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Autore: _happy_04    04/02/2021    0 recensioni
[ DickRoy | angst ofc; song-fic | 4055 parole ]
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Dick non parve bere la bugia, fin troppo abile nel riconoscere le fandonie di Roy, e lui davvero non sapeva se lo avrebbe preferito o meno. Forzò una mezza risata ironica. «Tra me e te non è mai ‘solo una chiamata’, Roy.» E tu lo sai bene.
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honey, why you calling me so late?
it's kinda hard to talk right now.
honey, why you crying, is everything okay?
i gotta whisper, 'cause i can't be too loud…
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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It's funny that you're calling me tonight,
And, yes, I've dreamt of you too.
And does he know you're talking to me?
Will it start a fight?
No, I don't think she has a clue.
Well, my girl's in the next room,
Sometimes I wish she was you.
I guess we never really moved on.


 

Erano le due e mezza di notte, ma ogni ora sembrava andare bene per sentire la sua mancanza.

Roy sentiva che avrebbe dovuto sentirsi in colpa. Kendra era distesa tra le coperte del letto in cui era stato anche lui fino a poco prima, avevano chiamato il nome l’uno dell’altra per ore, eppure non era il suo, quello che voleva tra le proprie labbra. Per un po’ gli era parso fosse sufficiente, e forse lo era anche stato, con quelle forme sinuose tra le proprie braccia che gli regalavano ogni piacere terreno potesse desiderare. Ma in lei non vi era la porta per il paradiso, e c’erano volte in cui avrebbe tanto voluto dimenticarlo.

Altre volte, invece, il mondo gli risultava fin troppo concreto, e ringraziava ogni divinità per avere in sé le chiavi per il cielo.

Ci saresti per una chiamata?

Continuò a fissare le spunte grigie sullo schermo del suo telefono, l’attesa che squarciava dolcemente il suo petto. Si sorprendeva da solo, a realizzare quanto pendesse dalle sue labbra.

Senza che i due piccoli simboli sovrapposti si colorassero di blu, il nome che non vedeva l’ora di pronunciare illuminò lo schermo come il suo cuore. Fu rapido a trascinare il disegno verde sul touch screen, e nel salutare si chiese se le proprie parole rimbombassero tra le pareti del bagno come a lui sembrava. «Dick?»

«Hey.» Persino il timbro elettronico del dispositivo non riusciva a soffocare la soavità della sua voce. Se chiudeva gli occhi, poteva persino illudersi che stesse sussurrando direttamente al suo orecchio. «C’è qualcosa che non va?»

Volevo sentire la tua voce. «Nulla in particolare.»

«Va bene.» Tacque, Dick. Non gli disse che gli stava facendo perdere tempo, non gli ricordò di qualche missione importante che doveva portare a termine, e non parve neanche rimproverarlo per la scocciatura di averlo costretto ad aprire il telefono ad un tale orario. Persino il suo “va bene” gli era parso letterale. Non aveva bisogno di chiederglielo per comprendere che anche lui voleva sentirlo. Che non erano necessari dei messaggi, perché Roy lo tenesse sveglio alle due e mezza di notte.

Ci furono alcuni secondi in cui rimasero entrambi in silenzio, le uniche cose avvertite dal suo udito i loro respiri e i cuori che battevano contro la cassa toracica. In qualche modo, non avvertì la necessità di spezzarlo, la presenza di Dick dall’altro lato della linea telefonica più che sufficiente a riempire il vuoto dell’aria intorno a lui. Avrebbe preferito averlo da questo lato, baciare le sue ciocche color ossidiana e la sua pelle di bronzo. Lui sarebbe stato tutto quello che Roy avrebbe voluto dalla propria vita, ma il tutto non sempre si può avere.

La sua voce era sommessa, non tanto per il volume quanto per l’ingenuo imbarazzo – Roy riuscì a figurarselo, arricciarsi una voluta di capelli intorno all’indice fine e stringersi nelle spalle definite – quando Dick mormorò, lentamente: «Mi eri mancato.»

E Roy avrebbe potuto rispondergli con una battuta, farlo ridere e godersi quel tintinnio; invece, sorrise, lasciando che il proprio viso si contraesse in un sorriso intenerito rivolto alle piastrelle bianche: «Anche tu a me.»

