Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: steffirah    10/02/2021    1 recensioni
Strizzò le palpebre, resistendo nuovamente all’impulso di piangere, grata del gelo che le ghiacciava il volto; ma ad un certo punto divenne insopportabile, per cui affondò completamente il viso in quella sciarpa scarlatta, quasi sparendo in essa.
Si concentrò sul luogo in cui si trovava, sugli arbusti che la fronteggiavano, e si disse che dopotutto Kiyomi-san aveva avuto ragione, quando aveva detto che quei fiori la rappresentavano a perfezione.
Fiori, che simboleggiavano la volontà di affrontare ogni sacrificio, in nome dell’amore.
Fiori, che significavano stima, gratitudine, ammirazione per una persona nobile, determinata, degna di rispetto.
Fiori, che suscitavano speranza.
Fiori, che descrivevano nelle loro resistenti corolle il suo unico, più grande desiderio.
“Vorrei solo averti vicino.”
“Vorrei solo averti ancora qui con me.”
“Vorrei solo riavere indietro la mia famiglia.”
Fiori, simbolo di una devozione eterna.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mikasa Ackerman
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Mit Schnee bedeckt





 
  
Quel mattino fu svegliata da un bagliore particolare, che illuminava la sua camera a giorno. Si portò un braccio sugli occhi, offuscandolo, chiedendosi cosa mai potesse essere. Eppure tale luce continuava a farsi largo tra le minime fessure della sua manica, lambendole le stanche palpebre con la sua luce nivea.
Non resistendo ad oltranza si alzò, avvicinandosi verso le finestre. Quando aprì gli scuri, capì cosa fosse: neve. Per la prima volta, nel giorno del suo compleanno, stava nevicando. 
Allungò una mano verso l’esterno, accogliendo un fiocco di neve sul palmo. Era freddo. Ma nel momento in cui entrò a contatto con la sua epidermide, subito si sciolse. 
Si aprì in un minuscolo sorriso, guardando verso il cielo. Anch’esso, era un candido manto privo di interruzioni di colore. Era accecante, quasi stesse guardando dritto verso il sole. Ma forse, le dava quell’impressione solo perché si era appena svegliata. 
Si stropicciò gli occhi con una mano, prima di indossare una mantella di lana e avvolgersi meglio la sciarpa attorno al collo, grata che il calore che essa le procurava non la abbandonasse mai. Almeno la sciarpa, era sempre con lei. Lo stesso, non poteva dire di colui che gliene aveva fatto dono. 
Chinò lo sguardo, avvertendo già le lacrime pizzicarle gli occhi; tuttavia non diede loro scampo, scacciandole subito, prima ancora che potessero bagnarle le ciglia. Non avrebbe più permesso al dolore di sopraffarla. Soprattutto, non nel giorno del suo compleanno. 
Spostò lo sguardo sul giardino, notando solo allora che anche il suolo era divenuto un tappeto completamente bianco. Ciò significava che aveva nevicato per tutta la notte, senza che se ne accorgesse. Era il regalo più appropriato che avesse mai potuto ricevere dal cielo: quel freddo, che oramai avvolgeva anche il suo cuore.
Molte delle camelie che lì fiorivano erano state ricoperte dalla neve, e ne portavano il peso su petali e foglie, senza piegarsi.
Incuriosita da quell’inedito paesaggio indossò gli stivali e saltò agilmente giù dal davanzale della finestra, senza fare il minimo rumore. Rabbrividì non appena giunse sul suolo ghiacciato e si affrettò a coprirsi meglio, strofinandosi le braccia. Si sollevò la sciarpa fino al naso, coprendosi anche le orecchie, per poi proseguire in quella scoperta.
Passeggiò muta per il giardino, i suoi passi erano leggeri, quasi inesistenti, non emettevano alcun suono, mentre ascoltava la piacevole voce del silenzio che la circondava. Sapeva che sarebbe durato poco, perché anch’esso ben presto sarebbe terminato, sostituito da grida di gioia e schiamazzi – e probabilmente anche battaglie a palle di neve. Ma finché c’era, ne avrebbe goduto appieno. 
Amava il silenzio, da quando lui non c’era più. Perché solo quando c’era silenzio poteva pensare a lui. Solo quando c’era silenzio, quando era sola, poteva visualizzarlo dinanzi a sé. Rivivere tutti i ricordi che avevano condiviso insieme. Risentire la sua voce. Il caro suono della sua risata. Rivedere quel suo luminoso viso. Quel sorriso, caldo come il sole. 
Era solo in quei momenti, che lui tornava ad essere al suo fianco. 
Proseguì lentamente tra gli arbusti fioriti, stupendosi di quella mescolanza di colori, mostrandoli anche ad egli piena di meraviglia. Verde scuro, il colore che aveva riempito i loro anni e i loro giorni, con prati, boschi, foreste, missioni notturne. Rosa, la tinta che aveva sempre parlato dei suoi sentimenti per lui, in maniera tacita e cheta. Bianco, il colore che ormai rappresentava ella stessa, perfetto nel suo essere nulla. E che ora circondava anche quelle camelie, pur senza sembrare appesantirle.
