante, per poi ricongiungersi in sincronia perfetta, come se non avessero atteso altro da tempo immemore.
Una donna che portava in sé acqua e aria…
Dare Yoon non poté impedirsi di pensare al vaticinio e alle conseguenze che ne erano derivate: l’ansia del presente gli ripiombò addosso. Rallentò i movimenti, ma lei non gli consentì di distrarsi, lo salvò dallo sterile senso di colpa, lo riportò all’interno dell’uomo che era sempre stato e che voleva continuare a essere.
Sharen, sirena…
L’ufficiale fece scorrere la bocca sul suo collo e riprese a baciarla, indugiando sulla sua spalla, scoprendole il tatuaggio con l’onda e il vento. Socchiuse gli occhi per guardarlo, come se gli appartenesse, vi impresse le labbra, giocando con le poche linee brune che lo componevano. Udì il suo sospiro e il suo sussulto, quando le abbassò la scollatura dell’abito. Pensò di essersi spinto troppo oltre, ma le dita di lei sganciarono gli alamari della sua uniforme e gli percorsero il petto, rallentando sui sette raggi del suo sole, increspandogli la pelle in un brivido di piacere.
E lui era fuoco e terra…
Eccolo il limite. Terra, la stessa che lo ancorava ai suoi doveri, che gli suggeriva che non era corretto approfittare di lei. Non così, non in un momento di sconforto, non senza dirle prima…
«Sharen.»
«Lo so, non sapete chi sono e non…»
«No. Siete voi a non sapere chi sono io e cosa porto con me.»
«Non m’importa! Ciò che ho visto è bastante, non cambierei mai l’opinione che ho su di voi, qualunque sia il vostro segreto!»
«Sharen, non ho diritto di pretendere senza offrire e in questo momento vi offenderei cedendo ai miei istinti, spinto da contingenze che non hanno a che vedere con voi. Non voglio annegare i dilemmi che mi affliggono nel vostro abbraccio, voglio essere limpido, parte attiva di ciò che forse sarà.»
«Ditemi, Dare Yoon, se io vi avessi baciato ieri, prima che ciò di cui vi accusate iniziasse a turbarvi, mi avreste respinta?»
L’elestoryano sobbalzò, focalizzando i propri ragionamenti su quella domanda tanto semplice quanto risolutiva. Si esaminò con onestà.
«No.»
«Allora è altro ciò da cui state fuggendo. È perché non conoscete il mio volto? O temete che possa rompere il mio impegno con il divino Manawydan?»
«No.»
L’uomo, realizzò che tutte le scuse dietro cui si stava trincerando erano cadute con una facilità sorprendente. Che cosa, dunque? Ciò che era emerso dalle fiamme quindici anni prima. La predizione dell’amore eterno per una sola donna. Una parte remota e ingestibile di lui vi aveva prestato ascolto e ora temeva di trovarsi tra le braccia di colei che il cosiddetto destino gli aveva riservato, come se non avesse diritto di scegliere. Paventava affrontare un altro discutibile per sempre senza essere riuscito a curare la ferita che quello mendace di Aylike gli aveva procurato.
Ammettere quella verità gli costò fatica, ma lo liberò da ogni angoscia pregressa. Avrebbe tenuto testa al fato, mostrandogli di non essere schiavo delle sue contorsioni. La vita, finché avesse continuato a scorrere in lui, non lo avrebbe spaventato. L’idea di essere stato involontariamente un padre assente, come quello che lo aveva messo al mondo, non sarebbe riuscita né a sovrastarlo né a privarlo della possibilità di essere diverso. E non gli avrebbe tolto lei…
«Dare Yoon…»
«Avete ragione voi, Sharen.»
Ricominciò a baciarla e a sfiorarla con passione, finché la posizione in cui si trovavano non divenne scomoda, finché gli abiti che indossavano non furono un ingombro alle loro carezze sempre più vibranti. Serrò gli occhi, fece per sollevarla tra le braccia e condurla tra i cuscini colorati e le stoffe del letto da campo, ma un richiamo dall’esterno della tenda lo fermò.
«Comandante! Perdonate l’incomodo!»
Lei si ritrasse con un sussulto e sollevò il velo, annodando i nastri semi slacciati del vestito. Si rimise in piedi come se nulla fosse accaduto.
«Ordini?» domandò lui, riagganciando gli alamari dorati dell’uniforme e cercando di placare il battito cardiaco fuori controllo. Si alzò a sua volta.
«Sissignore» confermò la voce ligia proveniente da fuori «Vi attendono prima della partenza, una questione urgente.»
«Riferite al reggente che sto arrivando.»
«Non il principe Stelio, vice capitano» corresse il messo «È la bailye degli Haltaki che vi manda a chiamare.»
   
 
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