Chiuse gli occhi e allungò le dita della mano libera, e quasi riuscì ad accarezzare la sua guancia. Era troppo tempo che non lo vedeva, troppo tempo che non lo baciava, troppo tempo che non lo stringeva a sé. Non importava quanto gli piacesse, la donna che lo aspettava nell’altra stanza, non sarebbe mai riuscita a soddisfare quel desiderio che divorava la sua anima monca.

Dick impiegò qualche secondo di raccoglimento prima che il suo silenzio si traducesse in parole. «Sei con Kendra in questo momento?»

Avvertì dentro di sé la piaga che contorceva la voce di Dick, nonostante il suo tentativo nel nasconderlo. Aveva sempre cercato di non mostrare agli altri le proprie pene, ma Roy sembrava non riuscire proprio a lasciarsele scappare. «Lei è di là.» Ma un po’ vorrei ci fossi tu.

«Capisco.» Parve ritrarsi, ferito. Ferito da Roy, ferito da loro due. 

Magari era per questo che parevano cercare chiunque tranne l’altro.

Perché erano troppo per riempire il vuoto l’un dell’altro, ma nessun altro avrebbe mai potuto essere abbastanza. Era frustrante pensare che probabilmente fossero destinati a non trovare mai la felicità, ma non c’era altra soluzione in vista, e chissà se volevano davvero trovarne una, una che non consistesse nel ritrovarsi una volta per tutte.

«Sei sicuro che possiamo parlare?» chiese allora Dick, e a Roy non sfuggì il fremito sofferente nella sua voce.

Si fece quasi sarcastico, nel trovare una scusa come era tanto bravo a fare. «Come se la stessi tradendo? É solo una chiamata.»

Dick non parve bere la bugia, fin troppo abile nel riconoscere le fandonie di Roy, e lui davvero non sapeva se lo avrebbe preferito o meno. Forzò una mezza risata ironica. «Tra me e te non è mai ‘solo una chiamata’, Roy.» E tu lo sai bene.

E sì, che lo sapeva. Anche se cercava di convincersi del contrario, anche se si ripeteva che non c’era nulla di strano nel voler chiamare un amico alle due e mezza di notte, la verità era sempre lì, da qualche parte nel suo petto a premere contro la sua gola. 

«Forse non dovremmo.»

«Con chi sei?»

Non era sicuro del perché lo avesse domandato così di getto. Voleva che Dick non avesse scuse per chiudere la chiamata. Voleva che non lo lasciasse da solo con il silenzio e con un respiro che non sapeva di vita come il suo. Voleva che smettesse di attribuirsi colpe quando non erano neanche le sue.

Fatto sta che non attaccò. Riuscì a percepire le sue labbra meravigliose piegarsi in un piccolo sorriso amaro. «Touché.» Attimi di silenzio. «Barbara dorme già da un sacco. È veloce a prendere sonno.»

Roy procedette con una domanda di cui non era sicuro di voler conoscere la risposta. «State di nuovo insieme?»

«Credo di no? Non so, in realtà. É… complicato.»

Ridacchiò, all’incertezza della sua voce. «Come se non ti bastasse, una sola relazione complicata.»

Lo sentì ridere, finalmente. Dick soffocò appena la propria voce, un po’ per non svegliare la ragazza nell’altra stanza e un po’ per quel suo candido pudore non sempre presente, ma che tanto lo faceva somigliare ancora di più ad un angelo di un dipinto rinascimentale. 

Roy avrebbe dato qualunque cosa, pur di farlo sempre ridere così.

«Per favore, Dick.» Modulò la propria voce perché la supplica che bruciava in lui non si manifestasse in quella che doveva più somigliare ad una genuina richiesta. «Magari hai ragione, magari non dovremmo. Ma possiamo non importarcene, solo per un po’?» Possiamo far finta che non ci sia nessun altro, all’infuori di noi due? Che l’amore abbia continuato a tenerci vicini, invece di separarci? «Non sarebbe neanche la prima volta, che facciamo qualcosa che non dovremmo.»

