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Autore: KyraPottered22years    04/02/2021    1 recensioni
One-Shot ispirata a un famoso racconto della filosofia Daoista, tratto dal libro del Zhuangzi.
ESTRATTO: "I pensieri di Anakin diventano sempre più rumorosi, pungenti come mille aghi puntati dietro la schiena che pian piano avanzavano, trafiggendogli la carne.
Poi ne riaffiorò un altro, di pensiero, il diretto opposto del primo.
Se solo non fossi un Jedi."
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Anakin Skywalker/Darth Vader, Padmè Amidala
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era solo un sogno

 
 
dedicato a chi, come me,
ama l'Universo Star Wars



 
“Una volta Zhuangzi sognò di essere una farfalla, una farfalla svolazzante che batteva le ali in giro, felice con se stessa e facendo quello che le piaceva. Lei non sapeva di essere Zhuangzi. Di colpo si svegliò e lì era, solidamente e senza dubbio, Zhuangzi. Ma egli non sapeva più se fosse Zhuangzi che aveva sognato di essere una farfalla, o una farfalla che sognava di essere Zhuangzi.”
 



Si svegliò di soprassalto, ansimante, col fiato spezzato.
Ebbe l’urgente esigenza di sedersi su quel materasso che, da sdraiato, sembrava tenerlo bloccato in un’asfissiante sensazione di prigionia.
Nel buio della notte, la tenue luce che emanavano i palazzi fluttuanti illuminava di poco l’ampia stanza, tanto da riuscire a distinguere solo la sagoma di sua moglie, sdraiata di fianco a lui.
Era solo un sogno. Scosse impercettibilmente la testa, quasi per scacciare via quegli ultimi fotogrammi, ancora vividi, come se fossero ancora impressi nelle retine. I polmoni inalavano a fatica, un brivido gli attraversò la schiena quando sentì una goccia di sudore freddo colare dal collo all’incavo della clavicola.
Aveva bisogno di prendere aria, di respirare, di alzarsi da quelle lenzuola colme di sudore e terrore.
Si alzò e, stando attento a non fare rumore, aprì la portafinestra, poggiò i gomiti alla balaustra e si portò le mani fra i capelli incolti, ancora impastati di sonno. Lasciò che la sua coscienza viaggiasse interrottamente fra i meandri della memoria, si sforzò di ricordare quel sogno come un incubo orribile, non come un ricordo o una dannatissima premonizione. Perché l’ultima volta che ne aveva fatto uno simile, con tanta veridicità, sua madre morì pochi giorni dopo, fra le sue braccia.
Era di fondamentale importanza che si mantenesse distante dalle proprie paure, doveva sforzarsi, lo doveva a lei e ai suoi due piccoli, per proteggerli.
Per un Jedi era proibito amare, avere una moglie, una famiglia. Un Jedi era un discepolo della Forza, un’entità animata conforme all’essenza dominatrice del cosmo: nient’altro di più, nient’altro di meno.
Sapeva che Obi-Wan fosse dalla sua parte, che proteggeva lui e il suo segreto, ma fino a quando avrebbe potuto durare quella messa in scena? Alcuni maestri Jedi sospettavano già qualcosa e avevano incaricato proprio Obi-Wan di osservare Anakin con più attenzione e di riferire tutto al Consiglio in caso di qualche passo falso.
Con i pugni stretti e la mascella serrata si lasciò scappare un pensiero, amaro, ma carico di realismo.
Se solo non mi fossi innamorato.
Sì, perché aveva trasgredito, aveva infranto il suo giuramento. Ne assolutamente era consapevole.
Anche se in quegli anni aveva fatto il possibile per nasconderle i propri sensi di colpa, Padme aveva da sempre sospettato qualcosa. Lei lo percepiva quando lui ci pensava: succedeva quando la guardava, mentre erano stretti in un abbraccio, che lo sguardo di lui perdesse un po’ di quella Luce che l’aveva fatta innamorare.
Sì, perché paura, senso di colpa, attaccamento son tutte disgrazie che portano al lato Oscuro!