Era stupefacente. Un miracolo della natura. Una forza che le caratterizzava, non piegandole neppure dinanzi alle intemperie.
Numerose erano le storie che si tramandavano su quei fiori, ma nel suo clan se ne raccontava una in particolare: tanto tempo addietro, all’alba dei tempi, esisteva un mostro che ogni anno richiedeva una vergine in sacrificio agli umani, di cui cibarsi. Un giorno una divinità si sentì offesa da tanta tracotanza, per cui si intromise e sfidò la bestia demoniaca in un combattimento, da cui uscì vincitore. La fanciulla che doveva essere sacrificata ed essere data in pasto al demone divenne, invece, la moglie del suo salvatore, e quando acconsentì a sposarlo la divinità lasciò la spada insanguinata, facendola cadere a terra; nel momento in cui essa si posò sull’erba, quel punto cominciò a tingersi di rosso, e da tale macchia comparve un arbusto dalle foglie lucidissime e i fiori bianchi, screziati di cremisi. Da allora quei fiori rappresentarono il sacrificio di ogni giovane vita, in ricordo delle vittime della crudeltà del terribile demone. Soprattutto perché, a differenza degli altri fiori, quando appassivano le camelie non perdevano i petali uno ad uno, bensì si staccavano completamente intere dagli steli. Proprio come una vita stroncata. Proprio come una testa staccata via. Bellissime e intoccabili, anche nella morte.
Le sue labbra fremettero, i suoi occhi si inumidirono, dinanzi a quel crudo ricordo.
Un mondo crudele, e bellissimo allo stesso tempo. Era realmente quello il senso della vita? Il senso dell’esistenza? 
La giovane donna si adombrò, le sue interiora cominciarono a contorcersi in un groviglio di nauseanti pensieri. Pensieri che quel giorno voleva evitare, ma che proprio quel giorno la infestavano più che mai. Perché la persona che percepiva al suo fianco non era altro che un fantasma, l’ombra di un ricordo, un’illusione che portava costantemente con sé. Per poter vivere. Per poter sopravvivere. Per far sopravvivere anche egli stesso. 
Strizzò le palpebre, resistendo nuovamente all’impulso di piangere, grata del gelo che le ghiacciava il volto; ma ad un certo punto divenne insopportabile, per cui affondò completamente il viso in quella sciarpa scarlatta, quasi sparendo in essa. 
Si concentrò sul luogo in cui si trovava, sugli arbusti che la fronteggiavano, e si disse che dopotutto Kiyomi-san aveva avuto ragione, quando aveva detto che quei fiori la rappresentavano a perfezione. 
Fiori, che simboleggiavano la volontà di affrontare ogni sacrificio, in nome dell’amore. 
Fiori, che significavano stima, gratitudine, ammirazione per una persona nobile, determinata, degna di rispetto. 
Fiori, che suscitavano speranza.
Fiori, che descrivevano nelle loro resistenti corolle il suo unico, più grande desiderio.
“Vorrei solo averti vicino.”
“Vorrei solo averti ancora qui con me.”
“Vorrei solo riavere indietro la mia famiglia.”
Fiori, simbolo di una devozione eterna.
Sorrise un’ultima volta rivolta verso il cielo, disillusa. Non chiedeva nessun altro regalo al mondo, ma sapeva; sapeva di star desiderando l’impossibile. Per cui ancora una volta si crogiolò nello spettro del suo unico, perduto amore, celebrando con egli il suo compleanno. Rintanandosi lontana da un presente ricco di voci, vuoto di sentimenti, restando all’ombra delle camelie innevate. 




















 
Angolino autrice:
Salve! Ebbene, ritorno nel fandom con un'altra storia triste e depressa, che un altro po' mi fa sentire più stron** di Isayama.
Tutto è cominciato perché volevo scrivere e dedicare qualcosa a Mikasa in occasione del suo compleanno, e speravo, pregavo, che potesse essere una storia felice. Invece è uscito questo. 
Non penso ci sia molto da spiegare. Voglio dire, è un "what if" finisce male (cosa che non escludo assolutamente), e volontariamente sono stata vaga sull'ambientazione, in modo tale che ognuno possa interpretarlo come meglio preferisce. 
Il titolo significa "ricoperto di neve/innevato". E ora la voglia di vivere mi è scesa sotto i piedi.
Ma fortunatamente questa mattina mi sono svegliata di buonumore, per cui ho deciso che, entro stasera, pubblicherò un'altra one-shot per Mikasa, che possa essere almeno un pochino più allegra e meno angst. Quindi, se volete leggere anche quella dopo che l'avrò pubblicata, mi farebbe piacere. Ovviamente, vi ringrazio già per aver letto questa ed essere giunti fin qui. 
Grazie ancora,
Steffirah
  
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