Non arrivò subito una replica. Seppe che Dick stava elaborando le sue parole, leggendo tra le righe e valutando ogni sottintesa emozione. Roy avrebbe voluto prendergli la mano, per dargli sicurezza, per guidarlo e per impedirgli di vacillare. Poi gli rivolse un genuino interrogativo, forse un po’ incerto tra la serietà e lo scherzo. «A cosa ti riferisci di preciso?»

Se non si fosse premuto una mano sulla bocca, Roy sarebbe scoppiato a ridere. «Ah, beh, ci sarebbe un catalogo, bił hinishnáanii.» Ricordi di un tempo più semplice fluirono davanti ai suoi occhi, e la malinconia fu per un poco ricacciata in un angolino della sua mente. «Tipo, quella volta che sono venuto a prenderti al maniero e siamo andati via insieme?»

«Per la finestra!» Anche Dick parve illuminarsi, divertito, a quel ricordo. «Non posso ancora credere che hai avuto il fegato di presentarti all’una di notte in casa mia passando per la finestra

Roy scrollò le spalle. «Che ti posso dire, a diciassette anni si fanno cose strane. E poi, non è che non fossi attrezzato. Cioè, avevo la moto e i soldi e qualche cambio.» In fondo, oltre a quello e a Dick non gli era parso di aver bisogno di molto altro, per sopravvivere. Le sue braccia intorno alla propria vita e la sua voce contro il retro del suo collo, celata a chiunque altro dal vento che fischiava di fianco a loro, e dormire insieme come gli adulti innamorati facevano gli era sembrata la cosa più vicina alla felicità che avesse mai provato.

Fu sicuro che stesse roteando gli occhi, dall’altra parte. «Mi sembra già assurdo che Oliver ci abbia messo ben due giorni a beccarci.»

«Almeno è venuto Ollie e non Bruce.»

Passo falso. Forse mettere in mezzo il genitore di Dick non era stata proprio una mossa geniale, se non voleva veder dei muri innalzarsi da un secondo all’altro.

«E, ti ricordi quando» improvvisò, già avvertendo come l’altro si metteva sulla difensiva. «c’era quella festa di gala con tutti quei ricconi snob e noi siamo scappati sul tetto?»

«La corsa per quei dieci piani di scale è stata memorabile.» Dick concordò, rilassato e un filo ironico. «Però il cielo ne valeva davvero la pena. Quanto siamo rimasti lì, prima che ci venissero a prendere? Due, tre ore…»

A posteriori, calcolare era ancora più difficile. Raggomitolati l’uno contro l’altro, avvolti nella quiete più assoluta e con le stelle come unici testimoni, il tempo era scivolato tra le loro dita quasi più piano delle loro voci, appena strascicate. Era in quell'occasione che si erano scambiati il loro primo bacio, realizzò con un pizzico di nostalgia. Liberi come l’aria, nessuno ad osservarli o a giudicarli, nessuna bocca piena di ipotesi e di domande – solo loro due, i loro pensieri e le loro anime, connesse come gemelle, e le labbra di Dick che erano morbide e dolci proprio come sembravano.

Chi l’avrebbe detto, che dopo di allora non avrebbe potuto più fare a meno, di quelle labbra.

Sollevò il mento, chiudendo gli occhi, e riuscì quasi a sentire di nuovo quel bacio. «Chissà. Direi più quattro o cinque, a occhio e croce? Non sono io, il calcolatore umano.»

«So che avrei avuto la capacità, ma non ho mica contato il tempo.» Ci fu una pausa; Roy riuscì a sentire il suo respiro, la sua voce che si caricava, pesi di sentimenti e ricordi e riflessioni a tenerla bassa. Fu quasi soffice, il suo tono, quando mise nuovamente insieme alcune parole. «Non contavo mai il tempo, con te.»

E ci erano cascati di nuovo

Nelle loro vite, avevano bisogno di mascherarsi, per mischiarsi a tutti quei metaumani dalle soprannaturali capacità, per far dimenticare come dei prestigiatori che erano solo meri sacchi di carne e ossa con delle buone prestazioni fisiche. Quando erano insieme, invece, solo loro due, un paio di unici, avevano gradualmente perso quasi interesse a celarsi.