I pensieri di Anakin diventano sempre più rumorosi, pungenti come mille aghi puntati dietro la schiena che pian piano avanzavano, trafiggendogli la carne.
Poi ne riaffiorò un altro, di pensiero, il diretto opposto del primo.
Se solo non fossi un Jedi.
Avrebbe potuto vivere la sua vita in tranquillità, in un pianeta qualsiasi, avrebbe potuto portare Padme e i due piccoli a trascorrere un’intera giornata fuori, alla luce del sole, invece di tenerli sempre reclusi in quattro mura. Avrebbe potuto baciare la sua sposa in pubblico, prendere in braccio Luke, stringere la mano di Leia. Uno scenario idillico che lo portò ancor più nell’abisso dei propri rimorsi.
Ricordò quando quel pomeriggio, raccontando una storia alla piccola per calmarla dai soliti capricci, aveva detto “[..] e quindi adesso sono amici!”
E la piccola, reggendosi sul tronco di un albero nel giardino di casa, gli chiese: “Amici? Cossa ssono amici, pa-pà?”
Ciò che non puoi, e probabilmente non potrai mai avere, a causa del mio segreto.
Avrebbe sopportato tutto quello? Vedere i suoi figli trascorrere una vita a metà, nella menzogna? Che razza di padre sarebbe stato se solo avesse richiesto una pretesa del genere da loro?