Si permettevano di essere umani, con le loro insicurezze e le loro fragilità, le loro imperfezioni e i loro dubbi. E avevano finito per innamorarsi anche di quelli, farsi carico l’uno delle angosce dell’altro e portare i pesi insieme, non importava quanto schiaccianti o insopportabili.

Mai avrebbero pensato che si sarebbero presi una talmente distruttiva responsabilità l’uno dell’altro. Innumerevoli erano state le volte in cui si erano gridati in faccia a vicenda di non voler essere un fardello per l’altro, per poi replicare che era solo un desiderio che non aveva nulla a che fare con il dovere; e di nuovo, ripetere all’infinito fino ad allontanarsi.

Un po’ di egoismo avrebbe fatto bene ad entrambi, forse.

«Nec tecum possum vivere, nec sine te.» mormorò Dick, e a Roy scottò il cuore nel sentir tremare la sua voce.

Si costrinse a non lasciarsi abbattere dal battito frenetico nel suo petto. «Come?»

«Nulla, nulla. É… una frase di un libro che Jason leggeva a volte, quando era piccolo.» Prima che morisse, che tornasse indietro e ci odiasse tutti. «“Non posso vivere né con te, né senza di te”.»

Roy si lasciò scappare un sogghigno mesto. «Patetico, come gli amanti abbiano certi problemi da migliaia di anni e nessuno è mai riuscito a risolverli.»

«Forse basterebbe lasciarsi amare. Non lasciarsi vincere dalla paura di… di…» Di lasciarsi andare. Di scoprirsi diversi da come si credeva di essere. Di veder sparire ogni cosa e ritrovarsi a mani vuote. Di ferire. Di uscire da un sogno e risvegliarsi da soli in un letto vuoto. Di essere deboli, ed esser visti come tali. Di non essere in grado di proteggere. Di assistere impotenti alla sofferenza.

Dick inspirò, espirò, il suo respiro corto quanto il suo. «Perché non possiamo provarci insieme, Roy?»

Quella proposta non avrebbe dovuto apparirgli tanto seducente. Non con tutto ciò che stava succedendo nella sua vita, non con la persona che stava succedendo nella sua vita.

Ma pronunciata dalle labbra di Dick, avanzata con una tanto perforante sincerità che ad un orario normale sarebbe rimasta sepolta sotto strati di rigidità e invulnerabilità. All’altro lato della linea, stava piangendo, piangendo per lui e per loro, concedendo alle proprie vere emozioni di manifestarsi. Roy avrebbe potuto fare sì che fosse l’ultima volta che lacrime salate inumidissero le sue guance, usare quella magia che solo loro due possedevano, nella loro semplicità, e alleviare il suo mal di vivere; avrebbe potuto essere la sua rete di salvataggio, quando Dick si gettava nel vuoto per tutti tranne che per sé, e allo stesso tempo lasciarsi guidare quando avesse attraversato il buio.

Esserci l’un per l’altro ogni volta che ne avessero avuto bisogno, come avevano sempre fatto. E correggere quello che avevano sempre sbagliato, imparare a rimettere insieme i pezzi quando giungevano al capolinea e distruggevano ogni cosa; imparare a scavalcare i muri insieme, piuttosto che cercare di far da appoggio all’altro ciecamente. Pensare all’altro, e anche un po’ a se stessi.

Roy riusciva a vederla, una possibilità del genere, già si figurava la gioia che avrebbero potuto vedere nei propri volti. S’immaginava Dick rientrare a casa la sera tarda, abbracciare Lian e baciare Roy, cenare tutti insieme e mettere la loro principessa a letto dopo averle raccontato una delle leggende con cui era cresciuto; e poi stendersi di fianco, nello stesso letto, lasciarsi cullare dai due cuori che battessero all’unisono ed essere protetti dai loro respiri dagli incubi.

Ma nel letto di Roy non poteva esserci Dick, non finché ci fosse stata Kendra. Anzi, nel cuore di Roy non avrebbe dovuto poterci essere Dick finché ci fosse stata Kendra. Chissà che in realtà non se ne fosse mai andato, poi.

Quando l’aveva baciata la prima volta, aveva creduto di aver trovato il proprio posto al fianco di una persona. Dal primo momento in cui si erano sfiorati le mani, lei lo aveva fatto sentire bene, era riuscita a fargli dimenticare ad ogni incontro quanto incompleto Roy si sentisse. Pensava che lei fosse quella giusta, che avrebbe potuto volentieri accontentarsi. Ma valeva davvero la pena accontentarsi, quando avrebbe potuto non aver più bisogno di dimenticare? Quando avesse avuto la possibilità di non desiderare più, avesse raggiunto quella vetta invece di smettere semplicemente di osservarla. Ricucire lo strappo, invece di coprirlo con una toppa.

In fondo, lui e Kendra si stavano usando a vicenda, ne era consapevole lui come ne era consapevole lei. Avrebbero potuto lasciarsi in qualunque momento, e forse non ne sarebbero rimasti poi così feriti. Forse lei sarebbe tornata tra le braccia di Carter, finalmente riunita alla sua anima gemella. Forse Roy sarebbe rimasto poco bruciato dall’ammettere che lei gli piacesse più di quanto non fosse vero il contrario. Forse si sarebbero entrambi liberati di un peso, sciogliendo quell’impegno. Forse quell’improvvisa mancanza sarebbe stato il gradino per una felicità a cui aveva aspirato più di quanto sarebbe stato per lui salutare per tanti anni. Forse, dopo quell’iniziale destabilizzazione, avrebbe riavuto Dick, e sarebbero finalmente diventati una cosa sola. Forse sarebbero veramente riusciti a non lasciarsi separare dalle difficoltà.

Forse.

Roy non era mai stato una persona restia a correre rischi. Al contrario di certi altri eroi, piuttosto che pianificare dal principio le risoluzioni a qualunque cosa fosse potuta andare storta, preferiva affrontare la situazione di petto e improvvisare il miglior procedimento.

Stavolta, però, aveva paura. Perché, in qualche modo, avere in ballo qualcosa come Dick gli faceva dubitare di qualunque cosa, si ritrovava a considerare ogni possibilità di cosa sarebbe potuto andare storto, ed era quasi panico quello che doveva poi placare nel venirne a capo senza spezzare il ghiaccio su cui camminavano.

Solo il fatto di starci riflettendo per davvero gli faceva scoppiare la testa, distraendolo dalle acrobazie che il suo cuore e il suo stomaco facevano nella sua cassa toracica. Era una risposta, quella che doveva dare a Dick, un “sì” o un “no”. Erano due lettere, in ogni caso, non è che fosse così difficile. 

Eppure.

«Un giorno ci proveremo.» mormorò alla fine, lasciando che la sua bocca parlasse senza il consenso del suo cervello, e si trovò molto d’accordo con il suo subconscio. «Non… credo che questo sia il momento perfetto, né per me né per te. Ma… lo faremo. Un tentativo, dico.»

Autentica sorpresa parve mangiare la lingua di Dick, a giudicare dal breve silenzio che seguì. Lo fece sorridere il modo in cui balbettò appena persino quelle poche sillabe. «Dici… Dici davvero?»

Roy non trattenne una leggera risata, di imbarazzo e di disorientamento per la decisione che stavano prendendo in quel momento, e gli parve di essere nuovamente un adolescente alle prese con il discutere il loro primo bacio. «Credo… credo di sì? Cioè, è ovvio, se quello che stiamo facendo ora non dovesse– hai capito. Ma sì, quando dovessimo sentirci di– insomma–»

«Certo– Sì, capisco.» Attimi di silenzio; lievi risate animarono le gole di entrambi, e ci furono alcuni secondi in cui Roy credette davvero di star vivendo in un sogno. Perché c’era così tanto di assolutamente assurdo, ma quello che riusciva a vedere all'orizzonte appariva così luminoso e per una volta così reale. Come se potesse illudersi di poter toccare quel sole con un dito senza rimanerne scottato.