“Anakin?”  Non sapeva se fosse stato il tocco delicato di lei sulla sua spalla nuda, o se fosse stata la sua voce a rompere quel silenzio fatto solo da tenui rumori provenienti da una città troppo lontana.
Si voltò, sorrise un po’ quando notò che aveva addosso la vestaglia sbagliata, gli occhi leggermente più gonfi del solito, il sonno profondo di prima ancora impresso sul volto delicato. Dopo tutti quegli anni, vedeva ancora la ragazzina dai capelli lunghi e il volto di un angelo. Anche se, i segni del tempo che avanzava iniziavano a intravedersi agli angoli degli occhi.
“Perché sei sveglia?”
“Son qui per chiederti proprio questo” accennò un sorriso prima di schiudere la bocca in un breve sbadiglio, educatamente nascosto dal dorso della mano destra.
La avvicinò a sé e la strinse in un abbraccio, fu un gesto dettato da una sensazione d’urgenza, un’esigenza improvvisa.
“Tesoro?” Sussurrò un po’ sorpresa, chiedendo subito dopo “devi dirmi qualcosa?”
“No, avevo solo bisogno di questo.” Le sussurrò piano, ma fu poco convincente.
“Ti conosco troppo bene.” Lo allontanò facendo piano, quasi come se stesse reggendo della porcellana fra le mani.
“Un brutto sogno, davvero…” Per un attimo aveva guardato altrove, verso le tre lune mezze piene.
“Un incubo?”
“Sì. Un… incubo.” Confermò. Si allontanò da lei e ritornò alla posizione di prima: gomiti sulla pietra e i palmi a reggersi la fronte, riusciva a sentire la vena pulsare sulla tempia. Padme appoggiò un fianco alla balaustra e lo guardò con circospezione, aspettò che dicesse qualcos’altro, ma per qualche minuto restarono in silenzio, uno ad ascoltare i respiri dell’altro.
“Raccontamelo.”
“Non me lo ricordo…”
“Non ci credo. Non vuoi raccontarlo, allora.”
“Davvero, tesoro. Ricordo solo la sensazione opprimente, quasi soffocante, ma non le scene… attraverso le emozioni che ricordo, cerco di collegare delle immagini. Ma non sta funzionando.”
“Allora non lasciare che qualcosa che nemmeno riesci a ricordare ti faccia stare così male.”
“Non è solo quello.”
Gli poggiò una mano su una guancia e così lo obbligò a guardarla negli occhi.
“Ricordo tanta solitudine, tristezza e… un senso di colpa dilaniante.”
“C’ero anche io, nel tuo sogno?”
“No, non credo. Tu non c’eri, nemmeno i bambini. Io… c’ero, ma… era come se in realtà non fossi lì.”
Il battito di Padme accelerò di un poco e quella semplice apprensione si stava lentamente trasformando in un qualcosa di più intenso. “Dovresti parlarne domani con Obi-Wan.”
“No, non se ne parla nemmeno.”
“Allora dimenticalo e basta, Anakin.”
Le lanciò uno sguardo colmo di emozioni indecifrabili.
Lei non avrebbe potuto capire, come Obi-Wan o chiunque altro. Solo lui conosceva quella rabbia sorda dentro il suo cuore, a volte veniva a galla e quelli erano giorni difficili da affrontare.
Cadde un altro silenzio, ma questo fu più doloroso, quasi assordante.
“Io torno a letto.” Gli disse semplicemente prima di rientrare in stanza, lasciando dietro di sé la portafinestra socchiusa.
Anakin si limitò a un cenno di assenso. Decise di rimanere lì un altro po’, anche se iniziava a sentire freddo, non gli importava: lasciò che il gelido venticello notturno lo sfiorasse ripetutamente, che i brividi di freddo entrassero fin dentro la pelle.
Improvvisamente, si lasciò guidare dall’impulso, come risvegliato da uno stato di trance che lo tratteneva lì impalato. Rientrò in stanza e prima di recarsi in quella dei bambini, restò a guardare Padme, che si era riaddormentata.
Un immagine gli balenò nella memoria, un immagine di quel sogno, di quell’incubo: il viso di lei contorto in una smorfia, le mani al collo e gli occhi intrisi di sangue. Stava soffocando, e soffocando cadeva a terra, le dita della mano destra protratte verso di lui, mentre esalava l’ultimo brancolante respiro, quasi a voler implorare pietà. Era lui, lui la stava strozzando.
Arretrò con una tale veemenza da inciampare a terra. Restò immobile per un momento che sembrò eterno. Con gli occhi lucidi e intrisi di lacrime ghiacciate, non una sola goccia scivolò via.
Adesso ricordava tutto, ogni cosa. Ebbene sì, capiva, collegava le emozioni che gli erano rimaste impresse dentro con ogni fotogramma, ogni scena.
Aveva ucciso Padme, aveva lasciato che il Lato Oscuro lo conquistasse, aveva ucciso innumerevoli vite e si era trasformato in un mostro, metà umano, metà macchina, un servo del lato Oscuro.
No.
Non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
Era solo un sogno.
Solo un orribile, stupido scherzo dell’inconscio. Delle normalissime preoccupazioni da marito, da padre.
Padre…
Si alzò in piedi, ignorò il capogiro che minacciò di buttarlo nuovamente giù a terra e si recò nella stanza dei piccoli. Aprì la porta senza la minima cura di fare poco rumore, si sentiva come se stesse per perdere il controllo, come se non riuscisse più a connettere l’intenzionalità delle proprie azioni ai propri arti.
Si avvicinò lentamente alla culla di Leia. La piccola dormiva di fianco, in posizione fetale, con le manine congiunte fra la guancia e il cuscino, respirava con la bocca schiusa. Fu in quel momento che recuperò tutto il buon senso che sembrava aver perso, sentì una sensazione di leggerezza irradiarsi dal cuore ai polmoni e senza rendersene veramente conto, tutte le paure e le preoccupazioni svanirono come erano arrivate: gradualmente… ma lasciando comunque sia quel vuoto, quella rabbia sorda dentro, all’altezza del cuore.
“Papà?” Quando Luke lo chiamò dalla sua culla, Anakin si voltò velocemente. Si poggiò un dito sulle labbra e il piccolo capì che avrebbe dovuto fare silenzio. Si avvicinò mentre il piccolo si stropicciava gli occhi con le nocche delle piccole mani, lo prese in braccio e lo guardò teneramente, con un sorriso disegnato sulle labbra. Aveva ancora sonno, molto probabilmente si sarebbe addormentato a breve. A differenza della gemella, Luke era un dormiglione.
“Perché stai piangendo, papà?” Gli domanda sottovoce.
Solo in quel momento si era accorto delle poche lacrime che prima gli avevano rigato il volto, ma non erano lacrime di angoscia o tristezza, quelle erano lacrime di gioia.
Perché nonostante tutto, sapeva che li amava e che loro amavano lui, e questo era ciò che importava.
“Perché ti voglio bene.”
Prima di accoccolarsi sulla spalla del padre, Luke lo guardò con incertezza, uno sguardo carico di dubbio, identico a quello di Padme. “Ed è una cosa brutta?”
“No, è la cosa più bella che esista.”


                                                                                      




Al terzo “Lord Vader”, si svegliò da quella lunga meditazione. L’ammiraglio imperiale aveva richiesto udienza per informarlo sugli ultimi movimenti tracciati del Millennium Falcon. Finalmente, dopo giorni di ricerca e dopo aver ingaggiato più di venti cacciatori di taglie, la spia di quella vecchia ferraglia si era nuovamente illuminata nei monitor dell’Impero.
Che bel sogno, pensò nei reconditi remoti di quel poco di coscienza che gli era rimasta.
Ma purtroppo era solo un sogno.
O… la realtà?















Nda

Ispirazione da sessione invernale.



 
  
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