«Roy…» Un inusuale tremolio nella voce di Dick raggiunse l’orecchio di Roy. Incredulità traspariva chiara; e paura, forse, o speranza. O forse, il terrore di poterci davvero credere. Che stesse succedendo davvero quello a cui parevano star andando incontro, di avere per davvero tra le proprie braccia colui che avrebbe voluto davvero. «Lasceresti Kendra… per me.» L’intonazione delle prime sillabe suggeriva che avrebbe voluto porgli una domanda, ma tale non era venuta fuori. Perché Dick lo sapeva, che Roy lo avrebbe fatto davvero. Che non avrebbe esitato, per lui, a lasciare Kendra, a partire all’istante per Gotham, a scagliarsi contro un gigante, a muovere la luna. Sapevano entrambi fin dove Roy si sarebbe spinto, per Dick. E forse Dick avrebbe voluto esserne spaventato più di quanto non fosse grato. «Non posso…» Non posso lasciare che tu sacrifichi tanto per me

Roy gli sorrise, la sua decisione già presa e definita nella sua mente. «Non c’è niente che tu debba fare. Sono io che ho fatto una scelta. Non tutto quello che faccio è in funzione di te.» Hai già fatto così tanto; per rendermi l’uomo che sono ora, per ricordarmi sempre chi sono davvero, per essermi rimasto accanto, per aver risposto al telefono nel bel mezzo della notte solo perché non riesco a reggere il saperti così lontano.

Dick non rispose subito. In quel momento, Roy avrebbe tanto voluto vedere i suoi occhi. Ammirare le scintille che illuminavano i suoi occhi, leggervi il suo fiducioso timore, e ciononostante sapere che Dick lo avrebbe tenuto al suo fianco, con i suoi dubbi e tutte le sue insicurezze. Quell’idea assurda e chimerica era stata un salto nel vuoto, e avrebbe potuto essere benissimo il suo ennesimo errore. Ma Dick avrebbe riconosciuto anche quello, e Roy sperava –sapeva– che lo avrebbe amato ugualmente.

Era così che erano loro due, del resto. Entrambi erano delle zattere in un mare in tempesta, in grado di tenersi ritti ma costantemente sul punto di venir rovesciati e affondare. In meno di trent’anni la vita li aveva calpestati e ridotti in più brandelli di quanto sarebbe dovuto essere possibile; eppure, a quanto pareva, ricostruire puzzle doveva essere il loro passatempo preferito, perché questo era quel che facevano, condividendo le proprie gioie e le proprie miserie, a volte scambiandosi dei pezzi, si tenevano quelli sbagliati e ne passavano di propri. Forse se ne erano resi conto ad un certo punto, forse era stata una realizzazione inconscia – ma così era persino meglio che farli nel modo giusto. 

Roy si alzò in piedi, un calore nuovo che scoppiettava dentro di lui, un nodo allo stomaco che a malapena gli pareva reale. «E se proprio vuoi saperlo, stavo pensando di rompere già da un po’. Non è che abbiamo una relazione rose e fiori come forse pensi nella tua visione pessimistica del mondo.»

Si divertì a godere della confusione di Dick in quel momento, che probabilmente stava perdendo secondi abbondanti a boccheggiare, a corto di parole. Si schiarì la gola, forse per dimostrargli che Roy non era stato bravo come credeva a prenderlo in contropiede. «La mia visione del mondo non è pessimistica. Mi baso su dati certi, ecco tutto.»

L’altro emise una risata sarcastica. «Raccontalo a qualcuno che non sia me, Signor Detective.»

Rise, Dick. C’era ancora una vaga agitazione, che correva lungo la sua lingua, ma sentire la sua risata era sempre un raggio di sole. «Qualcosa mi dice che avrei dovuto pensarci un attimo di più, prima di farti quella proposta.»

«Non si torna indietro!»

Altre risate.

«Lo stai facendo davvero?» C’era di nuovo quella richiesta di una conferma, come se prima non fosse bastata, quasi pensasse o temesse che quello scambio di battute avesse dato tempo a Roy di ripensarci. 

Come se questo fosse possibile.

Un mezzo sorriso si fece strada sul viso di Roy. «Lo verrai a sapere domani.»

Schioccò la lingua, per impedirsi di scoppiare a ridere. «Sei un caso perso, Roy Harper.»

«Forse. Ma se è così, non venire a cercarmi.» Dick sospirò, fingendo esasperazione, e Roy percepì distintamente il modo in cui roteò gli occhi. «Far capire che ti mancano i tempi da batterista in una band senza dire che ti mancano i tempi da batterista in una band.»

Non vi fu risposta. Se fossero stati l’uno davanti all’altro, probabilmente si sarebbero guardati dritto negli occhi, sguardi intrecciati e agganciati quasi stretti quanto le loro dita, terminando il discorso con tutte quelle cose che non avrebbero mai trasporre in parole. 

Invece, Roy si ritrovò a fissare le mattonelle bianche delle pareti del bagno, così intensamente che pareva potessero prendere vita da un momento all’altro. A sua discolpa, avrebbe potuto giurare che, per un breve momento, riflessi di un ridente blu ne avevano colorato gli spigoli. 

Si chiese se anche Dick fosse bloccato come lo era lui. Se fosse immerso in un buio che lo lasciava da solo con se stesso e lo schermo del suo cellulare, o se avesse acceso la luce dietro la porta chiusa a chiave. Se avesse qualcosa addosso, o se dovesse provare invidia per la parete dietro di lui che aderiva completamente alla sua schiena perfettamente scolpita.

In ogni caso, seppe che le sue ciglia folte si stavano abbassando sui suoi occhi, a giudicare dallo sbadiglio che lo raggiunse, con quel suono acuto per cui Roy aveva sempre trovato così divertente prenderlo in giro, insieme al suo starnuto assolutamente ridicolo la cui sottigliezza non era eguagliata neanche dai raffreddori più lievi di Lian.

Ammorbidì la propria voce, impregnandola di un poco di quella dolcezza che gli stringeva il petto. «Ora vai dormire. Direi che ti ho tenuto sveglio abbastanza.»

Dick impiegò qualche secondo a rispondere, che fosse per la sonnolenza o stesse solo cercando le parole. «Va bene. Buonanotte, Roy.»

«Buonanotte, Dick.» Cominciò a spegnere la luce del bagno, e nel buio le sue parole riempirono la stanza. «Ci vediamo nei miei sogni. Sognami anche tu, giusto un po’.»

«Lo avrei fatto lo stesso, ves’ tacha.» 

Stranamente, Roy non ebbe troppi problemi, per una volta, a chiudere per primo la chiamata. Del resto, nell’istante in cui la sua testa si posò sul cuscino, sguardo rivolto alla stessa luna che lui stava guardando, da Blüdhaven, seppe che non molto mancava, al rivederlo, in quelle visioni oniriche che – ne era certo – altro non erano che il mondo ideale che le loro anime insieme avevano creato.

In cui erano insieme.

 

angolo dell'autrice ||

Ma buonasera a tutti!
Voi non avete idea. Ho iniziato almeno tre progetti, una ventina di one-shot e quattro-cinque longs prima di decidermi a finire e pubblicare questa.
.Giuro di non averlo fatto proprio proprio apposta. Insomma, come ho già accennato, mia sorella è una fan imperterrita della BirdFlash, e, insomma, non avevo motivi per non essere d'accordo. Poi ho iniziato a leggere i Teen Titans degli anni Sessanta e Settanta, e ho perso il senno. Ho cercato tutte le possibili interazioni tra Dick e Roy in qualunque fumetto esistente, ho letto vent'anni di fanfictions e ho ascoltato una playlist dopo l'altra, oltretutto creandone una apposita che dura la bellezza di due ore e mezza, composta di 42 brani. Ma di che stiamo parlando.
Comunque! Come potrete immaginare, per iniziare ho preso ispirazione, o meglio spudoratamente estratto il racconto dalla canzone a cui ho messo il link nel titolo come mio solito, anche se a dirla tutta, nello scrivere avevo in mente anche Sky Full of Song, di Florence + The Machine. Highly recommend.
Ho ancora le mie perplessità su questo coso che ho scritto (che, come al solito, è molto più lungo di quanto avevo programmato o di quanto volessi), ma tutto sommato mi piace, e poi è stato l'unico lavoro su Dick e Roy in italiano che sia riuscita a concludere, e. Insomma.
Enniente, questo era quanto. Mi sono dilungata relativamente poco per i miei standard. Posso ritenermi soddisfatta. (In realtà no, ma shh.)
Recensioni e commetini sono sempre graditi! <3

Un bacio, 

_choco.


 

   
 
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